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Iudaea capta (1)
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Come si è arrivati alla distruzione di Gerusalemme e della Giudea

Prima Parte: la Distruzione del Tempio di Gerusalemme

Prologo

Erode Agrippa II, il Tetrarca della Galilea dal 53 al 70 d. C.(1), nell’anno 66, alle prime avvisaglie della imminente guerra tra Roma e la Giudea fece il possibile per non farla scoppiare, fungendo da intermediario tra Roma (per la quale parteggiava) e gli estremisti nazionalisti Giudei o Zeloti, che cercava di ammansire. Nel 66 tenne agli Zeloti un lungo discorso in Gerusalemme, in cui raccomandò loro di sottomettersi a Roma, ma il popolo gerosolomitano, fanatizzato dagli Zeloti, lo cacciò dalla città e lo prese a sassate (Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica, II, 16, 4 ss.)(2).

Procuratori romani e Zeloti

I Procuratori Romani, ininterrottamente dal 44 al 66, avevano mal governato la Giudea (con esosità e disprezzo) ed avevano esasperato lo spirito nazionalistico e indipendentistico degli Zeloti e della maggior parte dei Giudei. Gli Zeloti poterono, così, lavorare meglio sin dal 44 ad eccitare il popolo alla rivolta contro l’oppressione romana, che scoppiò nel 66 e portò alla distruzione di Gerusalemme e del Tempio nel 70.

Se i Procuratori Romani (specialmente dal 44 al 66) erano ripieni di rapacità e di disprezzo verso i Giudei, gli Zeloti non mancavano certo di odio e di spirito di vendetta verso i Romani. Inoltre essi erano ripieni dello spirito messianico/apocalittico ultranazionalista giudaico, che faceva loro credere vicina la restaurazione del Regno di Israele con la cacciata dei Romani dalla Palestina, in breve ben presto ci sarebbe stata un’era di felicità e di trionfo sul mondo intero. Per questo motivo un nano come la Giudea poté sfidare un colosso come Roma, che allora con le sue legioni dominava il mondo. Gli Zeloti erano convinti che presto sarebbe apparso il Messia militante, il quale avrebbe dato loro la vittoria sui Romani e il dominio sul mondo. Quindi non esitarono a provocare Roma, certi di vincerla.

Messianismo apocalittico degli Zeloti

Giuseppe Ricciotti riguardo a questo spirito messianico/apocalittico scrive: «Ai veri ‘Profeti’ dell’Antico Testamento erano succeduti i falsi ‘veggenti’ dell’Apocalittica: i Rabbini, gli Scribi e i Farisei; ma l’opera di costoro non poteva sostituire adeguatamente quella dei primi. (…). Il Profeta, sotto l’azione dello Spirito Santo, era una “fonte di acque vive” (Ger. II, 13), lo scriba incanalava quelle acque facendole confluire nello stagno della casuistica. (…). I Profeti avevano parlato condizionatamente, e in particolar modo avevano annunciato le grandi promesse di Dio al popolo d’Israele in dipendenza dell’atteggiamento futuro di costui. L’Apocalittica al contrario non conosce condizioni; ciò che fu vaticinato deve avverarsi infallibilmente»(3).

L’Apocalittica degli Zeloti non è da confondersi con l’Apocalisse di San Giovanni, che «nel XVIII secolo fu uno dei maggiori bersagli della critica antireligiosa dell’Illuminismo intellettualistico»(4).

La Letteratura Apocalittica è il «complesso di scritti pseudonimi giudaici, sorti tra il sec. II a. C. e il sec. II d. C. »(5). L’Apocalittica nasce al tempo in cui l’Ellenismo pagano trionfa in Israele, che è oppresso e il Tempio viene profanato (168-164 a. C.). Poi dopo il successo di Antioco Epifane († 164 a. C.)(6), la conquista della Giudea da parte di Roma con Pompeo (63 a. C.) e la distruzione del Tempio con Tito (70 d. C.) e della Giudea con Adriano (135 d. C.) si accende sempre più la speranza della riscossa nazionale giudaica, sotto la guida dei “falsi profeti” predetti da Gesù. L’Apocalittica apocrifa(7), per rafforzare questo revanscismo nazionalistico, si serve dei Profeti canonici dell’Antico Testamento e li arricchisce di predizioni immaginifiche che descrivono il trionfo di Israele sui Pagani o non-Ebrei (gojim): «Israele sarà liberato e vendicato, e, guidato da Jaweh e dal suo Messia, si satollerà nella pace e nell’abbondanza; le 12 Tribù torneranno per imperare sulle Genti domate e calpestate»(8).

