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Da Simone Maccabeo (anno 141) a Giovanni Ircano (anno 134)

Simone Maccabeo

Simone, l’unico rimasto in vita e libero tra i 5 fratelli Maccabei, non era noto come condottiero, ma solo come un abile amministratore e un buon politico. Quindi l’imprigionamento di Jonathan gettò i Maccabici nello sconforto più nero ed invece sollevò gli Ellenisti sino al sommo dell’euforia, poiché quest’ultimi pensavano di poter finalmente spazzar via la resistenza maccabica, oramai priva di un valido capo-condottiero.

“Tuttavia le speranze degli Ellenisti erano ingenue: né Simone era quel condottiero di second’ordine, che essi immaginavano, né il partito maccabico era ancora così poco rassodato da aver ancora bisogno del capobanda” (G. Ricciotti, Storia d’Israele, Torino, SEI, 1933, 2° vol., p. 318).

Naturalmente Simone venne scelto come capo dei Giudei fedeli al Dio unico. Egli si mise sùbito al lavoro e iniziò a rafforzare Gerusalemme, innalzando muri, abbattendo ponti ed ogni via d’accesso. Era decisamente un integrista, xenofobo, non-accogliente, preconciliare, non-dialogante, non-ecumenista e non-aggiornato… . Egli mirava, così, sia a difendere Gerusalemme ed il Tempio da un attacco dall’esterno, sia a tenere a bada l’Akra ed i soldati siriaci che vi stazionavano (I Macc., XIII, 10).

Il generale siriano Trifone (che aveva fatto prigioniero Jonathan con l’inganno) si diresse a capo di un potente esercito verso Gerusalemme per liquidare ogni reliquia di resistenza maccabica. Però aveva sbagliato i suoi calcoli. Infatti Simone mostrò sùbito la sua tempra anche di valoroso condottiero oltre che di buon politico e amministratore, andandogli incontro per accoglierlo a dovere. Decisamente l’accoglienza non era proprio il punto forte del Maccabeo preconciliare. Capirete, era addirittura del Vecchio Testamento, non aveva letto i Documenti del Vaticano II, neppure Rahner, Daniélou, de Lubac, Kung, Schillebeeckx, Congar, Chenu, von Balthasar, Teilhard de Chardin… .  S’incontrarono ad Adida, però Trifone non voleva attaccar sùbito battaglia, ma aveva portato con sé Jonathan (da usare sotto ricatto come “merce di scambio”) e desiderava, momentaneamente, soltanto portare i rifornimenti alle truppe dell’Akra, a corto di viveri. Perciò contattò “amichevolmente” Simone e gli disse che avrebbe liberato suo fratello Jonathan, se Simone gli avesse mandato 100 talenti d’argento e i due figli di Jonathan da tenere in ostaggio. Simone non si fidava di Trifone, ma per il bene del fratello fece ciò che gli veniva chiesto, sotto ricatto, dal general Trifone. Naturalmente Trifone non liberò Jonathan e tenne per sé i due suoi figlioli e i 100 talenti.

Trifone cercò di raggiungere l’Akra di Gerusalemme, ma Simone lo seguiva passo-passo con il suo esercito e non lo lasciò avvicinarsi alla fortezza. Trifone abbandonò i soldati dell’Akra alla loro sorte (morire di fame…) e ritornò verso la Siria. Oramai Jonathan non gli serviva più, quindi giunto in Transgiordania lo fece uccidere, assieme ai suoi due figli (I Macc., XIII, 23). Era l’inizio dell’Inverno del 142.

Simone recuperò la salma del 4° fratello ucciso e gli dette sepoltura a Modin a fianco dei suoi tre fratelli e di suo padre e di sua madre. Erano passati 25 anni dall’inizio della persecuzione di Antioco Epifane. Tuttavia nonostante tutto i Maccabei erano ancora lì (almeno con Simone e seguaci) e la Palestina (tranne l’Akra) era ritornata a Jaweh. Mentre la fortezza di Beth-sur era già stata riconquistata da Simone Maccabeo nel 144.

Trifone non pago del suo agire da vile impostore e spergiuro, uccise anche Antioco VI, che avrebbe potuto, crescendo, rubargli il trono. Si nominò “Autokratés / Autocrate”, ossia Sovrano assoluto, Ricciotti osserva: “Evidentemente esagerava sia nei titoli che nei metodi” (cit., p. 320).

