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Verso la società senza lavori. Né salari.
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«Il posto fisso non c’è più». «L’articolo 18 non si tocca», e giù una manifestazione-monstre in piazza dove la CGIL ha portato un milione di pensionati pagando loro viaggio e pranzo. Questo è il livello «der dibbattito» in Italia sulla grande, fatale trasformazione del mondo del lavoro che sta per abbattersi sulle società europee.

In Francia se ne discute con altri toni. Con un nuovo record di 5,43 milioni di disoccupati, un’importante società di analisi e di scoperta delle tendenze (trends) che si rivelano nelle statistiche, la Trendeo, ha dato uno specifico allarme nuovo: da due trimestri consecutivi anche il commercio, settore terziario, sta distruggendo posti di lavoro. È un fenomeno che nemmeno la lunghissima crisi basta a spiegare; anche nel pieno della recessione, nel 2009 quando il Pil è diminuito del 2%, il commercio ha continuato ad assumere: per la precisione, 89 mila persone in più. Ora ne crea sempre meno e ne distrugge (chiude) sempre di più. Il risultato delle sue tendenze è seccamente negativo.

Inutile dire quanto sia allarmante questo aspetto. Nelle società sviluppate, è il settore dei servizi ad occupare il grosso della popolazione attiva – in Italia, più del 68% – mentre le attività direttamente produttive come il primario (agricoltura e miniere) occupano il 5% o meno, e il secondario (industria) il 18.





Che l’industria espella lavoratori è un effetto congiunto dei sette anni di crisi, della globalizzazione-delocalizazione e dell’automaziane avanzata (robotica). Il fatto che i servizi non compensino più l’emorragia assorbendola, segnala un cambiamento profondissimo in corso. Fa temere che nessuna ripresa economica futura ri-creerà i posti di lavoro esistenti prima della crisi. Dovremo convivere con una disoccupazione strutturale, ossia permanente, molto alta: per la Francia, un 18% fisso di inoccupati contro l’attuale e il già altissimo 10%. Lo ha calcolato un altro istituto di ricerca ed analisi, l’Istituto Roland Berger: da qui a dieci anni, tre milioni di posti di lavoro saranno soppressi dalla robotizzazione. Saranno colpite le classi medie, anche le classi medie superiori, «perché molte mansioni oggi ritenute «complesse» e difficili – dice il sociologo economista Paul Jorion – sono precisamente quelle «programmabili, traducibili in software; e più la mansione è alta, ossia costosa in stipendi, più il capitale è incentivato a sosituirla con un algoritmo. Già oggi, il 50-60% delle transazioni in Borsa viene ‘deciso’ da algoritmiche girano su supercomputer».

Non solo i contabili possono essere sostituiti ma anche i giuristi e financo i giornalisti, specie quello del basso livello che bastano ai media attuali, manipolatori di luoghi comuni, politicamente corretto e notizie d’agenzia in linguaggio-standard (1). Si sta realizzando a gran passi la profezia di Orwell, che in 1984 immaginò – fra l’altro – che un apposito ministero producesse in serie romanzetti da quattro soldi e pornografia per distrarre i prolet.

Il trend pare ineluttabile. Nel 2013 ha fatto rumore (in Francia lo studio di Carl Frey e Michael Osborne, università di Oxford, The Future of Employement) che attraverso l’analisi di ben 702 occupazioni, mestieri e professioni, ha constatato che il 47% sono sucettibili ad essere sostituiti da computers. Il 47% è una percentuale che Jorion considera ottimistica, dati i progressi della robotica: si veda questa mano meccanica che è capace di analizzare la forma dell’oggetto che tiene, ed anche di che materiale è fatto, sicché può adeguare automaticamente la pressione: delicata se deve afferrare una banana, forte se un martello.

Quindi molti servizi alla persona, certe professioni sanitarie e infermieristiche che si ritenevano impossibili da affidare a algoritmi e computers potrebbero essere sostituite da un robot-infermiere o badanti con queste «mani». Gli altri due settori ritenuti fino a ieri irriducibili alla robotizzazione, istruzione e cultura non saranno certo risparmiati, tanto più dato lo scadimento del livelli dell’una e dell’altra.

