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Zapatero ha un problema. E anche noi.
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Sarà interessante vedere come governerà Zapatero la crisi spagnola che avanza. Il presunto boom economico iberico, tutto giocato sull’edilizia, ha prodotto una bolla immobiliare di tutto rispetto e il più grosso deficit dei conti correnti d’Europa. Il deficit commerciale spagnolo è infatti di 326 miliardi di dollari, seguito (indovinate?) dall’Italia con 275, Grecia con 129, Irlanda con 123, Portogallo con 98 miliardi.

Ma se si tiene conto delle dimensioni delle rispettive economie, quello iberico è il più allarmante: il 26% del prodotto interno lordo (1). Di fatto, la Spagna più che l’Italia ha consumato beni a credito. Da dove viene il credito? Dal massiccio afflusso di capitali esteri, specie di banche e di fondi-pensione tedeschi, divoratori dei BOT spagnoli (i «cedula») dal 2005 al 2007.

Il fatto - e il guaio per Zapatero - è che tale afflusso si è del tutto bloccato dall’agosto scorso, ai primi segni del collasso subprime americano. Molto imprese e banche spagnole indebitate si trovano da allora in asfissia di fondi. Senza troppo farsene accorgere, le ha soccorse la Banca Centrale Europea.

Il governatore Trichet - quello che tiene assurdamente alti i tassi e quindi l’euro sul dollaro, a suo dire per contrastare l’inflazione - accetta dalle banche spagnole come collaterale i mutui che le banche iberiche non riescono più a sbolognare ai tedeschi, e in cambio di quella carta fornisce liquidità in euro. Questo aiutino non è contrario alle regole UE, a patto che sia «limitato e temporaneo»; e le banche spagnole (come quelle italiane) sostengono baldanzose di essere in buona salute, meno esposte di altre allo scoppio della bolla americana.

L’effetto è quello, già descritto, dell’aumento della forbice (spread) fra i BOT tedeschi a 10 anni e i BOT spagnoli, greci, italiani. Per ottenere denaro a prestito, noi latinos e le altre cicale della UE dobbiamo offrire interessi più alti, con aggravio dei nostri conti. Ma il peggio è che una caterva di hedge fund speculativi e di banche usuraie si sono buttati su questa frattura per allargarla: vendono allo scoperto («short») i BOT di noi latinos, mentre prendono posizioni «long» (comprano) i Bund tedeschi.

Così facendo puntano su un’ulteriore divaricazione a danno del Club Med, e nello stesso tempo la provocano, rendendola sempre più imminente - esattamente come fece George Soros con la sua speculazione contro la lira. La lira dovette uscire dal serpente monetario, e fluttuare «liberamente», ossia al ribasso, senza che nessun altro Paese europeo muovesse un dito per alleviare la nostra sorte. Resisterà oggi il serpentone dell’euro?

Meyrick Chapman, il capo delle strategie europee della UBS, affetta ottimismo: «Nell’unione monetaria si è investito troppo, economicamente e politicamente, perché la si possa spezzare. Ma i prossimi due anni metteranno a durissima prova la moneta unica, e ci saranno aggiustamenti severi».

Sarà interessante vedere se scoppierà prima la Spagna - che ha un enorme deficit dei conti correnti, ma un debito pubblico ridotto e una adeguata politica fiscale - oppure l’Italia, meno deficitaria dal punto di vista del commercio, ma con il debito pubblico più titanico, oltre 100% del PIL (come la Grecia, a cui ci apparentiamo per qualità della «classe dirigente» e ignoranza della popolazione: una faccia una razza). Sarà davvero interessante.

Perché fra le assurde regole di Maastricht, c’è anche il divieto, per la BCE, di fornire liquidità alle banche che sono «potenzialmente insolventi». E’ possibile che alla fine sia richiesto ai Paesi più grossi (la Germania) di pagare le spese per tutti; il problema allora diventa politico, perché alle formiche tedesche non piacerà pagare per le cicale mediterranee. Difficile capire come l’Europa si comporterà davanti a questa crisi. Anche perché il comportamento della BCE, ossia di Trichet, è una contraddizione in termini.


Essa proclama di tenere alti i tassi primari in confronto a quelli del dollaro (tagliati decisamente dalla FED) per «contrastare l’inflazione», al prezzo di strangolare ogni ripresa economica con alti tassi e perdita di competitività all’export. Ma intanto, è la vera promotrice dell’inflazione europea, per la larghezza con cui fornisce liquidità alle banche europoidi. Tutto sta dunque a capire se le banche sono sane come dicono.

