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L'enigma Giovanni XXIII: scelta di transizione o di mutazione? (terza parte)
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Papa Giovanni XXIII

Il cristianesimo, dopo la sua domenica delle Palme, di durata millenaria, passò al suo millennio di passione, in cui la Chiesa dovette vigilare sempre più affinché gli avversari di Gesù Cristo non intorpidissero con ma-novre di falsa conciliazione il suo clero.
In esso, si distinsero dall'inizio, quelli pronti a convertire il mondo e quelli propensi a convertirsi ai nuovi tempi.
I primi, coscienti che la persecuzione alla Chiesa di Cristo è conseguente alla via tracciata dal suo capo morto in croce, combattono la doppia battaglia, contro la decadenza propria e del mondo.
I secondi, ritenendo la scalata mondana irreversibile, cercano alleanze per convivere col mondo anticristiano.
In tal senso è sorta nei tempi moderni la politica delle grandi conciliazioni estesa al campo religioso; una politica dimentica del fatto che non ci sono articoli di scambio nel campo della verità.
Trattare con quanto avversa la fede per avere pace svela un desolante ritorno alla miseria manicheista per cui diverse verità possono e devono convivere come il bene col male.
Certo, trattare di questioni politiche, industriali, commerciali, diplomatiche, fiscali, ecc., è utile e necessario, ma sempre che esse non danneggino la fede che, accusando il male e coltivando il bene, ha inestimabile valore anche sociale.
Testimoniare la fede è, quindi, la vera azione per migliorare la convivenza umana in vista del suo fine ultimo, azione che costa cara. Ma l'esempio viene dal Signore e fu seguito fino alla morte, dal tempo dei primi cristiani ai nostri giorni in cui il cristianesimo è la religione più perseguitata del mondo, se non con le armi, nella morsa di una politica sociale edonista che oscura la visione spirituale riguardo la morte, il giudizio, l'inferno e il paradiso.
Eppure, proprio queste sono le luci presenti nelle coscienze per frenare il male nella vita personale e sociale.
Il mondo moderno, abbagliato dalle luci dei grandi progressi materiali, ha promosso invece quegli spiriti illuminati decisi a «liberare» le coscienze dalle luci divine.
Essi furono poi assecondati dai modernisti che fornirono a tale progressismo la versione «cristiana» che, come spiegato da san Pio X («Pascendi») parifica la rivelazione divina niente meno che alla coscienza del «buon selvaggio», dell'uomo «naturalmente buono».

La perversa contraddizione filosofica modernista consiste nel camuffare l'inoculazione dell'idealismo immanentistico, da cui proviene, nelle vesti dei princìpi trascendenti che combatte.
Il suo metodo è di ergere «valori contro principi», la ragione contro la fede, la scienza contro la religione, la sociologia contro la dottrina, il perdonismo contro la giustizia, la storia contro la Rivelazione.
In questi termini avviene la vera guerra mentale scatenata nel mondo contro il Verbo che istituì la Chiesa per attirare al cielo il pensiero e la volontà di tutte le anime, specialmente le più bisognose di liberarsi dalla morsa che soffoca ogni respiro soprannaturale.
Naturalmente oggi tutto ciò è schernito da quanti si accordano ai piani dei moderni poteri terreni che operano per suscitare nella Chiesa una «nuova classe» d'appoggio al nuovo ordine mondiale di marchio naturalistico.
Tali poteri sono enormi e subdoli.
Si pensi alla promozione che la sua stampa fa di figure lamentevoli e vuote come il «teologo» Hans Kung, il cui «pensiero moderno» è elevato mondialmente al servizio di un piano per screditare il cattolicesimo che, secondo loro, ha chiaramente fallito nella sua missione.
C'era allora «bisogno» di una nuova «intellighenzia cattolica» e l'occasione si è ripresentata con il conclave in seguito alla morte di Pio XII.
Era l'ora della scalata finale alla Chiesa da parte dei poteri occulti che, per meglio dominare il mondo materiale, avevano bisogno di una «chiesa globale».
Angelo Roncalli da giovane si era qualificato per operare una liberazione religiosa sostenendo il principio che si deve cercare più quel che unisce che quelle visioni soprannaturali che dividono.
Come professore modernista è stato perciò interdetto d'insegnare tale storia priva di quel soprannaturale che fonda la religione; storia sacra rivelata da Dio affinché l'uomo passi dal contingente mondano all'assoluto divino; passaggio a rischio poiché in esso serpeggiano le «gnosi illuminate» da «dottrine segrete» in agguato per infettare la fede del Dio Uno e Trino con fermenti della «religiosità» naturale.
Una volta corrotto l'amore per cui l'essere umano si dispone a rinunciare ai piaceri del mondo, della carne e della mente, spunta quell'amore mondano che suscita proprio l'attrazione contraria e l'uomo, non pensando più come crede, né vivendo come pensa, penserà e crederà conforme a come vive.
Ecco i connotati dello «spirito conciliarista» svelatosi nella nuova "prassi pastorale", intenta a sostituire la professione di fede della Chiesa, i suoi princìpi, le sue norme, la sua azione sociale col nuovo «amore per il mondo».
Tale amore ha per fede l'umanitarismo, per speranza l'evoluzionismo della coscienza, per carità il soggettivismo dogmatico che adatta i Vangeli ai «bisogni» dei tempi, e si svolge con una nuova liturgia orizzontale, ecumenista e mondialista, una contraffazione modernista secondo lo spirito delle logge.