Scoppia la vera guerra (anno 66)

La vera guerra guerreggiata, tra Giudei e Romani, favorita dallo spirito messianico/apocalittico, scoppiò soltanto nel 66, ma già a partire dal 44 lo spirito di rivolta contro Roma soffiava forte in Palestina. Inoltre, sotto il Procuratore romano Ventidio Cumano, che governò dal 48 al 52, scoppiarono i primi incidenti cruenti tra Giudei e Romani. Un soldato di Roma, che montava la guardia al Tempio di Gerusalemme, fece un gesto osceno in pubblico rivolto con disprezzo ai Giudei. La folla reagì, ma i soldati romani caricarono e i Giudei si dettero alla fuga, calpestandosi l’uno con l’altro, lasciando sul terreno circa 20. 000 morti (G. Flavio, Antichità Giudaiche, XX, 5, 3). Poi un messo imperiale romano fu assalito e derubato presso Gerusalemme e siccome gli Zeloti spinsero il popolo all’omertà, Cumano ordinò una rappresaglia, facendo saccheggiare le abitazioni limitrofe al luogo dell’aggressione e mettendo in carcere le personalità ebraiche più importanti. Però durante le operazioni di saccheggio un soldato romano, avendo trovato un rotolo della Torà, lo distrusse in pubblico, lanciando bestemmie e insulti alla legge ebraica. Cumano lo fece decapitare, ma non sedò gli animi esacerbati degli Zeloti. Infine alcuni Pellegrini della Galilea diretti a Gerusalemme, passando per la Samaria, furono assaltati dai Samaritani e massacrati. Cumano non punì i colpevoli, allora i Giudei incendiarono alcuni villaggi della Samaria. L’Imperatore Claudio condannò a morte gli assalitori Samaritani e depose Cumano. Questa politica di conciliazione con la Giudea, portata avanti dall’Imperatore, fece pensare agli Zeloti che Roma fosse debole e che si dovesse fare la voce grossa con essa per impaurirla ulteriormente.

Agrippa II stava con Roma, anche il partito aristocratico sacerdotale-sadduceo era filoromano, ma perdeva sempre più consensi presso il popolo giudaico. I Farisei erano molto ascoltati dalla popolazione, ma cominciavano ad essere scavalcati a “destra” dagli Zeloti, che tramite i Sicari eliminavano i Romani e i collaborazionisti, con il loro pugnale denominato “sica”, facendo apparire i Farisei come moderati e sorpassati.

Nel 52 (sino al 61) il nuovo Procuratore romano della Giudea fu Antonio Felice(9),  che si dimostrò peggiore persino di Cumano e spinse ancora di più verso la rivolta gli Zeloti/Sicari e la popolazione della Giudea. A Roma, nel 54, fu eletto il nuovo Imperatore: Nerone.

Nel 61 sino al 62 fu nominato Procuratore della Giudea Porcio Festo(10), che trovò la Giudea in uno stato di semi-anarchia e quasi in balìa dei Sicari. Egli era onesto e valido, ma morì nel 62. Gli successe Albino, che era di tutt’altra pasta e si faceva facilmente corrompere dai Giudei per ottenere ciò che volevano. Nel 64 Gessio Floro successe ad Albino e tenne la carica di Procuratore sino al 66. La sua politica spinse i Giudei sempre più verso la rivolta e contribuì ad attuare il programma dei Sicari di spingere le cose agli estremi onde non poter tornare più indietro (cfr. G. Flavio, Antichità Giudaiche, XX, 11, 1; Guerra Giudaica, II, 14, 3).

Nel mese di maggio del 66, da Roma, arrivò la sentenza dell’Imperatore circa la vertenza sui diritti civili tra Giudei e Greco-Romani di Cesarea sul mare. Essa era favorevole ai Greco-Romani, che l’accolsero con manifestazioni di grande allegrezza. Gli abitanti di Gerusalemme, invece, erano molto adirati con Roma e i Greco-Romani. Inoltre il Procuratore Floro, che odiava i Giudei e voleva la guerra, fece prelevare dal tesoro del Tempio 17 talenti. Gli Zeloti inscenarono una manifestazione e si misero a girare, ironicamente, per la città con cesti per raccogliere elemosine per Floro povero e bisognoso. Il Procuratore si offese, venne con i suoi soldati a Gerusalemme, saccheggiò le case dei presunti colpevoli e fece crocifiggere numerosi cittadini (circa 3. 600). Inoltre il 17 di maggio arrivarono altre due coorti romane a Gerusalemme da Cesarea e Floro volle che il popolo giudaico le aspettasse schierato e le salutasse con riverenza per sconfessare la precedente manifestazione piena di irriverenza verso Roma. Tuttavia, per spingere la tensione all’estremo e arrivare alla guerra, aveva dato ordine ai soldati di non rispondere ai saluti della folla e di non mostrare un atteggiamento sprezzante. Il popolo, non risalutato, cominciò a protestare e i soldati, aizzati da Floro, assalirono la folla, uccidendo molti uomini. Però lungo le vie della città si formarono nuclei di resistenza ai Romani e la maggior parte dei rivoltosi si rifugiò nel Tempio, abbatterono il portico che collegava la Torre Antonia col Tempio, isolandolo da essa e asserragliandosi nel Tempio, reso impenetrabile e ripieno di molti viveri. Floro non aveva forze sufficienti per espugnare il Tempio, dovette, quindi, venire temporaneamente a patti con i rivoltosi.

