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Nuovo disordine mondiale. Atomico
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Lo scudo missilistico a difesa di Dimona, la fabbrica delle bombe atomiche israeliane, “è stato messo in allarme rosso trenta volte la scorsa settimana per timore di una possibile incursione aerea siriana”:  lo scrive il Jerusalem Post riportando, a scanso di responsabilità, una notizia del Sunday Times (1).
“Quando entriamo a questo livello di allarme siamo in grado di lanciare i missili nel giro di secondi”, dice l’anonimo comandante dello scudo, composto di sistemi di lancio Patriot.
E aggiunge: “Ogni aereo passeggeri in rotta dal Cairo ad Amman, o da Geddah al Cairo e viceversa, se solo devia anche minimamente dalla rotta, fa scattare l’allarme e rischia l’abbattimento”.
Benvenuti nella vasta area di pace che Israele ha creato attorno a sé.
Nel Mediterraneo, a due passi da noi, i missili del popolo eletto sono stati pronti a sparare “nel giro di secondi” su ogni aereo civile anche minimamente deviante dalla rotta.
In una settimana, abbiamo rischiato questo quattro volte al giorno, evidentemente ad ogni sorvolo di un aereo civile su Israele.

Il fatto è, spiega il Jerusalem Post, che dalla incursione del 6 settembre scorso, quando le vittime hanno violato lo spazio aereo siriano coi loro F-16 e bombardato quella che hanno definito una installazione nucleare, si aspettano la ritorsione della Siria (l’aggressore), cento volte meno armato della vittima, che dispone di 500 testate atomiche.
“Il fatto che i siriani non abbiano lanciato un immediato colpo contro Israele non significa che non lo faranno. E Dimona è in testa alla loro lista”.  
Non conta molto il fatto oggettivo che Damasco, subìta l’aggressione, abbia protestato nelle sedi internazionali, e che abbia mostrato un auto-controllo notevole, com’è logico quando si ha a che fare con quella inquieta vittima armata fino ai denti di atomiche, che si autodefinisce “un cane arrabbiato, meglio lasciarci stare”.
Attaccare Dimona sarebbe troppo evidentemente suicida, perché i siriani possano davvero pensare una cosa simile.
Ma non si creda che sia mera paranoia, che Israele faccia la guerra ai propri incubi subconsci.
C’è del metodo nella follia.
Sta per aprirsi ad Annapolis (USA) la conferenza per la Palestina - che sarà un nulla di fatto, Tzipi Livni ha già detto che la sopravvivenza di Israele viene prima della vita dei palestinesi - e Condoleeza Rice ha proposto a Olmert di invitare anche la Siria.
C’è il rischio estremo che a quel tavolo la Siria possa manifestarsi come un’entità ragionevole e desiderosa di una stabile pace, chiedendo concessioni israeliane in cambio.
In quella sede, per di più, la vittima eterna si troverà davanti ad una posizione araba unitaria, e di fronte al Quartetto, dove gli europei la inviteranno (sia pur debolmente) ad essere ragionevole. Bisogna dunque mostrare che quella entità è folle, che “vuole attaccare Israele”, e che la vittima, in lotta per la sua stessa sopravvivenza, è pronta ad abbattere un aereo arabo coi suoi passeggeri, il che sicuramente otterrebbe lo scopo auspicato di mandare all’aria l’incontro di Annapolis.

La indicazione che il presunto bersaglio del presunto attacco dell’aggressore sarebbe Dimona, rivela poi un retro-pensiero alquanto allarmante, cui ha già alluso il presidente Bush: la voglia di far entrare nel gioco del Nuovo Ordine Mondiale l’arma atomica.
Con le truppe immobilizzate in Iraq e in Afghanistan e il fiato grosso strategico, la Terza Guerra Mondiale sarebbe una mano santa: consentirebbe l’uso dell'arma nucleare, quella della superiorità assoluta, a cui l’avversario non ha risposta adeguata.
Un’arma spiccia per diffondere la democrazia in quei Paesi che ne sono privati dall’islamofascismo e, come ha detto Bush, “farla finita con la tirannia nel mondo” - e ovviamente anche con i tiranneggiati, che il fungo atomico libererà anche della vita a milioni.
Il Pakistan, per esempio: il tentativo di iniettare un po’ di democrazia in quel Paese alleato della grande democrazia americana - con la spedizione a domicilio della Bhutto a dare il benservito al generale Musharraf - sta provocando un altro disastro e forse una guerra civile.
Ciò non è del tutto male dal punto di vista dell’eterna vittima: la vasta zona di instabilità di cui ritiene di aver bisogno per stare tranquilla, dopo la devastazione fisica e umana dell’Iraq, si estende ancora di più.
Solo che, come ha ricordato Arnaud De Borchgrave (2), il Pakistan è una delle otto potenze atomiche: si stima che possieda una cinquantina di testate nucleari coi relativi vettori.
Finora, essendo stato per metà della sua esistenza (60 anni) nelle salde mani della dittatura militare, queste bombe sembravano sicure.

