>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
Su violenza, politica, democrazia e non
Stampa
  Text size
Da un lettore che si firma «Saigon», ricevo questo intervento, in evidente relazione con gli eventi egiziani.

«Chissà, quelli che ora stanno godendo per il massacro dei manifestanti egiziani (i “barbuti nazi-islamici”) da parte dell’esercito, da dove tireranno fuori “l’autorità morale” per condannare il prossimo bombardamento di Gaza, del Libano, o di una qualche “freedom flotilla” da parte di Israele... perché se a massacrare a centinaia, migliaia, sono i soldati egiziani “va bene”, ma se lo fa Israele “non va bene”? Dopo tutto l’obiettivo è sempre lo stesso: “islamici barbuti” (ma anche Gesù era “barbuto”) e “donne velate” (come la Madonna...). (1)».

Lettere così mi fanno a) cascare le braccia, b) attorcigliare i visceri, c) spruzzare attorno acqua di Colonia contro il puzzo di disonestà morale e intellettuale che risulta dal mescolare, in un unico intruglio, cause politiche diverse, giuste e ingiuste, e peggio – credendo di renderle più appetibili – spruzzarle di falsa religiosità e buonismo pseudo-cristiano. Comincio dal punto (c), ossia il fetore “religioso”.

Secondo il sofisma di «Saigon», per il fatto che Gesù era barbuto e Fratelli Musulmani sono barbuti, essi sono vittime innocenti come Gesù, e come i palestinesi bombardati; in generale, non si deve sparare sui barbuti, né su donne velate che sono come la Madonna; non c’è alcuna differenza, nessuna distinzione... altrimenti siete cattivi. La stupidità di un simile falso sillogismo può spiegarsi solo con la malafede. A renderla però particolarmente ripugnante è il ricatto religioso che sottintende: ma come, voi che vi dite cristiani, giustificate o condonate le uccisioni dell’esercito egiziano? Non avete sentito il Papa che ha appena dichiarato: «Fede e violenza sono incompatibili?».

Fede e violenza saranno incompatibili, ammettiamolo per il momento; certo è che però, «politica e violenza sono compatibili». Confondere i due piani, fare il cortocircuito fra religione e politica e proclamare che, dunque, la politica deve elevarsi al livello della pura religione, è un vizio mentale e culturale. Ha un nome preciso: si chiama «integralismo».

L’integralismo non è solo islamico. C’è anche un integralismo evangelicale, più mellifluo e viscido, che – come quello – confonde due piani, che vanno tenuti distinti. L’integralista islamico crede che nel Corano sia contenuto il diritto pubblico, e vuole imporre la shariah alla società. L’integralista cattolico pretende che sia il Vangelo a governare direttamente la società, senza mediazioni: «porgi l’altra guancia», «accogli l’immigrato senza limiti», «nessuno tocchi Caino», ed altri (spesso presunti) dettami di Cristo devono diventare la Legge civile e penale. L’integralismo da Vangelo è apparentemente meno aggressivo di quello da Corano; questo è violento e guerresco, quello buonista e pacifista. Ma l’integralismo cattolico non è meno devastante per la società, forse anche di più, in quanto pretende dallo Stato l’irenismo, il disarmo totale, l’abolizione dei confini e l’annegamento nella globalizzazione, l’accoglienza infinita, l’annullamento delle pene detentive anche per i pluriomicidi... persino le leggi «anti-omofobia» sono in fondo suggerite da un integralismo da Vangelo: «Chi sono io per giudicare un kulandrone?...». Tutte le norme, devono essere eliminate, e sostituite dalla Legge dell’Amore. Che è cosa bellissima, se fossimo già nel regno di Dio.

Nel campo del politico, ossia della vita sociale dell’uomo concreto, ferito dal peccato originale e quindi peccatore, la Legge dell’Amore ci metterebbe alla mercé di assassini, pervertiti polimorfi, «femminicidi» (ed altri -cidi), di invasori armati e di qualunque violento intollerante irenista. Come già infatti siamo, grazie al buonismo generale divenuto modo di pensare comune, in maleodorante e viscida incestuosa unione col permissivismo amorale. Da cui si vede che l’integralismo da Vangelo è anticristiano al massimo grado; Giuda quando lamentava lo spreco del profumo, che si poteva «vendere per dare ai poveri...» è l’esemplare dell’integralista evangelico buonista.