A Gerusalemme c’erano, allora, almeno due fazioni: quella degli estremisti (Zeloti/Sicari), che volevano arrivare all’estremo della rivolta (come Floro); inoltre c’era l’altra fazione dei moderati (Sadducei/Sacerdoti) che volevano arrivare ad una conciliazione con Roma. In questa occasione Agrippa fu cacciato a sassate da Gerusalemme (come abbiamo visto sopra) poiché arringò gli Zeloti di sottomettersi a Roma.

Il massacro di Masada

I Sicari si impadronirono della fortezza di Masada, uccidendo l’intera guarnigione romana che la presidiava. Per di più il Sommo Sacerdote Eleazaro decise di non offrire, più nel Tempio, il sacrificio quotidiano a favore dell’Imperatore romano: era una aperta dichiarazione di guerra a Roma.

I gerosolomitani moderati non furono d’accordo con la decisione di Eleazaro, protestarono ma invano; fu così che cominciarono ad armarsi per resistere agli Zeloti. Agrippa II mandò loro 3. 000 cavalieri, che occuparono la città alta mentre i Sicari occuparono Gerusalemme bassa e il Tempio. La Città Santa divenne un campo di battaglia. Nel mese di agosto i moderati persero quasi tutte le loro posizioni, si asserragliarono nella reggia di Erode, che nel settembre fu incendiata e il Sommo Sacerdote Anania(11) (che nel 60 aveva comandato un servo di colpire sulla bocca S. Paolo, Atti, XXIII, 2), ritrovato nascosto nei sotterranei della reggia fu ucciso dai Sicari, avverando così la profezia di Paolo (“Dio colpirà te, sepolcro imbiancato”, Atti, XXIII, 3); aizzati da Anania il Tribuno Lisia e il Preside Felice fecero incarcerare Paolo per due anni a Cesarea dal 58 al 60 (Atti, XXIII, 23-26), di lì partì per Roma nel 60 (Atti, XXVII, 1-9) e vi arrivò dopo un anno nel 61 (Atti, XXVIII, 16-19) per essere giudicato dall’Imperatore restandovi prigioniero sino al 63 (Atti, XXVIII, 30-31). Inoltre i Giudei massacrarono i soldati Romani comandati da Metilio, che si trovavano allora in Gerusalemme.

A Cesarea marittima, nel medesimo tempo, scoppiarono altri gravi incidenti: la popolazione pagana fece strage di circa 20. 000 Giudei. Anche Alessandria d’Egitto fu teatro di scontri e di violenze antigiudaiche in cui si contarono 50. 000 morti. Floro e gli Zeloti erano contenti di questa escalation, che andava nella loro direzione: la guerra tra Roma e la Giudea.

Gerusalemme inizia ad essere accerchiata

Il Governatore della Siria, Cestio Gallo, mobilitò la XII Legione romana composta da 30. 000 uomini e da Antiochia si avvicinò a Gerusalemme, distruggendo i villaggi dei Giudei che incontrava sulla sua strada. Tuttavia arrivato a Gerusalemme subì una sconfitta da parte dei Sicari, molto esperti nella guerriglia. Allora fece attaccare il Tempio, ma fu respinto ed ordinò la ritirata, che si trasformò in una vera fuga dei Romani, i quali abbandonarono quasi tutte le armi e, inseguiti dai Giudei, si rifugiarono in Antiochia. I Sicari tornarono trionfanti a Gerusalemme nei primi di novembre con le armi dei Romani.

Gli Zeloti videro in ciò un segno del cielo, che stava per mandare loro, secondo lo spirito apocalittico/messianico, il Messia militante, il quale avrebbe liberato Israele da Roma e lo avrebbe reso padrone del mondo al posto di questa. L’era di pace e prosperità per i Giudei stava finalmente per cominciare. I Giudei cominciarono ad organizzarsi militarmente per fronteggiare il prossimo assalto dei Romani e riuscirono a raccogliere un esercito ben addestrato di circa 60. 000 uomini.

Nel frattempo Gerusalemme iniziò a fortificarsi sotto un caporione giudeo estremista chiamato Giovanni di Ghischala, mentre il capobanda dei Sicari, Simone Bar-Ghiora, si trasferì a Masada (G. Flavio, Guerra Giudaica, II, 22, 1).