L'ora cruciale per la Chiesa: il Conclave del 1958

La missione del successore di Pietro è quella di continuare ad operare seguendo il compito affidato agli Apostoli da Gesù, ossia di convertire i popoli della terra, prima di tutti il suo, gli ebrei, alla verità per cui è venuto al mondo.
In questo il Papa deve confermare i suoi fratelli.
Poiché la perfezione nel pensare e nel volere non è attributo umano, così come non lo è la perfezione nella fede, gli uomini elevati ad una tale carica di supremo magistero, rimediano alla propria imperfezione procedendo per amore a Gesù Cristo, alla sua parola, alla verità da Lui tramandata, conoscenza unica assicurata dall'autorità di Dio in terra manifestata nella Sua Chiesa.
Quando le creature dimenticano che è impossibile conoscere da sé la propria origine, stato e fine, conoscenza da cui dipende l'ordine nel mondo, ma che solo può essere appresa attraverso l'unica parola rivelata, nessun progresso delle scienze umane può rendere raggiungibile il vero bene per l'uomo.
Eppure, tale «progresso» era divenuto la grande meta anche per una nuova classe clericale, che per arrivarci doveva abbattere la vecchia autorità erigendo una nuova, aggiornata ai nuovi tempi.
L'opportunità per realizzare tale scopo si è presentata con il Conclave del 1958.
Ora, il Conclave per eleggere il Papa può essere descritto come il momento in cui la Chiesa sceglie un suo degno confessore, affinché esso riceva direttamente da Dio l'autorità per rappresentarLo nel mondo.
Questa assegnazione soprannaturale si realizza quando la persona eletta, avendo i requisiti prescritti di lucidità e fedeltà per la carica, accetta con un atto esterno l'investitura, a cui deve certamente corrispondere un atto interno.
Entrambi gli atti si devono rendere noti nel giuramento solenne di fronte a Gesù Cristo, in cui l'eletto confessa pubblicamente le sue intenzioni sulla fede.
«Furono massoni il primate della chiesa anglicana Fischer e il patriarca Atenagora della chiesa ortodossa, con i quali Giovanni XXIII iniziò un dialogo ecumenico in clima di fraterna comprensione» (il Gran Maestro Giuliano Di Bernardo nel suo libro «Filosofia della Massoneria», Marsilio pagina 146).
Questo Atenagora, patriarca «ortodosso» di Costantinopoli, così come altri, ha dimostratro di aver ragione nel vedere Roncalli come nuovo Giovanni Battista, precursore di Montini e dei nuovi evangelizzatori.

Il colpo da maestro di Angelo Roncalli

E' innegabile che Roncalli aveva un cervello fine a cui deve la carriera andata molto oltre le possibilità delle sue doti religiose e intellettuali. Le sue erano abilità di altro tipo.
Già importanti osservatori politici lo avevano notato, anche con amicizia.
In particolare cito alcuni scrittori non italiani poco propensi a commenti reverenziali.
Robert Kaiser, accreditato per seguire il Vaticano II come corrispondente del «Times magazine» ha stretto rapporti di amicizia con Giovanni XXIII e lo descrive come un «genio politico» che sotto l'apparenza di umile prete d'origini contadine era un «astuto rivoluzionario» (Robert Blair Kaiser, «Pope, Council and World», N.Y. Macmillan, 1963).
Anche M. Trevor («Pope John», N.Y. Doubleday, 1967) nota che molti vedevano un aspetto «machiavellico» nelle attività di Giovanni XXIII. Inoltre, Avro Manhattan («The Vatican Moscow Alliance», N.Y. RalstonPilate, 1977) intravvedeva in lui un «rivoluzionario determinato» e un «Papa socialista».
Come si vede «l'enigma Giovanni XXIII» ha sollevato molti dubbi e interessi già in quel periodo critico per la Chiesa e per il mondo.
I più sagaci capivano che Roncalli anticipava una nuova classe di «rivoluzionari religiosi» dedicati a stabilire in modo occulto un nuovo ordine democratico, di cui una nuova Chiesa universale sarebbe divenuta la grande «animatrice».
Per le ragioni descritte, confermate dagli accertamenti di un dossier sulla carriera di Roncalli, come dopo di Montini, riguardanti le loro intenzioni eterodosse, c'erano gravi obiezioni contrarie alla loro elezione papale.
Riguardo a Roncalli, il Sant'Uffizio era al corrente dell'insidia degli «aggiornamenti» da lui promossi e risultanti nel suo dossier di modernista.
Ma poiché anche i cardinali Ottaviani e Tardini si convinsero che Roncalli sarebbe stato un Papa di transizione, l'analisi di tale dossier dev'essere stata trascurata, o considerata inutile dal punto di vista morale a causa del giuramento che avrebbe seguito l'elezione papale. Erano sicuri di poter pilotare quell'anziano, presuntamente docile, Angelo Roncalli.
Forse in quell'occasione l'interessato si prestò a scrivere in grande sul suo dossier di non essere mai stato modernista.
Ritenevano allora, che se non si era convertito lo si sarebbe in seguito all'elezione.
Comunque, per loro, in quel momento era più importante stabilire un accordo per la conferma di Tardini a segretario di Stato vaticano, nel caso Roncalli fosse stato eletto, piuttosto che approfondire l'ortodossia di quel candidato al Papato.
Così, dopo le trattative per assicurarsi delle "buone" intenzioni di quel cardinale visto come "buono", malgrado il suo dossier lo rivelasse sospetto, divennero i principali elettori di Roncalli nel Conclave del '58.
Conferma la scelta di questa strana candidatura, scelta che avrebbe guidato quella di altri cardinali, il giornalista Emilio Cavaterra, biografo del «Carabiniere della Fede» («Il Prefetto del Sant'Offizio», Mursia, Milano, 1990).
Tale leggerezza riguardo all'elezione del successore di Pio XII era in stridente contrasto con le affrante preoccupazioni del Paparegnante, che prima di morire aveva previsto: «dopo di me il diluvio».
Secondo Pio XII infatti il meno peggio dei candidati sarebbe stato  il cardinale Siri, subito scartato perché troppo giovane e avrebbe avuto un Pontificato troppo lungo per le intenzioni di allora.
Perciò scelsero il vecchio Angelo Roncalli, scelta di cui si sono poi pentiti amaramente, ma troppo tardi: ormai l'operatore della mutazione della Chiesa era già stato elevato alla posizione per compierla.

L'enigma di quel giuramento solenne

«Io prometto: di non diminuire o cambiare niente di quanto trovai conservato dai miei probatissimi antecessori e di non ammettere qualsiasi novità, ma di conservare e di venerare con fervore, come vero loro discepolo e successore,con tutte le mie forze e con ogni impegno,ciò che fu tramandato; di emendare tutto quanto emerga in contraddizione con la disciplina canonica, e di custodire i sacri Canoni e le Costituzioni Apostoliche dei nostri Pontefici, quali comandamenti divini e celesti, (essendo io)consapevole che dovrò rendere stretta ragione davanti al (Tuo)giudizio divino di tutto quello che professo; Io che occupo il Tuo posto per divina degnazione e fungo come Tuo Vicario, assistito dalla Tua intercessione (...) Perciò, ci sottoponiamo al rigoroso interdetto dell' anatema, se mai qualcuno, o noi stessi, o un altro, abbia la presunzione di introdurre qualsiasi novità in opposizione alla Tradizione evangelica, o alla integrità della Fede e della Religione, tentando di cambiare qualche cosa all'integrità della nostra Fede, o consentendo a chi pretendesse di farlo con ardire sacrilego. (...)» (dal: «Liber Diurnus Romanorum Pontificum», pagine 44 o 54, P. L.).
Nessuno ignora che Giovanni XXIII, per la sorpresa di molti, sia stato l'iniziatore di un processo di profonda mutazione nella Chiesa.
Eppure il giuramento papale lo escludeva.
Alla luce di questo giuramento, così come di quello precedente, «antimodernista», si deve dedurre che Giovanni XXIII non credeva, o che esso potesse riferirsi al suo «aggiornamento», o che lo potesse vincolare, o che le mutazioni legate al piano che lui doveva attuare, anche se già condannate dalla Chiesa tradizionale, fossero sgradite a Dio.
Tali giuramenti esistono, però, proprio perché chi li presta dimostri di ritenersi pubblicamente vincolato ai loro termini dettati dalla Chiesa.
A questo punto, in vista dei sistematici cambiamenti che Giovanni XXIII ha operato, come sarà descritto, si può pensare che per la sua fede modernista essi non raffiguravano un male ma un bene secondo i «bisogni dei tempi».
Infatti, per i modernisti, oggi può essere un bene quanto ieri la Chiesa riteneva un male, per esempio «i valori dell'illuminismo».
In tal caso è la continuità del magistero della Chiesa che andrebbe rivista e ogni mezzo per raggiungere questo fine, anche qualche spergiuro, può essere buono.

