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Gli Hanskunghi all’assalto della tradizione
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Chi sono e che cosa vogliono colpire gli hanskunghi?

Sono i «teologhi» da strapazzo «del Reno» (del Neckar e dintorni) che da generazioni sfornano vani arzigogoli per protestantizzare la Chiesa. Dicendosi cattolici, o sono in dannata mala fede, o sono degli ignari ebeti, come dev’essere il caso della loro macchietta più tipica: Hans Kung, «monture di Troia» eletta dai gran media anticattolici, oiché si crede «mente» di nuovi «asserti», mentre esala inezie atte a imbarazzare perfino qualche ateo più scaltro.
Che cosa vogliono colpire e spegnere, se non tutto quanto porta il nome fiammeggiante di Tradizione cattolica? Della Tradizione si deve, quindi, parlare qui dopo aver capito qual è la gran montatura presente in ogni loro sparata.

Il branco degli hanskunghi colpisce ancora

Per i docenti della Facoltà di «Teologia cattolica» di Tubinga «la revoca della scomunica ai vescovi della Fraternità Sacerdotale San Pio X rappresenta uno scandalo e offesa... un grave peso per il nostro lavoro, ma anche per il lavoro di molti preti, di collaboratori e collaboratrici pastorali, insegnanti di religione. Chi si impegna, sulla base del Concilio Vaticano II, per una Chiesa e una teologia che siano in dialogo aperto con il mondo e le religioni, si sente offeso. Rispettiamo gli sforzi del papa per l’unità della Chiesa. Tuttavia ci sono oggi nella Chiesa cattolica vescovi che rifiutano la libertà di religione e di coscienza, che mostrano apertamente una mentalità antiecumenica, che difendono un’immagine di Chiesa clericale, all’interno della quale il sacerdozio comune di tutti i credenti non ha quasi più significato, e che disprezzano consapevolmente la ‘Chiesa conciliare’. Per di più, uno di questi vescovi nega l’entità della Shoah e manifesta un pensiero antisemita. In questo modo egli, come in precedenza, sta al di fuori della communio della Chiesa. Temiamo che la revoca della scomunica di questi vescovi segni un momento di svolta nella storia della Chiesa postconciliare. Essa viene giustificata con il riferimento al fatto che dopo il Concilio spesso vi sono state omissioni che hanno condotto ad un consolidamento di divisioni. Eppure la storia della Chiesa è ricca e annovera anche esperienze contrarie. Nel caso di ulteriori concessioni alla Fraternità San Pio X temiamo conflitti permanenti e fratture che arrecheranno danno alla Chiesa. Per noi è incomprensibile che si facciano rientrare nella Chiesa persone che rifiutano apertamente il Concilio Vaticano II, mentre ne sono state - e ne saranno - allontanate altre che intendono il loro lavoro a partire dal Concilio, come per esempio i rappresentanti della Teologia della Liberazione. In questo ci sembra che il principio di giustizia non sia rispettato. Siamo molto preoccupati per l’unità della Chiesa sulla base del Concilio Vaticano II e facciamo appello a tutti i vescovi, a tutte le colleghe e ai colleghi impegnati nell’insegnamento accademico, a tutti coloro che sono impegnati nell’annuncio e a tutti i cattolici, donne e uomini, affinché si esiga e si difenda con fermezza l’eredità [demolitrice e fumosa] del Concilio» (tratto dall’Agenzia Adista, febbraio 2008).

Su cosa potrebbero fondare la propria autorità professorale coloro che intendono rivedere la Tradizione? Sulla continuità nella fede delle prime comunità cristiane che, secondo loro, ancora confondevano il tuono con la volontà divina? Ma chi dubita della coscienza nella fede dei primi apostoli cristiani come può pensare di succedere loro? Un documento che ammette, anche implicitamente, dubbi sull’origine e integrità della Tradizione e Sacre Scritture, che rappresentano lo strumento diretto dell’Autorità divina, ammette il revisionismo dell’Autorità divina. Siccome essa non è concessa per essere dubitata, ma per insegnare certezze, tale revisionismo indica la decadenza dall’autorità dei suoi autori e compagni d’avventura. Nella dottrina conciliare essi hanno infiltrato i fermenti del modernismo che, anche se dissimulati, la contaminarono tutta. Così, nella montatura del Vaticano II si trova la mossa di rottura con la Parola divina e quindi con la Fede cattolica.

L’inestimabile e inestinguibile Tradizione cattolica

La Parola divina è rivolta alla mente e alla volontà dell’essere umano che, consapevole dello stato d’ignoranza e dipendenza in cui si trova nell’ordine universale, è attento all’Intelligenza di tutto, Causa del creato, per conoscere il segreto sulla sua origine e fine, per essere guidato verso il suo bene. Dio rivela Se stesso e la Sua Volontà affinché l’uomo sia, a Sua immagine e somiglianza, soggetto di bene e di armonia divina nell’ordine terreno. L’uomo, però, che è libero anche di deviare da questo disegno, come accade nella prova originale, non riesce a capire la conoscenza che lo trascende; ha bisogno di riceverla e di rispondervi secondo il principio che va oltre la mente. Infatti, la Rivelazione presuppone l’influsso sull’uomo di un principio conoscitivo nuovo, suscitato non «dalla carne o dal sangue», ma da Dio (Matteo 16, 17): è la virtù teologale della fede, «senza la quale non si piace a Dio» (Eb 11, 6), poiché Dio si rivela all’uomo per essere corrisposto con una risposta fedele. Tale risposta è la ragione stessa d’ogni essere umano e della vita sociale. In tal senso, qual è la situazione dell’umanità contemporanea e della Chiesa nel ricordarlo confermando tale essenziale disegno divino? Per capirlo si deve vagliare la situazione riguardo all’accoglimento della Parola divina nella società umana oggi e poi quella riguardo alla Tradizione, ossia alla fedeltà di trasmetterla nella catena secolare delle società nel mondo, che è la missione precipua della Chiesa di Gesù Cristo.

Poiché la vita secondo le facoltà umane superiori dell’intendere e del volere nelle società è intimamente legata a quest’accettazione della Parola, principio di saggezza, si capisce il profondo «stato di coma mentale» in cui esse sono per il fatto d’ignorarla o anche disprezzarla. Già lo segnalava San Pio X all’inizio del XX secolo. Causa prima della crisi umana è, per il cattolico, l’incredulità di fronte alla Trascendenza; è il «non credere» che determina un «pensare» che causa il disordine del «vivere». Ora, in tempo di crisi e di apostasia, la carenza più grave è proprio quella della conoscenza per risalire alle sue cause. Essa non si trova in nessuna filosofia o scienza umana, ma nella Parola. Sentiamo il Profeta Osea (4, 1): «Il Signore chiamerà a giudizio gli abitanti della terra; non c’è verità, né misericordia, né conoscenza di Dio sulla terra. Si giura, si mentisce, si uccide, si ruba, si commette adulterio, si fa strage di sangue che attira sangue. Per questo si coprirà di lutto il Paese e chiunque vi abita langue insieme con gli animali della terra e con gli uccelli del cielo; perfino i pesci del mare scompariranno. Ma nessuno accusi, nessuno contesti; contro di te, sacerdote, muovo l’accusa (traduzione CEI). Tu inciampi di giorno e il profeta con te inciampa di notte e fai perire tua madre. Perisce il mio popolo per mancanza di conoscenza. Poiché tu rifiuti la conoscenza, rigetterò te dal ministero di mio sacerdote; hai dimenticato la legge del tuo Dio e Io dimenticherò i tuoi figli. Col crescere di numero, crescono nei peccati contro di me; cambierò la loro gloria in ignominia. Essi campano sui peccati del mio popolo e tendono il loro animo all’iniquità. Onde quale è il sacerdote tale è il popolo; ed essi avranno la stessa sorte; li punirò e li retribuirò dei loro misfatti. Mangeranno, ma non si sazieranno, hanno fornicato, ma senza quiete, perché hanno abbandonato il Signore (per gli idoli)».