Perché se il fondamentalismo coranico è (purtroppo) insito nella fede coranica, il fondamentalismo da Vangelo non ha giustificazioni scritturali: perché il Vangelo distingue i piani («Cesare» e Dio), e dunque dà a ciascuno di noi la responsabilità di distinguere e discriminare, negli eventi storici, ciò che è giusto ed ingiusto.

Distingue e discriminare – altissima e laica responsabilità del cristiano – è esattamente il contrario di quel che fa «Saigon». Quello si chiama «fare di tutta l’erba un fascio». Ed osa persino sfidarci: con che autorità morale condannate i massacri israeliani contro al gente di Gaza, se non condannate anche i massacri dei «barbuti» in Egitto?

Con pazienza – ma ci cascano le braccia – cerchiamo di spiegare la differenza. A Gaza, ad essere massacrati non sono «barbuti» in quanto tali. Sono abitanti del luogo, nati e cresciuti lì da generazioni, sulla terra loro, che vengono assediati, bombardati e messi alla fame da genti straniere, che su quella terra non sono nate, ma pretendono che la terra appartiene a loro in base ad un cosiddetto testo sacro di 2500 anni fa, e che essi leggono come fosse un atto notarile di proprietà; e siccome questi stranieri sono ricchissimi, armatissimi, alleati con potentissimi e privi di scrupoli, stanno «liberando» la terra che dicono loro proprietà, ossia rapinandola, con un genocidio silenzioso. Che nessuno condanna politicamente.

Occorre spiegare la differenza con quel che sta accadendo in Egitto? Ebbene spieghiamola, anche se ci cascano le braccia: in Egitto, a combattersi e spararsi sono egiziani contro egiziani, divisi da una diversa idea di come governarsi. Dunque in Egitto accade una guerra civile. Cioè un evento politico – tragicamente politico – di prima grandezza. Il metro di giudizio ha da essere diverso che a Gaza.

«Politica e violenza sono compatibili», ho detto poco sopra. Mi correggo: Politica e violenza sono più che compatibili. Politica e violenza sono la stessa cosa. Le due cose sono, originariamente e nativamente, consustanziali. Ciò dovrebbe essere comprensibile: politica significa «il potere», che è forza. Decidere chi prende il potere è sempre in qualche modo un atto di forza. Un paio di millenni di civiltà ci hanno insegnato – a forza di violenza – ad escludere la violenza primaria dall’agone politico; e ci siamo dati istituzioni, corpi di diritto, il cui scopo è appunto ridurre la violenza ad «ultima ratio». Democrazia, parlamentarismo, elezioni sono le istituzioni che vanno per la maggiore a questo scopo; attenzione, non sono le istituzioni migliori, ma quelle «di moda» (2), quelle che nel momento storico attuale è corretto indossare se si vuol essere considerati civili.

Il fatto è che la democrazia sta diventando demodée. La gente –in tutto il mondo – la sente sempre più falsa nelle sue promesse, inadeguata a governare, persino oppressiva, finta. Quando un’istituzione comincia a passare di moda, viene sentita dai più come intollerabile (anche se poco prima la tolleravano); è un momento storico di transizione politica, che ha un effetto deplorevole ma inevitabile: la violenza latente nei sistemi politici riemerge in primo piano; per decidere quale forma di istituzione adottare, la violenza torna ad essere «prima ratio». E la politica torna ad essere una questione di armi e scontri per le strade.

Il merito dei cittadini egiziani – sia onore al loro coraggio – è di aver rimesso a nudo questa radice primaria della politica, o addirittura della pre-politica. Questa base per lo più occultata, perché sepolta da strati secolari di «istituzioni», ma che fatalmente emerge nel grande momento della verità: il «diritto di insorgere», il diritto di resistere [e il diritto di secedere, aggiungeva Gianfranco Miglio (3), che ricordava da cattolico il detto: «Disobbedire ai tiranni è obbedire a Dio»].

La domanda su cui gli egiziani si ammazzano è quella basilare della politica, da noi – ahimé – troppo tempo dimenticata: «Chi deve comandare?». In questo Paese con la sua storia, la sua società plurale, la sua concreta realtà, chi ha il diritto di comandarci?