Quale continuità qualifica la missione papale?

La continuità dev'essere vista sia nel rapporto della Chiesa con l'autorità divina, sia nel suo rapporto con l'insegnamento e la
diffusione della fede.
Il Papa non trae il suo potere dalla propria intelligenza o competenza, né da idee o scienze umane, che sono per natura relative, ma dalla parola del Salvatore tramandata senza soluzione di continuità.
Per rappresentare l'autorità divina il Papa, conoscendo la debolezza umana, si fa assistere da una cerchia di fedeli saggi e santi.
In questo senso il Papa quando accetta la carica presta un giuramento solenne ed è attento ai saggi consigli dei suoi fratelli nell'apostolato.
Si conosce bene l'evento dei giudaizzanti, per cui san Paolo ha affrontato in faccia san Pietro, che accolse la dura critica e poi avrà pure ringraziato.
Il Papa ha una missione vicaria.
Nei nostri tempi quest'assistenza necessaria procede ordinariamente dalla curia romana che circonda il Papa, così come per i gravi problemi ricorre straordinariamente ai Concili ecumenici, presieduti dal Papa, quando sono vagliati importanti documenti apostolici; tutto onde evitare ogni minaccia di deviazione dalla missione di preservazione e diffusione della fede integra e pura, come fu affidata alla Chiesa dal Signore.
Allo stesso modo la Chiesa ricerca la redazione più chiara, che eviti quelle ambiguità che mascherano errori ed eresie.
Perciò conservava la lingua latina, che a causa della sua costruzione è adeguata ad esprimere concetti filosofici e sentenze giuridiche.
Si può perfino credere che nella preservazione del latino per l'uso della Chiesa ci sia stata la mano della Provvidenza.
Il Vaticano II, però, non è riuscito neppure con un po' di latino a coprire errori ed eresie in mezzo a sterminate ambiguità.
Come riconoscere allora in esso continuità nella rappresentazione della parola divina?
Ecco che riguardo all'autorità divina, l' «aggiornamento» di Giovanni XXIII s'è rivelato di rottura e non poteva essere altrimenti.
Contravvenendo al giuramento di preservare «quanto trovò conservato dai suoi probatissimi antecessori», ogni suo frutto era già degenere. Perciò, quanto al rapporto di continuità con l'insegnamento e la diffusione della fede, Giovanni XXIII con il suo Vaticano II, rinunciando all'infallibilità della Chiesa, ha dimostrato la sua deliberata intenzione di discontinuità.

Quali mutazioni Giovanni XXIII voleva operare nella Chiesa?

Le deviazioni dell'ecumenismo «pancristiano», in subdolo contrasto con la dottrina della Chiesa seguivano le «novità ecumenistiche» di don Lambert Beauduin OSB, l'uomo di fiducia del cardinale Mercier, che in seguito alla pubblicazione dell'importante enciclica «Mortalium animos» si era trovato costretto a dare le dimissioni da priore del monastero di Amay.
Mentre, però, Pio XI accusava il tentativo eretico di Beauduin, Roncalli lo riteneva buono.
Perciò don Lambert, ricevuto festosamente dal nunzio Roncalli a Parigi, diceva nel 1958: «Se eleggessero Roncalli Papa tutto sarebbe salvo; egli sarebbe capace di convocare un concilio per consacrare l'ecumenismo ... abbiamo la nostra chance;i cardinali,nella maggior parte, non sanno cosa devono fare. Sono capaci di votare per lui». Questo «maestro», quindi, non poteva restare nemmeno come priore di un convento, ma il suo discepolo, Roncalli, sarebbe addiritura papabile, e divenuto Giovanni XXIII, ha voluto attuare «il metodo di don Beauduin... quello buono».
Così ha operato nel senso di promuovere quella liturgia e quell'ecumenismo... per una nuova uguaglianza tra le chiese.
Tre giorni prima dell'indizione del Vaticano II, Roncalli confida ad Andreotti: «Molte delle anticipazioni di allora [del modernismo] erano poi divenute feconde realtà. Il Concilio le avrebbe costituzionalizzate"
I quattro del Gesù Storia di un'eresia», rizzoli, 1999, pagina 104).
Ed ecco la conferma che quest'intenzione è nel «pensiero conciliare» che continua ad essere predicato come cattolico dai suoi successori.
Lo vediamo da come si esprimeva il cardinale Ratzinger ieri e da come lo fa oggi Benedetto XVI, riguardo al programma del Vaticano II iniziato da Roncalli.
Di tale «aggiornamento» l'allora prefetto della Congregazione per la Fede, ne è stato tanto promotore quanto esecutore, avendo rivelato a Vittorio Messori («Inchiesta sul Cristianesimo», SEI, Torino, 1987, pagina 152): «Il problema degli anni sessanta era di acquisire i migliori valori espressi in due secoli di cultura liberale. Ci sono infatti dei valori che, depurati e corretti, anche se nati fuori della Chiesa, possono trovare il loro luogo nella visione del mondo. Questo é stato fatto» (dal Vaticano II).
Si trattava del processo di «ralliement» («allineamento») clericale al mondo moderno, con la scusa che la Chiesa andava aperta ai «valori migliori espressi da due secoli di cultura liberale» (ibidem); cioè alla libertà, eguaglianza e fraternità rivoluzionarie.
Il piano d' «aggiornamento» della Chiesa, messo in atto da Giovanni XXIII, proveniva da idee estranee alla cattolicità e perciò non poteva che essere orchestrato da potenti «lobby» rivoluzionarie servite dall'ingenuità, ignoranza o complicità di preti non sempre consapevoli che il piano mascherato da «aggiornamento culturale» mirava a una vera inversione religiosa.
Chi può negare che Giovanni XXIII operò per abbassare le difese della Chiesa e per aprire la sua dottrina «assoluta» a un «aggiornamento» relativo ai tempi?
Ciò non poteva che essere ordito da quanti volevano la Chiesa allineata «ai migliori valori espressi in due secoli di cultura liberale»; un nuovo ordine mondiale.