San Pio X interpreta quest’insegnamento nell’Enciclica «Acerbo nimis» (15 aprile 1905), dove ricorda che ai pastori compete, anzitutto, il gravissimo dovere di insegnare la Scienza delle cose di Dio, per cui l’Apostolo Paolo diceva: «Cristo non mi ha inviato per battezzare, ma per evangelizzare» (I Cr 1,17). Ma avvertiva: «Se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anatema!» (Gl 1, 8). La Chiesa ha sempre allontanato i falsari della dottrina, che si presentano come profeti dell’umana libertà, sono i lupi rapaci, ma pure i coglioni hanskunghi.
 
La Parola va custodita con cura estrema e senza fare accezione di persone. Essa racchiude il bene umano e perciò il vero ordine e la vera autorità per la vita personale e sociale in terra. Il pensiero cattolico, avendo stabilito il rapporto causa-effetto tra la Parola divina e il bene sociale, ha sempre affrontato i falsari della dottrina come nemici dell’umanità. Essi si presentano come profeti dell’evoluzione umana ma sanno che il mezzo più efficace per dominare il pensiero umano è impadronirsi di tale patrimonio. Infatti, quando fallisce il tentativo fatto con la forza, il nemico torna a provarlo parlando come l’agnello con un «insegnamento», (Apl 13, 11-12). Non si tratta forse di un adattamento del Cristianesimo ad una «cultura» del mondo che fa a meno dei princìpi divini? Ma poiché la Parola divina non è facoltativa ma basilare per la società, la sua riduzione ad un fatto di coscienza opera, con lo scardinamento del pensiero cattolico, una demolizione sociale. E’ il risultato del continuo tentativo dei poteri del mondo di fagocitare la Cristianità, descritto nell’Apocalisse (12, 3-4). E la «pastorale» del Vaticano II, promossa e diffusa dagli hanskunghi di turno, noti non perché dotti, ma perché caldeggiati dalla grande stampa anticristiana, ha favorito questo squallore ecumenistico protestantico.

La fede cristiana colma la cecità spirituale dell’essere umano con la prospettiva del suo bene eterno, affinché conformi il pensare al credere e il vivere al pensare. La vita viene dallo spirito ed è il soprannaturale a determinare il naturale: al contrario, il naturalismo porta a pensare come si vive, sintetizzabile nell’espressione: dimmi come vivi e ti dirò come è il tuo dio; cioè il tuo modo di credere, derivato da un modo di pensare, come vuole il razionalismo. Le idee filosofiche implicano un rapporto reciproco tra mentalità e modo di vivere; un indirizzo per la vita. Si contrappongono alla fede cristiana quando antepongono la libertà alla verità, l’esistere all’essere, il fare al sapere, come nell’esistenzialismo per cui è il libero agire umano a dare senso al vero e al bene, non il contrario. La «pastorale conciliare» che vuol seguire anziché guidare le tendenze sociali, rappresenta un’inversione del pensiero cattolico. Il mondo moderno, cultore del progresso, vede nel pensiero tradizionale, ordinato all’eterno, un limite alla libertà e alla creatività umane. Organizza così il processo rivoluzionario con cui abbattere il Cristianesimo. Ma tale tumulto universale non va forse contro la stessa coscienza e pensiero umano, e in questo caso non seguirà all’insania la più bestiale tirannide? Essendo una la Verità, anche l’Ordine universale è uno, in cielo e in terra, e quanto gli si contrappone non è un’altra verità o ordine, ma falsità e disordine. Perciò, alla rivoluzione per scristianizzare il mondo segue di pari passo la sua crisi letale.

L’assoluta trascendenza di Dio al mondo e ad ogni creatura è il primo e fondamentale insegnamento della Rivelazione. Dio è per natura «nascosto» agli uomini (Giovanni 1, 18; ICr 2; 1Tm 6, 16); possiamo conoscere di Lui solo quanto rivela in modo soprannaturale di Sé (Matteo 11, 27). Dopo la Caduta Dio manifesta all’uomo il Suo amore paterno attraverso la Rivelazione, che gli trasmette la verità di cui ha bisogno per riordinarsi al bene e tornare al Padre. La Parola divina è l’invito all’uomo a partecipare alla conoscenza del divino Amore e dei suoi misteri. Il Trascendente estende il filo della religione nel senso teandrico, unico, di Dio all’uomo, affinché si manifesti nell’uomo la fede secondo Dio. Idee religiose secondo uomini sono elucubrazioni senza niente in comune con la Fede; sono sottoprodotti del misero fallimento nella prova originale. La Rivelazione è verità sull’infinita gloria di Dio, per cui il giusto vive di fede nel tributo alla gloria divina, che non è gloria come intende l’uomo. Questa Verità, trasmessa attraverso la Chiesa, è pegno di salvezza per essere incisa nelle anime come luce che guida gli uomini decaduti al bene nella vita personale e sociale. La Parola rivelata rappresenta perciò il vero potere in terra, il «Regno del Cieli», ma essendo diretta anzitutto alla coscienza libera dell’uomo, essa non s’impone come i poteri terreni, ma si propone alla sua mente e cuore. Ad ogni modo la Rivelazione proveniente dall’Autorità di Dio, che è Verità, Via e Vita, è il vero fondamento d’ogni legge, che gli uomini la riconoscano o no. Se non la riconoscono, per applicarla, prima o poi dovranno riconoscere i frutti nefasti conseguenti al fatto di non averla accolta.

La Legge e la Profezia sono capitoli della Rivelazione divina che illustrano il potere della saggezza  dell’onniscienza che tutto guida. L’uomo li deve accogliere per partecipare con la sua società all’ordine universale. Le Tavole della Legge, visibile espressione della luce sulla Volontà di Dio, erano custodite nell’Arca dell’Alleanza, nel Santo dei Santi, nel Tabernacolo del Tempio di Gerusalemme, unico luogo destinato al culto di Iahweh, secondo le dettagliate istruzioni del Suo volere al Popolo eletto. Era il Luogo Santo da dove irradiava nel mondo la luce agli uomini di buona volontà. Il Verbo divino era manifesto nella Legge e nella Profezia, che annunziavano la Sua Incarnazione. Ma, per essersi fatto una propria idea del Messia, come re potente, liberatore del «popolo eletto in Lui», esso non riconobbe il Salvatore, venuto nella povertà per la gloria del Padre suo, e Lo crocefisse. Così il Figlio di Dio, Gesù, si è rivelato come Re crocefisso dagli uomini. Segno di contraddizione col mondo, ecco come si manifesta il Signore. Il Cristiano non può vacillare su questa verità che è apparente controsenso, ma, al contrario, lodare con San Paolo: «Benedetto Iddio e Padre di nostro Signore Gesù Cristo... per amore avendoci predestinati a esser figli suoi adottivi per mezzo di Lui, secondo la benignità del suo Volere, sì che ciò torni a lode della gloriosa manifestazione della grazia sua, di cui ci fece dono nel suo diletto Figlio». I pensieri di Dio non sono i pensieri degli uomini, la sua Parola racchiude molto di più di quanto possiamo comprendere, perciò il vero controsenso è voler leggere la Parola divina secondo idee umane. O peggio, voler ridurre il Mistero di Dio secondo la propria visione di «bene», fino all’iniquità di «riformarlo» secondo quanto si ritiene «bisogno del mondo», o «segno dei tempi».

