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Spariranno i lavori. Tranne quelli inutili e dannosi.
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«Secondo le nostre valutazioni, circa il 47% dei posti di lavoro è a rischio di sparire perché potrà essere fatto da computers»: questa la conclusione di Carl Benedickt Frey e Michael A. Osborne, due sociologi di Oxford, al termine del loro studio «The future of employment – how susceptible are jobs to computerisation?» - (Il futuro dell’impiego – come sono vulnerabili i posti di lavoro alla computerizzazione). Più o meno la metà dei lavori in America possono, nei prossimi anni, essere affidati a sistemi informatici o robotici «intelligenti», che sono in via di rapido sviluppo. Sparirà un’altra fetta di tipici «lavori d’ufficio» (addio bancari e impiegati d’ordine), nei servizi di vendita, nei trasporti (TIR intelligenti faranno a meno di una quantità di camionisti) e persino l’ultimo rifugio dei giovani precari, i call centers: sintesi vocale, linguaggio naturale e risposte «adeguate» alle domande saranno fornite dai computer nel 60-80% delle chiamate, il lavoro resterà solo per il 20% di umani che sanno dare risposte a problemi forti e insoliti, ossia a veri esperti... Per la metodologia usata dai due di Oxford, potere consultare il loro rapporto qui.

Ciò sembra convergere con le posizioni di un altro inglese, stavolta antropologo della London School of Economic, David Graeber. Graeber ha il merito (era ora!) di porre la questione del «Bullshit Jobs», le professioni-stronzata (1). Nella società britannica altamente privatizzata e finanziaria, Graeber cita come professioni del cavolo «gli esperti di pubbliche relazioni, di risorse umane, avvocati d’affari, consiglieri d’amministrazione, amministratori delegati, manager e consulenti di manager, consulenti legali e consulenti in genere, lobbisti», oltre che l’enorme personale amministrativo che scalda le sedie nelle università e negli ospedali a «gestire» e controllare coloro che fanno il lavoro vero, medici, infermieri, docenti, ricercatori, scienziati... La controprova? Immaginate, suggerisce l’antropologo, «se scomparissero netturbini, infermiere, gruisti portuali e meccanici, sarebbe una catastrofe sociale. Se sparissero dall’oggi al domani le categorie sopra indicate come “bullshit professionals”, non appare chiaro se l’umanità ne soffrirebbe (molti ritengono che migliorerebbe)».

Noi, come italiani, potremmo aggiungere una lista quasi infinita di mansioni-stronzata, di professioni superflue, che non portano alcun contributo al progresso umano, se non dannoso. Solo a titolo esemplificativo: sovrintendenti alle Belle Arti a tre strati (provinciali, regionali e centrali) che «gestiscono» il patrimonio artistico-paesaggistico più grandioso e più sfigurato del mondo. La dozzina e passa di Authorities con il loro pletorico personale e dirigenti, alcune delle quali buffissime («per la privacy», nel regno totalitario delle intercettazioni). L’80% dei «giornalisti» imbucati alla Rai in quota a qualche partito, e da quel momento scomparsi alla vita professionale, ma illicenziabili. L’armata che prende uno stipendio in quanto (dice) «lavora all’ATER» di qualche Regione, ossia Agenzia Territoriale per l’edilizia residenziale, organo che sembra presiedere all’abusivismo edilizio a favore dei palazzinari mafiosi. Uffici di collocamento che non collocano alcun disoccupato a memoria d’uomo. Che so, i ben 54 dirigenti della Presidenza d del Consiglio che si sono aumentati gli stipendi del 32% negli ultimi due anni, passando da 170 mila a 230 mila. I 10.500 forestali calabresi che sono il triplo dei forestali canadesi; mettiamoci i 28 mila forestali siculi che costano mezzo miliardo l’anno. anzi, se ci si pensa, mettiamo pure nel novero de lavori-stronzata tutti quelli che si fanno (meglio: si pagano) alla Regione Sicilia, e Calabria, governatori, assessori, consiglieri e portaborse e «giornalisti» degli uffici-stampa non esclusi.