Demetrio II era ancora vivo, vegeto e battagliero e fece un patto di alleanza anti-trifonica con Simone Maccabeo. Trifone capì, anche se troppo tardi, di aver sbagliato ad uccidere Jonathan. Oramai Simone gli era mortalmente nemico e la loro inimicizia avrebbe portato uno dei due all’altro… mondo.

Praticamente i Siriani o Seleucidi avevano rinunziato alla loro sovranità sulla Palestina. Era il 141 a. C. e 170° anno del regno seleucida.  La S. Scrittura riporta: “Il giogo delle Nazioni pagane fu tolto da Israele nell’anno 170 dei Seleucidi” (I Macc., XIII, 41).

L’Akra resisteva ancora, ma oramai i suoi soldati erano allo stremo delle forze per la fame che soffrivano, molti di essi cominciavano già a morire realmente di fame. Siccome essi non potevano contare né su Trifone né su Demetrio II, scesero a patti con Simone ed ottennero un salvacondotto per ritirarsi senza essere uccisi.

Simone entrò nell’Akra il 23 maggio del 141. “Finalmente, dopo 25 anni, era stato estratto il pugnale pagano infitto nel cuore di Gerusalemme” (G. Ricciotti, cit., p. 321). Infatti lo stesso Ricciotti aveva definito l’Akra “un vero pugnale infitto nel cuore di Gerusalemme. La fortezza era sita vicino al Tempio, come uno sparviero che vigila sulla sua preda” (cit., p. 269).

La posizione politica di Simone era oramai saldissima. Simone portò nell’Akra una guarnigione di militi giudei, ma in séguito, sotto suo figlio Giovanni Ircano (con il quale inizierà la dinastia degli Asmonei o “Maccabei moderati”) la fortezza fu demolita totalmente e con le sue macerie vennero rinforzate le mura del Tempio e di Gerusalemme (I Macc., XIII, 52; II Macc., XIV, 57): sempre questo brutto vizio di alzare muri e steccati…

Abbiamo visto che Jonathan aveva inviato a Roma 2 suoi ambasciatori (Numenio e Antipatro) verso la fine del 144 o ai princìpi del 143. Ora Jonathan fu imprigionato da Trifone proprio alla fine del 143 e venne ucciso all’inizio del 142. Quindi gli ambasciatori, al tempo di Simone, erano ancora in viaggio. Ma, il Senato romano, conosciuta la morte di Jonathan, inviò un messaggio di condoglianze a Simone Maccabeo, rinnovando l’alleanza contratta con i suoi defunti fratelli (I Macc., XIV, 16-19); nello stesso tempo, giunse da Sparta a Simone una lettera amichevole per informarlo delle accoglienze ivi riservate ai due ambasciatori maccabici dagli Spartani (I Macc., XIV, 20-23). Quindi i due ambasciatori inviati da Jonathan a Roma e - facendo ritorno in Palestina - a Sparta, sarebbero giunti a Gerusalemme probabilmente nei primi mesi del 140, avendo impiegato circa un anno per andare a Roma e un anno per tornare da Roma. Nel frattempo giunse, sia a Roma che a Sparta, la notizia della morte di Jonathan. Indi Simone (I Macc., XIV, 24) rispedì Numenio a Roma (verso la fine del 140), con 5 mila mine d’oro, per rinnovare l’alleanza romano-palestinese. Numenio ritornò circa un anno dopo da Roma (139/138 circa) con le lettere commendatizie, rilasciate da “Lucio Console dei Romani” (I Macc., XII, 16; XIV, 22). Pure Giuseppe Flavio scrive, dal canto suo, che un Pretore romano, Lucio Valerio, avrebbe rilasciato a Numenio un senato-consulto (Antichità Giudaiche, XIV, 8, 5).

Il Ricciotti, commentando queste date e fatti, che son stati molto dibattuti dagli storici e dagli esegeti, scrive che “il senatus-consultus è da riportarsi ai tempi di Simone Maccabeo ed era stato ottenuto dalla sua ambasceria, che sarebbe partita da Gerusalemme verso il settembre del 140 a. C. e doveva servire sia in risposta alle condoglianze senatoriali, sia a confermare l’alleanza con Roma. L’ambasciata giunse a Roma durante il 139 a. C., allorché era Console Lucio Calpurnio Pisone; poi fu di ritorno a Gerusalemme durante il 138 a. C. (I Macc., XV, 10-15). […]. L’ambasceria fu un buon successo diplomatico di Simone. Il decreto del Senato mentre annunziava l’alleanza di Roma con la Palestina, ammoniva i vari Stati d’Oriente di non commettere   atti d’ostilità contro ‘l’alleato Simone’; anzi riconosceva a costui giurisdizione sui Giudei della Diaspora, e invitava i detti Stati a consegnare a Simone le persone a lui ribelli rifugiatesi nei loro territori. Ma, fuori del campo diplomatico, non si fece altro; Roma spedì solo il decreto-circolare” (cit., pp. 325-326): dell’esercito romano, allora, non si vide neppure l’ombra in Palestina, occorrerà aspettare il 63 a. C. quando Gneo Pompeo dopo aver conquistato la Siria (anno 65) conquisterà anche la Terra Santa.