Per contrastare il Mistero di Dio, il «mistero dell’iniquità» si manifesta nella sua Chiesa.
Così avvenne con la pseudo Riforma e così avviene con l’abuso della Parola nel senso di annunciare un’idea umana su una questione trascendente, come se venisse da Dio; contraffazione di portata devastante, che relativizza l’assoluta trascendenza divina al mondo, innalzando l’uomo ad essere nei suoi giudizi «come dèi». Ciò preclude il vero e il bene e promuove il falso e il male, preparando l’ora dell’uomo idolo, l’iniquo «che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, presentandosi come se fosse Dio» (2Ts 2, 4). Può sembrare che tale iniquità è solo imputabile a uno che, alla fine dei tempi, conculcherà apertamente la verità e l’intangibilità della Rivelazione. In verità le Sacre Scritture e San Paolo ci dicono che dai primi tempi sono presenti tali iniqui: «Non ricordate che venivo dicendo queste cose?... Il mistero d’iniquità è già in atto...». L’iniquo finale è al vertice di un’enorme piramide d’iniquità; altrimenti, dove poggerebbe il suo potere? Chi può pensare che il suo linguaggio d’inganno sarà fatto d’immonde bestemmie? In verità il peggior male è tortuoso, d’aspetto simile al bene; altrimenti come potrebbe ingannare? Può sembrare che l’iniquo per eccellenza si presenterà come un feroce nemico pubblico della Chiesa. Ma allora solo con la violenza esso potrebbe sedersi nel tempio di Dio; solo sotto le armi sarebbe venerato. Invece la sua è «la potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri», poiché il campo fu aperto dalla decadenza generale della fede: «la grande apostasia», come avvertirono le Sacre Scritture e San Paolo.
L’abbandono della fede lo precede con «una potenza d’inganno perché essi credano alla menzogna...». Non vi è quindi un’aperta violenza, ma complicità di «quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l’amore della verità per essere salvi..., ma hanno acconsentito all’iniquità».

Ora, visto che la verità ci è data con la Rivelazione, e il suo amore lo manifestiamo nell’accoglierla, la manifestazione dell’iniquità finale, dell’iniquo Anticristo, concerne la Parola divina: la Tradizione orale e le Sacre Scritture. E ciò in modo da corrompere la fede in Gesù Cristo per celebrarLo non come Dio ma come un segno, non come re ma come servo, e ciò non nel «Luogo santo di Dio», ma negli spazi santificati dal lavoro e dall’ingegno degli uomini. Dove e come tutto ciò, se non in un mondo scristianizzato e secondo una falsa Chiesa, che parla in nome dell’unico Magistero divino, ma per insegnare una fede pluralista, immanente, ecumenistica? Dove si può manifestare la suprema iniquità: la contraffazione della Parola, se non dove avrebbe dovuto esservi la somma fedeltà a Dio in terra? Spesso si è voluto immaginare l’Anticristo come un capopopolo. In verità esso si manifesta dove vi è «quello che ostacola la sua manifestazione», ma che è «tolto di mezzo nella sua ora»; lasciando così il posto all’iniquo: »quello che penserà di mutare i tempi e la legge» (Dn 7, 25). La rivelazione del «bene dell’uomo» proviene da Colui che è «la Verità, la Via e la Vita», ma verrà quello che pontificherà sul «bene secondo i tempi».

Molto si è scritto sull’aspetto dell’Anticristo; meno sul suo linguaggio, che non può essere diverso dal «non serviam» originale. Si sa che l’ingannatore parlerà attraverso l’iniquo che, nel nome di Gesù Cristo, assumerà l’aspetto di buon maestro del «bene umano». Infatti, cosa sarebbe più ingannevole che l’errore coperto dal carisma evangelico? Essendo stato il Vaticano II indetto in nome di un «aggiornamento» secondo i segni dei tempi, dal suo linguaggio si deve verificare il suo spirito, cioè il rapporto dei termini della «riforma conciliare» con quelli del pensiero cristiano: - se i suoi nuovi tempi si rapportano alla dimensione di eternità; se i suoi «valori» non relativizzano i princìpi assoluti; se la sua pastorale non riduce la verità evangelica a «bene» relativo, magari per l’unione ecumenista di ogni nuovo bene e vecchia credenza; se vi è riduzione del soprannaturale al naturale; se non mette in ombra - umanizzandola - la ragione principale della Rivelazione: la gloria di Dio San Paolo ricorda che l’inganno può solo infettare chi non abbraccia la Verità con amore (2Ts, 2, 10). E la prima verità evangelica è l’assoluta gloria di Dio. «Tutte le intenzioni, opere e meriti dei Santi riguardano la gloria e la lode di Dio, a chi può solo piacere quanto Lui stesso suscita» (Concilio di Efeso, cap.V). Ogni esegesi che non sia centrata nel solo e assoluto Bene divino, può, per meglio ingannare, ripetere ogni pia parola e nome santo, ma svela essere l’esegesi dell’Anticristo.

Il principio della Tradizione scritta e orale, che include le Sacre Scritture, è la trasmissione della Parola divina. Perciò, Tradizione e Bibbia, devono essere una stessa cosa articolata in modi complementari. Qui ci interessa sottolineare la verità che è stata negata dal Protestantesimo, e cioè che è la stessa Bibbia a registrare che la Parola di Dio è stata affidata, prima d’essere scritta, ai consacrati inviati dal Signore e messi da Lui sotto la direzione del primo confessore della Fede che è Pietro. Tradizione e Bibbia sono dunque indivisibili e la seconda è autentica in quanto trasmessa e interpretata dai custodi della prima. Non esiste perciò una Rivelazione autentica proveniente dalle Sacre Scritture che non scaturisca dal Verbo di Dio, Gesù Cristo, e che non passi attraverso i custodi ai quali Lui ha affidato la Tradizione. Si deve perciò riconoscere che anche l’Antico Testamento essendo l’annuncio della venuta del Messia è da Egli avvallato. E il sommo valore del Nuovo Testamento scritto deriva dalla Parola trasmessa da Gesù Cristo, cioè dal Principio della Tradizione.

La Tradizione orale, confrontata con la Bibbia, si dice dichiarativa quando una verità attestata dalla Bibbia viene meglio chiarita nella Tradizione; costitutiva se trasmette verità non contenute nella Bibbia. Ciò negano i protestanti, secondo i quali l’unica fonte della Rivelazione è la Bibbia, nella quale è contenuto tutto ciò che si deve credere, rifiutando così l’autorità divina della Chiesa. Ora, dal processo ecumenista in corso si evince che il Vaticano II ha teso una mano a tale errore iniziando un velato processo revisionistico in vista delle aperture che si prefiggeva. Di fronte a ciò il cattolico fedele deve prendere una posizione ortodossa in difesa della Fede, naturalmente non appellandosi agli stessi novatori, ma a quanto la Chiesa ha sempre insegnato. Per approfondire questa difesa, si vedano i commenti del noto esegeta monsignor Francesco Spadafora, partecipe ai lavori di quell’assemblea, sulla quale ha scritto diversi libri, tra i quali «La Tradizione contro il Concilio», Volpe, 1989, Roma. L’attacco alla Parola di Dio è essenzialmente ribellione all’Autorità di Dio rivelante, estendendosi al Magistero della Chiesa. Solleva dubbi dove è certezza, il relativo dove è assoluto. Riguardo alla sua direzione, il razionalismo vorrebbe che la Rivelazione fosse soggetta alla visione soggettiva degli uomini, alla loro capacità di intenderla; che per il modernismo si traduce nella presa di coscienza dell’esperienza o sentimento religioso dell’uomo verso Dio. A questo punto la perfetta integrità del suo contenuto sarebbe arbitraria e ci si potrebbe limitare alla sua parte essenziale più orecchiabile all’udito moderno, o ad un senso per suscitare sentimenti morali. Ma potrebbero parole relative ed imperfette rivelare la gloria e il potere divini? La Parola trasmessa per essere incisa come Legge su pietra e conservata nel Luogo Santo, di cui il Tempio antico era figura prima della formazione della Chiesa di Gesù Cristo, viene attaccata su molti fronti. Da una parte gli attacchi razionalisti del libero esame che contestano il suo carattere oggettivo e regolatore della vita umana; dall’altra il carismatismo protestante che la vuole ridotta a un soffio spirituale che ognuno intende come può o vuole.

