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Neocon all’assalto di Putin
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«Caro Vlad, la primavera araba ti sta arrivando vicina». Vlad è Vladimir Putin, lo statista più odiato dall’Establishment anglo-americano. L’avvertimento è stato mandato via Twitter, ai primi di dicembre, dal senatore Jonh McCain, che ci ricordiamo come candidato presidenziale repubblicano, e sconfitto da Barak Obama. Adesso, McCain ha cancellato il messaggio Twitter. Mission accomplished, può dire, a vedere le grandi manifestazioni anti-governative che hanno avuto luogo nell’ex-URSS.

Il fatto è che il senatore è presidente dello International Republican Institute (IRI), una fondazione «culturale» del partito repubblicano USA, finanziata dal Congresso USA, con la missione dichiarata di «espandere la democrazia» (leggi: sovversione all’estero). Lo stesso New York Times ha spiegato la parte avuta dall’ente nel «coltivare le sollevazioni arabe» insieme al National Democratic Institute (NDI), che è la fondazione gemella del partito democratico USA. Entrambe sono finanziate dal governo americano attraverso il National Endowment for Democracy (NED) creato nel 1983 «per dirigere stanziamenti a promotori della democrazia nei Paesi in via di sviluppo», e che riceve per questo scopo 100 milioni di dollari annui. (U.S. Groups Helped Nurture Arab Uprisings)

Nel suo sito ufficiale, l’IRI di McCain specifica la natura delle sue cure per la Russia: «Selezionare e sostenere (pagare) leader» locali onde «porre le basi della prossima generazione di capi democratici in Russia». Ciò, attraverso «la creazione di reti di politici, attivisti di organizzazioni non-governative e funzionari eletti». Come gli altri suddetti enti americani per l’espansione della democrazia, anche l’IRI fornisce «addestramento» ad agitatori locali.

Quanto al NED, nel suo sito dichiara ufficialmente le cifre sborsate per le associazioni pro-diritti civili in Russia, tutte ovviamente nate per spontanea iniziativa di cittadini.

Golos (Voce, in russo) ha ricevuto 65 mila dollari. Questa organizzazione non-governativa, che sembra essere la più coccolata dagli americani, è stata istituita per controllare le tornate elettorali russe 2010-2011, denunciando abusi e brogli. Tiene conferenze-stampa molto frequentate dai giornalisti occidentali, perchè è fieramente anti-Putin. È stata multata dal governo russo per aver diffuso sondaggi nei cinque giorni di «silenzio» pre-elettorale, prescritto per legge. Anche il NDI vanta di aver collaborato con Golos «per addestrare i partner regionali dell’organizzazione».

SOVA, definito centro di informazione e di analisi, si è dato la missione di combattere «xenofobia, razismo e intolleranza» in Russia. Ha ricevuto dal NED 70 mila dollari.

Madri dei soldati di San Pietroburgo combatte i casi di abusi nelle basi miliatri russe. Dal NED ha ricevuto 85 mila dollari.

AGORA, 100 mila dollari, è una organizzazione inter-regionale che fornisce «assistenza informativa e legale» a tutti gli attivisti messi sotto indagine dalla Polizia.

80 mila dollari sono andati alla Fondazione per il Sostegno di iniziative sulla Libertà dInformazione.

60 mila dollari NED sono andati alla Fondazione Independent Press Center che a Mosca «coordina oltre 80 ONG le quali usano i locali del Press Center per tenervi conferenze-stampa, seminari e tavole rotonde» su argomenti come «corruzione, azioni illegali di funzionari governativi e violazioni di diritti umani».

Il Centro per i Diritti Sociali e del Lavoro ha ricevuto 60 mila dollari.

Un «centro di analisi» Yuri Levada ha ricevuto dagli americani 61.460 euro per «condurre ricerche su strategie, organizzazioni e prospettive» di «gioventù attiva». Sta conducendo interviste a più di cento esperti, opinion-leader e membri di ONG russe, evidentemente per poi selzionare i più promettenti agitatori.

LIstituto della Globalizzazione (sic) ha ricevuto 22.125 dollari per «produrre un film sul movimento giovanile antifascista in Russia».