Tuttavia questa “pax judaica” non doveva durare a lungo, come tutte le cose belle in questo mondo. Infatti salì sul trono siriano Antioco VII e con lui la potenza siriaca riacquistò l’antico splendore. Quindi per i Maccabei le cose si complicavano nuovamente…

All’inizio Antioco VII finse amicizia verso Simone. Egli sbarcò in Siria per cacciare dal trono Trifone e perciò dovette farsi “amico” Simone, nemico acerrimo di Trifone, secondo l’adagio “il nemico del mio nemico è mio amico”. Poi iniziò la lotta con Trifone, che rimase quasi isolato, con pochissimi seguaci e si rifugiò a Dora. Ivi fu assediato da Antioco, ma fuggì via mare e arrivò ad Apamea ove morì di morte naturale. Simone durante l’assedio di Antioco contro Trifone, inviò al primo 2 mila soldati, ma Antioco rifiutò poiché aveva dei progetti di dominio sulla Giudea, che considerava ancora sotto la giurisdizione siriana e non voleva “indebitarsi” con il Maccabeo. Inoltre mandò un suo messo, di nome Atenobio, da Simone per chiedergli la restituzione di alcune località palestinesi, che appartenevano alla Siria prima che il Maccabeo sconfiggesse Trifone. La risposta di Simone fu negativa. Allora Antioco VII inviò il suo generale Cendebeo ad attaccare battaglia contro il Maccabeo. Simone oramai era diventato vecchio e passò il comando dell’esercito ai suoi due figli maggiori (Giovanni Ircano e Giuda), che fecero onore alle tradizioni marziali della famiglia, ma Giuda rimase ferito nella pugna, invece Giovanni mise in fuga la guarnigione di Cendebeo. Dopo questo smacco Antioco VII lasciò in pace i Maccabei per qualche anno ancora.

Tuttavia vi fu un traditore (che si era insinuato nella famiglia dei Maccabei), il genero di Simone, di nome Tolomeo, che governava Gerico. Simone lo andò a trovare accompagnato dai figli Mattatìa e Giuda, mentre Giovanni Ircano era rimasto a Gezer. Tolomeo, che voleva prendere il posto dei Maccabei e mettersi poi sotto la protezione di Antioco VII, non accontentandosi della sola Gerico, architettò di uccidere Simone e i suoi figli e di impadronirsi di Gerusalemme. Tolomeo accolse i tre Maccabei con tutti gli onori, ma quando stavano pranzando uccise Simone e i suoi due figli: era il febbraio del 134 a. C.

Compiuta la carneficina, Tolomeo inviò alcuni sicari a Gezer per uccidere Giovanni Ircano, il quale, però, era stato avvertito in tempo da qualche fedele maccabico e si era preparato a dovere. Quando i sicari giunsero furono uccisi e Giovanni si trasferì immediatamente a Gerusalemme per continuare l’opera del padre appena ucciso.

Il Primo Libro dei Maccabei finisce qui, con la morte di Simone (anno 134), ed accenna brevemente dell’avvento al potere di Giovanni Ircano.

Dagli Antichi ai “Nuovi Maccabei”: Gli Asmonei

Con Giovanni Ircano, nel 134, inizia la dinastia degli Asmonei, che sono gli stessi Maccabei, ma diventati più moderati, ossia i “nuovi Maccabei”, più “aggiornati”, modernizzati, politicizzati dei “vecchi Maccabei” (i figli di Mattaìa da Gionata sino a Simone, dall’anno 167 al 134 a. C.).

