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Nell’ordine:

- il fratello della compagna del presidente della Camera

- la segretaria del segretario del PD

- il compagno di Eddy Testa, presidente della Regione Puglia

- il fidanzato ultrasettantenne di Katarina Knezevic, ex Presidente del Consiglio.

- … stasera il marito di Susanna Mazzoleni.

Strike! Naturalmente non è colpa (solo) della magistratura o della stampa. È colpa loro.

Nessuno ha obbligato il compagno di Elisabetta Tulliani a coinvolgere in qualche modo il di lei fratello nella vendita di una casa a Montecarlo, né il segretario del PD ad avvalersi di Zoia Veronesi, sua storica segretaria, indagata dalla Procura di Bologna per truffa aggravata ai danni della Regione Emilia-Romagna, perché avrebbe continuato a seguire a Roma l’attività del segretario del PD, pur se lo stipendio glielo avrebbe continuato a pagare la regione Emilia Romagna.

Nessuno ha obbligato Niki Vendola – stando all’accusa – a far riaprire un concorso per primario per farlo vincere ad un amico, né Silvio Berlusconi ad avvalersi della intermediazione di Frank Agrama, un egiziano diventato cittadino americano, nella compravendita di diritti televisivi su altrettanti film.

Potremmo aggiungere che il «Celeste» Formigoni poteva risparmiarci lo spettacolo di vacanze pagate da imprenditori poi finiti in galera per rapporti poco limpidi con il «Celeste impero» di Lombardia, ove la Giunta dimissionata e il Consiglio azzoppati da indagini giudiziarie hanno dimostrato che la «razza padana» quanto a corruzione politica non è da meno dei “terùn» e che casomai a compensare l’elezione del Trota (che hanno votato i cittadini, si badi, non è stato imposto dalla Casta!) c’è solo l’esibizione retrospettiva della Minetti nella sfilata in bikini per Parah: il volto presentabile del PdL.

Potremmo parlare della Polverini e del «giardino Fiorito» della Regione Lazio, ove anche il farisaico moralismo dell’Italia dei valori era riferito a «valori» tra 500.000 e 700.000 euro, di cui il capogruppo Vincenzo Maruccio si sarebbe appropriato.

Per tacere che – come anticipa Dagospia riguardo all’odierna puntata di Report – il partito «dipietrista» avrebbe «introiettato cento milioni di euro di finanziamento pubblico in dieci anni».

Sono duecento miliardi di vecchie lire, la cui gestione sarebbe stata in mano a sole tre persone fino al 2009: lui, la tesoriera e deputata Silvana Mura e la moglie Susanna Mazzoleni (entrata nel 2004 come socia nell’associazione parallela al partito). Per tacere del patrimonio immobiliare dell’ex pm: 45 proprietà, tra appartamenti, cantine, garage, terreni e altre 11 intestate alla moglie e al figlio maggiore. Da domani Di Pietro, sarà nel mirino. Fino a ieri poteva fare il giustizialista, adesso che fa resistenza al governo tecnico, la magistratura si interesserà di più del suo patrimonio e dei soldi del finanziamento pubblico. Così imparerà ad allinearsi.

… e che ne sarà del patrimonio di Alleanza Nazionale: 83 milioni di euro?

Poi vogliamo parlare del governo siciliano di Lombardo? O di quello del Piemonte e dei rimborsi elettorali sospetti per circa 3,5 milioni di euro di cui è occupata la Guardia di Finanza?

E che dire del governatore Errani, indagato dalla Procura di Bologna, che ne ha richiesto il rinvio a giudizio per falso ideologico per aver favorito il fratello?

Naturalmente non è solo Nord e Sud non è solo Sicilia e Campania: in Basilicata quattro consiglieri regionali sono stati anch’essi rinviati a giudizio per aver ottenuto falsi rimborsi per spostamenti in automobile. Non c’è maggioranza e opposizione qui, siamo in perfetta par condicio e sono quattro: si tratta del presidente dell’assemblea Prospero De Franchi (Federazione popolari di centro), i due vicepresidenti Franco Mattia (Pdl) e Giacomo Nardiello (Pdci) e Franco Mollica (Centro popolare).

