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La fatica della libertà
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Il dottor Robert Faurisson, rabbi Friedman e rabbi Cohen durante una conferenza sull'olocausto

C'era una volta l'Occidente delle libertà borghesi, quelle nate dalla Rivoluzione Francese. C'era, perché oggi, nell'era talmudico-neoconservatrice, quell'Occidente non c'è più (se mai c'è stato).
Esso, a dimostrazione di quanto fossero e sono paradossali nelle loro conseguenze le sue basi «anti-metafisiche», sta infatti assumendo sempre più il volto di un neo-totalitarismo orwelliano con tanto di psico-polizia.
Non esiste infatti alcuna libertà, vera e concreta, fondata sull'immanentismo.
Nessuna libertà, pur positivamente proclamata nelle Carte Costituzionali, può alla lunga sussistere se non ha a riferimento una superiore norma pre-giuridica che possa essere garanzia di ultima, trascendente, istanza di appello contro l'uso politico e strumentale della libertà astratta di tipo ideologico.
Una istanza di appello il cui Giudice non è, con tutta evidenza, di questo mondo ma che sa come retribuire, ora e dopo, chi usa la «libertà» per imporre la propria egemonia.
Che la libertà nichilista, senza fondamento ultimo, sia solo una maschera della volontà di potenza lo dimostrarono, da subito, i giacobini che devastarono tutta l'Europa, massacrando, stuprando, rubando e saccheggiando, proprio in nome di quella libertà borghese che si voleva affrancata da superiori radicamenti.
Quella della libertà negata dall'Occidente liberale è una storia antica che si ripete ad ogni occasione. Questa volta l'occasione è data dall'invito a tenere una lezione universitaria, il prossimo 18 maggio, rivolto dalla Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Teramo a Robert Faurisson, negazionista del genocidio ebraico.
Insieme a Faurisson è stato invitato per un pubblico contraddittorio, sulle tesi del negazionista francese, anche il senatore Furio Colombo.
Come è noto sulle tesi dei negazionisti, nel merito delle quali non entriamo, i pareri della comunità scientifica degli storici sono contrastanti.
Per molti storici le tesi dei negazionisti sono frutto di una metodologia errata.
Per altri storici, invece, le tesi dei negazionisti apportano elementi interessanti alla ricerca storica. Questi ultimi ricordano, ad esempio, che fu Irving a scoprire, a suo tempo, la truffa dei falsi diari di Hitler accreditati come autentici dal fior fiore dei cattedratici.
La predetta cattedra universitaria, proprio in nome della libertà borghese, che così è messa alla prova, ha ritenuto che Faurisson abbia tutto il sacrosanto diritto di parlare e di parlare in un'aula universitaria e che solo in un ambito professionale, ossia tra storici, egli possa essere valutato nelle sue tesi e quindi eventualmente confutato.
Non certamente nelle aule di tribunale come impongono, invece, leggi liberticide come la Gayssot in Francia e, nel prossimo futuro, la Mastella in Italia.

In favore di questa iniziativa di elementare libertà di espressione, anche in ambito universitario, sono state raccolte, al momento, oltre 300 firme.
Hanno aderito all'appello docenti universitari, magistrati, avvocati, professionisti, giornalisti, associazioni culturali, cittadini qualunque, studenti.
Il bello, ed è ciò che fa infuriare i detrattori dell'iniziativa, è che tali adesioni sono assolutamente trasversali: provengono da destra e da sinistra, da comunisti, da socialisti, da radicali, da fascisti, da cattolici, da islamici e persino da ebrei.
Tra i firmatari dell'appello in questione vi sono uomini che vengono solitamente classificati come di «destra» e che invece sono forse molto più a «sinistra» di tanti rifondaroli comunisti e di tanti neo-liberal, se per «sinistra» si intende l'eredità, abbandonata da Gianfranco Fini, del sindacalismo rivoluzionario.
Uomini, del resto, che di «destra» possono definirsi solo a condizione che per «destra» si intenda l'eredità anti-liberista dei contestatori reazionari del liberalismo che, ben prima di Marx, denunciavano, nel XIX secolo, lo sfruttamento capitalista.
Il fuoco incrociato della destra e della sinistra americane e dei mass-media dell'Occidente liberale ha immediatamente colpito l'iniziativa in questione.
Interventi ministeriali (Mussi), ordini del giorno di consigli comunali, sedute straordinarie del Consiglio di Facoltà, appelli a mezzo stampa della comunità ebraica (quella stessa che di recente ha linciato moralmente lo storico ebreo Ariel Toaff) e di istituzioni e docenti universitari che tengono più a carriere e finanziamenti che alla libertà di espressione, di docenza, di ricerca e di dibattito. Insomma tutto il repertorio del più bieco e classico linciaggio mass-mediatico.
I detrattori dell'iniziativa affermano che nessuno vuol negare la libertà di parola a chicchessia, ma che non si può permettere a tipi come Faurisson di tenere lezione agli studenti nel «sacro tempio» della cultura ossia l'Università.
In realtà si ha la non inverosimile impressione che alla base di certe reazioni vi sia una buona dose di ipocrisia.
Infatti, quanto «sacro» sia questo «tempio» della cultura ce lo raccontano ogni giorno gli scandali di concorsopoli per l'assegnazione delle cattedre nei vari gironi delle mafie accademiche.
In verità, i detrattori dell'iniziativa dell'Università di Teramo sanno benissimo che loro per primi si sarebbero caifescamente stracciati le vesti anche se lo studioso francese fosse stato invitato a parlare in una comune sala pubblica per conferenze, o in un circolo privato. (1)
Il fatto è che quando si crede, sinceramente od opportunisticamente, a fini pratici non fa differenza, ad Israele come ad un Messia collettivo, esattamente ciò che il credo religioso talmudico e post-biblico afferma, tutto ciò che, a torto o a ragione, possa mettere in dubbio questa neo-teologia diventa eresia, da debellare con tutti i metodi.
La Santa Inquisizione, però, agiva con criteri molto più razionali ed invece di aizzare le folle, come fanno oggi mass-mediaticamente i detrattori dell'iniziativa dell'Università teramana, contro gli eretici e le presunte streghe spesso sottraeva gli uni e le altre al linciaggio popolare: anche a questo, pur nella loro indiscutibile realtà di strumenti di pressione psicologica, servivano le garanzie del processo inquisitoriale, ben note agli specialisti della materia.