I Fratelli Musulmani e i loro simpatizzanti affermano che questo diritto spetta a loro, perché sono stati votati «nelle prime elezioni democratiche della storia» del Paese. Ma ciò è molto ipocrita. È ipocrita che invochi la democrazia un partito che la democrazia la rinnega. E non solo la rinnega teoricamente, ma nei fatti, avendolo dimostrato ampiamente nell’anno di governo. Come ha scritto un lettore, i Fratelli hanno «sospeso la Camera bassa del Parlamento; sospeso la Corte costituzionale e giudiziaria; modificato la Costituzione (poi fatta approvare da un referendum confermativo a cui ha partecipato solo il 16% degli aventi diritto...), e la legge elettorale in modo che avrebbero garantito la quasi impossibilità, per i partiti non islamici, anche solo di registrarsi per le prossime elezioni».

Questi stavano procedendo a sopprimere la democrazia dalla quale erano stati votati. L’occupazione brutale , vorace e incapace, di ogni stanza del potere, i massacri di cristiani, gli incendi e distruzioni di loro case e chiese, e gli eccidi di sciiti, gli «esempi» di violenza intimidatrice , testimoniano la stessa volontà di instaurare un regime a partito unico con la forza, e peggio: a religione unica, con la persecuzione delle minoranze religiose (4). Quando si pretende di governare in base alla democrazia, bisogna anzitutto accettare le regole del gioco della democrazia; e la prima regola è che la democrazia è pluralismo, convivenza politica nella stessa società delle diversità legittime e delle storiche minoranze che vi abitano. Non volete la democrazia? È lecito, ma allora dovete restar fuori dai suoi riti, restare extraparlamentari.

Non si può essere democratici quando si ottengono i voti, e anti-democratici quando si ha il potere in mano: questa è doppiezza, e come dicevo, è la doppiezza che ha – alla fin fine – decretato il fallimento del Partito Comunista Italiano, che chiedeva i nostri voti per portarci nella Dittatura del Proletariato, dicendo che la «democrazia vera» era quella (infatti si chiamano ancora «i democratici», come se gli altri non lo fossero). Così i Fratelli, secondo me, hanno mostrato il fallimento dell’Islam politico, lo hanno delegittimato e mostrato indegno di governare; ed hanno fatto una forte pubblicità al nasserismo o al kemalismo, le uniche forme di Stato laico che sembrano capaci di reggere nei Paesi islamici. In breve, hanno reso un pessimo servizio all’Islam – ammesso poi che sia Islam quello loro: se ne infischiano dei saggi consigli della Università di Al-Azhar, anzi rigettano la mediazione del grande imam di Al Azhar, per esempio. Giustamente un lettore attribuisce ai Fratelli una «teologia senza Regno dei Cieli, teorie da sadducei rivolte solo all’aldiquà». Molto azzeccato: tra l’altro, «teologia senza Regno dei Cieli» descrive perfettamente la «fede» dei militanti comunisti dei miei tempi – i trinariciuti – e la dottrina del marxismo-leninismo di Stato di cui imparavano il catechismo.

Né vale gettare la responsabilità sugli elettori egiziani, dicendo: dopotutto, li avete votati, i Fratelli. Quando una maggioranza ti vota, non per questo ti ha dato carta bianca per ammazzare gli sciiti, far sposare le bambine di 9 anni, e bruciare le chiese e rovinare il turismo. Questo vale in modo forte per la situazione egiziana, dove non c’era una vera scelta fra partiti, essendo i Fratelli la sola organizzazione solidamente impiantata e conosciuta (il regime di Mubarak aveva fatto il deserto, tollerando solo loro); ma vale anche per noi italiani. Quanti abbiamo votato Berlusconi sperando attuasse un programma che invece ha tradito? Non è colpa degli elettori, è colpa sua. E per fare un esempio più recente: Quanti hanno votato il Movimento di Grillo, senza però avallare – nemmeno conoscere – il programma settario e fanatico del grillismo? Quando si prendono tanti voti come ne ha preso il M5S o, ancora più, i Muslim Brothers, è per una istanza generale ed imprecisata di «rinnovamento»: sta alla lealtà dei capi verso il loro elettorato di interpretarne correttamente il mandato, ed anche i suoi limiti. Dopo un anno di prova, alcuni milioni di egiziani hanno avuto abbastanza dei Muslim Brothers, e sono scesi in piazza.

Si noti che i militari hanno chiesto, prima di muoversi a stroncarli, una grande manifestazione di popolo a loro favore: secondo me è molto indicativo. Non si tratta qui di una cricca di generali, di una junta di gallonati golpisti, ma di un corpo sociale storicamente popolare, che non ha temuto di fare appello al popolo.