In Sardegna per il presidente Cappellacci è caduta l’accusa di corruzione, ma è stato rinviato a giudizio per abuso d’ufficio e con lui rischiano di andare a processo una ventina di consiglieri per peculato e l’ex assessore (ora senatore Pdl) Silvestro Ladu perché con i soldi del gruppo avrebbe fatto riparare l’auto della moglie e sostenuto spese per 253 mila euro.

In Calabria l’ex presidente Agazio Loiero, uscito dal PD nel 2011, fonda il gruppo Autonomia e Diritti, composto da un solo membro (lui appunto!) e così percepisce da solo 335 mila euro, di cui 212 mila per pagare i suoi otto collaboratori. Parallelamente secondo il Gazzettino del Veneto, i consiglieri percepirebbero uno stipendio aggiuntivo di 2.100 euro al mese: pari pari coi consiglieri regionali sardi rinviati a giudizio, ma qui per tutta risposta pare che i consiglieri veneti, vera «razza Piave», abbiano annunciato che quereleranno il quotidiano.

Anche il mitico Sud-Tirol è nell’occhio del ciclone e non sembra così virtuoso come recita la leggenda: sotto accusa  i fondi riservati degli ultimi 18 anni: 1 milione e 296 mila euro. La Procura regionale vuole indagare sulle spese del governatore altoatesino, che sembrerebbe non disporre sempre di scontrini e ricevute, stando a quello che avrebbero accertato gli uomini delle Fiamme Gialle spediti in Provincia dalla Corte dei Conti.

Insomma dall’Alpi alle Piramidi (o poco più su) questo è il volto della repubblica democratica nata dalla Resistenza.

Dunque chi ci dovrebbe governare? Monti ce lo meritiamo e anche la Fornero: non siate «choosy». Non è stato un golpe della Grande Finanza. La strada gliela abbiamo spianata noi, la società civile.

O forse credete che per le mediocri performance dei tecnici per dettare qualche norma che facesse pulizia non sarebbe bastato un governo qualsiasi, semplicemente fatto di persone oneste? Non occorreva Monti, Passera, Grilli e la Fornero per rivisitare un sistema pensionistico che non regge demograficamente, ne per fare la spendig review. Non solo la Casta è fatta di disonesti, ma di stolti: la yubris del potere li ha fatti credere degli intoccabili. Dall’esperienza di Mani Pulite non hanno imparato niente. Non hanno capito che li hanno lasciati rubare, per poi prenderli con le mani nel sacco e fare piazza pulita non dei politici, ma della «politica». La democrazia non si poteva abolire per via democratica, ma la Casta ha fatto sì che essa sia ora invocata come una liberazione: «tecnicamente» e scientificamente l’impossibile è stato reso possibile.

Tra tutti – sia chiaro – il più colpevole è Berlusconi che, se non si fosse fatto divorare dalla libidine, avrebbe avuto la possibilità di fare forse l’unica rivoluzione italiana dopo quella incompiuta fatta dal Fascismo (che – sia chiaro oggi che se ne celebrano i novant’anni dalla marcia su Roma – fece proporzionalmente in vent’anni quello che questa classe politica neppure è riuscita a pensare).

In tutto questo non vorrei si pensasse che la «gggente», la cosiddetta «società civile», sia migliore della classe politica, che invece ne è lo specchio, come accade sempre in ogni società. Siamo noi ad avere votato questa gente, noi ad avere sopportato che stessero lì. Altro che storie, Fiorito siamo noi, la «gggente». Vent’anni dopo siamo noi. Ogni vent’anni l’Italia fa finta di cambiare, ma resta sempre la stessa.

La realtà è che – come scrisse Gianni Ippoliti nel 1990, alla vigilia di Tangentopoli – «se davvero crollasse il sistema clientelare, sarebbe una tragedia. Trenta milioni di disoccupati: è la più grande industria del Paese. È tutta una farsa. Cè una sola cosa che funziona: il patto tacito fra chi fa finta di governare e chi fa finta di rispettare la legge».

