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Chi arma la vittoriosa Al Qaeda in Iraq? (Immagina, puoi)
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E chi l’avrebbe mai detto? «Al Qaeda in Iraq s’è impadronita di Mossul e marcia su Kirkuk»; anzi, punta su Baghdad: non c’è dubbio che vincerà, è una potente armata di islamisti fanatici sunniti che di colpo si è manifestata armatissima, organizzatissima – e rovescerà il regime sciita di Al Maliki.

Chi l’avrebbe mai detto? Dopo tutti gli sforzi americani per cacciare Saddam, un milione di iracheni uccisi, centinaia di terroristi liquidati coi droni ad personam, migliaia di americani morti per portare la democrazia a quel petrolifero Paese, l’occupazione ultradecennale dell’Iraq da parte della NATO, l’armamento e l’addestramento delle forze armate dell’Iraq democratico... e questo è il risultato? Sta vincendo Al Qaeda, a cui la sola superpotenza rimasta ha dichiarato da dieci anni la guerra più spietata, allo scopo di distruggerla totalmente?

I media occidentali cadono dalle nuvole
: da dove viene fuori questa possente, inarrestabile armata jihadista? Non vogliamo tenervi sulla corda, perciò vi riferiamo la protesta del Generale di Brigata Abdelilah al-Bashir: siriano, ma nemico del regime di Assad, anzi membro di spicco della Free Sirian Army (FSA), il braccio combattente del «Governo in esilio» siriano, laico e secolare. Per tutti questi anni il Generale Al-Bashir s’è lamentato che gli americani non mandavano abbastanza armamenti alle sue forze anti-Assad; adesso che Washington ha cominciato a mandare armamenti a vagonate, il Generale si lamenta che gli USA scavalcano il suo FSA «e stanno consegnando direttamente le armi a vari gruppi di guerriglieri sul terreno», e con ciò «creano miriadi di signori della guerra in stile Somalia».

E chi l’avrebbe mai detto? Gli agenti dell’America, questo faro della civiltà occidentale, il nemico mortale dei qaedisti, «distribuiscono direttamente gli armamenti nel fronte Sud e nel fronte Nord». Sicché succede questo: la nuova versione di Al Qaeda, che oggi si chiama «Islamic State of Iraq and the Levant» (ISIL), è abbastanza forte e organizzata da puntare a creare uno Stato islamico «dalla Siria all’Iraq», il sognato califfato transnazionale. È abbastanza potente da condurre un’operazione gigantesca (e coordinata con l’offensiva siriana) fino a impadronirsi di Mossul, la terza città irachena, in quella zona altamente petrolifera che i curdi si erano ritagliata come ricca zona autonoma, nucleo di un Kurdistan indipendente.

Addio sogno di un Governo kurdo (e laico), addio sogno di un Governo laico in Siria al posto di Assad. E mi sa che stiamo per dare addio anche al Governo iracheno di Al-Maliki, che è sciita, sostenuto dalla maggioranza sciita e appoggiato dal vicino Iran, sciita.

Questa trasformazione di un Iraq «liberato» in roccaforte sciita non doveva piacere né agli americani né, diciamolo, ai monarchi sauditi. Per cui, ecco che d’improvviso una potente armata sunnita e wahabita, coordinata con gruppuscoli di tagliagole siriani, è apparsa di colpo. Vittoriosa, inarrestabile. La disfatta dell’esercito di Al Maliki, i cui soldati sono scappati come conigli, ha fatto cadere in mano ai jihadisti una quantità di armamento nuovo, ovviamente Made in USA: cingolati, corazzati, mitragliatici pesanti, missili anticarro e persino un terribile elicottero d’assalto Black Hawk. E vuoi vedere che trovano degli addestratori che gli insegnano a pilotarlo? O magari lo pilotano dei contractors della Blackwater, inopinatamente messisi al fianco dei jihadisti? Dietro compenso di 15 mila dollari al mese, come prendono in Ucraina?

Al Maliki, il caporione sciita di Baghad, chiede disperatamente nuove armi agli alleati americani per battere i terroristi islamici. Ma proprio in questo momento, gli americani stanno meditando di interrompergli le forniture militari. L’ha detto un tale Charles Lister, definito «a senior fellow» del Brookings Institute – una fondazione culturale vicina al partito democratico USA – che proprio in questi giorni s’è spostato a Doha per studiare gli «extremist groups»: a che pro armare Al Maliki, visto che i guerriglieri dell’ISIL (ex Al Qaeda) «già circolano sugli Humvees forniti dagli USA agli iracheni? Washington si deve domandare se continuare a sostenere l’esercito iracheno nella sua ultima battaglia contro il terrorismo».

Chi l’avrebbe mai detto?

Washington non ritiene di continuare la battaglia «contro il terrorismo». È la stessa Washington che in Siria arma direttamente i signori della guerra, distribuendo le armi sul terreno ai peggiori, onde formare una specie di Somalia nella (prima) civilissima e laica Siria. Sono quegli stessi ribelli che hanno lanciato armi chimiche in Siria, accusandone il regime, nella speranza di provocare l’intervento diretto americano e della NATO; false flag mandato a monte da Vladimir Putin.

Domanda: non sarà che gli americani lo fanno apposta?

Magari preferiscono i terroristi islamisti in quelle zone petrolifere. Magari gli fa comodo che gli sciiti influenzati dall’Iran perdano la presa sull’Iraq. Magari, avendo abbandonato l’Iraq e dovendo abbandonare l’Afghanistan, lasciano lì i loro complici a combattere quella che chiamano «proxy war», guerra per interposta persona. Che è più comoda e anche, infine, meno costosa.