Il Rapporto Gallois (la proposta di radicali riforme per la competitività francese elaborata dal Commissario agli investimenti Louis Gallois per il Governo) sottolinea il ritardo della Francia: di fronte alla Germania con 150 mila robot operativi nelle industrie, e l’Italia con 62 mila, ne impiega solo 34 mila. Ossia 84 per ogni 10 mila salariati, mentre la Germania ne ha 125 ogni 10 mila: dunque c’è ancora molto spazio per la sostituzione di esseri umani. Non si manca di cantare i vantaggi di questo magnifico progresso: i guadagni di produttività permetterebbero di sucitare investimenti privati per 30 miliardi di euro; le famiglie guadagneranno 13 miliardi in in potere d’acquisto sotto forma di investimenti e di calo dei prezzi... Sì, ma che vantaggio sarà per il 18% che perderà il salario e dunque il potere d’acquisto?

Né la corsa all’abbassamento dei salari, in corso in Europa e USA, servirà a mantenere il posto. Joseph Stiglitz ha notato come in un periodo in cui la disoccupazione è così alta e dunque la manodopera abbondantemente disponibile a basso prezzo, i supermercati continuano con cassiere umane e casse automatiche, la cui funzione consiste appunto nell’eliminare posti di lavoro.

La catena di ristoranti veloci Applebee (un franchising concorrente di McDonalds, 2019 locali in USA) ha da un anno tavole in cui è integrato un tablet: dal touch-screen il cliente fa le ordinazioni, e lì alla fine paga appoggiandovi la carta di credito. Jonah Goldberg, celebre commentatore neocon della National Review, ha applaudito l’innnovazione con queste parole: «Se uno si lancia in un business, non lo fa per creare posti di lavoro, ma per far soldi. E tutti sanno che la manodopera è un costo».

Già. Il business spende volentieri per le casse automatiche perché le contabilizza come «investimenti», mentre i salariati sono «costi». Ciò implica la filosofia del capitalismo ultimo, dice Jorion, «per cui i lavoratori sono definiti soltanto come dei gravami sul profitto – profitto di cui dunque i soli beneficiari legittimi sono ritenuti gli investitori», i capitalisti. È il meccanismo della società dell’1%, del capitalismo ultimo come idrovora gigantesca che aspira la ricchezza prodotta in basso dal 99% e la concentra in alto all’1. «Si allarga la forbice tra la quantità di lavoro accumulata sotto forma di capitale – che aumenta costantemente – e la quantità di lavoro effettivo da permettere come avanzamenti nella produzione e distribuzione, che diminuisce in termini assoluti».

Il capitale come «lavoro accumulato» e (sottinteso) il cui valore è espropriato a chi lavora ed avrebbe diritto alla sua parte: si sentono echi marxisti. Marx, con l’ottimismo sventato del positivista, aveva previsto che la meccanizzazione avrebbe finito per eliminare il lavoro – ma credendo che ciò avrebbe portato al dissolvimento della proprietà privata per la necessità di socializzare il plus-valore prodotto dalla produzione delle macchine; ciò avrebbe portato alla sua utopica società post-capitalista, dove il lavoro produttivo era fatto dalle macchine e gli uomini sarebbero stati «liberati», liberi di andare a pesca o fare filosofia. Sciocco positivismo: l’ultimo stadio della meccanizzazione ha rafforzato il capitalismo fino al suo delirio disumano attuale: da una parte il capitalismo fa capitale attraverso il capitale, pura speculazione, senza bisogno di impiegarsi in fabbriche. Dall’altra usa la robotizzazione aposta per eliminare il lavoratore umano, in modo che soltanto il capitale venga remunerato. Anzi, dominando ormai i Governi e le menti con l’ideologia, il liberismo ultimo è in grado di impedire qualunque forma di redistribuzione degli enormi profitti; lo Stato sociale viene dovunque smantellato come un costo che rende meno competitive le società...

Resta insoluta la questione: da dove dovrebbe venire il reddito – e capacità d’acquisto – di quelli che non vivono di guadagni di capitali, ritorni sugli «investimenti», speculazioni? Ha ancora bisogno, il capitalismo, di classi medie e medio-superiori numerose e benestanti a cui vendere le merci prodotte con processi sempre più competitivi, in quantità e a basso costo? Ossia, ha bisogno delle masse di consumatori solventi?