“Con Simone cessa il periodo dell’insurrezione entusiastica, guidata dai figli del sacerdote Mattatìa, e cominciano le vicende abituali di una dinastia, quella degli Asmonei, i quali sono anche Maccabei, ma non son più gli antichi Maccabei della vita randagia ed eroica nel deserto; combattono anch’essi, ma sono guerre assai più dinastiche che jawehistiche; peggio ancora non sono più i  capi della parte migliore di una nazione insorta, bensì diventano man mano dei capi-partito, arrivando persino ad accomodamenti con quel mondo spirituale, contro cui gli antichi Maccabei avevano combattuto” (G. Ricciotti, cit., p. 331).

Luogo del Martirio e del Sepolcro dei Maccabei

Il Martirologio Romano (p. 317, n. 2, al 1° agosto) riporta: “Ad Antiochia, la Passione dei Sette Santi fratelli Maccabei Màrtiri, che soffrirono con la loro madre, sotto il re Antioco Epifane. Le loro reliquie, portate a Roma, furono deposte nella Basilica di San Pietro in Vincoli”[1].

Generalmente, con la Tradizione comune della Chiesa d’Oriente e d’Occidente, si ritiene che essi furono martirizzati ad Antiochia di Siria. I primi cristiani ammirarono questi Martiri dell’Antico Testamento, precursori dei Martiri cristiani del Nuovo ed Eterno Testamento. Il loro culto si diffuse rapidamente e le loro festa (1° agosto) verso il V secolo era già universale nella Chiesa. La storia del culto prestato ai Martiri Maccabei appare già nel Martirologio Siriaco (anno 360-411), nei Calendari di Polemius Silvius (anno 448) e di Cartagine (V-VI secolo) e nell’insieme dei manoscritti del Martirologio Geronimiano (IV secolo).

I Padri ecclesiastici hanno scritto abbondantemente su di essi già a partire dai primi anni del Trecento sino al Quattrocento. Si veda S. Gregorio Nazianzeno (330-390) in “Patrologia Greca”, XXXV; S. Giovanni Crisostomo (345-407) in “PG”, L; S. Agostino d’Ippona (354-430) in “Patrologia Latina”, XXXVIII; S. Ambrogio di Milano (340-397) in “PL”, XV; S. Gaudenzio di Brescia († 410), in “PL”, XX.

Monsignor Francesco Spadafora scrive: “Comunemente si ritiene che il martirio avvenne ad Antiochia dove le tombe furono venerate sino al VI secolo. Dopo il 551 le reliquie furono portate a Costantinopoli[2] e da lì, almeno in parte a Roma, sotto papa Pelagio I (556-561). È possibile però che si tratti di Pelagio II (579-590) e che le reliquie siano venute direttamente da Antiochia. Esse, comunque, si venerano a Roma, in San Pietro in Vincoli. Lì, nel 1876, fu trovato un sarcofago a sette compartimenti, contenenti ossa e ceneri con due fogli di piombo, recanti iscrizioni relative ai sette fratelli Maccabei, del IX secolo. Cfr. Mariano Rampolla del Tìndaro, Del luogo e del martirio e del sepolcro dei Maccabei, Roma, 1898” (F. Spadafora, in Bibliotheca Sanctorum, Roma, Città Nuova, vol. VIII, 1966, col. 437, voce “Maccabei”).

La prossima volta vedremo la storia della dinastia degli Asmonei, da Giovanni Ircano (134 a. C.) sino ad Aristobulo II (67 a. C.) sotto il quale, il Romano Gneo Pompeo, occupò la Siria (anno 65) e, poi, anche la Palestina (anno 63), dando nascita alla fine dei Maccabei/Asmonei e all’inizio del dominio di Roma nel Vicino Oriente.

Fine della Terza Parte

Continua

d. Curzio Nitoglia



[1] Il Martirologio Romano fu stampato a Roma nel 1583 e si ricollegava principalmente ai testi del Martirologio di S. Usuardo (anno 875) e del Martirologio di S. Beda (744). Cfr. A. Bugnini, Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1952, vol. VIII, coll. 244-258, voce “Martirologio”, con ampia bibliografia.

[2] Inizialmente, sino al 330 d. C., si chiamava Bisanzio, che era un’antica colonia greca del VII secolo avanti Cristo. Successivamente (330), con l’Imperatore Costantino il Grande, divenne la capitale dell’Impero Romano d’Oriente o Bizantino e si chiamò Costantinopoli sino al 1760; ma l’Impero Romano d’Oriente fu conquistato da Maometto II nel 1453, Costantinopoli divenne la capitale dell’Impero Ottomano, conservando il suo vecchio nome sino al 1760. Da allora si chiama Istanbul e si trova attualmente in Turchia, la cui capitale dal 1917 è Ankara.

 
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