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Gli abitanti di Gaza devono combattere per bere acqua pulita
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RAMALLAH - In occasione dell’incontro a Istanbul di esperti ambientalisti, NGO e funzionari governativi al quinto Forum Mondiale dell’Acqua, la Commissione Internazionale della Croce Rossa (ICRC) ha richiamato l’attenzione sulla situazione critica dell’acqua a Gaza.

“L’equipe della Croce Rossa Internazionale è impegnata a riparare i sistemi idrici e le fognature di Gaza, pesantemente danneggiati durante l’operazione militare israeliana dello scorso gennaio, durata tre settimane” dichiara l’ICRC in un comunicato stampa.

“Secondo il Ministero della Salute di Gaza, un quinto della popolazione non ha accesso diretto all’acqua potabile, ed è costretta a pagarla a fornitori privati. Ancora oggi, a migliaia di persone è negato l’approvvigionamento di acqua potabile”.

La gran parte delle infrastrutture a Gaza è stata distrutta dall’assalto dell’esercito israeliano durante l’operazione Piombo Fuso, responsabile della creazione di una vera emergenza umanitaria sul territorio.

L’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento delle Emergenze Umanitarie (OCHA) dichiara che 150.000 residenti a Gaza soffrono di un’ approvvigionamento inadeguato e rischioso. Di questi, circa 50.000 sono completamente senza acqua, mentre il resto riceve forniture di acqua ogni cinque o sei giorni.

Il Coordinamento aggiunge che circa 28.000 bambini nella Striscia di Gaza non hanno accesso alle forniture d’acqua, mentre altri 56.000 bambini usufruiscono dell’acqua solo una volta alla settimana.

L’ azienda municipale costiera di Gaza (CMWU), che gestisce la fornitura di acqua potabile ed il trattamento delle acque di scolo, afferma che l’emergenza proseguirà fintanto che Israele non consentirà l’ingresso di materiali e pezzi di ricambio.

Il perseverare del blocco imposto da Israele significa che non possono entrare a Gaza materiali per la ricostruzione e per la riparazione delle strutture. Questo ha non solo reso sino a questo momento impossibile la ricostruzione degli edifici distrutti e danneggiati, ma ha anche imposto gravi limiti alla riparazione di infrastrutture vitali, come gli impianti per la distribuzione dell’acqua.

I continui blackout energetici hanno inoltre condizionato l’attività degli impianti, mentre le pesanti restrizioni  all’importo di carburante hanno leso la capacità operativa dei generatori d’emergenza.

Di certo la guerra ha esasperato la situazione, ma è opportuno ricordare che le infrastrutture di Gaza erano già state compromesse nel corso dei precedenti 18 mesi di embargo dovuti alla conquista del potere da parte di Hamas nel giugno del 2007.

I servizi municipali sono stati costretti a pompare direttamente in mare tonnellate di acqua non trattata, acqua che poi però è tornata indietro infiltrandosi nel terreno e andando a minacciare la sicurezza delle forniture dell’acqua potabile.

I recenti test effettuati a Gaza indicano che l’acqua delle condutture non è sicura per il consumo. 45 campioni su 248 sono stati trovati contaminati, soprattutto nel nord di Gaza e nei distretti urbani.

Israele ha provveduto a bombardare il più grande impianto di trattamento delle acque di scolo a Sheikh Ajleen, a sud di Gaza City, che normalmente si occupa del trattamento dell’acqua per circa 400.000 persone. Il torrente di acqua sporca e non trattata che fluiva all’interno delle aree residenziali, i campi coltivati e il mare era visibile dallo spazio, come mostrano le immagini ricavate dai satelliti delle Nazioni Unite.

Il Programma Satellitare di Applicazioni Operative delle Nazioni Unite (UNOSAT) ha mostrato l’impatto del bombardamento israeliano ed il conseguente fluire delle acque di scolo ad una distanza di 1,2 chilometri.

La commissione della Croce Rossa e le aziende municipali hanno coordinato gli sforzi per riparare l’impianto ma sono state ostacolate dai ritardi nell’ottenere da Israele i permessi per introdurre nel territorio tubature e parti di ricambio.

“La prima cosa che ci chiede la gente è l’acqua e l’elettricità” dice Marek Komarzynski, uno degli ingegneri idraulici della Croce Rossa. “ E’ quello di cui hanno bisogno per fare ritorno ad una vita normale”.

Ma la crisi umanitaria seguita alla guerra e, prima ancora, all’embargo, affligge praticamente ogni altro aspetto della vita quotidiana degli abitanti di Gaza.

Alla fine di febbraio, l’Agenzia per i Rifugiati dell’Onu (UNRWA) ha calcolato che oltre 2000 famiglie hanno bisogno di ricostruire la propria casa, mentre le case di altre 11000 famiglie necessitano di riparazioni urgenti. L’agenzia ha dichiarato che si aspetta un incremento di questi dati.

Anche sei scuole dell’Autorità Palestinese nel nord di Gaza sono state gravemente danneggiate, costringendo quasi 5000 alunni a spostarsi in altri istituti. Il sovraffollamento ha comportato l’introduzione di doppi turni addizionali, oberando le 351 scuole coinvolte, metà delle quali già erano obbligate a praticarli.

Nel frattempo, gli ospedali di Gaza lottano contro la mancanza di parti di ricambio di macchinari per neonati, e molte medicine sono divenute introvabili. A ciò si aggiunge il fatto che solo la metà dei circa 300 abitanti di Gaza che hanno chiesto ad Israele il permesso di recarsi all’estero per ricevere le adeguate cure mediche, lo ha ottenuto.

La malnutrizione è un altro problema in crescendo, e chi ne paga lo scotto sono in particolare i bambini e le donne in gravidanza. L’UNICEF ha da poco provveduto alla distribuzione di scorte di vitamine per 50.000 neonati e bambini sotto i cinque anni.

L’Ufficio per le Emergenze Umanitarie denuncia che i 127 camion di aiuti a cui Israele permette l’ingresso quotidiano sono insufficienti a colmare i bisogni della popolazione. Prima dell’embargo ne entravano 475 al giorno.

La povertà e la disoccupazione rappresentano una piaga, dopo che Israele ha provveduto alla distruzione dei settori di attività che contribuivano a dare un lavoro alle persone.

Il Consiglio di Coordinamento del Settore Privato (PSCC) afferma che 700 stabilimenti privati sono andati completamente distrutti o danneggiati. Il danno è stimato in 140 milioni di dollari.

Il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP), l’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) ed il Ministero dell’Agricoltura palestinese valutano un danno di 180 milioni di dollari alle infrastrutture agricole.

Si calcola poi che il settore della pesca abbia sofferto perdite dirette e indirette pari a 2,2 milioni di dollari, a causa della distruzione delle imbarcazioni e delle relative attrezzature. E anche quanti hanno conservato un lavoro e uno stipendio stanno lottando. Secondo il Fondo Monetario Internazionale (IMF), le restrizioni imposte da Israele all’entrata di denaro liquido a Gaza hanno messo in pericolo il sostentamento di mezzo milione di persone, su una popolazione di un milione e mezzo di abitanti.

Mel Frykberg

Traduzione per EFFEDIEFFE.com a cura di Milena Spigaglia

Fonte > ipsnews.net | 17 marzo (IPS)

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