Come tutto nel mondo odierno, questa tendenza è insostenibile, porta al collasso del capitalismo stesso. Ma per il momento funziona. Il 50% di consumatori stipendiati può essere ritenuto sufficiente alla società liberista di consumo viste le folle che si aggrumano davanti ai negozi per strapparsi il primo iPhone della stagione.... Il 20% di disoccupati permanenti può essere gestito come un problema d’ordine pubblico, con la polizia sempre più feroce, ed armata di armamento da guerra, che si sta vedendo in azione , non a caso, proprio negli Stati Uniti. La fabbrica dei sogni di Hollywood forniranno l’oppio necessario per acquietare i milioni di marginali, fornire un fantasma del sogno americano e l’illusione di accedere al «lusso» che la produttività aumentata non nega più a nessno. Poi, c’è la politica, i «diritti» che vi regala, se siete gay, le vacue libertà su cui dividersi e «lottare». Così, non lotterete per le libertà politiche che vi tolgono insieme al salario e al lavoro.

L’economista svizzero Simonde de Sismondi (1773-1842) fu il primo a prevedere la disoccupazione tecnologica e la «lunga sofferenza» che avrebbe prodotto a settori interi della società, strutturalmente esclusi. Propose che ogni lavoratore sostituito dalla macchina ottenesse una rendita percepita dalla ricchezza che la macchina avrebbe prodotto. Insomma, propose di trasformare tutti i cittadini in rentiers, che ricavano un piccolo compenso facendo lavorare gli schiavi a motore (o elettronici) di cui sono ritenuti comproprietari per una piccola quota.

Paul Jorion si dichiara favorevole a questa «soluzione» utopica, nella forma moderna di una «tassa sui guadagni di produttività» da redistribuire alle vittime della computerizzazione e robotizzazione. Questa è un’altra forma del permanente sogno socialistoide francese, tipo «lavorare meno per lavorare tutti». Ignora che il lavoro è molto più che un salario, è dignità, responsabilità, e forza politica e morale. Una società dove il 20% della popolazione è oziosa e mantenuta da sussidi pubblici, somiglia troppo alla Roma affollata dalla plebe tenuta quieta con distribuzioni di grano e biglietti gratis per il circo, per essere desiderabile da cristiani (naturalmente i cristiani sono oggi così pochi, che non è necessario ascoltarli).

L’altra difficoltà che vedo alla riforma proposta è questa: chi dovrebbe convincere il capitalismo a pagare la tassa sui guadagni di produttività, per dare qualcosa agli espulsi dalle fabbriche? Solo con la forza i capitalisti possono esser costretti a questo; e la forza, ha da essere la forza sociale, essenzialmente la minaccia di far loro perdere i benefici indebiti, la possibilità di bloccare la produzione che avevano i lavoratori dell’era fordista. Questa capacità non c’è più. Il 20% sostituito dai robot è espulso dal processo produttivo, è privato precisamente di questa forza, non ha peso politico: dunque non ha diritti.





1) Di fatto l’agenzia di stampa Associated Press (AP) ha annunciato l’adozione di un software fornito da Automated Insight che consentirà la redazione di articoli economici in modo automatico. Il sistema si limita per il momento alle sole informazioni finanziarie contenute nei rapporti delle grandi corporations USA sulle cifre d’affari, evoluzione delle vendite e profitti, e dati generali raccolti dalla Zacks Investment Research; i quali saranno messi in forma «giornalistica» dai redattori virtuali di Automated Insight. Una finanziaria specializzaata in investimenti nel settore delle biotecnologie, la Deep Knowledge Venture (DKV), con sede ad Hong Kong, ha fra i consiglieri d’amministrazione un computer-software che valuta la conveniennza o meno di investire in una data piccola società promettente. Si chiama Vital (da Validating Investment Tool for Advancing Life Sciences) e prende parte alla decisione alla pari con gli altri consiglieri. Nestlé Japan ha annunciato l’assunzione di un migliaio di robot umanoidi capaci di empatia, (basati su un progetto francese denominato Aldebaran e fisicamente fabbricati da Foxconn) per promuovere nei negozi la vendita delle macchine da caffé automatiche in Giappone. Ciò dopo aver constatao il successo che tale robot ha riscosso in 70 negozi della ditta di telefonia mobile nipponica Softbank, dove riceve i clienti e interagisce in modo «umano» con essi. Vengono già venduti in Giappone per soli 1.900 dollari.



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