“Ma oggi”, scrive De Borchgrave, “Il Pakistan è uno Stato fuori controllo, dove Talebani, Al Qaeda e i loro sostenitori hanno santuari sicuri nell’area tribale al confine afghano, hanno rioccupato la Moschea Rossa a Islamabad, e lanciato una campagna di attentatori suicidi”.
Insomma questo paese di 160 milioni di abitanti, fieramente musulmano, le atomiche le ha: e possono finire in mani fondamentaliste.
Un incubo molto più corposo e imminente, per Israele, della fantomatica atomica iraniana.
Ma niente paura, fa sapere il Pentagono: gli USA hanno elaborato piani d’emergenza per mettere al sicuro le testate pakistane in caso di necessità.
Solo che, a leggere meglio, si apprende che i generali americani “hanno limitata conoscenza di dove siano le bombe”, e ciò “può porre un problema”, di cui “sono preoccupati” (3).
A quanto s’intuisce dietro il velo del segreto, il piano contemplerebbe un colpo di mano degli infallibili commandos USA (ricordate? Quelli della Somalia, “Black Hawk Down”) che dovrebbero fare un blitz in Pakistan per impossessarsi fisicamente delle testate, una ad una, prima che se le prenda la famosa Al Qaeda.

Una manovra bellissima, che sicuramente poi Hollywood saprà rappresentare col giusto alone di gloria: i fulminei muscolosi guerrieri americani, con grande uso di elettronica e computer (SIGINT), piombano tra la plebe urlante, inturbantata e agitante scimitarre, fanno strage e se la filano con le bombe dai led già scintillanti…
A Indiana Jones riesce sempre.
Ma un alto ufficiale sentito dal Washington Post ammette che un simile tentativo, se dovesse rendersi necessario, “potrebbe essere molto pasticciato” (“it could be very messy”), perché “non sappiamo con certezza assoluta dove si trovano” le testate.
Secondo il Washington Post, il piano comprende vari scenari: nel caso migliore, saranno “gli alti ufficiali pakistani ad aiutare gli americani a eliminare quella minaccia”.
Purtroppo, “quel tipo di aiuto può mancare”, ammettono al Pentagono: non è detto che l’amore per la democrazia americana sia cresciuto fino al sacrificio supremo dell’arma totale, nei cuori dei generali, specie dopo che la Casa Bianca gli ha mandato là la Bhutto per spazzare via il loro potere. Dare agli americani la Bomba, che serve come deterrente alle Bombe indiane?
Nemmeno Bruce Willis alias “Die Hard” punterebbe un dollaro su quella scommessa.
Figurarsi quei poveri commandos che si chiamano Estrada, Varela, Castrillon e simili, e si sono arruolati nella speranza della carta verde.
Benvenuti nella nuova sicurezza.


E’ il nuovo Disordine Mondiale, tenacemente perseguito, che dà i suoi frutti: godetevi lo spettacolo.
Sullo sfondo, si intravede una possibilità ulteriore: testate atomiche pakistane che cadono, chissà come, in mano ad Al Qaeda e servono per attentati false flag, da meritare come risposta l’auspicata Terza Guerra Mondiale.
Non lo diciamo per eccesso di sospetto complottista.
E’ che un fatto misterioso è accaduto giorni fa (data imprecisata) nella centrale atomica di Pelindaba: che si trova - vedete come s’allarga l’area di instabilità - nel lontano Sudafrica.
Qui, all’alba, “quattro uomini armati hanno assaltato la centrale, giungendo fino alla sala di controllo, mandando all’ospedale per ferite uno dei tecnici addetti” (4).
Il ferito, Anton Gerber, ha raccontato in ospedale di aver sentito un’esplosione e aver visto irrompere i quattro armati, che erano riusciti ad entrare nonostante la porta fosse assicurata elettronicamente, superando non si sa come le guardie e i punti di controllo dell’impianto fra i più sorvegliati del Paese.
“Due di loro si sono diretti come fulmini verso il pannello di controllo”.

