Bibbia Martini-Sales: termine dei lavori
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Con l’odierna pubblicazione del IV volume tratto dall’antico Testamento, portiamo a termine il rifacimento della Bibbia Martini-Sales-Girotti, —lavoro di ristampa che avevamo iniziato nel 2015 all’atto della pubblicazione del vangelo di San Matteo.

Come avevamo promesso ai lettori, che fiduciosamente attendevamo questa data, 6 anni dopo, pressoché esatti (luglio 2015-luglio 2021), riusciamo nel compito di ripresentare tutti i volumi di cui l’opera è composta (7 voll. per l’Antico Testamento e 7 per il Nuovo, per un totale di 14 libri a singola copertina).

Siamo un po’ più vecchi di quando avevamo cominciato. “Se potremo”, scrivevamo nel 2015, “nulla ci vieterà di tentare il recupero perlomeno dei libri più importanti del Vecchio Testamento commentati da Sales. Ma questo a Dio piacendo”. Nulla ce lo ha vietato, e a Dio è piaciuto di concederci questo tempo. Dunque abbiamo operato al meglio delle nostre possibilità.

L’opera è compiuta; nondimeno dobbiamo ricordare che alla Bibbia Martini-Sales effettivamente manca la parte riguardante i profeti minori e il periodo storico dei Maccabei. Su questo punto nulla potevamo fare per ovviare al “difetto”.

Padre Sales, difatti, moriva a Sommariva Bosco il 7 giugno 1936 dopo aver speso la sua vita nel servizio della Verità, sia in veste di Maestro di teologia insegnando presso la Facoltà Teologica di Friburgo (dal 1912 al 1925), sia come Maestro del Sacro Palazzo Apostolico (1925), ufficio nel quale svolse l’intensissima attività di Consultore delle 12 Congregazioni romane. Un impegno tanto eminente quanto soverchiante, e proprio questa nomina gli impedì di continuare con costanza il commento alla sacra scrittura, che perdurava quasi ininterrottamente sin dal 1911. Il penultimo libro commentato da padre Sales è il volume IV (che oggi presentiamo), con imprimatur del giugno 1925. Quindi Sales per 10 anni svolse l’attività nel disbrigo delle faccende ecclesiastiche romane, interrompendo i lavori di commento per poi riprenderli soltanto nel 1935 poco prima di morire, con il commento ai Salmi (V volume). Mancavano ancora, oltre ai profeti minori e ai Maccabei, anche due libri di grande importanza come i Sapienziali e il commento ad Isaia.

Lopera biblica del compianto Padre Marco Sales o.p., – scrive p. Girotti nella introduzione ai Sapienziali – unicamente interrotta per la morte prematura del grande teologo ed esegeta, imponeva che un suo confratello la portasse a termine”. Padre Girotti o. p., incaricato dai superiori dell’ordine domenicano, continua l’opera del Sales e nel 1938 pubblica il suo “primo lavoruccio” dedicandolo al ricordo della madre morta due anni prima; è il commento ai Sapienziali, uno dei testi più importanti e difficili di tutta la sacra Scrittura. La Martini-Sales, in padre Girotti, aveva ritrovato un fenomenale e giovane successore (qui la sua vita e formazione).

Purtroppo, dopo soli 3 anni, all’atto di pubblicare il secondo commento (Isaia, 1941, VII volume), nell’introduzione, quasi presagendo il suo imminente futuro, scrive: “Questo volume [Isaia, nde] esce di mezzo alle molteplici e gravi tribolazioni con le quali il Signore ha voluto visitarci: solo per la sua misericordiosissima bontà e per lefficacissima intercessione della Vergine Santissima, Consolatrice degli afflitti, si è potuto condurre a termine lopera che ora presentiamo al pubblico, continuando il commento alla Sacra Scrittura del Rev.mo P. M. Sales”.

Padre Girotti, dopo molte tribolazioni (denunce, arresto e deportazione in Germania) morì nel 1943 in campo di internamento, insieme ad altri religiosi e sacerdoti.

Come a Giobbe, Dio volle dare al santo domenicano l’occasione per dimostrare il suo eroismo cristiano. Oggi Padre Girotti è un beato della Chiesa ed a lui possiamo rivolgere preghiere di intercessione. Ogni qual volta rileggiamo la sua introduzione al libro di Isaia, che è una sorta di lettera-testamento, si viene facilmente colti da un sentimento di commozione. Inoltre egli ci ha lasciato due capolavori come il commento ai libri di Isaia ed ai Sapienziali, magnificamente annotati.