Oggi la «nuova esegesi» modernistica è il «veleno nascosto nelle vene stesse e nelle viscere» della Chiesa e ne ha raggiunto il vertice. Se l’attacco esterno consiste nel negare la verità della Tradizione scritta e orale, quello interno si manifesta nella libera interpretazione biblica in sensi sociologici e filologici sovrapposti al senso spirituale trasmesso dai Padri. E una reinterpretazione della Rivelazione comporta inevitabilmente una nuova religione.

La Pascendi condanna, 12:.. «Non è forse rivelazione, quel sentimento religioso che si manifesta di colpo nella coscienza? Non è rivelazione l’apparire, benché in confuso, che Dio fa agli animi in quello stesso sentimento religioso? Aggiungono anzi di più che, essendo Iddio in pari tempo e l’oggetto e la causa della fede, la detta rivelazione è al tempo stesso di Dio e da Dio; ha cioè insieme Iddio e come rivelante e come rivelato. Di qui, venerabili Fratelli, quella assurdissima sentenza dei modernisti che ogni religione, secondo il vario aspetto sotto cui si riguardi, debba dirsi egualmente naturale e soprannaturale. Di qui lo scambiare che fanno come di pari significato, tra coscienza e rivelazione. Di qui la legge, per cui la coscienza religiosa si dà come regola universale, da porsi in tutto a pari della rivelazione ed alla quale tutti hanno obbligo di sottostare, non esclusa la stessa autorità suprema della Chiesa, sia che insegni, sia che legiferi in materia di culto o di disciplina».

Pio XII, nell’Enciclica «Divino Afflante Spiritu» (30 settembre 1943), commemorando il 50° della «Providentissimus Deus» di Leone XIII, denuncia a sua volta le eresie serpeggianti nella Chiesa e ribadisce la assoluta inerranza delle Sacre Scritture. Richiamate le definizioni dei Concili dogmatici Tridentino e Vaticano, Pio XII prosegue: «Anche dopo [il Concilio Vaticano], in contrasto con la solenne definizione della dottrina cattolica, la quale ai libri interi con tutte le loro parti rivendica tale autorità divina, che va esente da qualsiasi errore, alcuni autori cattolici non peritano di restringere la verità della Sacra Scrittura alle sole cose riguardanti la fede e la morale».

Il «cristiano maggiorenne» è per i razionalisti quello capace di leggere la Bibbia e capire quanto altri meno «colti» non hanno capito, tenendosi anzi alle «favole». La premessa di tale pensiero è la emancipazione dal Magistero «materno» della Chiesa, e perciò dalla Tradizione. In questo senso il Santo Uffizio il 29 gennaio 1955 condannava il libro di Josef Thomé, «Der Mündige Christ», dove si idealizza «una chiesa invisibile che sarebbe il Corpo mistico del Logos eterno» distinta dalla Chiesa gerarchica (madre discutibile) per cui per il cristiano maggiorenne: «l’unico potere a cui si può sottomettere senza paura di sbagliare è la propria coscienza» (Edit. OR 4 febbraio 55). Si trattava non solo della negazione della Chiesa «colonna e sostegno della verità» (ITm 3,15), condannata anni prima nella «Humani generis» di Pio XII, ma dell’insegnamento evangelico per cui la Parola di Dio dev’essere ricevuta e solo può essere intesa, come bambini, con amore filiale (Matteo 18, 1-6; 19, 14: Marco 10, 14-15; Luca 18, 16-17). Nel 1970 il libro è stato ripubblicato e Civiltà Cattolica (3 aprile 1971) lo commenta: «I temi trattati sono i più familiari al Vaticano II (che lo riabilitò): l’emergere della dimensione personale della fede... della libertà, della responsabilità». Si trattava infatti della stessa reinterpretazione della Parola divina.

La «Dei Verbum» del Vaticano II è la truffa della Tradizione

«Il Vaticano II è un’autentica truffa ai danni della Verità rivelata» è la conclusione logica che deriva anche dal libro di monsignor Spadafora (opera citata pagina 156). La posizione della Chiesa non può cambiare in rapporto ai Vangeli. Siccome il cambiamento introdotto negli ultimi decenni per «demitizzare» la Parola, i miracoli, il dogma cattolico, con analisi razionalistiche ha ricevuto luce verde dalla «Dei Verbum» del Vaticano II, si deve costatare che esso è il ponte tra l’esegesi cattolica fondata sulla fede soprannaturale, trasmessaci dalla Tradizione orale e scritta, e il prepotente modernismo in atto. Nella «Dei Verbum» del Vaticano II non potrebbero mancare le verità sulla divina rivelazione. Ma qui si vedrà come dalla «Dei Verbum», che ripete la verità dell’ispirazione divina delle Sacre Scritture, si arriva al suo opposto, cioè alla «Formenge-schichte», teoria o «storia delle forme», il metodo storico-critico, un metodo razionalistico in contrasto netto con le tre verità rivelate, a fondamento dell’esegesi cattolica: l’ispirazione divina, l’inerranza, la storicità dei quattro Evangeli. Tale metodo nega inoltre il principio dogmatico per cui il Magistero infallibile della Chiesa è norma prossima per l’esegesi cattolica. Vediamolo. Ecco la «costituzione dogmatica» conciliare «Dei Verbum», che intende proporre un’altra dottrina sulla divina Rivelazione, parlando della maturazione «progressiva» della sua comprensione:

8b) «Questa Tradizione di origine apostolica, progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro, sia con l’esperienza data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. La Chiesa cioè, nel corso dei secoli, tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio».

La Parola divina non è da «perfezionare come un ritrovato filosofico». Infatti tutta l’esegesi cattolica consiste nel capire meglio quanto è stato trasmesso dal Signore attraverso i Suoi Apostoli. Ecco che la Rivelazione è un deposito compiuto alla morte dell’ultimo Apostolo. E ciò conferma il legame essenziale tra la Rivelazione e i suoi unici depositari e interpreti apostolici. I loro successori hanno perciò in custodia la verità divina rivelata, che non tende a una pienezza, ma è pienezza. In questo senso l’immanentismo modernista vorrebbe identificare la verità con quanto l’uomo capisce di essa. E perciò la verità evolverebbe con la scienza umana. E questa «evoluzione» del pensiero la applicano anche a Gesù Cristo. Mentre la Chiesa insegna come sentenza certa che «l’anima di Cristo possedette fin dal primo istante della sua vita terrena la visione immediata di Dio» (viator et simul comprehensor), i modernisti vogliono che Egli perfezionasse sempre più la coscienza di sé. Nel recente documento della Pontificia Commissione Biblica «Interpretazione della Bibbia nella Chiesa», Editrice Vaticana, presentato da J. Ratzinger a Giovanni Paolo II, il 23 aprile 1993: «Non si ha qui la pretesa di prendere posizione su tutte le questioni che riguardano la Bibbia, come ad esempio la teologia dell’ispirazione» (è solo una tesi?)...

«Nella storia dell’interpretazione l’uso del metodo storico-critico ha segnato l’inizio di una nuova era. Grazie a questo metodo sono apparse nuove possibilità di capire il testo biblico nel suo senso originario. Tutto ciò che aiuta a conoscere la verità e a disciplinare le proprie idee offre alla teologia un contributo valido. In tal senso, era giusto che il metodo storico-critico fosse accettato nel lavoro teologico». «E’ assolutamente falso che tale documento prosegue nella linea delle encicliche del 1893 e del 1943 e prolunga questa linea in maniera feconda», commenta monsignor Spadafora. Infatti esso racchiude la trama della «Formgeschichte» e della «Redaktionsgeschichte», che il nostro esegeta tradizionale spiegherà in seguito. Perciò c’è da domandarsi quale fu la parte della «Dei Verbum» nell’inganno di cui si fa portatore non solo questo documento, ma anche il «nuovo catechismo» conciliare, che riprende errori respinti dai padri conciliari.