Italiani brava gente? Non scherziamo. Nella migliore delle ipotesi «furbetti» e nella peggiore cani bastardi capaci di apparire socievoli finché avevano un’anima. E quell’anima era il frutto di una fatica immensa, di una stratificazione di storia e memorie, di substrati mediterranei consolidati dall’Impero e dal diritto romano, innervati di cristianesimo, di monaci e santi, di genio artistico, di uno straordinario paesaggio, di architetture affascinanti, di miseria e santità, di soprusi e di riscatti: in sintesi una identità antica, consolidata non dalla lingua ma dalla Fede cattolica.

Quando gli italiani divennero tali, dopo l’ unificazione che quell’anima tentò da subito di strappare, portarono con sé solo quella storia, che la modernità non ha saputo compendiare e che la postmodernità ha irrimediabilmente sfregiato. Il Fascismo tentò inutilmente di innestare su un popolo fiaccato dagli ultimi tre secoli di decadenza un animo antico, ma senza riuscirci.

Il dopoguerra fece il resto: esauritasi una spinta di energia che derivava comunque ancora da quel controverso ventennio littorio, l’Italia tornò a ripiegarsi sui propri limiti, sulle proprie lacrime, sulle proprie debolezze, sui propri vizi, di cui il potere consociativo cattocomunista fu l’alimento venefico, rivestito di una squallida veste di modernità, fatta cronologicamente di progresso in laminato plastico, periferie da palazzinari, autostrade e juke box, utilitarie Fiat con sovvenzioni di Stato, clientelismo, mafia, clericoprogressismo, erotismo pecoreccio, contestazione, operaismo, laicismo, femminismo, terrorismo, voyeurismo, rampantismo, giustizialismo, scambismo, trasformismo: default. Game over. L’Italia ha evacuato l’anima, per sentirsi più leggera e si è ingozzata di ogni tipo di libertà. Libertaria, liberale, liberista, libertina: questa è l’Italia di oggi.

Dunque questa è la sua classe dirigente.

Pasolini nei sui scritti corsari ebbe il coraggio di guardare alla consunzione dell’Italia arcaica con la lucidità spietata di chi portava nella propria carne la ferita di un’anima, cui il peccato già faceva sentire insopportabile il fetore della decomposizione: «Gli italiani sono diventati in pochi anni un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale…. Ho visto ricreare e deformare la coscienza del popolo italiano fino a una irreversibile degradazione».

Questa Italia è figlia di una dissoluzione che il ‘68 ha iniziato.

Diceva Pasolini: «È cambiato il potere e quindi il mondo dei valori morali. Per schematizzare: che tipo vuole il nuovo potere, il potere della seconda rivoluzione industriale? Non vuole più che luomo sia un buon cittadino, un buon soldato, non vuole che sia una persona onesta, previdente. Non vuole che luomo sia un tradizionalista e nemmeno religioso. Il potere vuole che luomo sia semplicemente un consumatore. Allora riprendiamo lelenco che abbiamo fatto prima. I rivoluzionari contestatori del Sessantotto volevano essere dei buoni cittadini? No. Volevano essere dei buoni soldati? No. Volevano essere dei tradizionalisti? No. Volevano essere delle persone oneste, per bene, previdenti? No. Dei buoni padri di famiglia, dei bravi religiosi? No. Praticamente il Sessantotto ha aiutato il nuovo Potere a distruggere quei valori di cui il Potere voleva liberarsi».