Dio, così, aveva decretato o permesso che l’opera di commento alla Bibbia, condotta tanto bene dai padri Sales e Girotti, non potesse proseguire oltre.

Certamente, per questa collezione, è una grande mancanza non poter disporre di volumi quali Geremia con Lamentazioni, Baruc, Lettera di Geremia, Ezechiele, Daniele, 12 profeti minori (Osea, Amos, Gioele, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia) e i 2 libri dei Maccabei. In Effedieffe, nell’accingerci alla ripubblicazione dell’opera, la quale uscì solamente in prima edizione e non era stata mai più ristampata, eravamo consci di questa mancanza; ma abbiamo ritenuto che i 14 libri esistenti meritassero di per sé ogni considerazione. Pertanto valeva la pena di affrontare questa maratona, e per il lettore di avere a disposizione l’opera anche se incompleta, opera che senza artifici è possibile definire preziosissima.

ULTIMA PARTE
 
Esdra e Neemia, Tobia, Giuditta, Ester (libri storici) e Giobbe (I° dei Libri didattici): i capolavori letterari dellantichità

In questo IV volume è contenuto il più grande insegnamento pedagogico, teologico e morale: Il tempo della vita presente non è tempo di pace e di riposo, ma tempo di servizio, di fatiche, di prove e di pericoli, durante il quale bisogna conservare inalterata la fede in Dio, ancor quando non si abbia più nulla da sperare sopra questa terra, e non cessare di ricorrere a Lui senza servirlo solamente per i benefizi che esso sempre elargisce, ma perché lo sia ama con tutto il cuore.

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I Libri di Esdra e Neemia (I Esdra e II Esdra, pag. 25-100) non formano che un’opera unica e narrano il ritorno in Palestina del popolo ebraico dopo la cattività babilonese. Dio si servì di capi civili come Zorobabel e Nehemia, e di uno scriba sacerdote come Esdra, per riformare il popolo e il clero, dimentichi della loro vocazione.

I due libri di Esdra, secondo la più probabile cronologia seguita dal Sales, abbraccerebbero lo spazio di quasi un secolo e mezzo (538 a. C. Editto di Ciro ~ 398 a. C. grande missione di Esdra). La prima missione di Nehemia sarebbe avvenuta nell’anno 445 a. C. e la seconda nel 426, mentre la grande missione di Esdra non avrebbe avuto luogo che nel 398. Esdra, che aveva accompagnato Nehemia nella missione del 445, doveva essere avanzato in età quando, l’anno settimo di Artaserse II (398), fu nominato governatore della Palestina.

Di fatto la Palestina non era più che una provincia dell’impero persiano soggetta ad ogni sorta di tributi. Gli Ebrei non vollero servire Dio e così diventarono servi dei re di Persia, e benché a partire dall’editto di Ciro fossero tornati nella Palestina in fasi successive, vi godevano poca maggior libertà che nei paesi dove erano stati deportati. Se la Giudea, per il ritorno degli Ebrei, è di nuovo diventata fertile, chi ne gode però sono i re di Persia, ai quali gli Ebrei dovevano versare enormi contribuzioni in natura e in denaro.

Nehemia, munito di pieni poteri conferitigli direttamente dal re Dario, arriva a Gerusalemme, riedifica le mura, e compie coll’aiuto di Esdra la sua missione della durata di dodici anni (445-433) (Nehemia, I, 1-XIII, 5). Poi, passata una generazione, l’anno settimo del regno di Artaserse (398) Esdra, a capo di una nuova carovana, ritorna a Gerusalemme con l’autorità di governatore, e compie la sua di missione (Esdr. VII, 1-X-24).

Nehemia ed Esdra, insieme, non riuscirono a far tornare in Palestina che una piccola parte dei Giudei, poiché molti tra loro preferirono restare nella diaspora, in terra babilonese, dove si erano proficuamente installati; nondimeno, anche grazie all’esempio di Zorobabel (il quale rinnova l’altare e fa riprendere i sacrifizi), avvenne una grande opera di restaurazione religiosa e morale. Nehemia iniziò la grande opera, Esdra la condusse a termine. L’uno e l’altro, in tutte le circostanze, si mostrarono pieni di zelo, di coraggio e di disinteresse per la gloria di Dio e per il bene del suo popolo, e meritarono così di essere annoverati tra i grandi personaggi del Giudaismo.