Vespasiano e Tito in Giudea

L’Imperatore Nerone, decise allora di inviare in Giudea il suo miglior generale: Tito Flavio Vespasiano, originario di Rieti nella Sabina, che aveva combattuto valorosamente in Britannia e in Germania. Vespasiano cominciò a preparare l’esercito che avrebbe dovuto comandare e a tal fine si recò ad Antiochia (in Siria) ed inviò suo figlio Tito ad Alessandria (in Egitto) a mobilitare la XV Legione Apollinaris. Vespasiano si ricongiunse con suo figlio Tito a Tolemaide nella primavera del 67. La città di Jotapata oppose una forte resistenza a Vespasiano, che durò 47 giorni. Mentre si svolgeva l’assedio a Jotapata, Japha, una città vicina a questa, si ribellò anch’essa. Vespasiano inviò contro Japha il generale Traiano padre del futuro Imperatore omonimo, comandante della X Legione ed espugnò la città i primi giorni del mese di giugno e 15. 000 Giudei vi furono uccisi. Alla fine cadde anche Jotapata i primi di luglio. Il primo ad entrare fu Tito. La vendetta dei Romani fu tremenda, tanto più che durante la resa il Centurione Antonio fu ucciso proditoriamente da un giudeo, che aveva finto di arrendersi, mentre Antonio gli stringeva la destra per aiutarlo a uscire da una caverna. I Giudei morti furono 40. 000 e la città fu rasa al suolo.

Giuseppe Flavio, il furbo Fariseo che aveva combattuto con i Giudei a Jotapata, si consegnò ai Romani ebbe la vita salva e poi aderì pienamente a Roma, narrando la storia della Guerra Giudaica per conto di Vespasiano, che lo portò con sé a Roma, rimanendo presso i Flavii e prendendo il nome di Flavio. Infine nell’ottobre fu espugnata anche Gamala, dopo 7 mesi di assedio, ma questa volta per vendetta i Romani uccisero tutti gli abitanti, compresi le donne e i bambini. Verso la fine del 67 tutta la Galilea e la Samaria erano state conquistate da Roma. Vespasiano andò a svernare a Cesarea marittima con le sue Legioni in attesa di assalire Gerusalemme.

Situazione interna di Gerusalemme

Gerusalemme era dominata da 2 partiti avversi: il partito moderato sacerdotale/sadduceo, che era minoritario e il partito estremista degli Zeloti/Sicari, che era maggioritario e divenne, nel 67, l’unica forza trainante del Giudaismo. Giovanni di Ghischala arrivò allora a Gerusalemme e si mise alla testa degli Zeloti/Sicari, passando sùbito all’azione: le personalità aristocratiche del partito moderato di Gerusalemme furono incarcerate e poi messe a morte, ma il partito sacerdotale/sadduceo soppiantato tentò una riscossa, così si riaccese la guerra intestina e Gerusalemme (compreso il Tempio) divenne un grande teatro di guerra. Gli Zeloti, con l’aiuto degli Idumei, capitanati da Eleazaro con un esercito di 20. 000 uomini, presero il sopravvento e instaurarono un regime di terrore in Gerusalemme. “I cortili del Tempio erano tutti allagati di sangue e vi giacevano circa 8. 500 morti” (Giuseppe Flavio, Guerra. Giudaica, IV, 5, 1). Il Sommo Sacerdote Anano fu ucciso assieme ad altri Sacerdoti e circa altri 12. 000 aristocratici Sadducei furono trucidati. Gli Zeloti rimasero padroni assoluti della città.

Vespasiano astutamente attendeva a Cesarea che le divisioni intestine in Gerusalemme consumassero i due contendenti per poi espugnare la capitale senza troppe perdite di soldati. Verso la fine di maggio si accampò a Gerico.

In quel frangente gli arrivò la notizia della morte di Nerone e dell’elezione di Galba, mandò così suo figlio Tito a Roma a rendere omaggio al nuovo Imperatore, ma quando il giovane Tito giunse nell’Urbe, Galba era stato ucciso. Quindi Vespasiano decise di non portare avanti la guerra, in questa situazione politica incerta in Roma, e le sue truppe restarono in pace dal giugno del 68 al giugno del 69.