Lo Ural Human Rights Group (con 57 mila dollari) conduce «programmi educativi» a Chelyabinsk e Sverdlovsk.

I Civil Rights Defenders coordinano le strategia di protesta in nome dei diritti umani nel Caucaso del Nord: 115 mila dollari.

Voce di Beslan, che organizza la protesta dei familiari delle vittime per l’atto terroristico della scuola di Beslan nel 2004: 20.000 dollari.

Rakurs, un centro di informazione sui diritti umani in Dagestan: 54.998 dollari.

Un National Democratic Institute for International Affairs si occupa di formare giovani all’attivismo politico: 134.200 dollari.

Avvocati per la società civile: 50 mila dollari dalla NED.

Un Comitato Ceceno per la Salvezza Nazionale è finanziato con 75.000 dollari.

Il Moscow Group of Assistance in the Implementation of the Helsinki Accords riceve 155.000 dollari per promuovere la libertà di associazione.

La lista è troppo lunga per continuare: chi vuole, può consultarla qui (US Meddling in Russia: In Their Own Words)

Quella qui sopra, largamente incompleta, basta a dare un’idea della vastità della rete pagata da Washington per creare una spontanea «primavera russa» che porti la «democrazia» a Mosca; sono stati identificati e selezionati tutti i possibili malcontenti, formati e addestrati abbastanza attivisti da inscenare le note manifestazioni anti-putiniane in tutta la madre Russia, a cominciare dalla costa del Pacifico per otto fusi orari. I dollari del contribuente americano non sono sprecati.

Michael McFaul
  Michael McFaul
L’anima della faccenda è l’ambasciatore USA a Mosca, Michael McFaul, il quale – per puro caso – è nel comitato direttivo del National Endowment for Democracy e inoltre della Freedom House, una fondazione con gli stessi scopi, questa però finanziata da multinazionali e imprese del complesso militare-industriale.

Qualche mese fa, a sostenere la riconferma di McFaul a Mosca s’è mobilitata un’altra storica fondazione culturale (ma quante sono!) la Brookings Institution: con una lettera aperta al Senato in cui si vantavano i meriti di McFaul nella «democracy promotion». Fatto notevole, la lettera era firmata da un ultra-neocon, Robert Kagan (J) e dal presidente della Freedom House, ed altro neocon, David Kramer (J).

Robert Kagan
  Robert Kagan
I due si dichiarano preoccupati dei diritti umani violati in Russia – una sorpresa dato che i neocon non hanno mai mostrato simili preoccupazioni quanto alle renditions e alle carceri americane tipo Abu Ghraib o Guantanamo, dove languono da anni prigionieri senza processo, e persino senza nome. Ma spiegano poi cosa intendono per «diritti umani»: il loro cuore sanguina per il triste fato di Sergei Magnitsky, uno speculatore che da Londra, col suo Hermitage Capital Management, operava sui mercati finanziari russi – anche se la ditta mantiene la base nelle Cayman – fino a quando la magistratura russa non l’ha arrestato per evasione e frode fiscale.

Sergei Magnitsky
  Sergei Magnitsky
Magnitsky è morto in carcere, e le circostanze della sua morte (per malattia, dicono i russi) hanno dato occasione a un grosso battage pubblicitario. Una vera campagna per obbligare gli USA a decretare sanzioni contro il governo di Mosca.

Nella campagna di screditamento si è distinto un «Khodorkovski & Lebedev Communication Center», che ha anche un sito internet, ed è finanziato dall’avvocato internazionale Robert Amsterdam (J). Costui è il capo della squadra legale che difende Michail Khodorkovski, il miliardario oggi incarcerato in Siberia per le discutibili circostanze in cui divenne proprietario della Yukos, il gigante petrolifero sovietico, che oggi è la Gazprom: la comprò per 250 milioni di dollari, quando alla Borsa, subito dopo, fu valutata 19 miliardi di dollari.

Ma 250 milioni sono 250 milioni; e come li poteva avere il giovane Michail Khodorkovski? Secondo varie rivelazioni, li aveva avuti dai Rotschild di Londra, di cui era apparentemente un prestanome. Lo può dimostrare il fatto che il giovane oligarca, fatta fortuna, si mise in testa di sfidare Putin e portare in Russia la «democrazia»: e a questo scopo fondò la «Open Russian Foundation», ricalcata sullo «Open Society Institute» di George Soros, e presieduta da lord Jacob Rothschild e da Henry Kissinger.

Robert Amsterdam
  Robert Amsterdam
Ora Robert Amsterdam continua la battaglia del suo cliente, agitando la propaganda secondo cui le ultime elezioni russe sono state truccate. Anche se la vittoria di Putin è stata tutt’altro che brillante, il che sembra smentire l’esistenza di brogli elettorali.

Ma è un fatto che dopo l’arresto di Khodorkovski e soprattutto, il sequestro di Yukos–Gazprom, i Rothschild (che avevano pagato il colpo grosso) e i neocon americani, a Putin, l’hanno giurata. E finanziano altri gruppi di sovversione che uniscono i loro sforzi a quelli sopra citati.

La fondazione culturale Foreign Policy Initiative, ad esempio, proclama la necessità di accerchiare la Russia con la NATO e i suoi missili (politica tenacemente eseguita da Washington) e di imporle sanzioni, come quelle che sono state imposte all’Iran. Significativi i nomi dei direttori di questo ente: sono Eric Edelman, Robert Kagan, William Kristol e Dan Senor, tutti neocon famosi, e tutti del tipo J.

La Henry Jakson Foundation si prende a cuore la carriera di Aleksei Navalny, agitatore che ha organizzato gli azionisti di minoranza di Gazprom (e di altre grosse imprese russe) ed oggi è vicepresidente del partito politico russo Yabloko. Fra i donatori della fondazione brillano Boeing, Lockheed Martin, Northrop Grumman, IBM, General Dynamics, e Xerox. La lista dei suoi direttori o patroni comprende i più bei nomi della setta neocon: Max Boot, Michael Chertoff, Carl Gershman (che è anche president del NED) Dore Gold (ambasciatore di Israele) l’onnipresente Robert Kagan, Max Kampelman, William Kristol, e l’ex capo della CIA James Woolsey. Tutti, tranne l’ultimo, sono del tipo J.

Mariya Gaydar
  Mariya Gaydar
In questa compagnia va forse citato il gruppo «spontaneo» nato in Russia con un nome americano, Democratic Alternative, e una sigla russa: DA! (Sì!), che riceve fondi dal National Endowment for Democracy. È stato fondato, oltre che dal succitato Navalny, da Mariya Gaydar: figlia del defunto ex-primo ministro sovietico Yegor Gaydar (J), famoso per aver introdotto le riforme di mercato in URSS con la famigerata «terapia d’urto» (shok therapy) raccomandata dall’economista di Chicago Jeffrey Sachs: quel passaggio immediato al mercato libero che significò la miseria per milioni di russi, e il saccheggio delle risorse del Paese con le «privatizzazioni» fraudolente, di cui si avvantaggiarono tipi come Khodorkovski, forniti dall’Occidente (J) del denaro per arraffare i cespiti più preziosi per un boccon di pane.

Dati questi patroni, è ovvio che i grandi media occidentali – e in prima linea il New York Times e il Washington Post – abbiano coperto le elezioni in Russia con espressioni di odio quasi inverosimile, parlando di «un sistema politico ermetico», una «parodia della democrazia» che «nutre rancore contro il dissenso e si irrita alle voci indipendenti»; bell’esempio di ebraica chupzah, quando si sa che quell «voci indipendenti» sono direttamente pagate dal Congresso e dal Dipartimento di Stato attraverso le fondazioni americane.

Interessante il commento dell’agenzia cinese Xinhua (West not "Godfather" of Democracy) che ha rigettato le «descrizioni caricaturali» dei media americani, ed ha chiarito che ad irritare Washington non è la poca democrazia in Russia, ma Putin in persona:

«Si ritiene che Putin abbia una visioneanti-occidentale’... I politici americani non hanno alcun interesse a rivedere un duro al vertice del potere in Russia. La Casa Bianca non sarà contenta di dover di nuovo trattare con uno spinoso presidente Putin».



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