Hanno trasformato una fortissima persecuzione da fatto, appunto, storico, oggetto come tutti gli eventi storici di indagine storiografica, in un dogma religioso.
E pensare poi che questo Occidente fa professione di laicità.
«Laico» quando si tratta di insultare Gesù Cristo (vedi Dan Brown, Augias/Pesce, la continua pubblicità televisiva denigratoria della Chiesa) o Maometto (vedi la vicenda della «vignette» o l'islamofobia delirante di chi fino a ieri era ateo ed oggi devotamente invoca «crociate»), l'Occidente americanocentrico si scopre un perfetto baciapile quando si tratta di omaggiare il «messia collettivo» ed il suo «sacrificio salvifico».
Due secoli di lotta al confessionalismo dell'Ancien Régime per finire nelle braccia di un neo-confessionalismo sinagogale.
E' di questi giorni la notizia di un ennesimo intervento, presso il Vaticano, di Abraham Foxman dell'Anti Defamation League per bloccare il processo di beatificazione di quel sant'uomo di Pio XII.
Atteggiamento isterico di una triste, infelice e patetica lobby, l'ADL, che oggi si crede in diritto di potersi permettere tutto ed il contrario di tutto.
Mentre si grida allo scandalo per una lezione universitaria, ogni giorno, ora, adesso, proprio mentre leggete queste note, si continua impunemente a massacrare donne e bambini palestinesi in nome di quel Dio di Abramo che viene invocato, o che credono di invocare ogni giorno nelle sinagoghe (ma Lui, che non ascoltava il fariseo superbo della nota parabola evangelica, mentre ascoltava il pubblicano pentito, non può neanche oggi ascoltare chi non ha il cuore umile e contrito). Esattamente come, in nome dello stesso Dio di Abramo, i terroristi islamisti massacrano innocenti in Israele, in Iraq ed altrove.
Di fronte a questo nuovo olocausto, che macchia il santo nome del Dio di Abramo, da parte nostra, cattolici senza pruderie «ecumenicamente corrette», ci dichiariamo solidali con i pii e puri rabbini del Neturei Karta e con quelli del Rabbis For Human Rights che, in nome della Torah e della legge di misericordia da essa insegnata, così simile, anzi, identica alla carità cristiana, chiedono ogni giorno che l'Israele sionista, che essi cercano disperatamente inascoltati di distinguere dall'ebraismo, receda dalla sua politica di discriminazione e di sterminio.
E che il mondo non ripeta lo sbaglio degli anni trenta e fermi l'indecente politica sionista-neoconservatrice in atto in Medio Oriente.
Nessuno, infatti, tranne Maria Santissima, è esente, neanche i «fratelli maggiori», dal peccato originale e, dunque, dalla capacità e possibilità di fare il male.
Di fronte ai massacri perpetuati dai primi sionisti, che negli anni venti del secolo scorso iniziavano ad insediarsi in Palestina, un ebreo, Rabbi Ahad Ha' Am, fedele osservante del Talmud, ma puro di cuore, illusosi sulla possibilità di un «sionismo spirituale», la cui famiglia risiedeva in Terra Santa da generazioni, vivendo in piena armonia con cristiani e mussulmani, urlò scandalizzato: «E' questo il sogno del ritorno a Sion: macchiare la sua terra di sangue innocente? Se questo è il messia, non voglio assistere al suo arrivo!». (2)
Anche noi ci uniamo all'urlo di dolore di Rabbi Ahad Ha' Am: da questo «messia» non vogliamo essere redenti.
Ci lasci in pace e se ne vada per la sua strada che non è la nostra perché la nostra è quella di rabbi Yeshua, dell'ebreo Gesù Cristo.