La situazione interna di Gerusalemme, frattanto, si aggravava. Il caporione estremista Simone Bar-Ghiora si era asserragliato a Masada con un esercito agguerrito di 40. 000 soldati e infestava il territorio che lo separava da Gerusalemme, con atti di vero e proprio brigantaggio. In Gerusalemme la situazione era degenerata. Infatti Giovanni di Ghischala vi dettava legge e assieme alla tirannia aveva introdotto nella capitale la licenza più sfrenata. Gli Zeloti, che erano nati per lo “zelo della Casa del Signore e della Legge” e adesso non solo uccidevano e rubavano, ma violentavano le donne, si vestivano essi stessi da donna, truccandosi, e facevano cose abominevoli al cospetto di Dio come gli abitanti di Sodoma (G. Flavio, Guerra Giudaica, IV, 9, 10). “Il Fariseismo era degenerato nello Zelotismo, lo Zelotismo si era organizzato in banditismo, il banditismo finiva in lupanare” (G. Ricciotti, Storia di Israele, cit., vol. II, p. 493). Per liberarsi da tanta vergogna i nemici di Giovanni di Ghischala chiamarono a Gerusalemme Simone Bar-Ghiora con i suoi briganti, ma non lenoni. Simone entrò nella capitale nell’aprile del 69, però gli Zeloti di Giovanni di Ghischala non lo vollero accogliere e si asserragliarono nel Tempio. Simone lo assalì, ma fu respinto, così la città fu nuovamente divisa in due fazioni “l’una contro l’altra armata” e la guerra civile giudaico/gerosolomitana continuò.

Vespasiano, alla fine di maggio, senza eccessivo impegno, si avvicinò in un giro di ricognizione a Gerusalemme. Agli Zeloti nella Giudea restavano solo Masada, Macheronte, Herodium e Gerusalemme.

Il 1° luglio del 69 le Legioni romane proclamarono Imperatore Vespasiano, che con l’uccisione dell’Imperatore Vitellio (il 20 dicembre del 69), divenne l’unico Imperatore romano. Vespasiano quale nuovo Imperatore partì da Alessandria per Roma all’inizio dell’estate del 70, portando con sé Giuseppe Flavio, che divenne lo storico ufficiale dell’Imperatore. Il suo unico figlio Tito ricevette da lui il compito di continuare la campagna della Giudea.

Frattanto a Gerusalemme le cose si erano complicate. Infatti ai due partiti di Giovanni e Simone se ne era aggiunto un terzo, capeggiato dal Sacerdote, estremista anche lui, Eleazaro, che era stato un seguace di Giovanni, ma lo aveva abbandonato visti i suoi eccessi. Così Gerusalemme fu divisa in tre parti: la parte più alta del Tempio andò ad Eleazaro, Giovanni occupò il resto del Tempio e Simone la parte alta di Gerusalemme e   una porzione della parte bassa. Tra le bande, specialmente quelle di Giovanni e di Eleazaro, avvenivano sovente delle violente e devotamente “zelanti” scaramucce dentro il recinto sacro del Tempio. Eleazaro sito nella parte più alta si difendeva più facilmente, ma Giovanni fornito maggiormente di armi e macchine belliche attaccava rabbiosamente, cagionando numerose perdite all’esercito di Eleazaro.

Nonostante ciò il servizio liturgico nel Tempio continuava, ma spesso i Pellegrini e i Sacerdoti restavano uccisi dalle catapulte di Giovanni. “Gerusalemme, la Città Santa di Jaweh, era diventata una gabbia di belve inferocite, che si dilaniavano tra loro. Da di fuori, però, si avvicinava il domatore, col ferro e col fuoco” (G. Ricciotti, cit., p. 496).

La Pasqua ebraica dell’anno 70

Tito e Vespasiano si avvicinarono a Gerusalemme e nell’aprile del 70 (durante la Pasqua ebraica) accerchiarono la città, non impedendo ai pellegrini di entrarvi per celebrare la loro festa. Fu così che la città si sovraffollò (arrivando a contenere circa 3 milioni di persone, secondo Giuseppe Flavio) e rese la sua caduta ancora più tragica. Inoltre i partigiani di Giovanni di Ghischala, travestiti da Pellegrini, senza essere riconosciuti entrarono nella parte alta del Tempio, la espugnarono ed eliminarono il partito di Eleazaro.

Tito fece numerosi tentativi per ottenere la resa di Gerusalemme onde poterla risparmiare, ma non ottenne nulla. Giovanni di Ghischala e Simone Bar-Ghiora si unirono solo allora per combattere l’odiato Romano.

L’attacco contro Gerusalemme

Le catapulte romane iniziarono a scagliare massi di circa 50 chili, con una gittata di quasi 400 metri, verso le mura di Gerusalemme e a fare strage di Zeloti, i quali, però, uscirono dalla città e incendiarono parte delle macchine d’assalto romane. Tuttavia furono ricacciati dopo una lotta aspra da Tito, che uccise di sua mano 12 Zeloti. I primi di maggio i Romani riuscirono ad impadronirsi del Muro Terzo di Gerusalemme, dopo 5 giorni anche del Muro Secondo, penetrando così nella città, ma non riuscirono a costringere alla resa i Giudei.

