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Alla Camera nutrire i deputati ci costa 7 milioni
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ROMA - L’idillio tra il costrutto­re «rosso» Sergio Scarpellini e Montecitorio è forte anche a tavola. L’imprenditore che ha il monopolio degli affitti d’oro della Camera dei depu­tati fa la parte del leone anche negli appalti che riguardano la ristorazione dei parlamen­t­ari e degli impiegati che lavo­rano nei Palazzi del potere. Per agevolare al meglio il com­pito dei­rappresentanti dei cit­tadini italiani, si sa, non servo­no soltanto comodi e spaziosi uffici ma anche una ristorazio­ne di qualità.

Ecco spiegata la spesa da capogiro ricavata dalle tasche dei contribuenti: la Camera ha speso nel corso di quest’anno quasi 7 milioni di euro per dar da mangiare e da bere a chi frequenta men­se e bar degli stabili istituzio­nali. La cifra esatta (6.821.947 euro) è riportata nel bilancio di previsione che adesso, gra­zie alla battaglia dei Radicali per la trasparenza della gestio­ne amministrativa, è pubbli­cato anche on line sulla pagi­na Open Camera del sito servi­zi. radicalparty.org . A ben guardare le cifre, la so­cietà «Milano 90» del costrut­tore Scarpellini si aggiudica una buona fetta di questa «tor­ta ».

Quasi la meta: oltre 2.660.000 euro. Anche in que­sto caso, come già per l’affitto dei 12mila metri quadrati dei locali di Palazzo Marini, gli ac­cordi tra Montecitorio e la Mi­lano 90 non fanno seguito a un bando a evidenza pubbli­ca ma sono il frutto di un ac­cordo a trattativa privata. Una trattativa che, spulcian­do le centinaia di pagine dei contratti, appare molto artico­la­ta e copre ogni possibile det­taglio: dall’origine “doc” de­gli alimenti, al modo di confe­zionarli e a quello di presen­tarli, sino ad elencare con puntigliosa precisione anche i menu fissi per ogni giorno della settimana. Ed è così che si viene a sapere, ad esempio, che nella mensa di piazza San Silvestro il lunedì il cuoco pro­pone farfalle con ricotta e po­modoro o fettuccine alla cio­ciara, mentre il martedì domi­n­ano l’attenzione degli avven­tori i rinomati rigatoni cacio e pepe e la pasta con le lentic­chie.

Giovedì ovviamente gnocchi alla romana, mentre il venerdì i cattolici osservanti possono rifocillarsi con il pe­sce del giorno e calamari fritti (gli agnostici e i laici, invece, hanno a disposizione tacchi­no ai ferri e saltimbocca alla romana). Questi sono soltan­to alcuni esempi tratti da uno dei menu settimanali. In tota­le sono dieci (quattro per la stagione primavera-estate e sei per l’autunno-inverno). La puntigliosa precisione del menù è niente, però, in confronto a quanto riportato dal «Capitolato relativo alle derrate alimentari» dove ven­gono descritti tutti i prodotti che vengono utilizzati nei punti di ristorazione della Ca­mera dei Deputati. Sfoglian­dolo si viene a sapere che Montecitorio offre ai suoi di­pendenti e ai parlamentari soltanto carni bovine prove­nienti dall’Italia (Chianina, Marchigiana, Romagnola, Maremmana, Podolica, Pie­montese), dalla Francia (Cha­rolais, Limousine) e dalla Da­nimarca.

Un’intera pagina è dedicata alle caratteristiche delle uova, mentre ben otto cartelle elencano tutti i tipi di formaggi ammessi alla dieta dei deputati. E così via. Tutta questa precisione e esattezza ha bisogno ovvia­mente – solo per i parlamenta­ri perché il resto dei cittadini quando va alla mensa dell’uf­ficio o al ristorante sotto casa non gode di tali privilegi - di essere verificata costante­mente. Ed è così, quindi, che si spiega la straordinaria cifra di 126mila euro che la Came­ra spende per chiedere ai ri­ce­rcatori dell’Istituto superio­re di sanità di verificare la qua­lità del servizio di ristorazio­ne. Cui si aggiungono altri 80mila euro che vengono ver­sati nelle case dell’istituto G. Sanarelli dell’Università La Sapienza di Roma (che si oc­cupa di sanità pubblica). La salute, però, non si difen­de soltanto a tavola. I tecnici gestiti dall’Istituto superiore di sanità, per esempio, verifi­cano periodicamente la «fun­zionalità e l’adeguatezza del­le aree attrezzate per fumato­ri », dietro un compenso an­nuo per l’Istituto di 48mila eu­ro.

Altri 10mila euro li prende poi il Cnr per il «programma di monitoraggio della even­t­uale presenza di gas radon al­l’interno degli immobili della Camera dei deputati». Anche stare seduti a una scrivania però comporta rischi. Ecco quindi entrare in gioco l’Istitu­to di architettura e ergono­mia dell’Univeristà La Sapien­za. La «verifica dell’ergono­mia dei luoghi di lavoro » den­tro il Palazzo costa 19mila eu­ro l’anno. Quando c’è la salu­te c’è tutto, senza badare a spese. Tanto paghi tu, sì pro­prio tu, che hai appena finito di leggere l’articolo.

Pier Francesco Borgia - Gian Marco Chiocci

Fonte
Il Giornale



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