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Fine di una moneta unica: Cecoslovacchia 1993
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L’euro non è in discussione, ha detto Draghi. L’euro non cadrà, e chi scommette contro di esso perderà, ha detto Schauble, il ministro delle Finanze germanico. E il mantra viene ripetuto a tutti i piani alti e poteri forti. Tutti a dichiarare la ferma volontà di impedire la spaccatura dell’unione monetaria.

Eppure, c’è un esempio di unione monetaria che non ha retto alla ferma volontà di continuarla. L’abbiamo avuto in Europa. Ed è un esempio relativamente recente, risale al 1992, ed è li da studiare per chi voglia vedere la realtà.

Ceccoslovacchia, giugno 1992. Le elezioni legislative danno la vittoria ad una coalizione di destra in Cechia, mentre in Slovacchia vince la sinistra (però nazionalista). Impossibile formare un governo unitario. Rapidamente e senza spargere sangue, le due parti si accordano per spezzare in due questo Stato artificiale, creato dopo la Prima Guerra Mondiale dalle massonerie in pura funzione antitedesca. La scissione corrisponde alle profonde aspirazioni dei due popoli, uniti per forza.

Il primo gennaio 1993, nascono di comune accordo due Stati indipendenti. Tuttavia, gente civile e ragionevole, decidono di mantenere la moneta comune, l’unione doganale e un comune mercato del lavoro. Anche lì, operavano ferme volontà.

L’unione monetaria si spacca l’8 febbraio 1993, un mese dopo la pacifica secessione. Che cosa non funzionò, è raccontato in uno studio di tre economisti locali, e pubblicato dallo ZEI (Centro Studi Integrazione Europea dell’Università di Bonn), intitolato Stability of Monetary Unions: Lessons from the Break-up of Czechoslovakia. Lo studio è del 1999, nell’imminenza dell’introduzione dell’euro, per segnalare i rischi di formare una zona monetaria imperfetta. Ovviamente nessuno se ne dette per inteso, tra i poteri forti. http://econstor.eu/bitstream/10419/39553/1/30391856X.pdf

Come andò? La moneta comune dei due Stati declinò al cambio rispetto alle altre monete; le banche straniere cessarono addirittura di negoziarla. Si formò un cambio nero, che trattava la corona (CSK) al 75% in meno del cambio ufficiale, rispetto al dollaro. Tra la fine del 1992 e lungo tutto il gennaio 1993, residenti e ditte slovacche trasferirono i loro fondi in moneta comune CSK in banche della più sviluppata e industriale Repubblica Ceca, chiara aspettativa di una svalutazione futura della moneta slovacca. Le esportazioni ceche verso la Slovacchia aumentarono notevolmente, sbilanciando la bilancia dei pagamenti; inoltre, gli importatori slovacchi si affrettarono a pagare il loro debito al più presto (aspettandosi una svalutazione della futura moneta slovacca) mentre gli esportatori cechi avevano interesse al contrario. In breve, si verificò un’emorragia di fondi dalla Slovacchia verso la Cechia; la Banca Centrale e poi le due Banche Centrali che seguirono, cercarono di ovviare aprendo crediti generosi alle banche commerciali slovacche. La cosa però non conveniva alla Repubblica Ceca, la cui economia forte non aveva interesse ad aiutare il suo PIG della porta accanto. Il governo ceco decise di creare la sua moneta fin dal 19 gennaio ’93.

E’ interessante sapere come avvenne. Ci furono negoziati segreti con la controparte slovacca, in cui si fissò la data della separazione per l’8 febbraio. La cosa fu annunciata pubblicamente il 2. A cominciare dal 3 febbraio, tutti i pagamenti fra le due repubbliche furono bloccati, e furono stabiliti ferrei controlli alla frontiera per impedire trasferimenti di moneta fra i due Stati. Tra il 4 e il 7 febbraio, ossia tra giovedì e domenica, la vecchia moneta comune CSK fu cambiata nelle nuove divise, che dovevano diventare a corso legale l’8 febbraio; in pratica, in attesa della stampa delle nuove, alle vecchie banconote CSK fu applicato un bollo che distingueva le divise dei due Stati. Il pubblico fu invitato a depositare il liquido in banca prima della separazione, limitando drasticamente la quantità di banconote CSK che era lecito cambiare in liquido. Le monetine metalliche restarono in uso per molti mesi ancora (del resto, erano solo il 3%  del circolante), mentre le banconote col bollo furono gradualmente sostituite, e la sostituzione fu completa ad agosto ’93.