La «Formgeschichte» e la «Redaktionsgeschichte» sono sistemi razionalistici per «spiegare l’origine» delle Sacre Scritture attraverso la teoria della storia dei generi letterari creata dai protestanti Bultman e Dibelius (1920). «Questo sistema nega in partenza l’autenticità e la storicità dei quattro Evangeli, per sostenere, non su dati di fatto, ma su postulati pseudofilosofici, che si tratta di creazioni popolari nate dall’esaltazione fideista della primitiva comunità cristiana. Poiché una tale creazione popolare richiede tempo (almeno una quarantina d’anni), la data di composizione dei Vangeli viene rimandata, sempre aprioristicamente, a dopo il 70». Da ciò deriva il problema con i papiri di Qumram. In verità, la «Formgeschichte» e la «Redaktionsgeschichte» sono in contrasto con la fede, la logica e i dati assodati dalla vera critica. «La loro adozione da parte del Pontificio Istituto Biblico ha avuto come frutto solo la demolizione dell’esegesi cattolica, fino a mettere in discussione testi che toccano il dogma e dei quali esiste già una interpretazione del Magistero solenne» (monsignor Spadafora, opera citata).

Nello stesso senso vanno le interpretazioni dello spirito della «Dei Verbum», avanzate da altri Gesuiti, che lo definiscono «un grande testo liberatore che non chiude alcuna porta», ma consacra il lavoro considerevole degli esegeti modernisti. Fra di essi Martini, fatto arcivescovo di Milano e cardinale, sostiene che tale testo «non solo toglie ogni possibile dubbio sulla validità dell’uso di questi metodi moderni... indica anche le vie di un ulteriore approfondimento». Quali, se non quelle che favoriscono la «Formgeschichte» e l’equivoco sulla storicità dei Vangeli?

Questi metodi, bocciati nel ‘62, ma voluti dal cardinale Bea, ritornarono vincenti nel Vaticano II con l’Istruzione della P.C.B. (1964). Martini conclude: «Si può dire che in questo capitolo l’odierno movimento biblico ha trovato il suo più alto riconoscimento e la sua magna charta, che gli permetterà di permeare efficacemente e liberamente tutti gli aspetti della vita della Chiesa...». I papiri di Qumran, specialmente il frammento 7Q5, impongono una datazione al Vangelo di Marco precedente all'anno 50 dopo Cristo, vanificando le teorie razionalistiche che ne volevano una datazione tardiva. Gli studi condotti da padre José O’Callaghan dal 1972, che portarono alla scoperta che riguarda quel frammento, furono perciò ostinatamente censurati dai capi del Vaticano II. «La scoperta tenuta nascosta da Paolo VI per consiglio del cardinale Martini, all’epoca rettore del Pontificio Istituto Biblico, fu segnalata e confermata dal papirologo protestante Carsten Thiede che ebbe l’avallo autorevole e definitivo di esperti di fama mondiali» (Sì sì no no, 15 aprile 95). Gli studi del biblista padre Carmignac, avvalorati da quella scoperta, furono parimenti avversati dai conciliari, anche se con qualche dichiarazione distensiva dello stesso Martini: «Nel frammento 7Q5 sarebbe contenuta un’eccezionale conferma documentaria di ciò che la Chiesa ha insegnato ininterrottamente per diciannove secoli» (30 Giorni, giugno 1991).

Religione della Genesi o genesi delle religioni?

L’intellettuale moderno risolve il «problema della genesi della religione» riferendosi all’uomo primitivo che «in mezzo alle potenze incognite della natura ha dovuto sentire un timore misterioso: e cercando di spiegare i fenomeni che si svolgevano sotto i suoi occhi li ha interpretati alla luce della propria coscienza e personalità...» (Nicola Turchi, «Storia delle religioni», Bocca, 1912). Ora, questo è vero alla stessa stregua che anche l’uomo moderno, di fronte alle incognite, spiega i fenomeni secondo le sue nuove conoscenze. Ma la risposta alla domanda non sta nella spiegazione dell’origine del pensiero religioso, ma nell’essere della Religione rivelata. Se essa è, spiega ogni cosa, è la spiegazione madre; se non è, è inutile spiegarla. Anzi, spiegarla dal punto di vista sociologico, come hanno fatto il Durkheim ed altri, significa fare di un pensiero derivato l’originante, non meno che della collettività la fonte del Vangelo. L’autentico pensiero religioso non si occupa di spiegare l’uomo all’uomo, ma di scrutare la Parola che lo spiega perché lo trascende. Comunque, quel primitivo è più logico dell’intellettuale moderno, perché riconosce la necessità di una causa: non conosce la causa di un evento, ma sa che ogni evento ha una causa, e che c’è la prima Causa di tutto. E’ una questione di buonsenso e di ordine: la Religione o viene da Dio all’uomo, o non è. La Genesi o precede tutto o è solo un errore semantico. Se è l’uomo a escogitare una sua religione, essa non ha niente di divino, ma è una speculazione soggettiva. Una dottrina che si rifà a una fede modernista, di evoluzione rompe con la visione cristiana del Vangelo. Ma sembra che un sorprendente umanitarismo si presentò nella Chiesa riguardo alla Parola divina: l’aggiornamento conciliare accogliendo le idee improntate all’utopica evoluzione della coscienza che, divenuta matura, si libererebbe dall’ordine dell’Essere, ha di mira, si dice, la civiltà dell’amore. Per esso l’uomo è il centro di tutto, e la verità, evolvendo con lui, è mutevole come il concetto di bene. Si favoriscono, così, i dubbi e le opinioni che, staccati dall’asse della verità, portano le coscienze a scambiare il vero con il falso. Come si può voler bene senza una salda nozione sul bene umano, che ha per asse la Parola, senza seguire una ferma norma per distinguere il vero e la vera fede? Impossibile. Eppure il Vaticano II e i suoi «buoni pastori», hanno seguito il piano massonico del «bene» nell’unione ecumenista di tutto, vero e falso, per la «pace» che oggi viviamo al prezzo dell’apostasia generale.

Il movimento dei cristiani maggiorenni voleva una nuova interpretazione biblica, secondo la maturazione dei tempi che traspare finalmente nell’articolo che la «spiega».

«Questa dottrina peregrina non può sorprendere se si considera che l’‘Osservatore Romano’, organo ufficioso del Vaticano e, perciò, giornale del Papa, ha pubblicato in prima pagina (3 marzo 1977), nel luogo destinato ai suoi editoriali, un articolo di Raniero Cantalamessa (che ha una posizione importante in Vaticano e nella TV italiana) il quale, inspiegabilmente, non ha avuto nel mondo la ripercussione dovuta alla sua estrema gravità. Tra le incredibili affermazioni dell’articolo c’era quella per cui l’antico criterio di verità obiettiva (verum, est ens) è stata sostituita, con l’avvento dello storicismo, dal verum est factum, sostituito, a sua volta, col passaggio dall’Iluminismo al marxismo e al pensiero tecnologico moderno, dal verum est faciendum, per cui ‘la verità che conta è cosa fare, cioè la praxis’. Coniugando nel tempo passato i verbi menzionati, l’articolista domandava: ‘Se la Tradizione aveva un suo ruolo quando il primato era della verità - e, indirettamente, del passato - che senso potrebbe avere ora che questo primato sia attribuito alla praxis e quindi al futuro?’. E, con una sincerità e un coraggio che dovrebbero servire di lezione agli ingenui o timidi che cercano di ridimensionare ogni eccesso ‘progressista’, da un lato, e tradizionalista, dall’altro, aggiunge: ‘Questa - lo si voglia o no ammettere - è la vera, profonda ragione della crisi della Tradizione nella Chiesa e nella teologia’. E, per non lasciar dubbi circa la scelta della Chiesa postconciliare, diceva, un po’ avanti, che ‘in questa situazione, due sono i pericoli (e le tendenze realmente in atto!)’: ‘Il primo è il rifiuto globale del nuovo principio di verità con la praxis, e il conseguente ritorno nostalgico al concetto di Tradizione come tradizionalismo. E’ il caso di monsignor Lefebvre, ed è significativo che in lui la componente tradizionalista e antiprogressista vada pari passo con la componente antimarxista’. Si noti che il pericolo non sta nel fatto che i cattolici accolgano il nuovo principio di verità, ma che lo rifiutino. D’altronde, essendo significativo che il tradizionalismo di monsignor Lefebvre sia accompagnato dal suo antimarxismo, proprio perché lui non accetta il nuovo criterio di verità, segue che per quanti lo accettano, come è il caso di chi segue l’‘ortodossia’ postconciliare, non c’è più posto per l’antimarxismo» (Lenildo Tabosa Pessoa, prologo del libro «Monsignor Marcel Lefebvre: Rebelde ou Católico?» del magistrato Ricardo Henry M. Dip, O Expresso, S. Paulo, 1977).
Vediamo come avveniva il velato processo di modifica del concetto di verità.

«L’articolo dell’‘Osservatore Romano’ cita come problema che si trascina senza mai essere stato risolto quello di sapere se esiste qualche verità o istituzione veramente apostolica che non si trovi in qualche modo testimoniata nella Sacra Scrittura ma soltanto nella Tradizione, domandandosi: ‘Se esiste, qual’è tale verità o istituzione? (Domanda, questa, a cui mai si può dare una risposta convincente, neanche nel periodo in cui si trattò delle due fonti della Rivelazione). E se no, cosa trasmette in concreto la Tradizione? Considero molto persuasiva la spiegazione teologica (ma avverto che si tratta proprio di una spiegazione teologica) che si fa strada e che il Vaticano II, lasciando cadere la formula delle due fonti della Rivelazione (‘Dei Verbum’, 9), ha reso per lo meno possibile, e che si può così formulare: il primo oggetto della Tradizione è l’interpretazione della stessa Scrittura. La Tradizione, in altre parole, non sarebbe altro che la Scrittura letta dalla Chiesa e nella Chiesa, o, se si vuole, è l’interpretazione autentica e sempre in progresso della parola di Dio, che la Chiesa ha ricevuto dagli apostoli e che continua a sviluppare sotto l’azione dello Spirito Santo. Come il Magistero essa è perciò in funzione e a servizio della Parola di Dio (confronta ‘Dei Verbum’  10)» (opera citata).

Non si capisce però, in questo caso, come la Tradizione orale, che precede cronologicamente quella scritta, possa leggere quanto non era ancora scritto. Potrebbe la lettura precedere la scrittura? Tale inversione logica riferita alla Rivelazione significa ritenere che l’umano precede il divino. Ecco che alterando l’ordine cronologico che segue la Rivelazione, cioè parificando per poi invertire la sequenza Tradizione-Scrittura-Magistero, direzione propria della verità che procede da Dio verso l’uomo, si rompe l’ordine gerarchico dell’affidamento della Parola divina e si apre una breccia inimmaginabile nella sua interpretazione. Il risultato è la pretesa che un magistero moderno possa rileggere la Sacra Scrittura, e che la sua esegesi possa essere normativa della Tradizione apostolica, che è lo stesso registro di quanto ci fu insegnato dal Verbo divino. Tale inversione nel senso teandrico della Parola rende possibile ogni falsificazione religiosa, che si dichiarerà comunque «a servizio della Parola di Dio». Ecco l’inizio del magistero pastorale che rilegge pietosamente la Tradizione alla luce dei bisogni dei tempi. Esso raggiunge oggi il suo clímax ripetendo frasi pietose che celano il suo veleno e ne aiutano la diffusione. Vediamo il processo seguito.

(«Dei Verbum», 19)

«La Santa Madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e costanza massima, che i quattro suindicati Vangeli, di cui afferma senza alcuna esitazione la storicità, trasmettano fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza,  fino al giorno in cui fu assunto in cielo. Gli Apostoli poi, dopo l’ascensione del Signore, trasmisero ai loro ascoltatori ciò che Egli aveva detto e fatto, con quella più completa intelligenza, di cui essi ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dallo Spirito di verità, godevano. E gli autori sacri scrissero i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte che erano tramandate a voce o anche in iscritto, alcune altre sintetizzando, altre spiegando con riguardo alla situazione delle chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferire su Gesù con sincerità e verità (confronta Istruzione Sancta Mater Ecclesia a Pontificio Consilio Studiis Bibliorum... P.C.B. del ‘64). Essi, infatti, attingendo sia ai propri ricordi sia alla testimonianza di coloro, i quali, ‘fin dal principio furono testimoni oculari e Ministri della parola’, scrissero con l’intenzione di farci conoscere la ‘verità’ delle cose sulle quali siamo stati istruiti... secondo ‘la situazione delle chiese’» (!)

Il testo suscitò reazioni negative tra i padri poiché la sincerità denota solo l’assenza di dolo in una narrazione che, di per sé, potrebbe essere perfino fantastica. Inoltre, si ripete anche qui l’idea di far passare, inavvertitamente nel testo della «Dei Verbum» ed effettivamente nella sua applicazione, il limite dell’inerranza e dell’ispirazione delle Scritture Sacre, nonostante la riaffermazione della loro storicità, alle sole «verità salvifiche». Ebbene, l’interpretazione di quanto voluto dalla «Dei Verbum»  lo dà un editoriale dell’autorevole (in materia conciliare) «Civiltà Cattolica» (4 gennaio 1986): «Per ‘verità’ la ‘Dei Verbum’ intende non la verità solo astratta, ma la verità concreta nel senso biblico. Per la "Dei Verbum", quindi, la ‘verità’ è la rivelazione concreta e salvifica (...). Possono esserci dunque inesattezze (!) storiche, geografiche e scientifiche nella Bibbia (...) esse rivelano solo il limite degli autori ‘umani’, di cui Dio si è servito per trasmetterci la verità che salva». «L’ignoranza della Scrittura è ignoranza di Cristo» (San Girolamo).

Una nuova interpretazione delle Sacre Scritture?

Essendo la dottrina cattolica sull’interpretazione biblica fondata sulla sua divina ispirazione, assoluta inerranza e storicità dei quattro Evangeli, l’interpretazione della Chiesa dimostra la sua autenticità proprio nella concordanza e continuità dei testi magisteriali, la cui autorità è quella del Pontefice Romano, depositario della Tradizione divina, e giudice definitivo della sua interpretazione in ogni tempo. Perciò il Papa è come se fosse sempre la stessa persona, con la stessa parola. E per converso, una nuova interpretazione della Parola può solo provenire da «un altro». Consideriamo alcuni esempi dell’esegesi «conciliare». Cosa significa per essa la verità dogmatica della discesa dell’anima di Gesù Cristo agli inferi, il Limbo dei giusti vissuti prima della Sua venuta? «Una rappresentazione metaforica della potenza dello spirito di Cristo che andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione».

La nuova interpretazione evangelica è chiarita dal seguito di questa esegesi di Giovanni Paolo II (11 gennaio 89): «Pur nella sua oscurità, il testo petrino (1 Pt 3, 19) conferma gli altri quanto alla concezione della ‘discesa agli inferi’ come adempimento fino alla pienezza del messaggio evangelico della salvezza. E’ Cristo che, deposto nel sepolcro quanto al corpo, ma glorificato nella sua anima ammessa alla pienezza della visione beatifica di Dio, comunica il suo stato di beatitudine a tutti i giusti di cui, quanto al corpo, condivide lo stato di morte».