Aggiornamento alla cultura liberale era la parola d'ordine.
Come si è visto, Giovanni XXIII spesso parlava attraverso le sue scelte «pastorali», ossia di nuovi pastori da lui eletti.
Uno di questi fu il cardinale Frings, arcivescovo di Colonia che, assistito dal teologo Karl Rahner, aveva per teologo personale il giovane prete Joseph Ratzinger.
Egli è riconosciuto come la colonna portante del Vaticano II, o forse, come la corrente principale del Reno che è sfociata nel Tevere.
Nel 1961, nella sua conferenza a Genova esprime quello stesso desiderio di Giovanni XXIII per un cambiamento profondo nella Chiesa: egli dice che ormai bisognerà fare della Chiesa cattolica una Chiesa più universale.
Egli dice a chiare note che il compito particolare della Chiesa di oggi è lo sguardo sull'umanità tutta intera come un tutto: «Essa dovrà diventare Chiesa universale in un senso ancora più vasto di quello che sia stato sinora».
Come se la Chiesa non fosse universale.
«Universale» è la traduzione del termine «cattolica» («cattolica» è la parola greca, «universale» la corrispondente latina).
La tradizione ha dato al termine «cattolica» un senso preciso per significare che la Chiesa deve «conglobare» riunire, portare all'unità... della verità e all'unità della fede.
Ora, il termine «chiesa universale» è impiegato come definizione di una chiesa aperta a tutto; l'idea che spuntava già nella conferenza del cardinale Frings, il quale aggiungeva: «Ci si può domandare tuttavia se non permanga altrettanto urgente il dovere di rivolgere lo sguardo a nuove forme dell'annuncio cristiano».
Il grave problema è che cambiare i termini dell'annuncio evangelico vuol dire rischiare di cambiare il Vangelo. È impossibile cambiare impunemente i termini che esprimono la fede senza alterare anche la sua essenza.

La Mutazione programmata per la Chiesa

Essa passava per le tre iniziative annunciate da Giovanni XXIII, ossia un Nuovo Codice di diritto canonico, un Sinodo Romano e il Concilio Vaticano II.
Ma le iniziative non annunciate, ma promosse, erano molte: una nuova Curia, adatta ai nuovi tempi, una serie di promozioni di senso rivoluzionario, una nuova religiosità che facesse a meno di eventi come Fatima e stigmatizzati come padre Pio, l'apertura del Collegio cardinalizio alla Chiesa nel mondo, la presa di distanza dai vecchi e nuovi «profeti di sventura».
Tutto questo secondo i nuovi «principi» per cui si doveva privilegiare quel che unisce su quel che divide: una gestione religiosa di segno ecumenistico.
Una gestione degli opposti, anche in materia religiosa, era perciò la meta prioritaria del modernismo roncalliano, aperto a molte richieste mondane, come l'equiparare l'autorità divina della Chiesa ai poteri democratici del mondo; ridurre la rivelazione a capitolo dell'umana conoscenza; declassare l'attività della Chiesa a quella di ente sociale; presentare il dogma e la filosofia cattoliche come dialettica discutibile; risolvere l'incompatibilità tra l'insegnamento cattolico della «verità una» e i «lumi» del pluralismo moderno.
Tale sono le contraddizioni che il modernismo conciliarista applicherà alla religione e alla cristianità, affinché la Chiesa di Cristo finalmente potesse svolgere una «animazione» democratica che conglobasse ogni culto.

Giovanni XXIII rivoluzionario mascherato?

Dai primi giorni del suo pontificato Roncalli sconvolse la vita tradizionale del Vaticano come mai prima era avvenuto, con battute spiritose, che lo resero protagonista della cronaca e personaggio di prima pagina dei giornali del mondo.
La grande comunicazione passò a disporre di un pastore secondo i suoi bisogni perché solito scherzare sugli argomenti più seri e sacri.
L'atteggiamento di fiducia nel mondo e nelle proprie forze, che traspariva nell' «ottimismo» di Roncalli, già indicava un pensiero con radici pelagiane, che fu notato nel mondo cattolico ed espresso da alcuni noti scrittori.
«Qualcuno in Vaticano aveva definito Giovanni XXIII l'Ermete Zacconi (attore della fine del secolo che passava dal dramma alla commedia) della Chiesa moderna, per quella sua innata abilità di presentarsi sotto gli aspetti più disparati. Roncalli infatti aveva due volti che dominava perfettamente. Quello per tutti e per l'ufficialità, amabile e semplice, l'altro,quello che contava tremendamente, fermo e deciso, ostinato e definitivo.A tratti, a chi gli stava a un metro di distanza, poteva capitare di afferrare,dietro la maschera bonaria e al sorriso per tutti, un lampo del volto autentico. In una boutade nel corso di una conversazione, in un cenno delle sue mani...erano le rivelazioni del suo carattere che sapeva essere duro, a volte, fino a sfiorare la spietatezza».