Gerber s’è avvinghiato a loro, che l’hanno ripetutamente colpito con una lama o un cacciavite, senza riuscire a farlo demordere.
Allora gli aggressori gli hanno sparato: sparato per uccidere, al torace.
Un proiettile gli ha trapassato un polmone.
Ma quel che è successo dopo è veramente strano.
Una coltre di mistero è stata stesa sull’episodio.
Un solo giornale ha appreso per caso la notizia, il Pretoria News: ma “prima” della pubblicazione dell’articolo relativo, il giornale ha ricevuto una telefonata da qualcuno che si è qualificato come un legale del  NESCA (Nuclear Energy Corporation of Sudafrica), l’ente responsabile della centrale,  che ha minacciato di far applicare i “National Keypoints”, le norme sul segreto militare in Sudafrica, contro la direzione se pubblicavano l’articolo.
Le identità dei quattro armati non sono note, e non si sa se le autorità le conoscano.
La polizia di Pretoria ha ammesso che non ha operato nessun arresto: pare strano che quattro armati irrompano in una centrale atomica, sparino e poi ne escano indisturbati, ma così è andata.
La polizia si è preoccupata soprattutto di negare che si sia trattato di un episodio di terrorismo. “L’indagine riguarda un tentato omicidio nel corso di una rapina”, hanno detto.
Il NESCA ha fatto sapere solo che ci sarà “un’indagine interna”.

Ma che cosa si può andare a rapinare in una centrale atomica guardatissima?
E con quali tecnologie si sono potuti superare i sistemi di protezione elettronica e le guardie armate? E perché nulla, proprio nulla, trapela sull’aspetto fisico dei quattro uccel di bosco, nemmeno uno straccio di identikit, nemmeno se erano neri o bianchi?
Questo tipo di copertura degli aggressori avviene, a memoria di chi scrive, solo in casi specialissimi: quando gli aggressori sono la Vittima, la Vittima per eccellenza: ricordate l’Itavia, ad esempio.
Il che non è poi tanto strano, se si pensa ai lunghi e proficui rapporti che in fatto di armamenti hanno unito per decenni il Sudafrica e quel piccolo Paese mediterraneo costantemente minacciato.
Durante l’apartheid, quando il Sudafrica fu colpito da embargo, fu Henry Kissinger ad incoraggiare quei rapporti: il Paese africano stava combattendo in Angola, Mozambico e dintorni una guerra anti-comunista, con mercenari cubani e piloti della Germania Est impegnati dall’altra parte.
Una guerra ferocemente clandestina, in cui gli USA non potevano apparire come sostenitori dello Stato-paria razzista e bianco, e dunque invitarono quegli altri a farlo.
Furono anni notevoli.

Sudafrica e Israele progettarono insieme armi completamente nuove; era della partita anche John Bull, il genio della balistica, creatore di cannoni eccezionali.
E’ l’ingegnere che anni dopo andò a proporre a Saddam la fabbricazione di un supercannone capace di lanciare cariche in orbita (un sostituto geniale ed economico di missili balistici intercontinentali), e per questo fu eliminato da una squadra di kidon nel suo ufficio in Belgio.
Questo il poco che si sa.
Ma sicuramente anche le contromisure e le sicurezze elettroniche fecero passi da gigante in quegli anni; e Israele - leader mondiale dell’elettronica militare e di sicurezza - non ignora nulla del tipo di sicurezze usate in Sudafrica, e sviluppate insieme.
Ma non tenete conto di queste ultime righe.
Sono ispirate da una infondata diffidenza verso la sola democrazia del Medio Oriente.
La verità è che ogni giorno di più, il Nuovo Disordine Mondiale si estende e trionfa, e siamo invitati a goderci lo spettacolo: atomico, presto o tardi.


1) “UK paper: Dimona defenses on high alert”, Jerusalem Post,  11 novembre 2007.
2) Arnaud De Borchgrave, “Perils of Pakistan”, Washington Times, 6 novembre 2007.
3) “US has plan to safeguard Pakistan nukes”, AFP, 11 novembre 2007.
4) “Gunmen storm high-security nuclear facility - Worker shot as 4 armed men gain access to sealed control room”, WorldNetDaily,  9 novembre 2007.

 
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