Le riforme di Nehemia e di Esdra mostrano chiaro che il Giudaismo da loro ri-fondato ebbe soprattutto un carattere religioso. Le sue leggi fondamentali si riassumono a) nell’allontanamento da ogni straniero e b) nella pratica rigida delle prescrizioni mosaiche. Purtroppo il sacerdozio, durante il tempo della restaurazione, lasciò molto a desiderare, come si ricava anche dagli scritti dei profeti, e quindi non ebbe quella parte che gli sarebbe spettata nella rinnovazione religiosa d’Israele.

La parte storica avviata con i libri dei Paralipomeni, e della restaurazione avviata da Esdra e da Nehemia, si conclude con una breve ricapitolazione delle opere che i due grandi riformatori poterono compiere nella Giudea (riforma degli abusi nelle unioni coi pagani, nella santificazione del sabato e nei matrimoni con le donne cananee).

Il testo prosegue con il libro di Tobia (pagg. 103-141), con il quale fa il suo ingresso il difficile problema del dolore e della sofferenza, che però in Tobia va sempre di pari passo con la fede nella futura resurrezione e ricompensa nell’al di là. Gli antichi Ebrei, difatti, ammettevano l’immortalità dell’anima. Negli scritti anteriori dell’A. T. le anime discendono al sheol, quasi l’ade dei pagani, ma le allusioni alla vita futura e alla ricompensa celeste vanno sempre più moltiplicandosi proprio a partire dal libro di Tobia, in Daniele, nella Sapienza, ecc., fino a raggiungere la più grande precisione e chiarezza nel Nuovo Testamento quando la Verità assume la natura umana.

I dolori, le tribolazioni – ci insegna Tobia – sono ordinati da Dio affinché i giusti abbiano occasione di esercitare le varie virtù e così acquistarsi nuovi meriti e purificarsi dalle loro imperfezioni, ecc. Talvolta Dio ricompensa i giusti anche su questa terra, come fece con Giobbe, Tobia, ecc., ma sempre darà loro il premio nella vita futura (Ved. Matt. XVI, 24 e ss.; Att. XIV, 21; Ebr. XI, 6, 8; XII, 6; II Tim. III, 12; Giac. I, 2 e ss.).

S. Tommaso (S. Th., II-II, 108, 4) spiega che una pena può essere considerata come medicina non solo per guarire dai peccati già commessi, ma per preservare dai peccati futuri, e per spingere al bene. E sotto quest’aspetto uno può essere castigato anche senza colpa: però non senza una causa. — Si deve però notare che una medicina non priva mai di un bene maggiore, dice l’Angelico, per procurarne uno minore: un medico, p. es., non accecherà mai un occhio per sanare un calcagno; tuttavia egli potrà infliggere un danno in cose secondarie per soccorrere quelle principali. E poiché i beni spirituali sono i beni supremi, mentre quelli temporali sono tanto piccoli, talora uno viene castigato nei beni temporali senza alcuna colpa, ed è così che Dio infligge molte penalità nella vita presente come prove e umiliazioni: nessuno invece viene mai punito nei beni spirituali, sia nel tempo presente che nella vita futura, senza sua colpa; poiché codeste punizioni non sono medicinali, ma accompagnano la dannazione dell’anima.

È molto importante ed istruttivo, anche in vista del Nuovo Testamento, conoscere la vita e virtù praticate dai grandi patriarchi. Difatti i santi Patriarchi non praticavano i sacramenti della Legge come realtà assolute, ma come immagini e ombre delle cose future. Spiega ancora San Tommaso (Summa Th., III, q. 8 a. 3 ad 3) che identico è il moto verso limmagine in quanto tale e verso la realtà (che essa rappresenta). Perciò anche gli antichi Patriarchi, praticando i sacramenti della Legge, andavano verso Cristo con quella medesima fede e carità con la quale andiamo anche noi. E così i Patriarchi appartenevano al medesimo corpo della Chiesa a cui apparteniamo noi.