Padre Pio «Un esempio ignoto ai più: sobillato dai suoi consiglieri negò al povero padre Pio la benedizione apostolica in occasione del cinquantesimo sacerdotale del frate, nell'agosto 1960, e gli impedì di impartire ai fedeli accorsi a San Giovanni Rotondo la benedizione papale.L'anticomunismo del cappuccino dalle stimmate era ben noto in Vaticano, e la Casa 'Sollievo della Sofferenza'il grande ospedale realizzato con le offerte da tutto il mondo, solleticava la cupidigia ardente di tanti monacati»  («Nichitaroncalli», Franco Bellegrandi, EILES, Roma, 1994).
Giovanni XXIII tagliava corto quando sentiva le denunce di persecuzioni contro il monaco santo (confronta il cardinale Bacci), tra cui quelle da parte del suo segretario Capovilla.
Inoltre era al corrente delle microspie nascoste nel confessionale per spiare le confessioni di padre Pio (confronta «Il calvario di padre Pio», Giuseppe Pagnossin, 2 volumi, Padova, 1978; «I Nemici di padre Pio», Francobaldo Chiocci, «Reporter», 1968; «Nel Nome del Padre», Luciano Cirri e E. Malatesta, Aquili edizioni Roma, 1989).
Per assistere la missione apostolica nel seno del Corpo mistico non mancano gli aiuti profetici e mistici, la cui accoglienza dipende proprio dalla fede e amore del Pontefice, attento alle parole di san Paolo sulle profezie, non fidandosi mai del proprio giudizio nel trattare con presunte «ispirazioni dall'alto», contro ogni criterio di vigilanza e prudenza per quanto riguarda la difesa della fede nel mondo attuale.
Di fronte ai fatti soprannaturali, la Chiesa va «con i piedi di piombo». Tra le migliaia di miracoli avvenuti a Lourdes in questi cent'anni successivi all'apparizione, per esempio, ne sono stati riconosciuti solo una sessantina.
Potrebbe un capo della Chiesa, aderire allegramente ad una sua «ispirazione» su un evento cruciale per i destini dell'umanità?
Non è forse emblematico, per conoscere lo spirito di tale rivoluzionario, pesare la sua intenzione di ridimensionare Fatima e anche padre Pio, mentre presentava come divina l' «ispirazione» che gli aveva fatto convocare il Vaticano II?
Non sorprende che poi perfino Paolo VI abbia visto quale fumo si addensava sul Vaticano.
 
Un rinnovamento?

«Si propendeva a credere che certe battute attribuite al nuovo Papa e che facevano il giro di Roma, fossero proprio vere. Come quella per cui a qualcuno che gli domandò se era stato lui stesso a scrivere la sua prima enciclica 'Ad Petri Cathedram', rispose che l'aveva letta.[…]Nel frattempo lavorare alla Radio Vaticana divenne davvero imbarazzante. I discorsi di Giovanni XXIII in diverse occasioni (noi dovevamo tradurli, riassumerli e trasmetterli)erano compilati alla buona, se di compilazione si trattava, e presto, tra i miei colleghi francesi,tedeschi,portoghesi, spagnoli e polacchi, si passò a esprimere apertamente le nostre impressioni negative.Si dovevano operare drastici tagli per modificare certi passaggi incomprensibili» (R. Anderson, «Memoirs», Roma, 1994).

La Chiesa del Nuovo Codice

Il 25 gennaio del 1959, Giovanni XXIII, visitando la basilica di San Paolo fuori le Mura, «annunciò la prossima convocazione di un sinodo diocesano dell'Arcivescovato di Roma, di un concilio ecumenico e la revisione del Codice di Diritto Canonico. Nella sorpresa generale, si è arrivati ad una comune convinzione: Giovanni XXIII mirava ad una ristrutturazione di tutta la Santa Chiesa. Il sinodo di Roma ne sarebbe il modello, il Concilio avrebbe impartito le direttive e il nuovo Codice ne avrebbe fissato le leggi ordinarie dando insomma corpo, esistenza e vita alla nuova Chiesa, destinata a sostituire quella vecchia di due millenni... Con la recente pubblicazione di questo nuovo Codice, resta confermata integralmente la convinzione suscitata nei fedeli... il nuovo Diritto può essere inteso come uno sforzo per tradurre in linguaggio canonico l'ecclesiologia conciliare: Chiesa = popolo di Dio = comunione; autorità ecclesiastica = servizio collegiale;insomma sulla Chiesa incombe il dovere dell'ecumenismo» (Monsignor António de Castro Mayer, DAC, «Monitor Campista», Campos, Brasil, 17 aprile 1983).
Qui basta ricordare che nel nuovo Codice, nato dal Vaticano II, sono state inserite novità su cui incombe l'accusa di eresia, ma sono state rimosse delle condanne, come quella della Massoneria!

Promozione di una gerarchia modernista

Giovanni XXIII decise subito di «ringiovanire» il vecchio Collegio cardinalizio onde rimpiazzare la generazione di elettori del tempo di Pio XII con una nuova della sua linea.
Perciò promosse un buon numero dei «suoi» preferiti, primo fra tutti Montini e, in seguito, Bea.
Convocò tre concistori nello spazio di venti mesi, oltrepassando
ampiamente il numero massimo previsto fino allora di settanta cardinali stabilito da Sisto V, il cui criterio in quattro secoli nessun Papa aveva osato cambiare perché ordinato alla difesa della continuità dottrinale, suscettibile d'essere alterata se l'equilibrio tra nuovi e vecchi nel Collegio cardinalizio fosse stato drasticamente rinnovato.
Nel conclave del 1963, alla sua successione, per la quale aveva raccomandato dal letto di morte Montini, il Collegio era sostanzialmente rinnovato e contava 84 cardinali elettori.
Si iniziava cosi il mutamento anche negli equilibri per la continuità dottrinale degli elettori del Papa, mutamento che sarebbe compiuto dai successori, quando si stabilì perfino un limite d'età per votare ed essere votato.
Mentre Pertini era eletto presidente d'Italia, cardinali più giovani di lui erano esclusi da quel collegio di nuovi saggi elettori.
Ad ogni modo, per Giovanni XXIII, c'era allora un grande «saggio» da promuovere.

La scelta di Bea come suo braccio destro

L'operazione cambiamento avrebbe fatto leva sulle opinioni dei vescovi, attraverso il nuovo potere attribuito alle conferenze episcopali nazionali, strumento di pressione sull'autorità della Curia romana che normalmente era l'estensione dell'autorità del Papa e ancora operava in continuità con il Magistero e il Papato precedenti e quindi di Pio XII. Se ora la Curia doveva essere piegata ciò dimostra l'avversione di Roncalli, fatto ricorrente nella sua carriera, da Bergamo a Venezia, per il Magistero tradizionale.
Per sottomettere la Curia, senza dare troppo nell'occhio nel mondo cattolico, serviva un nuovo organo ecclesiastico che, diretto da un prelato «al di sopra di ogni sospetto», portasse avanti l'operazione «aggiornamento», anche dottrinale, secondo le direttive impartite dall'alto.
E così nel 1960 tornò in scena a Roma un anziano gesuita, coetaneo ma conosciuto da Roncalli solo per le sue tendenze bibliche, per cui disponeva di una abbondanza di titoli adeguati al ruolo: padre Agostino Bea, direttore del Biblico, confessore di Pio XII ed «esperto di avvicinamenti «ecumenici», anche con gli ebrei, conduceva allora vita ritirata, dovuta al declino fisico; ma, «riscoperto» da Giovanni XXIII, d'un tratto ritrovò tutta la sua forza.
Il Segretariato affidato a Bea era veramente una novità speciale, era il «Segretariato per la (nuova) promozione dell'unità cristiana (che avrebbe incluso anche gli ebrei)».
Bea, suo primo segretario, fu subito fatto cardinale per guidare un organo, tanto onnipotente da ricevere nel 1962 lo status ufficiale di commissione conciliare.
Essa, per svolgere la sua operazione ecumenista avrà poteri per cancellare perfino giudizi del Sant'Uffizio su questioni di fede.


Il cardinal Bea

La testimonianza di monsignor Marcel Lefebvre
Questo prelato, che ebbe un ruolo di rilievo nella preparazione del Vaticano II, è testimone di molte gravi anomalie accadute in quei giorni.
«Devo raccontarvi un piccolo incidente accaduto nel 1962, quando ero membro della Commissione centrale preparatoria del Concilio. Noi tenevamo le nostre riunioni in Vaticano ma l'ultima fu drammatica. Nei fascicoli dati alla Commissione centrale ve ne erano due sullo stesso soggetto: uno veniva dal cardinale Bea, presidente della Commissione per l'unità e l'altro veniva dal cardinale Ottaviani, presidente della Commissione teologica. Quando li abbiamo letti, quando io stesso ho letto questi due schemi, ho detto: 'é molto strano, sono due punti di vista sullo stesso soggetto completamente diversi, ossia la libertà religiosa o l'attitudine della Chiesa di fronte alle altre religioni'. Quello del cardinale Bea era intitolato 'De libertate religiosa'; quello del cardinale Ottaviani 'De tolerantia religiosa'. Vedete la differenza, la profonda differenza? Cosa accadeva?Per qual motivo due schemi completamente diversi sullo stesso soggetto? Al momento della riunione, il cardinale Ottaviani si alza e, segnandolo col dito, dice al cardinale Bea: 'eminenza, lei non aveva il diritto di fare questo schema,non aveva il diritto di farlo, perché è uno schema teologico e dunque di pertinenza della Commissione di teologia'. E il cardinale Bea alzandosi dice: 'Scusi, avevo il diritto di fare questo schema come presidente della Commissione dell'unità: se c'è un soggetto che interessa l'unità é proprio l'unità religiosa', e aggiunse rivolto al cardinale Ottaviani: mi oppongo radicalmente a quanto dite nel vostro schema 'De tolerantia religiosa'. […] Fu l'ultima seduta della Commissione centrale e chiaramente potemmo avvertire, alla vigilia del Concilio, prospettarsi davanti a noi, tutta la lotta che si sarebbe svolta durante il Concilio. Ciò vuol dire che queste cose erano preparate già prima del Concilio.Il cardinale Bea non ha certo fatto il suo schema 'De libertate religiosa' senza essersi accordato con [Giovanni XXIII e... ]altri cardinali. E'questo molto importante e molto grave perché se ne desume che il Concilio dell'aggiornamento era stato preparato. Ed è per questo che tutti gli schemi del Concilio già preparati furono respinti, le commissioni rimaneggiate e che ci si oppose alla lista dei membri delle commissioni preparatorie del Concilio che, certo senza imporlo, il cardinale Ottaviani proponeva. Così ci trovammo al Concilio in una situazione veramente penosa e capimmo che quelli che erano conservatori, che restavano fedeli ai princìpi di sempre, alla tradizione di sempre, non erano più ascoltati, non erano più sostenuti dalle autorità, soprattutto quando, dopo l'elezione di Paolo VI, furono nominati i quattro moderatori del Concilio:i cardinali Döpfner, Suenens, Lercaro, Agagianian. Questa nomina diceva chiaramente che il vento soffiava in favore dei cardinali liberali».

L'accoglienza delle richieste del 'B'nai B'rith', avanzate attraverso il professor Jules Isaac, ricevuto il 13 giugno del 1960 da Giovanni XXIII.
Esse versavano nel senso di una «revisione» dei termini del Vangelo riguardo al deicidio e l'apertura dell'ecumenismo ai «fratelli maggiori», rappresentati dal «B'nai B'rith».
Questa iniziativa presso il Vaticano della più potente, influente ed antica organizzazione internazionale giudaica, fondata nel 1843 come loggia riservata agli ebrei, aveva suscitato gran sorpresa.
In Francia, molti sono gli uomini politici ad essa legati secondo un'inchiesta sul suo modello massonico pubblicata da Emmanuel Ratier («Mystéres et Secrets des B'nai B'rith», edizione italiana Sodalitium).
Si puo vagliare il grado di potere ricevuto dal cardinale Bea per la missione di avvicinamento, affidatagli da Giovanni XXIII, dalle modifiche da lui introdotte nei testi liturgici riferiti agli ebrei, nella redazione della «Nostra aetate» del Vaticano II e poi, dall'invito ad aperture verso le sinagoghe, culminanti con quella di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma e al muro del pianto.
Il cambiamento della posizione dottrinale è evidente nei successivi «Orientamenti conciliari».
Il 24 giugno 1965, capi conciliari approvano il documento ufficiale di invito ai cristiani affinché, insieme agli ebrei, «preparino il mondo alla venuta del Messia».
Invito che traspare nel «nuovo catsmechio» (numero 840): «quando si considera il futuro, il popolo di Dio dell'Antica Alleanza e il nuovo popolo di Dio tendono a fini analoghi: l'attesa della venuta (o del ritorno) del Messia».
La Fede nella venuta di Cristo o nel Suo rifiuto avrebbero fini analoghi! Quale pensiero sofistico, «gnostico» o modernista è stato capace di tale sproposito per cui la necessità di conversione degli ebrei al Vangelo di Cristo, prima missione degli Apostoli, di san Pietro e della Chiesa, sarebbe, secondo i nuovi profeti, ormai confusione del passato!

Era l'influenza del Sant'Uffizio il problema di Roncalli?

La dimostrazione che Roncalli intendeva cambiare la Chiesa, senza però scoprirsi nel campo dottrinale e liturgico, si può verificare con i suoi sordi confronti con la Curia.
Questa, forte ancora delle recenti encicliche di Pio XII, emetteva decreti, proibizioni e «monitum», che Giovanni XXIII non poteva rifiutare, ma che poteva neutralizzare o compensare.
Un caso clamoroso fu quello della scelta di Bea, che, essendo stato direttore del Pontificio Istituto Biblico, diventò il braccio destro di Giovanni XXIII e ebbe l'ordine di «aggiornare» quell'Istituto eretto come diga per contenere le eresie razionaliste contro la parola divina.
Per compiere l'opera, però, doveva superare ancora la Commissione Biblica dove c'erano monsignor Antonino Romeo e monsignor Francesco Spadafora che, appoggiati dal cardinale Ottaviani e da altri, operavano esponendo con coraggio ai vescovi tali distorsioni
A quel punto Giovanni XXIII lasciò cadere il suo volto «buono», minacciando la chiusura della Commissione, che però continuò la battaglia del «Biblicum» fino alla prima sessione del Vaticano II, riuscendo a limitare i danni della nuova esegesi razionalista, che doveva, nel piano modernista, imbottire di novità la Costituzione dogmatica «Dei Verbum».
Durante il periodo della preparazione del Vaticano II, che durò più di quello dello stesso Concilio, verificò in Vaticano l'intrinseca contrapposizione tra le due fazioni: tradizionale e modernista.
La prima, rappresentata dalla Curia, cioè dagli ausiliari diretti dei Papi cattolici, la seconda da un elenco di chierici che avevano, in tempi prossimi o remoti, cercato di trasformare la dottrina cattolica, meritando richiami o anche censure papali.
Eppure, come s'è dimostrato evidente, Giovanni XXIII pendeva paradossalmente per questa parte.
Chi, se non lui, volle tanti teologi sospetti in quella sede?
All'elenco ufficiale presentatogli, lui aveva aggiunto a mano i nomi di De Lubac e Congar.
Quanto ai prelati di Curia, essi passarono ad essere o declassati o indirettamente esautorati.
L'elenco è lungo: il cardinale Pizzardo non è rimasto nella sua carica nel Sant'Uffizio; il cardinale Tardini, sentendosi esautorato nella preparazione del Vaticano II, arrivò ad annunciare pubblicamente le sue dimissioni, ma morì l'anno dopo, forse di crepacuore.
Parimenti il cardinale Cicognani.
Sono molti i casi che dimostrano come il «Papa buono» adoperasse il peso della sua «bontà» per piegare la coscienza di importanti membri della Chiesa.
Significativo è il caso del cardinale Gaetano Cicognani.
Nel 1962, il famigerato monsignor Bugnini presentava il suo «schema» per la riforma della Liturgia alla Commissione preparatoria per la Liturgia.
Il suo presidente, cardinale Gaetano Cicognani, accorgendosi che essa nascondeva dei pericoli si rifiutò di firmarla.
Consapevole che senza quella firma lo «schema» sarebbe stato fermato, Bugnini si appellò a Giovanni XXIII, che s'impegnò ad intervenire. Chiamò, infatti, il cardinale Amleto Cicognani, suo segretario di Stato e fratello minore del presidente della Commissione Liturgica, per ordinare che visitasse suo fratello e non tornasse da lui finché lo «schema» non fosse firmato.
Il Cardinale eseguì l'ordine e ottenne dal fratello, quasi in lacrime, quella firma che era violenza alla sua coscienza di liturgista.
Quattro giorni dopo l'anziano cardinale moriva! (vedi Michel Davis, «The Council of Pope John», Augustine Press, Dickinson, Tx, 1990).

Il «think tank» teologico della rivoluzione conciliare
Siccome Angelo Roncalli aveva poco del teologo, per far avanzare le sue idee moderniste sceglieva i pensatori di questa linea; proprio quelli della «nuova teologia» condannata da Pio XII come pericolo incombente.
Essi dovevano esercitare la loro influenza in modo decisivo, ma con studiata discrezione.
Ecco i nomi principali.
Per la Liturgia don Lamberto Beauduin e poi il massone Annibale Bugnini.
Per l'evoluzione religiosa Teilhard de Chardin e poi Urs Von Balthasar. Per la filosofia Henri de Lubac e Yves Congar.
Per la teologia Karl Rahner, Joseph Ratzinger e poi Karol Wojtyla.
Per l' «ecumenismo» cristiano-giudaico Augustin Bea.
L'avvio all'ecumenismo liturgico fu propugnato da don Beauduin con la sua rivista «Irenikon» diretta più all'istruzione del popolo che all'adorazione di Dio.
Tale «pedagogia» ecumenista, giunse ad elaborare adattamenti dottrinali e portò all'apostasia molti monaci.
Perciò fu condannata da Pio XI.
Ma per Roncalli: «Il metodo buono è quello», e infatti, nota il biografo di Giovanni XXIII, Hebblethwaite: «La sua prima lettera sull'ecumenismo cita proprio la rivista Irenikon» («Mouvement Liturgique», abbé Didier Bonneterre, edizioni Fideliter, 1980).
Era l'avvio verso la riforma liturgica del «Novus Ordo» di Paolo VI.
Ora, la continuità nella fede, palesata nel modo di pregare secondo il concetto «lex orandi, lex credendi», è la vita della Chiesa e del Papato, mentre la rottura di questa continuità non può che figurare il loro «abbattimento».
Ma per completare quest' «eccidio» non bastava un «Papa rivoluzionario», serviva un concilio pastorale che fosse ad un tempo il 1789 e il 1917 della Chiesa.

I Concili Ecumenici della Chiesa e il Vaticano II

Un Concilio generale o ecumenico è un'adunata di tutti i vescovi per «definire» questioni fondamentali riguardanti la fede e la morale, e di conseguenza per condannare formule o posizioni eretiche che vi si oppongono (confronta san Tommaso Summa, I, q. 36, a 2): «Dicendum est quod in quolibet concilio institutum fuit symbolum aliquod,propter errorem aliquem qui in concilio damnabatur», (in ogni Concilio fu compilata una professione di fede che prendeva di mira l'errore condannato in quel concilio).
Ciò è quanto ribadisce san Roberto Bellarmino in «De Conciliis et Ecclesia», I, 1 e 2.
«Tutti i Concili Ecumenici del passato terminarono con la proclamazione di verità dogmatiche e morali necessarie per la sopravvivenza della Chiesa, formulate in definizioni e completate con anatemi che non lasciavano più scappatoie all'eresia o allo scisma. Gli Atti di questo Magistero solenne apparvero sempre e a tutti infallibili e, di conseguenza, vincolanti» (cardinale Journet, 'Eglise du Verbe Incarné', t. I, pagina 536)».
Il Magistero ecclesiastico infallibile nella Costituzione Apostolica «Dei Filius» del Concilio ecumenico Vaticano (24 aprile 1870) dichiara: «Bisogna inoltre credere con fede divina e cattolica tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o tramandata, e che viene dalla Chiesa proposto da credersi come divinamente rivelato, sia con un giudizio solenne sia con il magistero ordinario e universale». (Denzinger, 1792).
La Chiesa insegna perciò che la nota d'infallibilità è assicurata da Dio a un Concilio ecumenico per il bene della fede, e che l'insegnamento del magistero ordinario e universale, anche senza giudizi solenni, dev'essere creduto con la stessa fede divina e cattolica dovuta alla parola di Dio scritta o tramandata, perciòinfallibile.

Un concilio per affrontare quale problema?

Nella preparazione del Vaticano II la prima intenzione di Giovanni XXIII fu proprio quella di «alleggerirlo» dal suo supremo valore, ossia dall'infallibilità divina che dispiace al mondo moderno, per attribuirgli valore pastorale.
Tuttavia, insisteva - come pure Paolo VI, che comparò il Vaticano II al Concilio di Nicea - sulla sua autorità di concilio ecumenico.
Era una proposta alquanto scandalosa, ma che fu accettata passivamente da tutta una gerarchia che non osò contestare la credibilità del «Papa buono».
Nell'onda di quest'ambiguità si vedrà che il Vaticano II, dalla sua preparazione al suo decorso, e finalmente alla sua applicazione, s'è svelato l'evento più insidioso della storia del cristianesimo.
Il nuovo «principio» che Giovanni XXIII applicava nelle sue aperture era che si doveva cercare più ciò che unisce che ciò che divide «da genti di religioni e ideologie diverse».
Ma siccome la carica religiosa deve avere in vista innanzitutto i princìpi della fede, dato che non si capisce di cos'altro più importante si possa occupare un prelato cattolico, questi, applicando tale «principio», incorre in un conflitto di valori.
Infatti, parlare di problemi sociali, per esempio, senza tener conto degli insegnamenti della fede, significa ammettere che quelli non sono legati a questa, che la fede può essere tenuta fuori dalle questioni umane. Insomma, significa accettare lo gnosticismo e l'agnosticismo, caposaldi della filosofia massonica e del sincretismo antroposofico: tutto può essere accettato, ogni fede e ideologia anticristiana, perché niente è più importante di quanto contribuisce alla pace e alla fratellanza universale. Ecco il compito del Vaticano II.

Come I Giudei hanno plasmato il Vaticano II

Nel lungo articolo del 25 gennaio 1966, «How The Jews Changed Catholic Thinking», Joseph Roddy, Editore del Look Magazine, descrive i principali contatti per l'apertura di Giovanni XXIII alla «lobby» giudaica, intenta a «invadere il campo della dottrina e del dogma di Santa Madre Chiesa».
L'articolo, scritto subito dopo la chiusura del Vaticano II, parla del
rapporto delle idee inserite nei suoi documenti, come la «Nostra Aetate», con la politica del mondo.
Per l'arcivescovo di Aix, Provenchères, il «segno dei tempi» all'origine di questo decreto del Vaticano II «è stato l'incontro di Jules Isaac con Giovanni XXIII».
Roddy documenta il suo seguito e ne intuisce le conseguenze che abbiamo conosciuto con le visite dei successori di Giovanni XXIII alle sinagoghe.
Si trattava di accordarsi per condannare il presunto «odio cristiano» verso i giudei deicidi a causa dei Vangeli.
A tale scopo e per svolgere un'attività «ecumenista» che avrebbe spinto altri gran prelati a inseguire accordi fino ad allora impensabili, il cardinale Bea ricevette grandi poteri.
Roddy descrive il viaggio di Bea a New York del marzo 1963.
Portato dall'Hotel Plaza all' «American Jewish Committee».
Lì, poi, il «Sanhedrin» (Sinedrio) avrebbe ricevuto il capo del segretariato per l'Unità dei Cristiani (estesa ai giudei).
Era l'inizio della «storia di come potenti progressisti di Sion e prelati di Roma e dell'America hanno usato il potere della stampa per provare al pubblico che la penna e l'agenda modernista-massonica-sionista era per loro più potente del Dogma e della Verità!».
Era il risultato dell'applicazione del principio di Giovanni XXIII: «si deve cercare più ciò che unisce di ciò che divide», a questi rapporti religiosi che implicano il massimo conflitto di valori poiché esso riduce la stessa religione di Gesù Cristo ad argomento d'intese.
Queste sono possibili su tante questioni sociali, ma quale intesa ci può essere in questioni religiose ignorando la verità dei Vangeli?
Per i cattolici l'attentato contro il Verbo di Dio non si compie con l'uccisione di Gesù Cristo, ma continua con la diffamazione della sua persona e di sua Madre, con la persecuzione alla sua Chiesa, con la negazione e stravolgimento dei suoi Vangeli.
Che senso ci può essere di cambiarli per promuovere la fratellanza coi Giudei?

E' vero che già Pio XII nel 1949 aveva accolto il lamento di Jules Isaac sull'uso liturgico dell'espressione «perfidi giudei».
La parola perfidia, derivata da infedeltà e applicata ai Giudei aveva
assunto una valenza infamante e andava corretta.
Ma non così per la necessità di conversione dei giudei a Cristo (1).
E' noto il caso del rabbino capo della sinagoga di Roma (l'equivalente dell'epoca di un recente Elio Toaff o di un odierno Di Segni), Israel Zolli che, illustre ed onesto studioso delle Sacre Scritture convertitosi al cattolicesimo, volle assumere col Battesimo per riconoscenza il nome del Papa Pio XII, Eugenio.
La fratellanza è nella riconoscenza verso il Padre comune che inviò suo Figlio per salvare gli uomini affratellati nella parola divina.
Potrebbe la Chiesa mutarla per evitare l'accusa di antisemitismo? Potrebbe la Chiesa tacere sulla necessità di conversione a Gesù salvatore?
«Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti» (Luca 2, 34).
I pensieri che mutilano la verità non manifestano il mistero d'iniquità profetizzato come segno precursore della fine dei tempi?
Siamo al segreto di Maria Santissima: «A te una spada trapasserà l'anima, perché siano svelati i pensieri segreti di molti cuori» (Luca 2, 35) che anche - «ma non solo» - per questo, per aver avuto cioè l'anima sua trapassata da una spada, è la nostra corredentrice.

Araì Daniele


Note
1)
Come scrive Leon De Poncins in «Judaism and the Vatican»: «Nel 1949 [Jules Isaac]ebbe contatti col clero [modernista] di Roma, ed attraverso costoro potè ottenere un'udienza privata da Pio XII, col quale si lamentò in favore del giudaismo, chiedendogli di far esaminare i 'Dieci Punti di Seelisberg'». [Quindi quello abilitato da Roncalli era un programma di mutazione della Chiesa già tracciato da parecchio tempo ed ormai fermo al semaforo solo in attesa del verde…]



 
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