Per ora, e da mesi, raccolgono tutti i debiti e le loro «garanzie» supposte che non riescono più a vendere sui mercati, ossia a rifilare agli ignari risparmiatori, li portano lo sportello di Francoforte, e Trichet, per quella carta straccia, paga euro sonanti, creati dal nulla a miliardi. Fingendo che la carta straccia abbia un valore, Trichet sta ovviamente salvando in grande la finanza a spese dell’industria, gli usurai a spese degli operai. Ma il gioco sta diventando rapidamente criminale, e pericolosissimo.

Le «sane» banche europee stanno addirittura creando obbligazioni garantite da mutui nuove di zecca, senza provare nemmeno a venderle sul mercato; le creano apposta per portarle a Trichet, che gliele cambia in euro. E’ una specie di scandalo Parmalat all’ennesima potenza, messo in atto non da avventurieri, ma dalla Banca Centrale Europea, maestra di moralità per tutti noi (2). Il peggio è che con questo trucco le banche europee si procurano i soldi per sostenere le loro filiali americane, ingolfate fino al collo di obbligazioni subprime, altre CDO (collateralized debt obligations) ed ogni sorta di derivati andati a male e invendibili, anche perché nessuno li compra, non essendoci più un «mercato» per queste cose.

Non essendo obbligate a liberarsi di queste carte ai prezzi di «mercato» (vicini cioè allo zero), le banche europee possono dichiarare che sono in buona salute, almeno migliore di quella delle consorelle americane. E qui, bisogna dire che la banche italiane sono quelle messe meno peggio, per il semplice fatto che Bankitalia ha vietato loro di riempirsi di «investimenti» costituiti da debiti americani subprime e CDO.

Le banche spagnole invece sono quelle che stanno peggio, essendosi gettate, nell’euforia del boom edilizio che faceva aumentare i presunti «valori» collaterali (le case) a «investire» nel disastro americano, oltre che nella bolla speculativa spagnola stessa: accendendo mutui per immobili che valevano come la California fino a pochi mesi fa, e che ora valgono la metà, e i cui proprietari non riescono a pagare i ratei. Si dice che le banche tedesche siano parimenti a mal partito, ultra-esposte in USA: ossia strapiene di «obbligazioni» e derivati che, se dovessero essere valutate ai prezzi di mercato (mark to market) le farebbero risultare in gran parte fallite. Le banche francesi non vanno meglio, come ha dimostrato il buco alla Société Générale, di cui hanno incolpato un giovane trader.

Il fatto è che, grazie all’amica BCE, le banche europee non sono state obbligate né a svendere i loro «attivi» di carta straccia per quel che valgono, né a cambiare comportamento. Anzi, molte di loro continuano ad operare come prima dell’agosto 2007, comprando ancora «attivi» senza senso e facendo ogni sorta di «investimenti» cretini in derivati, tanto la BCE glieli comprerà in euro.

In questa falsa sicurezza («la mia banca è diversa»), industrie europee continuano a investire nonostante i costi altissimi della produzione industriale in Europa (costo del lavoro, aggravato dalle tasse sul lavoro e dai contributi previdenziali sul lavoro) e l’euro «fortissimo» che rende  i prezzi delle nostre merci proibitive.

Nell’insieme, la UE appare quella di sempre: governata da robot che non sanno cambiare rotta nella tempesta. Una grande potenza economica potenziale, che in teoria ha i mezzi (mercato, capitali, consumatori, contribuenti) per prendere la guida della crisi globale con nuove idee - che potrebbero essere quelle di Tremonti - si sta stringendo da sé al collo il cappio dell’euro «forte sul dollaro», e in generale si comporta come se la crisi mondiale non ci fosse. Si comporta come in passato, perché la sua classe dirigente è il passato. Che non vuol passare.

Così Trichet intima (e intimerà sempre più agli Stati, via via che la crisi si aggrava) «rigore fiscale» per contenere i deficit mentre lui provoca inflazione inondando le banche di liquidità creata ex nihilo. Gli Stati cercheranno di obbedire, aggravando le tasse (ricetta di morte sicura, in recessione) ma senza sanare nulla, perché in recessione l’introito tributario comunque si assottiglia, per il ridursi delle attività economiche, delle esportazioni e dei consumi.