Nel libro di Tobia, — la cui datazione narrativa è collocabile ai tempi della deportazione degli Israeliti nell’Assiria (a partire dal 721 a. C. con la distruzione di Samaria) — abbiamo un compendio della più santa e perfetta morale, giustamente ammirato da tutti i Padri. I dolori, le tribolazioni sono ordinati da Dio, affinché i giusti abbiano occasione di esercitare le varie virtù, e così acquistarsi nuovi meriti e purificarsi dalle loro imperfezioni. Il grande patriarca ritiene per certo che Dio, attraverso le tribolazioni della vita presente, miri a renderci degni della vita futura.

Tobia inoltre è anche profeta, il quale “vede” quel che Nabucodonosor farà a Gerusalemme e al tempio (586 a. C.) e vede la restaurazione che seguirà con Zorobabele, Nehemia e Esdra (445 ~ 398 a. C.) e nel parla nel libro delle sue memorie.

Passando al libro successivo contenuto nel IV volume, in Giuditta (pagg. 145-191), la cui mano tronca la testa del principe dei nemici (il superbo Holoferne), intravediamo una splendida figura di Maria SS. la quale schiaccerà il capo del principe delle tenebre nemico dell’umanità.

Nella Messa dellImmacolata (secondo il messale preconciliare), all’atto del Graduale, si prega: Benedicta es tu, Virgo Maria, a Domino Deo excelso, præ omnibus mulieribus super terram. - ℣) Tu gloria Ierusalem, tu lætitia Israël, tu honorificentia populi nostri. Detta preghiera è desunta da Giuditta, capitolo XIII, durante il quale Giuditta tronca la testa ad Holoferne e rientra trionfante in Bethulia presso il popolo.

Benedetto il Signore, che creò il cielo e la terra, e che diresse la tua mano per troncare la testa del principe dei nostri nemici. Egli ha tagliato questa notte per la mia mano la testa di tutti gli increduli — dice Giuditta. Queste parole non si verificarono appieno che in Maria santissima, di cui Giuditta fu figura. La Chiesa applica l’elogio che Giuditta riserva a sé stessa a Maria SS., nella quale meglio ancora che in Giuditta fu pienamente realizzato.

Dio resiste ai superbi, i quali come Holoferne pensano di non aver bisogno di Dio, ma dà la sua grazia agli umili, che riconoscono la loro dipendenza, e non confidano nelle proprie forze. Il popolo confessa umilmente i suoi peccati, che hanno attirato su di lui l’impeto dell’azione conquistatrice ed annientatrice di Nabuchodonosor, re dell’Assiria, e così facendo, umiliandosi sotto la mano di Dio, si rende atto e degno di vincere il nemico. Dio è sempre padre, commenta padre Sales, e il suo cuore si lascia sempre commuovere dalle lacrime dei suoi figli, quando sono frutto di un cuore contrito e umiliato. Crediamo dunque che i flagelli, coi quali siamo castigati quali servi, ci sono mandati per nostra emendazione, e non per nostra rovina. La reazione è però sempre bene accetta da Dio: i Giudei ricorrono alla preghiera, quindi alle armi per resistere. E, come la vita dev’essere sacra per rispettare la sua condizione essenziale, così ci possono essere ragioni sacre che obbligano a prendere le armi in determinate occasioni. Penitenza del peccato e umile confidenza in Dio, ecco le due virtù inculcate da Giuditta.

È possibile affermare che questi due libri di Tobia e di Giuditta siano due capolavori della Storia Antica.

Nel libro di Esther (pagg. 195-242), – la quale da umile condizione è innalzata al trono di Persia e diventa la gloria del suo popolo, e se accettò la dignità di regina lo fece per la gloria di Dio e non per vanità e ambizione – vediamo nuovamente all’opera l’onnipotenza divina: essendo Dio colui che dà l’essere e l’azione a tutte le cose, la sua volontà è efficacissima, e se vuole una cosa questa infallibilmente verrà nel modo e nel tempo da Lui stabilito, anche se sembra impossibile agli occhi dell’uomo.

«Il matrimonio di questa vergine ebrea con un re infedele – scrive mons. Antonio Martini, riportato dal Sales – fu opera della provvidenza divina, la quale volle preparare al suo popolo una tal protezione contro tutti i nemici. I sentimenti di umiltà che noi vedremo in questa donna, la sua fede, e la gelosa attenzione nel custodire la legge del Signore, dimostrano evidentemente che dallo Spirito di Dio ella fu mossa a consentire a un tal matrimonio».