Quali  i costi e i benefici della separazione monetaria? Va detto preliminarmente che già prima, con la moneta comune, le «riforme liberiste» introdotte dopo l’uscita dal sistema sovietico avevano avuto effetti diversi sulle due componenti: una drammatica caduta del PIL del 15% in Cechia, e di un tragico meno 22% in Slovacchia.  Anche la disoccupazione crebbe enormemente a causa delle riforme e delle privatizzazioni: ma più in Cechia che in Slovacchia. Fatto strano, perchè secondo la teoria economico-liberista, la disparità di situazione economiche in un regime monetario unico – specie quando, come nel caso, i lavoratori parlano la stessa lingua e condividono gli stessi costumi e istruzione – avrebbe dovuto provocare  migrazioni di slovacchi in Cechia, e dunque un livellamento dei senza-lavoro. Invece non avvenne.

Dopo la separazione, il commercio fra i due Paesi declinò sostanzialmente. I costi della separazione (creazione di nuove strutture separate di governo) aggravò la situazione di entrambi, ma più per la Slovacchia, che ha una popolazione molto inferiore alla Cechia. La  Cechia, più sviluppata, beneficiò della fine della perequazione fiscale, ossia dei trasferimenti che la sua economia doveva fare alla Slovacchia (il suo Meridione depresso); cifra ragguardevole, anche se mai resa nota, tanto più che questi trasferimenti erano in corso da sei decenni. La Slovacchia ci ha perso di più, e inoltre  la sua economia industriale era costituita da fabbriche d’armamento  che servivano  la zona economica comunista, ed ora sono ferrivecchi.  In più, ha dovuto scontare l’ostilità attiva dell’eurocrazia, che ha visto nel nazionalismo slovacco il risorgere di una storia (filofascista) che non deve aver più corso nè spazio nel mondo che ci hanno imposto. La Slovacchia resta un povero, piccolo orgoglioso Paese, oggi prima che ieri.

Ma in ogni caso, dicono gli autori dello studio, la rottura monetaria era inevitabile, perchè non era una Zona Monetaria Ottimale, ossia priva delle tre condizioni necessarie: un bilancio centralizzato, la mobilità dei lavoratori e la convergenza macro-economica.

Ebbene: il bilancio centrale esisteva da 60 anni, ma ciò non ha affatto migliorato la convergenza delle due zone economiche, nemmeno quando c’era la moneta unica. E quanto alla mobilità dei lavoratori, come abbiamo visto, non s’è verificata.

Ciò dovrebbe dirla lunga sulla stabilità dell’euro. L’unione monetaria ha fallito in un Paese di dimensioni modeste, unito da 70 anni, con lingua e bilancio comune, e per di più governato per decenni da un regime forte e autoritario di stampo comunista. Quanto potrà funzionare in un’Europa a 27 Stati, con tante lingue, situazioni economiche e infrastrutture dispari, lo vedremo.

Più interessante la conclusione degli autori: come dimostra il caso ceco-slovacco, lo scioglimento di un’unione monetaria «può avvenire rapidamente e non è necessariamente troppo costoso». La tentazione di secedere può diventare alta per quelle nazioni in cui «i costi delluscita, consistenti nel declino del commercio con gli altri membri dellunione, è piccolo» in confronto ai benefici della ritrovata sovranità monetaria, tanto più che  la riduzione degli scambi nellarea di unità monetaria può essere facilmente compensato da un aumento degli scambi con altre zone del mondo.

Il vantaggio della cessazione dei trasferimenti fiscali al sud è un altro incentivo non da poco: e ciò vale più che per la Germania rispetto al Club Med, per il Nord Italia rispetto al suo Meridione.


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