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Sull’euro, strani movimenti
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L’euro sarà raddoppiato: quello nuovo, stampato dalla Banca Centrale Tedesca, sarà la moneta di Germania. Olanda e suoi satelliti nordici dalle finanze solide. L’euro attuale, rimarrà la moneta di tutti gli altri.

L’ha detto Frits Bolkenstein parlando alla tv olandese: «È tempo di portare ordine nel caos». Ora, Bolkenstein non è l’ultimo arrivato: è stato commissario europeo per il mercato interno, autore della famigerata «direttiva Bolkenstein» sulla liberalizzazione dei servizi nell’area euro, che permetteva ad imprese di uno Stato della UE di assumere lavoratori di un altro Stato della medesima UE, dove i salari erano più bassi, usando le norme vigenti nel Paese di provenienza; ciò avrebbe portato ad una spietata concorrenza dei salari europei verso il basso: vaste proteste sindacali hanno corretto ed edulcorato la direttiva, fino alla sua relativa inapplicazione.

Nella chiacchierata in tv, Bolkenstein ha giustificato l’eventuale nascita del nuovo euro Made in Germany con «la necessità degli Stati più degni di credito nella UE di proteggere la loro posizione finanziaria nella situazione di un’altra crisi finanziaria, che in massima parte ha ancora da avvenire». Ha aggiunto che la Francia non sarà invitata ad entrare nell’euro-VIP, perché – ha detto – «è mal governata e praticamente in bancarotta». Parigi sarà lasciata cadere nell’inferno finanziario dei paesi Periferici, che si troveranno con un euro svalutato...

Non è chiaro se Bolkenstein ha riecheggiato, da insider (tra l’altro è stato dirigente della Shell per 15 anni) un progetto in riservata discussione nei salotti segreti di Bruxelles, o ha parlato di testa sua improvvisando. È singolare che i media europei non abbiano dato peso alla cosa. I soli a prenderla sul serio sono stati i media russi – Pravda e Rossyskaya Gazeta – mettendo in rilievo il pericolo per le riserve russe di Stato: il 40-45% sono in euro, e questo monte di valuta subirebbe un netto deprezzamento dall’introduzione della nuova moneta super-forte. Da ciò, inviti al governo moscovita ad alleggerire la sua esposizione nella moneta europea.

Gli stessi giornali russi però ricordano certi aspetti, diciamo così balzani, delle passate uscite di Bolkentein: dichiarazioni frementi e fuori misura contro l’entrata della Turchia nella Ue, «perché l’Europa verrebbe islamizzata»; o l’invito urgente, nel 2010, agli «ebrei che vivo nei Paesi Bassi» ad emigrare in Israele o USA, perché «in Olanda non c’è futuro per chi agisce da ebreo e ha l’aspetto di ebreo, dato il crescente numero di immigrati musulmani che odiano gli ebrei»; senza perder l’occasione per precisare che anche nella Chiesa protestante olandese l’antisemitismo «non è meno diffuso che tra gli islamici». Ciò, a suo tempo, ha indotto vari politici locali a farsi domande (ad alta voce) sulla salute mentale di Bolkenstein. (Europe to introduce second euro?)

Ma forse «c’è del metodo in questa follia», per parafrasare Shakespeare. Solo ieri i ministri delle Finanze dei 27 membri della UE hanno stabilito il principio che, quando una banca fallisce in Europa, a pagare siano gli azionisti, ma anche i titolari di depositi presso quella banca, privati ed imprese»: il Trattamento Cipro allargato a tutta l’area europea, il prelievo forzoso dei depositi (e ci avevano assicurato che no, quella era un’eccezione irripetibile...).

Come commenta l’amico Eugenio Benetazzo, «Finisce l’era del tutto sicuro e garantito sempre e comunque ed inizia l’epoca delle assunzioni di responsabilità diretta da parte dei piccoli risparmiatori ed investitori che si dovranno far carico di monitorare e giudicare l’operato della banca su cui hanno deciso di puntare, pena il rischio oggettivo di incorrere in ingenti perdite su prodotti bancari un tempo tutelati e garantiti dallo Stato».

Marine Le Pen ha appena annunciato esplicitamente e pubblicamente che la Francia «uscirà dall’euro» se il suo Front National dovesse vincere le elezioni. E la cosa non appare più irrealistica: solo una settimana fa, in una votazione suppletiva, il FN ha sbaragliato i socialisti in un loro feudo, Villeneuve-sur-Lot: 46% dei suffragi. Pare insomma che il Front abbia sfondato «il soffitto di vetro» che gli impediva, da trent’anni, di superare uno dei due partiti il gollista o il socialista, che si sono sempre divisi il potere con tanto di «conventio ad excludendum» – la promessa di non fare mai un governo associandosi il FN – come richiesto dal Grande Oriente di Francia. Ai tempi, Mitterrand e Chirac giurarono davanti ai grembiulini. Quei tempi sono passati, Marine Le Pen ha stabilito buoni rapporti con esponenti israeliani, nel segno del comune anti-islamismo.