La vicenda della regina Esther e del suo zio Mardocheo viene impiegata giustamente, anche se attraverso una lente di lettura del testo troppo materiale o carnalmente letterale, quale esempio dell’infingardaggine ebraica a contatto con gli usi e costumi del paese ospitante, e, soprattutto, di come la stirpe ebraica sia un pericolo per il potere regnante. Esther è poi generalmente tacciata di crudeltà per aver convinto il re a sterminare gli attentatori del suo popolo; ma è da osservare che i Giudei, sia nella capitale persiana come altrove, non fecero che difendersi, e la regina Esther non chiede che l’autorizzazione di fare quanto era stato fatto il giorno prima ai suoi connazionali, ossia che i Giudei di Susa potessero difendere la loro vita. È certo che Aman, il braccio destro del re che accusato da Esther sarà pubblicamente impalato, aveva macchinato il totale sterminio del popolo eletto per questioni di odio ed invidia nei confronti di Mardocheo, e perciò, secondo la legge del taglione, la vendetta che presero i Giudei col consenso dell’autorità fu giusta, e anche necessaria per la loro sicurezza futura. “Mentre Aman gettava la sua sorte, Dio preparava per i Giudei e per i loro nemici le sorti che gli uni e gli altri meritavano” — conclude Sales (Esther, X, pag. 232).

Anche in questo libro, che il padre Sales contestualizza e di cui difende con prove oggettive la storicità, la salute dei Giudei fu dovuta ad uno speciale intervento di Dio.

Dopo Esdra, Tobia, Giuditta ed Esther, ai libri storici fa seguito un gruppo di sette libri, che trattano principalmente di verità morali, e per questo sono chiamati didattici. Ecco l’ordine con cui sono disposti: 1° Giobbe, 2° i Salmi, 3° i Proverbi, 4° l’Ecclesiaste, 5° il Cantico dei cantici, 6° la Sapienza, 7° l’Ecclesiastico.

Al genere didattico (mashal in ebraico) appartengono i Proverbi di Salomone, l’Ecclesiaste, la Sapienza (in parte), l’Ecclesiastico, parecchi salmi e il Libro di Giobbe — di cui adesso brevemente ci occuperemo. In generale il poeta sacro in questo genere di componimenti “didattici” si indirizza al popolo e specialmente alla gioventù, e sempre sotto l’ispirazione divina propone loro il frutto della sua lunga esperienza delle cose, della sua meditazione sulla legge di Dio, ecc., servendosi delle comparazioni, delle immagini più delicate, dell’osservazione della natura e del creato in generale. Il santo Giobbe, ed il suo autore, sono un perfetto esempio di ciò.

Il libro di Giobbe (pagg. 251-395), che nella Volgata latina è il primo dei libri didattici e poetici, prende il nome dal personaggio principale di cui si tratta. L’autore del libro si propone di sciogliere il difficile problema sul motivo e il fine delle tribolazioni della vita presente, e vuole rispondere alla grave questione: perché mai luomo giusto è talvolta oppresso da tanti mali? Il problema viene posto e risolto non in astratto, ma per mezzo di un caso concreto (la malattia di Giobbe).

Numerosi autori cattolici ritengono che il tempo in cui l’autore (non Giobbe stesso) avrebbe scritto l’opera sia quello di Salomone, dunque anteriormente all’ottavo secolo a. C. Chi ne sia l’autore non è dato saperlo. Il testo, anche solo umanamente parlando, è però uno dei capolavori delle antiche letterature, ed opera di un genio sublime.

Per quanto riguarda l’epoca in cui Giobbe visse, il fatto che nel libro si parli della creazione, della caduta, dei giganti, del diluvio, ma non vi sia alcuna allusione certa agli avvenimenti grandiosi che accompagnarono e seguirono l’uscita degli Ebrei dall’Egitto lascia supporre che il soggetto del racconto sia vissuto prima di Mosè, ovvero in piena epoca patriarcale. Si può quindi ritenere che Giobbe vivesse nell’arco di tempo che va da Esau a Mosè.