Ecco quale sarebbe la missione che il Messia di cui «i testi tentano di farne una rappresentazione accessibile a chi è abituato a ragionare e a parlare in metafore temporali e spaziali, ma immensamente vasto nel suo significato reale di estensione dell’opera redentrice a tutti gli uomini di tutti i tempi e luoghi»... la redenzione universale di Giovanni Paolo II.

Il Catechismo di San Pio V spiega come di deve intendere gli inferi e ammonisce: «Esso non sta nel sepolcro, come alcuni, non meno empiamente che ignorantemente, interpretarono». L’esegesi di Giovanni Paolo II contraria all’esistenza del limbo, sul primo significato delle parole «discese agli inferi» dice: «E’ una conferma che la sua fu una morte reale e non solo apparente. La sua anima, separata dal corpo, era glorificata in Dio, ma il corpo giaceva nel sepolcro allo stato di cadavere» (!).

Dice Romano Amerio sulla crisi del Vaticano II (vedi Si sì, no no, «Dislocazione della funzione magisteriale nella teologia», 30 aprile 1996).): «Ha una parte rilevante quel tentativo fatto di spartire tra il Papa e i Vescovi il Magistero infallibile. Nel suo complesso, il movimento antipapale è riuscito, nonostante la ‘Nota praevia’, perché questo spirito antipapale, antiromano, anti autoritario oggi è ben diffuso. Anche i cristiani sono convinti che l’infallibilità si debba interpretare in un modo nuovo. (…) Lo stesso Giovanni Paolo Il fa delle dichiarazioni antipapali: ‘Ascolto la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del Primato - egli scrive nella Ut unum sint, al §95 - che, pur non rinunciando in alcun modo all’essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova’. Che è come dire: E’ irrinunciabile, ma non è irrinunciabile. E’ un principio assoluto, ma non è un principio assoluto. L’infallibilità del Papa è una rupe immota, ‘però’... Quando dici ‘però’ hai già operato il cedimento... L’eretico si spiega, come ogni parola, con l’etimologia. ‘Eresia’ è un vocabolo di origine greca, che viene dal verbo airumai, che vuol dire ‘prendo’, ‘scelgo’. L’eresia è una ‘elezione’ delle cose da credere (secondo una propria interpretazione). Questa elezione vien fatta in base al criterio individuale, mentre gli articoli di fede, tutti, si devono credere perché rivelati e basta. La funzione della teologia è di chiarire, di articolare bene quello che crediamo. Se noi crediamo, per esempio, l’Immacolata Concezione, la teologia deve chiarire il concetto di ‘immacolata’, deve chiarire il concetto di ‘concezione’, deve quindi dare una moltitudine di chiarimenti su tutte le parti del dogma perché il dogma sia svelato nella sua interezza e nella sua profondità. All’opposto, i teologi innovatori, quelli della nuova evangelizzazione, si fondano sul principio che quello che crediamo deve essere intelligibile, deve essere razionale e, per cercare questo elemento di intelligibilità, negano la sostanza della fede: infatti, se tu credi di intendere qualcosa del dogma dell’Immacolata Concezione, sei eretico. Vuoi intendere qualcosa che, essendo per natura sovraintelligibile, non può essere inteso. Se tu pretendi di intenderlo, se tu pretendi di risolverlo nella tua razionalità, sei eretico: neghi l’ordine soprannaturale, neghi l’ordine della fede. La contraddizione è una cosa profonda, anzi è uno dei princìpi primi, ed è la cosa più profonda dell’essere perché è con l’essere nella più stretta relazione. Se l’essere è profondo, cioè è un principio primo, la sua contraddizione, la sua contrarietà, è parimenti profonda, è alla pari primo. Quando siamo in questo ordine di riflessione siamo nel più profondo: non si può andare oltre. Quindi, della contraddizione bisognerebbe averne riguardo, timore, spavento. Oggi invece la contraddizione non terrorizza: le andiamo incontro, la accogliamo, la abbracciamo: tutto è nel tutt’altro e i non cattolici sono cattolici. ‘Sant’Agostino distingue nell’atto di fede tre concetti: ‘Credere Deo, credere Deum, credere in Deum’. Riguardo a questi tre aspetti dell’atto di fede cristiano, come si pongono oggi i teologi che fanno opinione? Mi pare che il concetto che svanisce è il concetto di Dio come cosa creduta, ‘credere Deum’, cioè si dissolve Dio come materia di fede. Invece ‘credere in Dio’, cioè affidarsi con un moto dello spirito alla volontà di Dio, è una cosa che anche i teologi moderni sostengono; sopravvive qui l’aspetto fiduciario della fede, quello più affine al concetto di fede che hanno i luterani, per cui ‘si procede verso Dio credendo’, come dice San Tommaso nella Summa (ST, II-II, q.2, a.2) e ‘della fede si fa carico la carità’. Ma se non credo Dio, meno credo a Dio. Infatti, se non credo all’esistenza di Dio così come è enunciata nel Simbolo Niceno-Costantinopolitano, come crederò mai alla forza della sua Autorità? Se si dubita dell’esistenza provvidente dell’Autorità non si potrà credere certo che le Scritture abbiano in essa origine, e difatti oggi le Scritture sono lette come un genere letterario analogo a quello delle tradizioni islamiche, induiste. giudaiche: sono una tradizione umana. Casomai, Dio non è la loro causa ma il loro frutto, la loro conseguenza. Ma tutti i teologi credono quello che credono solo in forza di ciò che i loro ragionamenti e le loro opinioni autorizzano a credere: tutta l'autorità sta lì. Non è l’Autorità soprannaturale che si disvela e che porta a credere al di là della ragione, ma è un’autorità ragionevole, ponderata, scientificamente dimostrabile. C’è una questione, nella Summa di San Tommaso (ST, II-II, q.5, a.3) che domanda se un eretico, rinnegando un articolo di fede, possa avere una fede informe sugli altri articoli. La risposta è sulla negativa, perché gli articoli di fede si credono perché rivelati da Dio e l’uomo non può discernere articolo da articolo, e un articolo respingere accettando invece gli altri perché, così facendo, ha già rinnegato il principio della fede: tutti gli articoli di fede si credono ‘perché sono rivelati’. Se tu ne escludi uno intendi che quell’uno non sia rivelato e offendi il principio generale della fede, che non è in te, ma che è fuori di te. San Tommaso insegna tante volte che la causa formale della fede è proprio la veracità di Dio. Oggi l’uomo vuole credere solo ciò che riesce a capire: qui la fede mette le radici nell’uomo e le toglie da dove devono stare, in Dio, in Cristo Gesù, nel Verbo rivelatore, come ricorda 1’Apostolo: ‘Non tu porti la radice, ma la radice porta te’ (Rm 11, 18). Il significato dell’atto di fede viene generalmente trascurato. Il ‘credere’ sembra un atteggiamento psicologico arbitrario. Invece, il ‘credere’ suppone l’immolazione del principio supremo dell’uomo: un sacrificio più alto non possiamo farlo, perché sacrificare il senso è certo una cosa che ha valore, ma sacrificare l’intelletto, che è la parte suprema dell’uomo, questa è un’azione quasi incredibile: può compierla solo la forza della Grazia».

