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Gaza, la guerra hi-tech
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E non vedono i razzi Kassam....

I due palloni aerostatici a forma di Zeppelin, carichi di telecamere e sensori, sono ormai abitatori permanenti del cielo sopra Gaza. Uno a Nord l'altro a Sud, vedono tutto ciò che accade nella striscia. Colgono il calore di un razzo in partenza e per 800mila israeliani al di qua della frontiera scatta l'allarme. «Codice rosso!» gracchiano gli altoparlanti. Qui a Sderot, meno di due chilometri da Gaza, la gente ha 15 secondi per cercare un riparo. Ad Ashkelon, 25 chilometri a Nord, ne hanno 30; ad Ashdod, un po' di più. Nel kibbutz di Nir Am, sulla frontiera di Gaza, di tempo non ne hanno. La tecnologia di un'allerta così immediata la devono ancora inventare perfino in Israele.

Per la prima volta in otto anni, da quando Hamas tira i suoi Qassam, la gente di Sderot è contenta: il Governo sta facendo qualcosa per loro, ha scatenato una guerra. Il dubbio ora è un altro: basterà questa mobilitazione, tutto questo sforzo militare e tecnologico del più avanzato degli eserciti del mondo, a fermare i razzi?

Dal Davidka, il primo mortaio artigianale della guerra d'indipendenza del 1948, Israele ha sempre sviluppato una sua tecnologia bellica. Riceve 3 miliardi di dollari l'anno solo in aiuti militari americani ma quello che ottiene lo modifica. Come il cacciabombardiere F-16, la cosa più nuova che voli e che combatta. Israele è l'unico Paese alleato al quale gli americani concedono di farvi delle modifiche segrete.

Fu Shimon Peres alla fine degli anni Settanta a modernizzare la macchina da guerra volenterosa ma obsoleta dello Stato ebraico. Negli Ottanta nacque il progetto Talpiot: anziché sprecarle al fronte o in caserma, ogni anno le 50 giovani menti più geniali d'Israele venivano arruolate nell'unità Shmone Matai. Nei tre anni di ferma che tocca a tutti in Israele, la loro missione era inventare per le Forze Armate. Non necessariamente sistemi d'arma o cannoni infallibili. Anche sedili ergometrici per i piloti degli elicotteri, tessuti per far traspirare la pelle dei fanti all'assalto. Una delle ragioni della vittoria del 1973, nella gigantesca battaglia di mezzi corazzati con gli egiziani nel deserto del Sinai, fu che i carri israeliani avevano l'aria condizionata. All'inizio degli anni Novanta, quando incominciò la trattativa di Oslo, Israele seppe creare un incredibile "dividendo della pace", riversando nell'industria civile tutte le innovazioni tecnologiche militari. È così che nacque la Silicon Valley israeliana. Gil Shwed, il creatore di Firewall, era stato un soldato di Shmone Matai.

L'information technology è la voce più importante dell'export israeliano, al Nasdaq di New York ci sono più aziende israeliane che europee. Ma la domanda dei 20mila abitanti di Sderot, sul confine con Gaza, resta quella di prima: può tanta preparazione, tanta ingegneria, tanta innovazione fermare una volta per tutte i razzi di Hamas?

No. I potenti missili Grad e Katiusha sono armi un po' più complesse, ma la tecnologia di lancio di un artigianale Qassam è poco più sofisticata dell'innesco di una «Testa di Lavezzi». Serve solo un legno sul quale appoggiarne la testata, determinare l'alzo e l'improbabile traiettoria. E una miccia o un piccolo congegno elettronico per l'innesco a distanza con un telefono cellulare. Comunque vada, cadrà in territorio israeliano. Un Patriot, il missile anti-missile, non farebbe in tempo a distruggerlo; e nessuno spenderebbe milioni per fermare un razzo di poche decine di dollari, costoso come un petardo appena sofisticato ma comunque mortale.

È, alla fine, la politica che spesso vanifica l'immensa superiorità tecnica di Zahal, acronimo ebraico di Forze di difesa israeliane. L'obiettivo che Israele deve raggiungere per dichiarare vittoria in questa guerra è molto più difficile di quello di Hamas. Il primo deve annichilire la struttura militare del movimento islamico, cercare i tunnel dai quali passano le armi di contrabbando dall'Egitto, piegare la volontà del nemico, ridurne la forza politica, «cambiare l'equazione della regione». Ad Hamas basta lanciare un solo Qassam dopo che l'ultimo israeliano si sarà ritirato da Gaza.

Il razzo che prende il nome dal primo martire di Hamas, Izz ad-Din al-Qassam, in un certo senso è l'evoluzione di un'altra arma rudimentale ma efficace dei palestinesi: l'attentatore suicida, l'uomo che porta con se la bomba fino all'obiettivo stabilito e si fa esplodere con le sue vittime. La sorpresa non è nella qualità della bomba ma nella determinazione del kamikaze di uccidersi per uccidere. La barriera di filo elettrico che chiude Gaza e il muro che circonda la Cisgiordania hanno quasi annullato quell'arma.

L'obiettivo di Israele a Gaza è simile: occupare il corridoio di terra fra Egitto e Gaza, e passarlo poi a una forza internazionale d'interposizione, per impedire che dai tunnel Hamas ricostruisca e aggiorni il suo arsenale di missili. Assaf Klar e Raphael Linker del Technion, l'Istituto di Tecnologia di Haifa, hanno trovato il modo di individuare chi sta scavando i tunnel anche a diversi metri sottoterra. Lo faranno con la tecnologia elettro-ottica: fibre ottiche capaci di rilevare lo spostamento di terra che provoca uno scavo. Nato un problema, trovata la soluzione.

Ma per quanto Israele usi cemento, arresti preventivamente migliaia di palestinesi, ne paralizzi l'attività economica con centinaia di posti di blocco e usi le fibre ottiche, il risultato di questo scontro asimmetrico è lo stesso: ci sarà sempre un Qassam, un coltello o una sassata a impedire che Israele viva nella sicurezza che cerca, fino che continuerà l'occupazione. La condizione della guerra asimmetrica nella quale il soldato tecnologico d'Israele deve operare, è ferrea quanto una formula matematica: il nemico è solo un guerrigliero meno armato di lui. Ma combatte dove vive, usa la sua casa come trincea, arruola la famiglia alla sua causa.

Ugo Tramballi

Fonte >
Il Sole 24 Ore


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