La fame in Gerusalemme era molto grave, molti pellegrini lasciarono la città, dopo aver ingoiato le monete d’oro che possedevano e averle poi riottenute per le vie naturali. La fame aumentò sempre più e diventò disumana e bestiale. I gerosolomitani mangiavano anche il cuoio. Avvenne che alcuni Arabi e Siri, ingaggiati dai Romani scoprirono un fuggitivo da Gerusalemme recuperare dalle proprie feci i denari d’oro che aveva ingoiati prima di fuggire. Si sparse, così, la voce che i Giudei che abbandonavano la città avevano il ventre pieno di monete d’oro. Quindi a partire da quel momento tutti i fuggitivi che venivano intercettati erano passati a fil di spada per squarciare il loro ventre ed estrarne il tesoro sperato, in una sola notte 2. 000 Giudei furono sventrati.

“Un giorno alcuni Zeloti, passando per un viottolo della città, sentirono un odore di arrosto che usciva da una casa, si precipitarono dentro; trovarono una donna ancora viva, la minacciarono di scannarla se non avesse consegnato loro il cibo. Era il suo proprio bambino, che nella frenesia della fame di sua mano aveva ucciso, aveva arrostito, aveva per metà mangiato, e adesso ne elargiva l’altra metà agli Zeloti, ma davanti a quella spaventosa pietanza anche i Sicari tremarono. L’infelicissima madre era una certa Maria, di ricca e nobile famiglia di Beth-Ezob in Transgiordania, che era venuta in pellegrinaggio a Gerusalemme e vi era rimasta chiusa durante l’assedio” (G. Flavio, Guerra Giudaica, VI, 3, 3-4).

I Romani penetrano nel Tempio

Il 5 di luglio del 70, sul far della notte, una ventina di soldati romani sorpresero e uccisero le sentinelle giudee e penetrarono nella Torre Antonia di Gerusalemme, poi con le trombe avvertirono gli altri soldati che erano entrati. Tito con alcuni legionari scelti penetrò sùbito dentro la Torre. I combattimenti furono aspri, ma alla fine i Romani ebbero la meglio e ricacciarono gli Zeloti accorsi verso il Tempio. Il 17 luglio Tito fece abbattere la Torre Antonia per avere ampio spazio di manovra riguardo al Tempio in cui si erano asserragliati gli Zeloti.

17 luglio 70, cessa per sempre il sacrificio liturgico nel Tempio ebraico

Il 17 luglio del 70 per la prima volta dopo secoli e secoli venne a mancare nel Tempio il sacrificio quotidiano per difetto degli Zeloti e non dei Romani (G. Flavio, Guerra Giudaica, VI, 2, 1). Da quel giorno l’Ebraismo non ha più celebrato il sacrificio a Jaweh.

Tito avrebbe voluto salvare il Tempio e mandò Giuseppe Flavio ad invitare gli assediati ad arrendersi, ma invano; soltanto parecchi Sacerdoti disertarono e si presentarono ai Romani.

Distruzione del Tempio

Tito fece costruire contro il muro settentrionale del Tempio quattro bastioni, che furono ultimati l’8 di agosto. Sùbito le catapulte entrarono in azione, ma il muro del Tempio era granitico. Tito allora ordinò di dar fuoco alle porte, dopo avervi fatto accumulare una grande quantità di materiale incendiario. I metalli delle porte si fusero, i battenti s’incenerirono e il fuoco si propagò al portico del Tempio. I difensori furono costernati nel vedere il fuoco penetrare nel Tempio e non fecero nulla per spegnerlo. Tito ordinò di estinguere l’incendio, essendo cessata ogni difesa bellica degli Zeloti, era il 9 di agosto. Tito dette nuovamente l’ordine di risparmiare il Tempio. Il 10 agosto del 70 fu il giorno più luttuoso per l’Ebraismo. Gli Zeloti, che avevano ripreso la difesa del Tempio furono ricacciati indietro dai Romani, che lanciavano contro i fuggitivi tutto ciò che capitava loro in mano, anche i tizzoni dell’incendio che stavano spegnendo. Nella foga “uno dei soldati spinto da qualche impulso (daimonìo) afferrò un legno ardente e, sollevato da un commilitone, lo lanciò dentro il Tempio attraverso la Finestra Dorata” (F. Giuseppe, Guerra Giudaica, VI, 4, 5). Le stanze del Tempio in cui cadde il tizzone erano di legno vecchio e contenevano i materiali infiammabili destinati ai fuochi degli olocausti liturgici, il caldo in agosto era tremendo e il tizzone fece divampare immediatamente un grande incendio, che divenne indomabile, Tito dette l’ordine di provare a spegnerlo, ma nella calca i suoi ordini non furono uditi e non vennero eseguiti. I soldati furono presi da un furore irrefrenabile ed irruppero nel santuario, iniziando ad uccidere tutti i Giudei che incontravano sulla loro strada. “Attorno all’altare degli olocausti sorsero mucchi di cadaveri, che per la grande altezza raggiunta rotolavano in basso uno sull’altro. L’altare sembrava uno scoglio in mezzo ad un pantano di sangue” (G. Ricciotti, cit., p. 514). Tito fece un ultimo tentativo per salvare il salvabile e penetrò dentro il Santo dei Santi ove era la Shekinah o Presenza di Jaweh sino alla morte di Gesù, tentando di obbligare i soldati a rispettare il luogo una volta santissimo, ma nulla valse a fermare la furia dei soldati. Fu allora che uno di essi lanciò dentro il Santo dei Santi un tizzone acceso. Anche il Santo dei Santi era perduto. Mentre l’incendio consumava i resti del Tempio, i Romani offrirono un sacrificio di ringraziamento per la vittoria agli Dei.

Distruzione di Gerusalemme

Dopo la distruzione del Tempio fu la volta di Gerusalemme. Il 20 settembre i Romani la occuparono senza incontrare ulteriori resistenze. I rivoltosi che si erano nascosti nel sottosuolo e nelle cloache vennero scovati e uccisi. Durante i 5 mesi di assedio i prigionieri furono 97. 000 e i morti 1. 100. 000 (G. Flavio, Guerra Giudaica, VI, 9, 3).

Tito si recò a festeggiare la vittoria in Cesarea marittima, Cesarea di Filippo, Beirut, Antiochia e Alessandria d’Egitto. Da Alessandria salpò per Roma.

Il trionfo di Tito a Roma

Ove celebrò il suo trionfo nel 71 assieme a suo padre Vespasiano e a suo fratello Domiziano. I legionari portavano in trionfo alcuni oggetti preziosissimi presi nel Tempio: il candelabro a sette bracci, la tavola d’oro dei pani di preposizione, che furono deposti nel Tempio della Pace.

Giovanni di Ghischala e Simone Bar-Ghiora vennero fatti sfilare e mostrati quale bottino di guerra alla folla. Simone venne ucciso nel Carcere Mamertino ai piedi del Campidoglio, che fu anche la prigione di S. Pietro e S. Paolo.

In onore di Tito, dopo la sua morte, il Senato e il popolo romano innalzarono un Arco di Trionfo (detto “di Tito”), tra il Palatino e il Foro, sulla Via Sacra.

Anche Masada viene espugnata

In Palestina restavano alcune fortezze ancora inespugnate: Masada, Herodium e Macheronte. Le ultime due furino espugnate facilmente entro il 73, ma Masada, ove si erano rifugiati gli ultimi Sicari, sotto ilo comando di Eleazaro, resisté ancora e bisognò costruire un muro di circonvallazione attorno ad essa e poi un barbacane per raggiungere la sua sommità. Ma quando i Romani stavano per espugnare Masada (15 aprile del 73) i circa 960 Sicari che vi si trovarono preferirono suicidarsi piuttosto che essere fatti prigionieri dai Romani. La Giudea era totalmente conquistata da Roma.

Tra le disposizioni imposta dai Romani una particolarmente urtò i Giudei: la tassa delle due dracme prima pagate per il Tempio di Gerusalemme, dovevano essere versate per il Tempio di Giove Capitolino in Roma. Gerusalemme era quasi totalmente distrutta, il Sinedrio era disperso, il Tempio incenerito, il sacerdozio non poteva offrire più il sacrificio, che andava celebrato solo nel Tempio di Gerusalemme, ma un collegio di rabbini si riunì a Jamnia ove sin dal 68, col permesso di Roma, raccoglievano il materiale che fu poi fissato nel Talmud.

Se il Tempio e la maggior parte di Gerusalemme erano andati distrutti con la catastrofe (“shoah”) del 70, la Giudea non era stata ridotta certamente un deserto. “Più tardi alcuni paesani poterono rientrare nella città demolita e ricostruirvi un piccolo centro di vita locale, in relazione coi benestanti Giudei della diaspora” (Giuseppe Ricciotti, Storia di Israele, Torino, SEI, 2° vol., 1933, p. 523).

Nella prossima puntata vedremo le vicende storiche che portarono alla devastazione di tutta la Giudea sotto Traiano, Adriano e Bar-Kokebà.

Fine della Prima Parte

(Continua)

d. Curzio Nitoglia



1) Il Re o Tetrarca Agrippa II era figlio di Agrippa I Tetrarca di Giudea, il quale aveva fatto uccidere S. Giacomo il Maggiore nel 44 a Gerusalemme, facendolo decapitare poco prima di morire egli stesso. Nel 53 Agrippa II ottenne da Claudio la Tetrarchia di Filippo e di Lisania e qualche anno dopo ebbe da Nerone il dominio sopra alcune città della Galilea e della Perea. Dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70 si ritirò a Roma a vita privata e vi morì nel 100. Fu l’ultimo dei discendenti di Erode il Grande. Quando S. Paolo dovette apparire in giudizio davanti al Procuratore Festo, nel 60 a Cesarea marittima, Agrippa II fu presente e riconobbe l’innocenza di S. Paolo (Atti degli Apostoli, XXVI, 24-32).

2) Cfr. G. Flavio, La Guerra Giudaica, traduzione e note a cura di G. Ricciotti, Torino, SEI, 3 volumi, 1936-1937; G. Ricciotti, Storia di Israele, Torino, SEI, 2 volumi, 1932-1933. Per questo articolo mi baso sostanzialmente su queste due opere, che sono una vera miniera di informazioni.

3) G. RICCIOTTI voce “Apocalittica”, in Enciclopedia Italiana, Roma, II ed., 1950, III vol. coll. 657-658.

4) Y. COLOMBO, voce “Apocalisse”, in Enciclopedia Italiana, Roma, 1929-1936, II ed. 1950, vol. III, col. 654.

5) A. ROMEO, voce “Apocalittica, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1948, I vol., col. 1615.

6) Antioco IV Epifane (175-164 a. C.) fu il re dei Seleucidi di Siria, persecutore della vera religione mosaica dell’Antico Testamento che volle trasformare in cultura ellenica. Egli depredò il Tempio di Gerusalemme ed impose sotto pena di  morte un culto idolatrico a Giove, la cui statua fu eretta dentro il Tempio in cui si trovava la presenza di Dio o “shekinah”, l’“abominazione della desolazione del Luogo Santo” (Dan., IX, 27) figura di quella più terribile dell’Anticristo finale. La Bibbia narra la sua storia nei II Libri dei Maccabei, sette fratelli che organizzarono la rivolta contro Antioco e lo sconfissero (cfr. F. SPADAFORA, Dizionario Biblico, Roma, Studium, III ed., 1963, pp. 34-35). I Maccabei rappresentano la lotta del vero Israele contro l’Ellenismo di Alessandro Magno (356-323 a. C.) e l’amore verso Roma, già presente nell’Antico Testamento attorno al 100 a. C. (I Macc., VIII, 1 s.). Tuttavia il nazionalismo esasperato dell’Apocalittica e del Messianismo rabbinico spinsero - tramite gli “Zeloti” o “Sicari” (da “sica” piccolo pugnale) - la Giudea contro Roma, che con Pompeo Magno (63 a. C.) invase la Terra Santa per giungere poi, nel 70 d. C.,  alla distruzione del Tempio, privo oramai della Shekinah” o “Presenza di Dio” dopo il deicidio.

7)Apocrifi” sono i Libri non riconosciuti dalla Chiesa come divinamente ispirati e perciò esclusi dal ‘Canone’ della S. Scrittura e non ammessi alla lettura pubblica nella Chiesa, nonostante una certa somiglianza con i “Libri canonici” o divinamente ispirati della Bibbia. Quindi il Libro apocrifo è da escludersi perché non divinamente rivelato, non ispirato e privo d’inerranza biblica. Tali libri erano per lo più messi in circolazione da sette ereticali e gnosticheggianti, che mediante essi volevano dare alla loro dottrina un certo fondamento e una qual autorevolezza (cfr. “Enciclopedia Cattolica”, voce ‘Apocrifi’, Città del Vaticano, 1948, vol. I, coll. 1627-1633). “Canonici” sono quei Libri ispirati da Dio che sono regola (“canòn”) della verità e riconosciuti dalla Chiesa come tali (cfr. S. ZARB, Il canone biblico, Roma, 1937).

8) A. ROMEO, cit., col. 1616.

9) S. Paolo, nel 58, fu condotto davanti al tribunale di Antonio Felice, a Cesarea marittima, fu interrogato da questi davanti al Sommo Sacerdote Anania, ma Felice non se la sentì di pronunciare una sentenza e rinviò Paolo davanti a Festo (Atti, XXIV, 1-27; XXV, 1-12).

10) S. Paolo, sempre nel 58, al tribunale di Festo e davanti ad  Agrippa, in Cesarea marittima si appellò a Cesare e venne mandato a Roma (nel 60-61) dopo 2 anni (58-60) di prigionia in Cesarea (Atti, XXV, 1-27).

11) Anania fu Sommo Pontefice dal 47 al 59. Fu un uomo crudele, avaro e dissoluto. Qualche tempo prima della morte fu deposto dal Pontificato dal Governatore Felice (Atti, XXIII, 2-5).


 
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