Come già osservava S. Tommaso l’opera tende manifestamente alla giustificazione della divina provvidenza lasciando intravedere che le tribolazioni possono essere ordinate a purificare e a perfezionare maggiormente i giusti. Dio, nei suoi arcani disegni, non usa sempre verso i buoni e i cattivi uno stesso trattamento sopra questa terra. Ciò tuttavia non esclude che Dio – e per la sua propria gloria e per il vantaggio degli stessi giusti – voglia che questi soffrano tribolazioni e umiliazioni.

Come spiega bene Bernard Bartmann, “il male fisico non è opposto all’Essere di Dio. Perciò Dio può volerlo; Egli non lo vuole in sé e in quanto male, ma in ragione di un fine più elevato, come mezzo per il bene, per il miglioramento e la punizione dei cattivi” (Lehrbuch der Dogmatik, Friburgo, 1932).

In sostanza, per mezzo del dolore Dio allontana l’uomo dal peccato, gli insegna tutte le virtù, e lo unisce più intimamente a sé.

Giobbe, pur non riuscendo a sciogliere teoricamente il grande problema, ne dà però una soluzione pratica. L’uomo deve sottomettersi a Dio, ed essere persuaso che tutto è regolato dall’infinita sapienza divina, benché egli non riesca a comprendere la ragione dei diversi avvenimenti, e specialmente perché i giusti siano quaggiù spesso tribolati, mentre gli empi sono spesso felici.

Da tutta la discussione si ricava facilmente che le tribolazioni della vita presente sono talvolta punizioni dei peccati commessi, ma talaltra possono essere prove destinate a purificare e a perfezionare le anime. Dio può mandare le tribolazioni affine di purgare e farci progredire nella virtù. Ad ogni modo non appartiene all’uomo giudicare sulle vie della divina provvidenza, ma egli deve umilmente sottomettersi ai divini consigli, che sono sempre pieni di giustizia, di sapienza e di bontà.

Inoltre in Giobbe vi è un verace insegnamento intorno alla natura del diavolo, angelo per natura, ma diventato nemico di Dio, il quale cerca la rovina degli uomini. Il suo potere, però, dipende sempre dalla volontà di Dio. Egli può fare solamente quel che Dio gli permette, e, malgrado la sua malizia, Dio lo fa servire alla realizzazione dei suoi disegni, come mezzo, non come causa finale. Giobbe ben lo sa. Difatti, «non alle cause seconde, non finalmente al demonio attribuisce Giobbe le sue sventure, ma alle disposizioni di Dio, la cui equità e provvidenza egli loda in mezzo ai tanti travagli, come quella che tutto ordina al bene degli eletti» (Martini).

In mezzo ai lamenti crudeli che la grandezza dei mali strappa alla natura, Giobbe conserva inalterata la sua fede in Dio, e non cessa di ricorrere a Lui pur domandandosi (lecitamente) perché la mano onnipotente lo flagelli. Per sentenza comune dei Padri, non vi è dubbio che in queste sofferenze Giobbe fosse una figura di Gesù Cristo, il quale benché innocente (come lo era Giobbe, con le dovute differenze) ebbe tanto a soffrire per la nostra salute e soffrì senza lamentarsi quale prezzo della nostra redenzione.

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Per concludere la presentazione del IV volume, possiamo riassumere che il motivo dominante di questi libri è che tutti gli uomini devono comprendere l’utilità delle prove, dei castighi e delle tentazioni.

È questa una legge generale: la salute si ottiene per la croce, ma la croce va portata con pazienza e rassegnazione. Come lamentava San Pio da Pietrelcina: “Quasi tutti vengono per farsi levare di dosso le croci, pochi per farsi aiutare a portarle”.

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Terminata la lunga opera di ripubblicazione, possiamo dire che la Bibbia è un libro fatto per tutti, il cibo quotidiano del cristiano, come la SS. Eucarestia alla quale tanti Santi Padri l’hanno comparata, ma è un libro difficile, che non si può capire bene senza una preparazione o una guida.

Ringraziamo il buon Dio per averci fatto trovare nel padre Sales, nel cardinal Martini e nel beato Girotti le guide per colmare le nostre deficienze.

RINGRAZIAMO ANCHE VOI LETTORI, per averci aiutato, attraverso il vostro interesse per questi libri, a portare a termine la ripubblicazione integrale di questa opera.

Senza di voi non sarebbe stato possibile.

Edizioni EFFEDIEFFE




(Vol. IV A. Tesamento., 406 pp., formato grande con bandelle)

 
23,00 euro



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