Ci sarebbero i dirigenti di Bankitalia, pletorici e strapagati, quando sarebbero sostituibili non già da un supercomputer intelligente, bensì da un centralino che raccolga le chiamate della BCE, e un fax che ne riceva gli ordini e i comandi da Frankfurt. Avendo Bankitalia ceduto il potere di emissione, ed esercitando il potere di controllo come tutti vediamo (Montepaschi), non è dubbio che lì dentro si fanno solo bullshit jobs.

Il che porterebbe il discorso sull’inter apparato legislativo, senatori e deputati e loro uffici, portaborse e benefit: che il loro «lavoro» sia una stronzata lo suggerisce il fatto che può essere completamente rimpiazzato, annullando tutte le loro leggi e decreti e adottando invece le norme, leggi e decreti in vigore nel Canton Ticino, che non si devono nemmeno tradurre in italiano.

Per non dire dei 54 «dirigenti di fascia alta» del Ministero dell’Economia, ciascuno pagato 175.911 euro l’anno, per fare il lavoro che, nell’identico ministero britannico, sanno espletare 17 «directors general» pari-grado degli italici, e pagati 110 mila, ossia il 60% in meno – il che fa sospettare che almeno 37 dei nostri «fascia alta» siano addetti a stronzate pagatissime. Vi si aggiungano i capi di gabinetto, direttori generali, segretari generali, capi-dipartimento, l’armata infinita degli stipendi d’oro perché, in qualche lontano passato, hanno «vinto o’ concuorso» e da allora non hanno mai dovuto fare un aggiornamento.

Per farla breve, diamo le tabelle di comparazione elaborate da La Voce. Info:



E perché non sembri che accusiamo solo la dirigenza pubblica, mettiamo nel novero i banchieri: Mussari, 350 mila euro annui più benefit, per fare quello che ha fatto a Montepaschi. E che il lavoro dea banchieri non richieda alcuna intelligenza né competenza quale loro si vantano di avere, basterà ricordare che essi, riuniti, all’unanimità avevano scelto giusto Mussari come presidente della Associazione Bancaria Italiana. E Profumo, che ha sostituito Mussari? Venuto da Unicredit con 40 milioni di liquidazione per risultati mai raggiunti. E Abramo Bazoli, e Passera, e Guzzetti?

Già questi casi ci suggeriscono che costoro non saranno mai sostituiti da computer intelligenti. Perché non è all’intelligenza e competenza specifica che devono i loro stipendi d’oro, ma a altre capacità – peraltro indubbie – di un tipo che non può essere espresso in algoritmi. Invano cercherete il software Lekkakul.exe che tanto aiuta ad inizio carriera, lo Sgomita.com, l’applicazione «Smart-Masson», lo «Yes.men. exe», l’essenziale «Ammanikation Maker», e l’indispensabile app «Aum-Aum Manager». La competenza può persino essere un ostacolo a quelle super-carriere, in quanto limita la «moral flexibility» .

Ma l’Italia è un caso particolare, e specialmente patologico, della tendenza generale segnalata da Graeber:

«Un mestiere è tanto meno pagato, quanto è più utile alla società».

Dal 1910 ad oggi, in un secolo, dovunque in Occidente si sono ridotti del 90 e passa per cento coltivatori, operai, servitori domestici, ma sono più che triplicati i «lavoratori nelle professioni, nel management, vendite nel terziario» avanzato: tutti sulle spalle dei produttori reali di beni realmente necessari – gli ormai pochissimi agricoltori, minatori, operai. Nella fase ultima del capitalismo che conosciamo, s’è accentuato il carattere bullshit dei jobs: lobbisti, esperti di «comunicazione», consulenti motivazionali, politici non-eletti di mestiere, amministratori di municipalizzate-privatizzate, fornitori di corsi di formazione, favorite del Presidente, archistar, finocchi o verdi militanti, ecologisti, Femen, conduttori televisivi tanto più pagati quanto più vacui e insipidi (Fabio Fazio, 1,8 milioni) giù fino ai «buyers» (di moda, presenti a migliaia alle sfilate), e financo agli «shopping consultant», la proliferazione di specialità stronze, inessenziali-truffaldine e del cavolo sembra incoercibile.

