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Messa in latino: nella fantasia, e nella realtà
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Mary Higgins Clark, nata a New York (nel 1927) da famiglia irlandese, è la fortunata autrice di 24 romanzi-thriller, tutti divenuti best-seller; uno dei suoi libri («Where are the children?»), è alla settantacinquesima edizione.

Il suo ultimo romanzo, uscito quest’anno, «Where are you now?» (Dove sei adesso?), contiene un passo significativo: «... Da quando Papa Benedetto XVI aveva dichiarato che ogni parroco poteva celebrare la Messa in latino, padre Devon aveva annunciato che da ora in poi la Messa domenicale delle 11 sarebbe state celebrata in questa lingua tradizionale della Chiesa, che lui parlava correntemente. La reazione dei parrocchiani lo stupì. La chiesa si riempiva da scoppiare a quell’ora, non solo di anziani ma di adolescenti e giovani adulti che rispondevano con ardore Deo gratias anzichè “Sia ringraziato il Signore”, e recitavano il Pater Noster anzichè il Padre Nostro» (1).

Questo avviene nel mondo della fantasia, o se preferite, della fiction. Nella realtà, ecco cosa si legge nell’editoriale postato sul sito della diocesi francese di Arras, a firma dell’abate Emile Hennart: «... Nel campo religioso, si potrà sottolineare l’apertura del dialogo con l’Islam intrapresa da Papa Benedetto XVI o l’avvicinamento alla Cina. Si potrà per contro spiacersi per i favori accordati ad una liturgia ereditata dal Medio Evo, che sembra ignorare la pratica dei primi secoli della Chiesa, quella dei Padri in special modo».

Che dire? Come sempre, la realtà supera la fantasia. Di molte lunghezze. La diocesi di Arras crede che la Messa in latino venga dal Medio Evo, mentre se mai viene dalla Controriforma (parliamo del 1600, non del 1200); e conferma che la volontà dei «progressisti»  nella liturgia è in realtà una sete (archeologica?) di arcaismo: fa riferimento a più o meno fantasiose «pratiche dei primi secoli», specificamente «dei Padri della Chiesa». Quasi che il banale «scambiatevi un segno di pace» (a cui seguono grandi strette di mano) fosse una pratica dei primi cristiani.

Forse, a forza di arcaicismi, i progressisti vogliono arrivare ad una congetturale o fantomatica messa in ebraico; lo suggerisce l’enorme spazio dato alla Torah, a «Israele» e ai Salmi  nella liturgia post-conciliare.

Ma chi volesse appurare di prima mano come la pensassero i Padri della Chiesa, e cosa praticavano i cristiani «dei primi secoli», potrà adesso vedere su internet il Codex Sinaiticus. Lo ha messo in linea la biblioteca universitaria di Lipsia, con l’intento di unire ed offrire alla lettura degli specialisti e dei colti l’intero Codex, che è disperso in mezzo mondo: 43 pagine sono appunto a Lipsia, 67 alla British Library, altre sono a San Pietroburgo e a Santa Caterina del Sinai. Per ora, sono in linea oltre 100 pagine; entro il 2009, l’intera opera dovrebbe essere consultabile.

Sui media che si sono dati la pena di dare la notizia, questa è chiamata «la più antica Bibbia del mondo». In realtà è una delle due più antiche, insieme al Codex Vaticanum, che è integralmente conservato in Vaticano. Si tratta di due codici della metà del quarto secolo. Forse due delle 50 copie della Bibbia che Eusebio di Cesarea mandò all’imperatore Costantino da poco passato alla fede in Cristo.

Eusebio, vescovo palestinese, nacque nel 264 e morì verso il 340; Costantino abbracciò pubblicamente il cristianesimo nel 313 (Editto di Milano). Dovrebbe essere dunque una «arcaicità» soddisfacente per i progressisti ansiosi di recuperare le pratiche della prima Chiesa, supposta giudaizzante.

Ebbene: anzitutto, si può constatare che il codex è scritto in greco (caratteri unciali) e non in ebraico; com’è ovvio, dato che già un paio di secoli prima di Cristo gli stessi ebrei di Alessandria - la più grande comunità, più numerosa di quella palestinese - leggevano la Bibbia in greco, non comprendendo più l’ebraico. Solo un paio di secoli «dopo» Cristo, in odio alla Chiesa, abbandonarono la loro Bibbia greca dei Settanta (era il testo che avevano in comune con i cristiani, ed identificava troppo bene il Messia) per ricostruirsi una Torah fatta incollando vari testi ebraico-aramaici (i testi masoretici).

Fatto ancor più significativo: il Codex Sinaiticus contiene tutto il Nuovo Testamento, ma solo un estratto dell’Antico Testamento. Ognuno ne tragga le conclusioni che vuole: ma a quanto sembra, Eusebio di Cesarea, palestinese, pare essere stato tutt’altro che giudaizzante. Non sembra che i primi cristiani fossero avidi di trarre ispirazione dal Deuteronomio o dai Numeri e dal Levitico, ma solo dai passi che nell’Antico Testamento annunciavano il Cristo. Vale la pena di ricordare che la Chiesa pre-conciliare scoraggiava la lettura privata dell’Antico Testamento ai fedeli non preparati.

In ogni caso, il testo del Sinai, come quello Vaticano, dimostrano che il canone delle Scritture era già perfettamente stabilito prima del 340 dopo Cristo. Nel Codex Sinaiticus, i libri dei Vangeli sono esattamente nell’ordine che conosciamo oggi.  
Naturalmente, queste osservazioni non intaccheranno la fede giudaica dei progressisti. Nè le loro liturgie fanta-archeologiche. In cui peraltro sono possibili inserzioni di tutt’altro genere: un lettore di un sito cattolico francese (2) segnala che nella sua chiesa, il giorno della festività dei Santi Pietro e Paolo, il giovane sacerdote ha celebrato ostentando, sui paramenti, un adesivo con il simbolo del Gay Pride (un’altra celebrazione che era in corso a Parigi di quel giorno).

In Francia, il laicismo al potere ha vietato «l’esibizione ostentatoria dei segni di appartenenza religiosa», una norma contro il velo delle musulmane (ma anche della kippà); ora, è chiaro che invece in chiesa si può ostentare l’adesione ad una perversione, promossa ad «identità sessuale».

Si potrebbe chiedere a quale testo masoretico il prete francese si sia ispirato  per questa sua celebrazione liturgica della propria omosessualità; sarebbe gradita la citazione originale in ebraico (o aramaico, se del caso) che autorizza la finocchieria. Ci pare infatti che questa «pratica» fosse punita da Mosè con pene atroci. Ma possiamo sbagliare. La realtà supera sempre la fantasia, nel nuovo mondo clericale.




1) Padre Devon è uno dei personaggi del romanzo; è zio del protagonista, il 21 enne Charles che, dieci anni fa, ha lasciato il suo appartamento di Manhattan e gli studi alla Columbia University, ed è sparito nel nulla. Salvo che ogni anno, alla festa della mamma, chiama sua madre al telefono, la dice che sta bene, e riattacca. Nemmeno la morte di suo padre nella strage dell’11 settembre lo fa tornare a casa. Sua sorella Carolyn, 26 anni, si mette alla sua ricerca. Troverà le tracce di suo fratello ma anche quelle di un serial killer che uccide giovani donne... Insomma un thriller alla Mary Higgins Clark. Porterà a milioni di lettori la nostalgia per la Messa di sempre.
2) «Le blog d’Yves Daoudal», http://yvesdaoudal.hautetfort.com/  luglio 2008.


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