Nel frattempo, i sindacati europoidi bloccheranno tutte le riforme (in Italia, primario lo snellimento del parassitismo pubblico), per difendere le categorie privilegiate di cui sono i rappresentanti. Alla fine, anche la leggenda dell’euro forte mostrerà la sua trista realtà. Esso non è e non sarà mai - con questa classe dirigente - la moneta di riserva sostitutiva del dollaro, che le Banche Centrali dei Paesi avvantaggiati dalla globalizzazione (Cina, India, arabi petroliferi) sono disposte a tenere in cassaforte.

Per diventare riserva mondiale, l’euro non garantisce le superiori performances dell’economia europea su quella americana. E difatti, le Banche Centrali per ora tengono euro solo per difesa contro la tempesta in corso in USA. Quando la crisi colpirà l’Europa, e la pochezza dei suoi dirigenti verrà alla luce, l’euro fortissimo sarà finito, chi ha riserve ne fuggirà, e ci toccherà a pagare il petrolio e i cereali con un euro debolissimo, quello che Trichet ci prepara attivamente.

Per questo è interessante osservare come Zapatero cavalcherà questa crisi, anche perché la sinistra italiana certamente lo copierà. Mentre la realtà diventa più cruda, la disoccupazione aumenta, i prezzi salgono e le banche falliscono, quale illusionismo non si dovrà inventare per dire che «fa qualcosa di sinistra»?

L’aborto e le nozze gay sono state un colpo di genio in questo senso, e la sinistra italiota arde dalla voglia di ripetere il gioco: ma Zapatero se le è già «spese». Deve alzare la posta. E come? Lo sta già facendo, in realtà.

Zapatero e il suo partito socialista hanno già lanciato un programma per cancellare dalle strade e piazze di Spagna tutto quel che resta delle memorie franchiste, e già firmano proposte di legge che prevedono riparazioni monetarie per i nipoti delle «vittime» del «totalitarismo di Franco».

Questo sì che è «qualcosa di sinistra», adatto ad accendere le fantasie di una sinistra che non ha proposte reali per affrontare la situazione reale ed attuale, la recessione e il precariato; la sinistra italiota, specie quella arcobaleno, sarà ben lieta di copiare: una reviviscenza dell’«antifascismo europeo», giornate della memoria delle «vittime del franchismo», è un bell’alibi per chi non sa cosa fare dell’oggi, né cosa rispondere alle politiche omicide della Banca Centrale Europea. Niente di meglio, per una classe dirigente volta al passato, che rialzare le bandiere del passato che non vuol passare. Solo che questo gioco - volto a salvare il partito, o i sindacati, o la Casta parassita - è alquanto pericoloso.


In Spagna riapre le ferite di mezzo secolo fa, la guerra civile spagnola del 1936-39. Non è un caso che i vescovi iberici, sotto attacco zapaterista da tutti i lati, abbiano beatificato in massa 489 martiri del terrore comunista repubblicano del ‘36-39 (una beatificazione che Benedetto XVI ha cercato di depoliticizzare). Dall’altra parte, c’è già chi parla di riaprire le tombe delle vittime del franchismo, anzi si stanno riaprendo per seppellire gli scheletri di nuovo, con tutti gli onori dovuti a scheletri antifascisti.

Solo che di questo passo, memoria dopo memoria, tomba dopo tomba, si riapre la ferita che - di comune accordo - morto Franco, destra e sinistra avevano nascosto sotto una amnesia politica generosa e necessaria. Gli etnicismi dei baschi e dei catalani avranno una legittimazione in più, perché furono secessionisti «antifascisti»…
La crisi economica rischia di essere «curata» (o mascherata) dal revival della guerra civile?

Il bipartitismo quasi perfetto uscito dalle elezioni spagnole sembra preludere alla formazione dei due schieramenti storici. La sinistra italiana ha sicuramente il cuore in subbuglio: «Qualcosa di sinistra», finalmente! Speriamo solo che la storia si ripeta, come asseriva Marx, in forma di farsa, che i nipotini assuefatti al telefonino, alla movida e ai matrimoni gay non siano più gli spagnoli duri di allora…




1) Ambrose Evans-Pritchard, «UBS warns euro will be pushed close to breaking point», Telegraph, 10 marzo 2008.
2) Chan Akyia, «Euro-trash», Asia Times, 11 marzo 2008.
3) William Pfaff, «Spain’s unneeded tensions», www.williampfaff.com, 6 marzo 2008.


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