Eppure, nota Graeber, è quel problema che la competizione di mercato ci hanno detto avrebbe risolto, espellendo gli inutili. Ci dicono che imprese volte al profitto non sprecherebbero denaro assumendo lavoratori di cui non hanno bisogno, e che occupano gran parte del loro tempo in riunioni, corsi di formazione motivazionale, o ad aggiornare il loro profilo su facebook.

Invece è così. Tutte le volte che le aziende quotate tagliano, licenziano, automatizzano, quella che puntano ad aumentare è invariabilmente la produttività di quei lavoratori – ormai pochissimi – che effettivamente fanno, spostano, aggiustano e manutengono cose. I lavori del cavolo invece, la cui «produttività» è immisurabile o palesemente nulla, si accrescono. E la più intensa ed avanzata computerizzazione non fa affatto sparire, come sarebbe giusto, i più dannosi e pericolosi bullshit jobs. Tipico esempio, il trader finanziario: affiancato da supercomputers che fanno 2 mila operazioni borsistiche al secondo da sé – cioè fanno il suo lavoro, ma immensamente più veloce – non per questo viene licenziato. Anzi è riempito di bonus. La sua mansione non comporta più alcuna parte di intuizione, com’era una volta; sorveglia l’algoritmo iper-veloce, e lo fa pure male, come quel trader di JP Morgan che nel maggio 2012 provocò alla ditta perdite per 2 miliardi di dollari esponendosi con scommesse colossali contro certi hedge funds: un esempio lampante di stronzata professionale, rivelatrice della natura fasulla della pretesa specializzazione di operatore finanziario. Eppure, a parte qualche sciagurato isolato che viene beccato e finisce in galera, centinaia di questi pericoli pubblici lavorano, ben pagati, con la Porsche nel parcheggio della banca d’affari, nelle grandi borse di tutto il mondo. E mica lavorano poco; lavorano 50 ore settimanali, lavorano di notte, impasticcati, fatti di coca, a mettere in pericolo l’economia globale. Quanto ai lobbisti e ai conduttori tv, ai buyers, alle PR e ai consulenti, non c’è nessuno più indaffarato di loro; sempre al telefonino, sempre di corsa. Mestieri come il passeggiatore di cani, baby-sitter e consegnatore di pizze calde alle 3 del mattino sono nati per servire queste categorie di cazzeggiatori occupatissimi.

Il motivo della proliferazione di mestieri-stronzi può risiedere nel fatto che il capitalismo terminale-finanziario è diventato un’idrovora perfezionatissima per risucchiare la ricchezza dal basso (da chi la produce) verso l’alto, all’1% che se la accaparra. E questo 1% dispone della massima parte della ricchezza: dunque il «mercato» del lavoro esprime le loro preferenze, le loro concezioni su cosa è utile e cosa inutile: dunque, utili sono collegi di avvocati d’affari e penalisti di grido per salvare costoro dalle galere, lobbisti per piegare governi, favorite del presidente, politici senza qualità, consiglieri d’amministrazione che s’addormentano nelle riunioni per non sentire quel che dice Mussari (o Bazoli), trader «geniali», e quel tipo di «creativi» che l’1% è disposto a pagare: non i Michelangelo o i Cellini , i Tiepolo o i Borromini – tutto quel genere che erano i Papi e i Principi a selezionare e desiderare, per circondarsi di bellezza e grandezza – ma i pubblicitari, i fotografi di moda, i «creativi del marketing» che aiutano a far soldi, ancora un po’. E al massimo, come «artista», Andy Warhol con la sua zuppa Campbell. Sono dei mecenati a rovescio: promuovono il banale e dozzinale che hanno dentro. La furbesca finta-provocazione che pullula nel «mercato dell’arte», non l’arte che non capiranno mai.