Non ammettere che i Fratelli hanno sgovernato malissimo, delittuosamente ed odiosamente, posso accettarlo da un egiziano fortemente coinvolto in questa lotta, dalla loro parte; purché lui ammetta che un numero notevole di egiziani la pensa esattamente al contrario, fino ad invocare e applaudire la violenza militare. Non ammetto che a difendere i Fratelli sia un italiano, e per giunta mio lettore, sulla base dell’argomento che tutti ce l’hanno con i «barbuti», militari egiziani come israeliani, e Gesù era barbuto... Scusate, noi non siamo di parte; siamo in grado di distinguere, com’è nostro dovere – anche cristiano. Noi siamo occidentali, il che vuol dire: non siamo dei neofiti della lotta politica, veniamo da Machiavelli, da guerre di religione durate 30 e 100 anni, dai giuristi-filosofi che vi posero fine, da secoli di riflessione sullo Stato, su «chi deve comandare», e sulla politica propriamente detta. Noi dobbiamo ricordare Thomas Jefferson, «Quale Paese può conservare la propria libertà se ai suoi governanti non viene periodicamente rammentato che la popolazione conserva il proprio spirito di resistenza?». Ed abbiamo spesso ripetuto, qui, l’altra sua frase: «L’albero della libertà deve essere annaffiato di tanto in tanto dal sangue dei patrioti e dei tiranni. È il suo concime naturale».

E invece appena vediamo gli egiziani battersi per decidere «chi deve comandare», noi ci scandalizziamo. Anzi deliriamo: Sparate sui barbuti?! E perché? Gesù Cristo era barbuto...

È la politica, ragazzi. Quella vera, non la pagliacciata che chiamiamo con questo nome da noi. La politica cui la violenza non è solo compatibile, ma consustanziale; là, la sua latenza è tornata in superficie; visto che i metodi di ridurla ad ultima ratio sono stati mal usati, e abusati, e non hanno funzionato, essa torna prima ratio. Naturalmente è deplorevole che il sangue corra per le strade, ma non abbiamo il diritto di fare della morale facile su un popolo ammirevole, che affronta – con le miserie e le sbavature inevitabili – un passo così grave della sua storia, che forse sono poi le doglie del parto di una nuova realtà, dove l’Islam maturi politicamente, impari a non riproporre continuamente come forma di governo il dispotismo e a richiamare dispotismo contro di sé. Lo auguro, e solo gli egiziani fra tutti i popoli musulmani possono forse farlo.

Per intanto, insegnano a noi certe lezioni che, adusi a forme di governo che chiamiamo «democratiche» e da tempo non lo sono più (perché ci espropriano di libertà e sovranità mentre ci anestetizzano) abbiamo dimenticato. La prima, è che la politica è cosa seria, cosa che sembra ormai sfuggire del tutto al nostro ceto politico italiano. La politica è seria, perché al fondo c’è la violenza, e il politico pagliaccio, malonesto e incapace deve andarci coi piedi di piombo, perché può suscitare la propria eliminazione fisica. La violenza in politica in qualche modo seleziona il personale; bisogna avere come minimo coraggio fisico, e insegna l’accortezza, la ricerca di accordo vasto o almeno l’audacia; i benefici del pluralismo e della moderazione vengono più chiari, quando si stagliano sul reale pericolo di essere ammazzati.

Per confronto, guardiamo la nostra situazione politica italiana. Quale personale politico selezionato l’uso e l’abuso di una forma di governo che abbiamo voluto senza violenza? Per principio ripudiante la forza, «violence free»? Ha fatto emergere sulla scena i Fiorito, i Calderoli, le Polverini, le Boldrini, i Beppe Grillo; i Monti e le Santanché, i patetici furboni della sinistra, i magistrati alla Esposito o Ingroia: delle m... (è il nome collettivo che spetta loro). Tutti ambiziosetti di nessuna qualità, che si affollano vogliosi di potere – e che scomparirebbero d’incanto, rintanati tremebondi in cantina, al primo colpo d’arma da fuoco, lasciando così la scena a chi sa rischiare, a gente animosa, da cui può venire il leader di carattere e di visione. Come nel circo quando entrava il domatore di leoni, e gridava «fuori i pagliacci!».