L’uscita di Marine sul ritorno al franco non è improvvisata. Il Front ha adottato il progetto elaborato dal professor Jacques Sapir, economista da noi spesso citato, e dal suo gruppo all’Ecole des Hautes Etudes di Parigi: una precisa valutazione sulla convenienza che Francia, Spagna e Italia hanno ad uscire dall’euro, e sulle fasi di una uscita ordinata, prima che la de-industrializzazione e la disoccupazione di massa diventino irreversibili. Secondo lo studio del gruppo Sapir, il neo-marco si rivaluterebbe del 15%, e il neo-franco si svaluterebbe del 20; percentuali tollerabili.

«L’euro cesserà di esistere nel momento che la Francia ne uscirà, ed è questa la nostra incredibile forza», ha detto Marine Le Pen: «Che cosa faranno, ci manderanno i carri armati?». I carri armati no: ma lo sdoppiamento dell’euro in due, l’euro tedesco e l’euro ClubMed annunciato da Bolkenstein, può essere la risposta che gli eurocrati tengono in serbo nel caso estremo: dal loro punto di vista meglio due euro che nessun euro, possono mantenere il controllo, mantenere la loro presa sulla BCE e fingere la continuità.

In Francia, c’è un sentimento che può portare molti voti al FN; la detestazione per il presidente della Commissione, il noto José Manuel Barroso, è ormai bipartisan e travolgente: persino il settimanale europeista Marianne lo mette nel novero degli «affossatori dell’idea europea», e fa i conti di quel che ha portato l’obbedienza pronta cieca e assoluta all’eurocrazia: 3,2 milioni di disoccupati, numero che non si riesce a far calare; il 40%, di lunga durata. Il debito pubblico che prosegue la traiettoria in salita, ed ha raggiunto 1477,2 miliardi , il 91% del Pil, crescendo di 37,3 miliardi di euro al trimestre; il deficit pubblico che si allarga ed ormai tocca il 4%. «Ciò fa svanire la nostre speranze d’investimento (per la famosa crescita, ndr). Non c’è denaro in cassa». Dovunque in Europa domina uno stato d’animo che viene definito «tetania», e nella società «un’atmosfera sociale fondata sull’inerzia, il pessimismo del meno peggio, il lasciar fare per i comportamenti più egoisti e distruttivi» : in breve, «il degrado dell’energia vitale del corpo sociale, l’asfissia della vita» (sembra la descrizione dell’Italia...). Nessuna prospettiva se non austerità e miseria a scadenza indefinita. Si giunge a temere «la dissoluzione della Francia»; in un’Europa dove « sono più di 26 milioni a cercare lavoro», i 27 capi di stato e di governo nell’ultima riunione hanno promesso 6 miliardi di euro da qui al 2015: «cifra ridicolmente limitata». (La France est-elle menacée de dissolution?)

La Germania: espandere la leadership in Europa

Questo è stato il tema principale di un singolare seminario di strategia militare (eh sì, avete letto bene) organizzato dal Collegio Federale per gli Studi sulla Sicurezza (Bundesakademie für Sicherheitspolitik – BASK), descritto come «uno dei primari think tank per la politica militare» a Berlino, un centro studi del governo. Sono intervenuti ministri, industriali, direttori di giornali, generali e banchieri, fra cui spicca Klaus Peter Mueller, presidente della Commerzbank e da sempre promotore «di una intensificata collaborazione tra il settore economico e il settore militare».

Tra i temi discussi come detto, c’è stato: come espandere la leadership tedesca in Europa; come proteggere le forniture di materie prime all’industria germanica; e la «implementazione globale degli interessi tedeschi». Si è parlato anche di «missioni di forze speciali», di «guerre di droni», «assassinii mirati», pericolo islamico eccetera.

Armin Papperger, presidente della metallurgica e fabbrica d’armamenti Rheinmetall, ha dichiarato che «vanno facilitati gli scambi di personale fra le aziende e le forze armate»; il ministro della Difesa Thomas de Maizière l’ha energicamente appoggiato, aggiungendo che dalla «circolazione di talenti» fra i due settori «dipende il futuro della Germania». Erano presenti il ministro degli Esteri Guido Westerwelle (FDP), e il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble (CDU).

Wolfgang Ischinger, direttore globale per le relazioni con gli Stati del Gruppo Allianz, s’è espresso a favore di un intervento armato in Siria a fianco degli insorti. Klaus-Dieter Frankenberger, giornalista principe della Frankfurter Allgemeine Zeitung, ha propugnato più stretti legami militari con gli Usa allo scopo di «ostacolare l’ascesa di una Cina troppo dinamica»; lo stesso personaggio ha illustrato nella sua relazione come «per la sua responsabilità come leader», la Germania deve esercitare sui Paesi del Sud-Europa, tipicamente la Grecia, «sotto tutela» nei conti; solo questo, secondo Frankenberger, renderà l’Europa in grado di vincere nella lotta competitiva «contro le sfide del 21° secolo». (Leading Power Germany)



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