Nel fondo di sé, questi lavoranti bullshit sanno che il loro «lavoro» è una stronzata, che non reca alcun utile alla società, che è superfluo. Da qui la nevrosi stampata sulla faccia di questi personaggi, l’ansia di prestazione, la vanità mai placata, la sete di successo come conferma di sé, l’arrivismo – e la segreta angoscia che quello che quello che fanno loro lo sa fare chiunque altro, da cui quindi bisogna guardarsi, di cui si deve sospettare che «non ti rubino il posto», la scrittura, la commessa, la consulenza.

Li si riconosce, dice Graeber, perché in un party o una serata, sono quelli che non parlano del loro lavoro. Allevatori che parlano del loro mestiere possono affascinare per sapienza e rigore del linguaggio, e i viticoltori non meno quando parlano di innesti. Ho un amico chirurgo laringoiatra, lettore di queste pagine, fa operazioni spaventose ma è un piacere ascoltarlo raccontare, con passione e rigore, del suo ultimo intervento – oggettivamente orribile. Un inviato speciale può affascinare un uditorio con le sue avventure. Invece, banchieri o «esperti di marketing», amministratori di ASL, finanzieri, dirigenti delle risorse umane, capi di gabinetto, consulenti e amministratori delegati non amano parlare del loro lavoro. Evitano. È un indizio preciso del fatto che il loro «lavoro» non ha un vero contenuto, e lo sanno. Per lo più, nutrono un sordo risentimento verso chi lavora davvero, chi «fa le cose» con competenza: non è un caso che l’intera «cultura aziendale», l’intera «filosofia» del pubblico impiego, specie a livello dirigenziale, sia di far soffrire i cittadini contribuenti, di taglieggiarli ed ostacolarli in ogni modo usando del loro miserabile potere di sorveglianza, controllo e impiccio. Come l’impotente che non potendo penetrare la donna la brucia con la sigaretta accesa («Così si ricorderà di me»), i pubblici detentori di bullsìhit jobs fanno pesare sui produttori (che gli pagano gli stipendi) il loro potere d’interdizione: non sono utili, vogliono che li ricordiamo almeno perché ci sono dannosi. Acciocché non si dica che sono al nostro servizio, sia chiaro che siamo noi al servizio loro. Nel settore privato più bullshit, negli stanzoni della finanza, le sale di Wall Street, il cattivissimo, la volontà di nuocere e fregare, il cinismo e il «mors tua vita mea» sono il ferro del mestiere e il suo sale. «È un gioco a somma zero», dicono. Ma l’economia non è un gioco a somma zero; a somma zero, è malvagità.

È da questi ambienti che emana la volontà di tagliare la metà dei lavori che conosciamo con l’automazione; è da questa filosofia «a somma zero» il progetto di efficienza massima che escluda l’uomo? O forse è peggio: per emanciparci dalla fatica abbiamo sviluppato macchine, per svincolarci dal difficile, gli ordinatori; ed oggi siamo così standard, facciamo lavori così standard, da poter essere facilmente standardizzati e infine sostituiti da computer. Ben amaro esito finale di un cammino di liberazione dalla maledizione biblica, dal «sudore della fronte», siamo diventati superflui – superflui, il che è incredibile, a quelli che guadagnano a forza di stronzate inutili.

Intravedo una via d’uscita – o almeno una linea di resistenza – nel contrario dello standard: dovremmo auto-educarci al bel lavoro manuale, al prezioso artigianato; educare lo sguardo al raro, al difficile, al nobile; impregnarci della bellezza, della cultura e del passato. Educare la comprensione e la saggezza. Aumentare la creatività, quella vera, non di Andy Warhol o Pollock, ma imparando da Caravaggio – o dalla ricamatrice. Acquistare con l’esercizio l’esprit de finesse di cui parlava Pascal, l’impalpabile attitudine propriamente umana, che il computer non saprà mai emulare.

Purtroppo, stiamo dando a noi (e ai nostri figli) l’educazione contraria: istruzione standard minima, gusti standard di massa, full-immersion in stronzate mediatico-televisive, aspirazioni a quale ben pagato lavoro bullshit.





1) Si veda la voce «Stronzata» su Wikipedia




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