Questa trasformazione antropologica è davvero la più grande delle tragedie italiane e a questa mutazione si sta sovrapponendo quella tecnologica. C’è nella gente comune, un humus esistenziale deprivato di ogni fede e di ogni trascendenza, quindi di ogni autentica vitalità, fatto di individualismo, superbia, arroganza, ignoranza, presunzione, lussuria, lascivia, perversione, avidità, superficialità, fragilità, inconsistenza, qualunquismo, demagogia, vittimismo, cinismo, voyeurismo: la «ggente» non legge più, non pensa più, non prega più, non soffre più, non ama più. La «ggente» chatta, blogga, twitta, facebooka. La «ggente» vuole essere libera, senza responsabilità, leggera, selvaggia, anzi «wild», come dice compiacendosi della propria capacità di essere «trendy».

Una splendida canzone del gruppo migliore della «musica alternativa» i Sottofasciasemplice dal titolo Repubblica descrive in maniera straordinaria l’inconsistenza antropologica dell’italiano medio:

«Repubblica: vivere in mezzo alla merda dei cani,
Tra gente triste e incazzata
, abbronzata da teleromanzi a episodi
Con muscoli sodi e intestini spastici

Gente malata
, circondata da animali domestici!
Una Repubblica dove tutti scopano come conigli
,
Ma non fanno figli perché a trent
’anni sono ancora bambini
Coi videotelefonini sempre pronti a filmarsi i pompini
!
Repubblica
: la cosa di tutti, una cosa per tutti
Uomini e donne che passano ore davanti agli schermi
Tutti i giorni della repubblica
E chattano e schiattano e spremono e vengono e poi si raccontano
!».

Questi sono gli italiani e sono gli stessi che insorgono, s’indignano, gli stessi che non hanno soldi per arrivare a fine mese, ma li hanno avuti per farsi i tatuaggi, per andare a credito in ferie in luoghi esotici, per soddisfare appetiti erotici, per giocare ai videogiochi, per comperare le tessere per la pay-tv, per ricaricare all’infinito telefonini in cui scaricare tra mille sms inutili le pulsioni incontrollate da psicolabili che sono diventati.

Se qualcuno poi dà loro periodicamente in pasto degli idioti, che hanno fatto della politica «carne di porco», per scaricare solo su questa «Casta canaglia» il peccato collettivo di una incivile e subumana «società civile», allora è giusto che sulle spalle della «ggente», come mandria bovina, venga posto il giogo della schiavitù tecnocratica. È chiaro o no? Li abbiamo lasciati rubare, li hanno lasciati rubare. Ora li hanno pizzicati. Al momento giusto… giusto perché ora si fa sul serio, ci sono le elezioni.

Nell’ordine dunque:

- il padre del Trota

- il fratello della compagna del presidente della Camera

- la segretaria del segretario del PD

- il compagno di Eddy Testa, presidente della Regione Puglia

- il fidanzato ultrasettantenne di Katarina Knezevic, ex Presidente del Consiglio.

- stasera il marito di Susanna Mazzoleni.

… domani si vedrà. Uno alla volta, inesorabilmente. Strike!

Da ora siete liberi di votare: Monti, Passera, Fornero, Profumo, Ornaghi, Catania, Riccardi. O in alternativa Montezemolo e Marcegaglia. Siamo scesi così in basso che il Potere, quello vero, può permettersi il lusso di gettare la maschera, anzi le maschere: quelle politiche, anche quelle organiche, non servono più. Cadranno altre teste.

Scriveva Platone: «Quando un popolo, divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati tiranni. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia».

Dice Grillo che dobbiamo cambiare. Ha ragione, ma non basta dirlo, sennò la Sicilia che sembra averla incoronato (ma è la stessa Sicilia che aveva dato tutti i seggi a Berlusconi e che ha eletto Leoluca Orlando sindaco al primo turno…) farà l’ennesima operazione gattopardesca. E lo stesso l’Italia. L’Europa ci sta divorando, perché prima ci ha divorato l’anima.

La democrazia è un lusso, presuppone virtù, non ce la meritiamo. Senz’anima, quella che l’Italia ha vomitato, non ce la meritiamo: «In verità, in verità vi dico: Chi fa il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non rimane sempre nella casa; il figlio invece vi rimane per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi sarete veramente liberi» (Giovanni 8, 34).

Omnia in Cristo instaurare.

Domenico Savino



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