Ebreo, sì, ma anche, e soprattutto, Verbo di Dio Incarnato, Uomo Universale, Figlio dell'Uomo.
Una strada che, da Lutero in poi, è stata abbandonata dall'Occidente che oggi inneggia alle «crociate» cristianiste ed all'ateismo devoto, ossia alla fede come puntello dell'egemonia politico-economica americana: un modo di bestemmiare il santo nome di Cristo.
Da un tale Occidente e dalla sua ipocrisia non si possono accettare lezioni di libertà.
Un Occidente che, mentendo (le inesistenti armi di distruzione di massa), ha scatenato una guerra non contro un dittatore ma contro un intero popolo, quello iracheno, non può dare lezioni morali a nessuno.
Un Occidente americanocentrico, apostata da se stesso, che pretende di esportare a suon di bombe la democrazia e che poi scopre al suo interno la realtà concentrazionaria di Abu Ghraib e di Guantanamo, delle carceri della CIA in Europa o delle torture della polizia politica israeliana, per niente dissimile in questo da quella di Saddam Hussein, sui detenuti palestinesi.
Può un Occidente così, larva di se stesso e dei valori che pretende di agitare strumentalmente per meri scopi egemonici globali, esportare anche solo la parvenza della civiltà e della libertà?
Il fatto è che l'Occidente, tutto «diritti dell'uomo» ma poi, in realtà, potenza politica, militare ed economica egemonica, non sa più dare ragione di se stesso e dei valori che pone a giustificazione della sua egemonia.
E questo perché quei valori sono ormai privi di un saldo fondamento in Alto e, pertanto, puntualmente, nella pratica, soggetti all'eterogenesi dei fini.
Quella della libertà è proprio una grande fatica.

Luigi Copertino


Note
1) Così hanno affermato - che Faurisson parli pure ma non in Università - due cattedratici, detrattori dell'iniziativa teramana, su L'Unità del 15/05/2007. L'Unità di oggi: ossia quella fatta e rifatta ad immagine e somiglianza di Furio Colombo, uomo del grande capitale transnazionale, a suo tempo assurto, a dimostrazione che, al contrario di quel che pensava Marx, è stato il comunismo ad aprire le porte al capitalismo globale e non viceversa, a direttore del quotidiano «comunista» fondato da Antonio Gramsci (la cui filosofia, del resto, come ha dimostrato Augusto Del Noce, era già alla genesi funzionale al trionfo della società radical-chic e neo-borghese di massa). In realtà, Irving quando è stato arrestato non aveva parlato in una Università ma in una privata conferenza, invitato da cittadini comuni. Ora, è evidente che cattedratici del genere di quello che blatera su L'Unità colombiana non hanno affatto capito la potenziale funzione canalizzante e disinnescante del lasciare libero accesso alle aule universitarie anche ai negazionisti: in tal modo essi, dovendosi sottoporre al pubblico e critico dibattito, perderebbero molto dell'aurea di vittime che adesso, per la miopia intellettuale di molti, invece possiedono. Per quanto poi riguarda L'Unità colombiana ci sarebbe da ridere se purtroppo non si dovesse piangere. Chi scrive queste considerazioni non è comunista ma lo era suo nonno materno, minatore nella Sardegna del dopoguerra e morto di silicosi contratta sul lavoro. Il nonno dell'estensore di queste note credeva al comunismo come ad un ideale messianico di giustizia sociale e, in punto di morte, donò la colletta che i compagni di lavoro avevano raccolto per le necessità della sua famiglia in favore di un compagno ingiustamente licenziato («tanto - disse ai suoi compagni - alla mia famiglia spetterà la pensione di reversibilità»). Ebbene di questo genere di comunisti chi non è comunista non può che avere sommo rispetto e massima ammirazione, ma de L'Unità colombiana, che di quei comunisti dovrebbe essere erede perlomeno morale, e dei cattedratici dagli stipendi d'oro, e spesso nullafacenti, che su di essa scrivono e pontificano, nessuno, neanche un comunista di oggi, se mai ve ne sono ancora da qualche parte, può avere stima o rispetto.
2) Citato in Maurizio Blondet «I fanatici dell'Apocalisse – ultimo assalto a Gerusalemme», Il Cerchio, Rimini, 2002, pagina 158.


 
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