Fin qui la lezione di Romano Amerio, ma resta la domanda: dislocazione o inversione? Ora, essendo il Magistero papale rap-presentativo dell’Autorità divina una sua dislocazione verso i vescovi o teologi o verso le coscienze, ha una sola direzione: verso l’uomo nel senso antiteandrico. Perché uno diventa vanaglorioso e desidera spiccare? Bisognerebbe risalire al diavolo. San Gregorio Magno così concludeva: «Dalla vanagloria nascono le stravaganze dei novatori»; e San Tommaso ricorda due volte questa sentenza di San Gregorio proprio - nelle questioni riguardanti l’incredulità (ST, II-II, q.10, a.1). Il Peccato originale condiziona tutta la storia umana, è la matrice di ogni ribellione personale e rivoluzione sociale. Così ci insegna la Rivelazione. L’abbiamo visto nel campo del pensiero. Col negarlo o sminuirne la realtà, si riduce la storia ad una sequenza di fatti incomprensibili. Nei tempi moderni, la sostituzione dell’ideale di uomo nuovo cristiano, modello della società tradizionale fondata sui princìpi della Chiesa, con l’uomo nuovo della Rivoluzione ha provocato nella vita terrena una crisi crescente che ha coinvolto non solo tutto l’ordine sociale, ma anche la Chiesa militante. Per capire gli eventi della storia moderna, e quelli contemporanei, si deve riconoscere la portata dell’influenza religiosa nella politica. Misconoscere che in questo intreccio risiede il fulcro delle grandi crisi, conduce all’impossibilità di difendersi da inganni religiosi e da conseguenti imbrogli politici e rivoluzionari. Si pensi soltanto alle attuali teologie di liberazione. Oppure, risalendo nella storia, alla falsa riforma che ha portato alla rivoluzione illuministica, che a sua volta a prodotto la rivoluzione sovietica. Tutte, alla prova dei fatti, si sono rivelate il risultato di quello che volevano negare, l’umano degrado, e il contrario di quanto volevano dimostrare, l’evoluzione della coscienza nella direzione del bene. E il Peccato originale si manifesta specialmente nell’avversione alla Parola.

La voce del Pastore è sempre riconoscibile dal gregge. Nel Vangelo è impiegata la parola voce in modo ricorrente. La voce che si fa sentire dal cielo nel battesimo di Gesù, dalla nuvola nella Sua trasfigurazione; la voce del Pastore, dello Sposo, in mezzo alla folla; la voce forte come una tromba, come lo strepito di molte acque dell’Apocalisse. «Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce» (Giovanni 18, 37); ma, «nessuno udrà la voce del mio servo» (Matteo 12,19). Siccome il rapporto di autorità, che implica obbedienza tra esseri intelligenti, si esercita attraverso un linguaggio intelligibile, questa voce deve echeggiare distintamente come la Voce rivelata. Ora, la voce dei profeti conciliari, simile a una qualsiasi voce del mondo, oltre ad essere dissonante riguardo al linguaggio magisteriale, suona equivoca, se non contraddittoria, riguardo alla dottrina. Nuova esegesi = nuova fede: il motivo della fede è «credere ciò che è stato detto da Dio». Nella sua Parola è il bene e niente è peggio che pretendere che siano le coscienze a giudicare autonomamente sul bene e sul male, scambiandoli vicendevolmente. E dalla rivoluzione delle coscienze si sviluppa la paurosa scalata della ribellione originale. Essa portò alla crocifissione di Gesù, e oggi della Sua Chiesa.

Conclusione

La costituzione «Dei Verbum» e anche il decreto «Ad gentes» rappresentano strumenti di lavoro per introdurre nell’esegesi cattolica una nuova dottrina che sarebbe una nuova fede arricchita da una nuova Pentecoste. Essa deriverebbe dalla comprensione «matura» delle Scritture secondo i «bisogni» dei nostri tempi. Ecco che la fede nel Dio creatore è una rivelazione comune a tutte le religioni e «l’autorivelazione» della Santissima Trinità sarebbe un atto salvifico di per sé nel rivelare la dignità divina dell’uomo, di tutta l’umanità, che lo sappia o no, che è il popolo divino a cui Dio si è unito per sempre con l’Incarnazione del Figlio. La missione della Chiesa cattolica a questo punto non è altra che di suscitare la coscienza universale di questa verità che deve unire tutti gli uomini e religioni. A questo punto l’esegesi cattolica va velatamente reinterpretata.

La ragione della Croce?

Far conoscere l’infinità bontà di Dio. La Rivelazione trasmessa da Gesù? Si riassume nella rivelazione di Gesù, che incarnatosi uomo rivela che l’uomo è incarnazione divina. La «Dei Verbum» (9) ha aperto la via del dubbio sulle due fonti della Rivelazione. La Tradizione come Scrittura letta dalla Chiesa, che si sviluppa secondo i tempi per l’azione dello Spirito Santo, rientra nell’idea descritta da questo articolo e finisce inevitabilmente asservita alla praxis. Siamo al contrario della Tradizione perenne, perciò di Chiesa eterna, perciò di autorità infallibile. Tale maggior età non è altro che l’emancipazione dalla verità e da Dio stesso. C’è posto per la Tradizione in queste idee? Certamente no, ma a questo punto nemmeno per un’autorità fondata sulla verità rivelata. Secondo lo spirito della «Dei Verbum», l’autorità di analisti biblici può
decodificare verità simboliche da quelle salvifiche, da sovrapporre al Magistero che dichiarò l’inerranza delle Scritture. Abbiamo verificato qui che lo spirito con cui fu redatta la «Dei Verbum» era quello dell’eresia della «nuova esegesi», che nega le verità fondamentali dell’esegesi cattolica, condannata nel decreto «Lamentabili» di San Pio X, 9: «Coloro che credono veramente che Dio è l’autore delle Scritture Sacre, mostrano di essere molto ingenui o ignoranti»; 11: «L’ispirazione divina non si estende a tutta la Sacra Scrittura in modo che tutte e singole le sue parti siano immuni da qualche errore». I veri esegeti cattolici, naturalmente antimodernisti, con un arduo impegno sono riusciti ad evitare che nella «Dei Verbum» fossero introdotte eresie esplicite. La loro lotta è continuata nel postconcilio, sia direttamente contro le eresie contrarie all’esegesi cattolica, aventi ormai libero corso, sia contro chi interpretava la «Dei Verbum» in senso eretico. Ma c’è, in ciò, un errore di metodo. Quando si è nel campo dell’eresia, mascherata nella formulazione ma palese nell’applicazione, una distinzione è d’obbligo. Nel «nuovo catechismo» fu inserito, insieme alla parola veritatem, l’aggettivo salutarem: «la Sacra Scrittura insegna - con certezza, fedelmente e senza errore la verità salutare, salvifica».

Se tale frase intende che la Sacra Scrittura insegna solo la verità riguardo al dogma e alla morale, è eretica. Di conseguenza, il documento da cui essa ha origine, la «Dei Verbum», inteso in questo modo, favorisce l’eresia. E’ inutile nascondere che questo nuovo modo di intendere è quello ufficialmente dimostrato dai vertici del Vaticano. Ecco che lo iato tra esegesi infallibile e metodi storici, tra dogma ed analisi critica, tra autorità della Chiesa ed esegeti conciliari è della stessa portata di quello esistente tra verità ed eresia. Questi metodi, dubitando anche della storicità degli Evangeli, aprono la strada a qualsiasi riscrittura della storia dell’umanità e della Chiesa, obiettivo già raggiunto dai capi del Vaticano II. Eppure è prevaricatorio far ciò nel nome del Signore. Dio suscitò la Fede che può unire gli uomini nel bene; lo spirito conciliare suscitò il «bene» dell’unione in qualsiasi fede. La causa generale della decadenza presente è che questo spirito del mondo è riuscito a far sì che uomini di Chiesa rivedessero la Parola divina per pronunciare tale vaga religiosità, secondo la libertà di ciascuno, come «bene» umano.

Il pensiero cattolico può solo seguire la parola che viene dal Signore: «Finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure uno iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto»; e alla chiusura dei libri della Rivelazione: «A chi vi aggiungerà alcunché, Dio gli farà cadere addosso i flagelli descritti in questo libro; e chi toglierà qualcosa alle parole di questo libro profetico, Dio toglierà la sua parte all’albero della vita e alla città santa, descritti in questo libro» (Apl  22,18-19). Parola di Dio.

Arai Daniele



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