Viene anche un altro dubbio: che stiano facendo la stessa cosa in Ucraina. Che anche lì la Victoria Nuland abbia armato e stia pagando (400 euro mensili) i giovani eroi di piazza Maidan, poi rivelatisi neonazisti tagliagole, detestati dalla massima parte della popolazione ucraina, anche quella che detesta i russi (ai Pravi, alle elezioni, hanno dato l’1,7%).

A proposito della Siria, il 16 giugno del 2013, Vladimi Putin, in visita a Downing Street, ha chiesto incredulo a David Cameron: «Pensate veramente di armare gente che hanno mangiato organi umani davanti al pubblico e alle telecamere? Sono queste le persone che volete vedere al Governo in Siria? Ciò non pare in rapporto con i valori umani predicati dall’Europa da secoli. Noi, la Russia, armiamo – fino a prova contraria – il Governo legittimo della Siria».

Vuoi vedere che dovrà ripetere lo stesso discorso per l’Ucraina? Magari anche là si prepara una guerra alla siriana? Con milizie che si abbandonano ad atti di terrore puro e mangiano, magari, intestini dei russi davanti alle telecamere? Ad Odessa abbiamo avuto un assaggio di questi tipo di guerra.

Che poi, a ben pensarci, è impressionante il numero di terroristi «islamici» tornati dalla Siria, che si dedicano accanitamente ed esclusivamente a colpire un solo Paese infedele: la Russia. Il FSB ha fatto sapere che dall’inizio del 2014, dunque in meno di sei mesi, ha dovuto liquidare 130 terroristi, fra cui 21 capi, e sventando in anticipo sei mega-attentati più «38 azioni criminali legate alle operazioni suddette»: ciò ha dimezzato il numero di attentati islamici anti-russi rispetto al 2013. Secondo RiaNovosti, «il FSB ha anche localizzato più di 160 depositi terroristi, sequestrando grosse quantità di armi e munizioni». Chissà chi gli forniva tutte queste armi, ai qaedisti anti-Putin?

Come dice la pubblicità: «Immagina, puoi».

La minaccia jihadista in Europa

Sono pochi giorni che il Governo USA, per bocca di Susan Rice (Dipartimento di Stato), ha ammesso di aver deciso di fornire «armi letali» ai ribelli siriani per accelerare la cacciata di Assad.

Ed immediatamente, è l’ISIL che, con una coordinatissima campagna di 6 settimane, sta procedendo (contemporaneamente alla guerra contro Assad in Siria, contro Al Maliki in Iraq) all’eliminazione di tutti gli altri gruppuscoli jihadisti armati rivali, essenzialmente ma non solo quelli della cosca Al-Nusra: ammazzandone oltre 600, strappando loro quattro campi petroliferi dell’area di Deir al-Zor, provocando la fuga dalle loro case di 130 mila civili (simpatizzanti coi jihadisti sconfitti). Lo scopo dell’ISIL è (scrive la Reuters) è di «estendere il suo controllo fino alla cittadina di Albukamal sul confine iracheno, onde rafforzare i collegamenti fra l’ala siriana e quella irachena» del medesimo ISIL. Il Syrian Observatory for Human Rights riferisce che in ormai l’ISIL controlla «la riva nord-orientale dell’Eufrate quasi dal confine con la Turchia giù fino alla città di Busayra, 320 chilometri più a sud».

Sembra che insieme alle armi letali in quantità evidentemente generosa, l’ISIL abbia trovato anche un comando strategico evoluto, si direbbe quasi di tipo occidentale. E non avete ancora visto niente.

Non so se ci avete fatto caso: i media europei hanno cominciato a lanciare il seguente allarme: ci sono 3mila combattenti islamici in Siria, nati e cresciuti in Europa dagli immigrati musulmani, con passaporti europei. Adesso questi sono di ritorno e vogliono commettere delitti in Europa, con le armi che hanno ricevuto ed imparato ad usare. Non è che se lo sono inventato, i media: hanno ricevuto le veline dai Ministri dell’Interno della UE che, il 5 giugno, si sono riuniti per fare il punto sullo spinoso pericolo: e pensare che lo devono sapere bene, visto che alcuni di queste partenze di giovanotti fanatizzati in Siria, le hanno favorite. Di parecchi hanno dossier e impronte digitali, li controllano da anni: come quel Mehdi Nemmouche, che secondo la versione ufficiale ha ucciso a Bruxelles, nel museo olocaustico locale, due agenti israeliani d’alto bordo. I servizi francesi lo conoscevano benissimo, e dopo il delitto a Bruxelles l’hanno recuperato (pardon, volevo dire: arrestato ) al suo ritorno in Francia, con le armi e tutto. In teoria, dovrebbero estradarlo in Belgio, dove ha commesso gli omicidi; ma Nemmouche ha rifiutato di essere consegnato ai belgi.

Così, farà le sue confessioni ai francesi. Più precisamente al Procuratore François Molins, un esperto della faccenda, che ha trattato già un altro criminale massacratore, Mohammed Merah, e che ha come tesi questa: sono lupi solitari, dei ragazzi radicalizzatisi in prigione, dove erano entrati da delinquenti comuni di mezza tacca.

È la solita storia dell’assassino solitario. Ricordatelo, quando cominceranno a fare attentati qui da noi.



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