E guardiamoci noi, elettori senza fine di questo personale politico, senza fine soggetti ad elezioni insensate, perché non ci consentono di dare il potere a chi vogliamo e scegliamo; vediamo come ci ha ridotti la politica da cui per principio abbiamo voluto escludere la violenza.

Da quanto tempo non vi ponete la domanda per cui gli egiziani coraggiosi si battono non evitando il sangue: «Chi deve comandarci ?».

Probabilmente, non ve lo siete chiesto mai; vi hanno oscurato nelle menti e nei cuori la questione primaria della Politica. Il risultato, signori, è che ci lasciamo comandare – e ormai da decenni – da chi comandare non deve. E quando un popolo si lascia comandare (per viltà, quieto vivere e tornaconto) da chi nel profondo sente che «non ha il diritto» di comandare, quel popolo si demoralizza, si corrompe, marcisce e decade. Che è quel che succede appunto a noi italiani.

Perciò per gli egiziani, la prognosi mi pare migliore che la nostra.




1
) La mail di «Saigon» è accompagnata dal link di un «Campo antimperialista». Questo sito (che mostra guerriglieri armati e il solito Che Guevara) se la prende con uno sfogo di Sherif El Sebaie, egiziano trapiantato in Italia collaboratore de Il Manifesto. Ecco cosa non piace a costoro di Sharif:
«A fronte del piano degli islamisti che prevede, nella sua prima fase, la ricerca del martirio e il maggior numero possibile di vittime pur di muovere a compassione un Occidente boccalone innamorato dell'idea della democrazia che vince sempre e ovunque anche se sono i nazisti a beneficiarne, a fronte dei leader di una fratellanza che non esitano a sacrificare poveri innocenti indottrinati pur di ritornare sulle comode poltrone che qualcuno ha avuto la brillante idea di far provare loro per un anno, l'unico rimedio è dichiarare la legge marziale, e istituire tribunali speciali con condanne capitali immediatamente esecutive nei confronti di alcuni leader, in modo da costringere i rimanenti dal carcere a bloccare il piano eversivo che prevede di distruggere il paese nel caso non siano loro a governare.Ha funzionato negli anni 50 con i fratelli, negli anni 90 con i qaedisti, che poi sono i loro amichetti, giochi di ruolo (moderati vs estremisti) a parte. E funzionerà ancora».
2) In passato funzionarono benissimo, per fare della violenza l’ultima ratio in politica, anche le monarchie per diritto divino. Funzionarono per millenni, meglio della «democrazia»; poi passarono di moda.
3) Si ricordi che Gianfranco Miglio non nacque machiavellico, estimatore della pura forza né fautore di Carl Schmitt. Per sua ammissione, cominciò ad interessarsi del pensiero politico per cercare di capire che cosa avrebbe finora impedito la fondazione della pace e della legalità universali e la messa al bando della violenza». Successivamente riconobbe qui una «ingenua premessa valoriale» che «viziava» il pensiero politico realistico, concreto e per il bene. Noi siamo generalmente tutti soggetti a questa inetta utopia della «fondazione della legalità universale e la messa al bando della violenza». Dovremmo svegliarcene, secondo me.
4) Questo è particolarmente idiota; i copti sono quasi il 10% cento, e averli dalla propria parte dovrebbe essere l’aspirazione di un movimento politico maggioritario d’ispirazione religiosa, che si vuole opporre allo stato laico. Ciò vale tanto più per gli sciiti, che sono musulmani (il takfirismo è un’abiezione suicida). I Fratelli hanno mostrato così il loro fallimento: la politica, ricordiamolo, è «chiamata di genti diverse a fare qualcosa di grande assieme». Chi non si attiene a questo, si autocondanna politicamente.



L'associazione culturale editoriale EFFEDIEFFE, diffida dal copiare su altri siti, blog, forum e mailing list i suddetti contenuti, in ciò affidandosi alle leggi che tutelano il copyright.


 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


La Dittatura Terapeutica
L’unica ed estrema forma di difesa da questo imminente, sottovalutato, tragico pericolo particolarmente grave per l’Italia, è la presa di coscienza
Contra factum non datur argomentum
George Orwell con geniale e profetico intuito, previde l’oscuramento delle coscienze, il tramonto della civiltà, l’impostura e apostasia dalla verità che viviamo, quando scrisse “nel tempo...
Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità