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La libertà religiosa di Paolo VI
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Quest’articolo continua il precedente sulla libertà religiosa di Giovanni XXIII.
Perciò inizia verificando le conseguenze civili e religiose, collettive e personali  della «Pacem in terris».
Ciò seguendo due sue implicite idee principali: la prima della libertà di ogni coscienza di considerarsi in possesso della propria verità ed agire in conseguenza; la seconda della libertà di proclamarla urbe et orbe.
Tali possono essere considerate le idee guida della dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa «Dignitatis humanae» (DH), che tace sulla necessità delle coscienze di essere formate dalla Parola divine e quindi guidate dal Magistero.
Per quanto concerne l’autorità di questo Magistero nel mondo ne consegue che «se la Chiesa insegna oggi solennemente il contrario di quanto insegnò fino al ‘63, significa che si era sbagliata».
Si tratta, quindi, di un magistero conciliare attuale che ripensa quello precedente tradizionale.
Ma se questo era fallibile e da rivedere, non lo sarebbe domani anche la sua attuale revisione?

Dal sofisma è spuntata una «certezza»: la Chiesa deve chiedere scuse per aver cercato di privare il mondo dalla sua libertà di pensiero e d’espressione, dall’autonomia del fare e da tanti piaceri.
Infatti, proclamando oggi come principio assoluto il diritto naturale alla libertà religiosa, la dichiarazione DH è contraria non solo all’insegnamento precedente della Chiesa, ma pure al suo modo di agire; durante secoli la Chiesa avrebbe agito ignorando e conculcando diritti naturali della persona umana con l’invocare i diritti dell’atavica religione originale del «frutto proibito».
Insomma, la dichiarazione conciliare DH, con la sua concezione non solo laica ma laicizzante, vuole compensare questa «svista», ma lo fa negando implicitamente l’autorità della Parola di Cristo sulla società civile, il che è «non solo in contraddizione con l’insegnamento costante della Chiesa, ma anche con le verità più fondamentali della dottrina cristiana della Redenzione».

Come si è visto, Erasmo, anche rifiutando Lutero, fu precursore di un’apertura decisiva in campo teologico professando che «ogni uomo ha in sé la teologia» ed è «ispirato e guidato dallo spirito di Cristo».
Erasmo ha messo le uova con il germe del sussurro originale invitante la coscienza umana ad emanciparsi.
Lutero le ha fatto schiudere fuori della Chiesa ... e poi?
Si doveva operare perché il ciclo libertario fosse compiuto in nome della Chiesa di Cristo.
Sarebbe possibile realizzare tale rivoluzione in seno alla stessa Chiesa, nata per vincolare gli uomini alla Parola di Dio?
Mai; ma per realizzarla come se fosse in suo nome sì.
Bastava «iniziare» un clero per la rivoluzione della cappa e tiara prevista dal canonico Rocca (Glorieux centennaire, 1889).
Infatti, si trattava d’infiltrare nel clero quelle idee apparse nei secoli scorsi per delineare la mentalità modernista dei futuri profeti della rivoluzione conciliare futura.
Ed eccola divenuta una realtà che demolisce i princìpi stessi della Chiesa, ma che pochi capiscono perché rivestita delle insegne papali.
Come riconoscere tali profeti?
«La Chiesa è intransigente nei princìpi, perché crede; tollerante nella pratica perché ama. I nemici della Chiesa sono tolleranti nei princìpi, perché non credono; intolleranti nella pratica, perché non amano» (P. Garrigou-Lagrange, «Dieu, son existance et sa nature», volume II, pagina 725).
Siamo al Vaticano II e a Paolo VI per cui il dilemma di fondo dell’amore cristiano nella vita sociale era passare dalla cattolica tolleranza religiosa, al nuovo «principio» del diritto umano alla libertà di religione.
In questo senso è sorto alla vigilia del Vaticano II il duro conflitto tra i cardinali Ottaviani e Bea.
Ma quest’ultimo rappresentava il pensiero e il volere riformatori in atto in vista della nuova formula per fondare il nuovo ordine civile moderno.

Eccola, secondo la DH:

«2b. A motivo della loro dignità tutti gli esseri umani, in quanto sono persone, dotate cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti di personale responsabilità, sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e ad ordinare tutta la loro vita secondo le sue esigenze. Ad un tale obbligo però gli esseri umani non sono in grado di soddisfare in modo rispondente alla loro natura, se non godono della libertà psicologica e nello stesso tempo dell’immunità dalla coercizione esterna. Non si fonda quindi il diritto alla libertà religiosa su una disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua stessa natura. Per cui il diritto ad una tale immunità (da coercizione esterna) perdura anche in coloro che non soddisfano all’obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa, e il suo esercizio, qualora sia rispettato l’ordine pubblico informato a giustizia, non può essere impedito».

Si noti il linguaggio ambiguo con cui si passa imperterriti dalla libertà naturale in foro interno alla libertà senza coercizione in foro esterno.
Ma cosa insegnarono sempre i Papi?
Leone XIII, Libertas: «Qualunque disposizione della pubblica potestà, non conforme ai princìpi della retta ragione e dannosa al civile consorzio, non avrebbe dunque vigore di legge, come quella che da un canto non sarebbe regola di giustizia e dall’altro svierebbe gli uomini dal bene, a cui la società è connaturata. Sotto qualsivoglia rispetto si consideri pertanto la natura della libertà umana, nell’ordine individuale o nel sociale, nei governanti o nei governati, essa ha relazione di sudditanza assoluta a quella eterna e sovrana ragione, che è l’autorità di Dio stesso, che vieta il male e comanda il bene. Il quale giustissimo impero di Dio sugli uomini, non che distruggere o punto scemare la libertà nostra, l’assicura e perfeziona; dacché perfezione vera di ogni essere si è tendere costantemente al suo fine e conseguirlo; e fine supremo, a cui deve aspirare l’umana libertà, è Iddio».

image004.jpg Perciò, l’ordine pubblico informato alla giustizia e la coercizione esterna conseguente al rispetto della giustizia sono in relazione di assoluta sudditanza con l’autorità di Dio se si esplicano nella legge oggettiva fondata sui princìpi della retta ragione mirati al bene e alla verità.
E’ falso il contrario, cioè che la giustizia sia tenuta ad assicurare l’immunità a chi infrange le sue stesse norme.
E’ evidente che la DH non rivendica la libertà religiosa soltanto per gli adepti di altre religioni, ma per tutti gli uomini.
Pertanto, anche per quelli che non abbracciano nessuna religione e morale e per quelli che negano l’esistenza di Dio e avversano la Sua Chiesa.
Anche questi, secondo la DH, hanno il diritto naturale di professare e fare propaganda pubblica della loro irreligiosità e dei loro errori.
Non si capisce come questa idea, che si dice fondata sulla natura dell’uomo, possa accordarsi con la natura della mente umana creata per la verità.
O ciò non è vero o non vi è una verità che meriti rispetto.
Ma i prelati che negano la necessità della convivenza secondo un’ordine pubblico concorde con le ragioni cattoliche e perciò formato alla giustizia, negano la propria posizione.
Per esempio: se qualcuno, insegnando in una scuola, nega Dio o un dogma della fede, lo farebbe con pieno diritto e perciò i cattolici per difendere il diritto degli allievi alla verità possono al massimo invitare tutti al dialogo.
Il grave problema oggi è che chi lo dichiara non è più un preside comunista o quant’altro, ma un documento vaticano, che parla di diritto naturale.

Scrive il giudice Carlo Alberto Agnoli («La Crisi della Chiesa moderna alla luce della fede e il problema della libertà di religione», Civiltà, Brescia, 1984): «Rendendosi conto del terribile pericolo insito nel principio da loro espressamente enunciato per cui non si può impedire a nessuno di agire in conformità della propria coscienza, principio che legittima la pratica di qualsiasi mostruosa dottrina, i padri del Vaticano II hanno ritenuto di poterne eliminare o almeno limitare la portata anche socialmente sovversiva affermando che la libertà di religione e di morale, pur essendo diritto primario, va soggetta al limite dell’ordine pubblico informato a giustizia. Se ne ricava che secondo i padri conciliari esisterebbe un ordine pubblico, fondamento di ogni umana e ordinata convivenza e conforme al diritto naturale, anzi, che del diritto naturale sarebbe la quintessenza, di cui depositario e arbitro esclusivo sarebbe lo Stato, che di esso dovrebbe avvalersi per giudicare se e fin dove le religioni - tutte le religioni - abbiano diritto di esistere e manifestarsi. E questo Stato, al di fuori e al di sopra delle religioni, è necessariamente lo Stato laico ed ateo».

Sulla base dell’esperienza storica di questi ultimi due secoli nel corso dei quali si è affermato il laicismo, a quale ordine pubblico allude il Vaticano II?
A quello comunista, del KGB e del gulag?
O a quello demo-liberale che deve assicurare la legalizzazione dell’aborto, della pornografia e della droga?
Ma, chi ha smarrito la nozione dell’origine divina del diritto come norma di giustizia e della conseguente superiorità e anteriorità della giustizia e del diritto rispetto allo Stato, non ha perso il senso stesso di diritto naturale e di giustizia e quindi anche di ordine giusto?
Esiste una giustizia universale che giustifica lo Stato, o sono i vari Stati con i loro vari governi partitici a creare i princìpi della giustizia?
Lo Stato esiste in funzione della Giustizia o al contrario, questa cambia secondo gli Stati e i governi?
La Chiesa insegna che la giustizia umana deve fondarsi sulla Giustizia che trascende i governi, ma per la DH è un fatto scontato che ogni «ordine pubblico» contingente è «informato a giustizia», non perché fondato su una dottrina di verità, ma perché è neutrale: la ignora agnosticamente.

Siamo allora alla dignità del dialogo, più che il credere, esso è già formatore della nuova coscienza, è già principio di verità, secondo la DH:

«3. Libertà religiosa e rapporto dell’uomo con Dio.
a) Quanto sopra esposto appare con maggiore chiarezza, qualora si consideri che norma suprema della vita umana è la legge divina, eterna, oggettiva e universale, per mezzo della quale Iddio... governa l’universo e la società umana.[...] Perciò ognuno ha il dovere e quindi il diritto di cercare
la verità in materia religiosa, utilizzando mezzi idonei per formarsi giudizi di coscienza retti e veri secondo prudenza.
b) La verità però va cercata in modo rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura sociale: e cioè con una ricerca condotta liberamente, con l’aiuto del magistero istituzionalizzato, per mezzo della comunicazione e del dialogo, con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità, gli uni rivelano agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengano di aver scoperta, e alla verità conosciuta si deve aderire con fermo assenso personale.
c) Gli imperativi della legge divina l’uomo li coglie e li riconosce attraverso la sua coscienza, che è tenuto a seguire fedelmente in ogni sua attività per raggiungere il suo fine che è Dio. Non si deve quindi costringerlo ad agire contro la sua coscienza».
Ma la Chiesa costringeva o formava le coscienze secondo la verità che libera?

San Pio X

«Condanna del Sillon: Alla base di tutti i loro errori sulle questioni sociali, si trovano le false speranze dei Sillonisti sulla dignità umana. Secondo loro, l’Uomo sarà un uomo veramente degno di tale nome solo quando avrà acquisito una consapevolezza forte, illuminata, ed indipendente, capace di fare a meno di un maestro, ubbidendo solo a se stesso, e capace di assumersi le più gravi responsabilità senza turbamenti. Tali sono le grosse parole con cui viene esaltato l’orgoglio umano, come un sogno che conduce l’Uomo lontano senza luce, senza guida, e senza aiuto nel regno dell’illusione nel quale egli sarà distrutto dai suoi errori e passioni mentre attende il giorno glorioso della sua piena consapevolezza».

Pio XII

«Ci riesce»: «Ciò che non corrisponde alla verità e alla legge morale non ha obiettivamente nessun diritto all’esistenza, o alla propaganda, o all’azione».
Si potrebbe aggiungere: e al dialogo religioso.

Leone XIII

«Immortale Dei»: «Non è permesso perciò portare alla luce ed esporre agli occhi degli uomini ciò che è contrario alla virtù e alla verità, e ancor meno porre tale licenza sotto tutela della protezione delle leggi».
«Libertas»: «Un diritto è una facoltà umana, e, come abbiamo detto e come non potrà mai essere ripetuto troppo spesso, sarebbe assurdo credere che esso appartenga, naturalmente e senza distinzione o discernimento, al vero e al falso, al bene e al male. La verità, il bene hanno il diritto di essere propagati nello Stato con una prudente libertà, affinché un numero maggiore ne tragga profitto; ma la falsa dottrina, di tutte la più fatale peste per la mente... è giusto che la pubblica autorità usi la sua sollecitudine per reprimerle, per impedire la diffusione del male a rovina della società. […] E in primo luogo vediamo sotto il rispetto individuale quella libertà, tanto contraria alla virtù della religione, che chiamiamo di culto. La quale ha questo fondamento: esser libero ciascuno di professare la religione che gli piace, ed anche di non professarne alcuna».
Pio IX, condanna, nel Sillabo: 15: «Ogni uomo è libero di abbracciare e professare quella religione, che, col lume della ragione, reputi vera». (Lett. Ap. Multiplices inter, 10 giugno1851; Alloc. Maxima quidem, 9 giugno1862): «Codesti spacciatori di false e perverse dottrine... a ciascun uomo attribuiscono un tal quasi primario diritto per il quale egli sia libero di pensare e parlare a suo senno di religione, e rendere a Dio quell’onore e quel culto che secondo il suo piacimento giudica migliore». 16: «Gli uomini nel culto di qualsiasi religione possono trovare la via dell’eterna salute e l’eterna salute conseguire». Ubi primum, 17 dicembre 1847; Enc. Singulari quidem, 17/3/1856) 17: «Almeno devesi sperare bene dell’eterna salute di tutti quelli, che affatto non si trovano nella vera Chiesa di Cristo». (Alloc. Singulari quadam perfusi, 9 dicembre 1854; Quanta cura condanna: «Ai tempi nostri non giova più tenere la religione cattolica per unica religione dello Stato, escluso qualunque sia altro culto». (Alloc. Nemo vestrum, 26/7/1855): «Quindi lodevolmente in parecchie regioni cattoliche fu stabilito per legge, esser lecito a tutti gli uomini ivi convenuti il pubblico esercizio del proprio qualsiasi culto». (Alloc. Acerbissimus, 27/9/1852).
Libertas: «Seguita dalle cose dette, non esser lecito invocare, difendere, concedere libertà illimitata di pensiero, di stampa, d’insegnamento e di culti, come altrettanti diritti competenti naturalmente all’uomo. Imperocchè, se tali fossero, si avrebbe diritto di essere indipendenti da Dio, e non potrebbe l’umana libertà essere moderata da legge alcuna».

Pio IX

Quanta cura: «... ai tempi nostri si trovano non pochi, che applicando allo Stato l’empio ed assurdo principio del materialismo,... esigono assolutamente che la società umana sia costituita e governata senza nessun riguardo della religione, come se non esistesse, od almeno senza fare nessuna differenza tra la vera e le false religioni. E contro la dottrina delle Scritture, della Chiesa e dei santi Padri non dubitano di asserire: ‘La migliore condizione della società essere quella, in cui non si riconosce nello Stato il dovere di reprimere con pene stabilite i violatori della cattolica religione, se non in quanto ciò richiede la pubblica quiete’. Dalla quale idea di governo, in tutto falsa, non temono di dedurre quell’altra opinione sommamente dannosa... chiamata deliramento dal nostro predecessore Gregorio  XVI ... cioè ‘la libertà di coscienza e dei culti essere diritto proprio di ciascun uomo, che si deve con legge proclamare e sostenere in ogni società bene costituita, e essere diritto di ogni cittadino una totale libertà, che non può essere limitata da alcuna autorità vuoi civile, vuoi ecclesiastica,
di manifestare e dichiarare i propri pensieri quali che siano, tanto a viva voce, come per iscritto, sia in altro modo palesemente ed in pubblico’. E mentre queste cose temerariamente affermano, non pensano e considerano che predicano la ‘libertà di perdizione’...».

Leone XIII

Enciclica Humanum Genus : «Inoltre, aprendo i loro ranghi a degli adepti che provengono dalle religioni più diverse, essi (i frammassoni) diventano capaci di dare credito al grande errore del tempo presente, che consiste nel relegare al rango di cose indifferenti la cura della religione, e nel mettere su un piano di uguaglianza tutte le forme religiose. Or, di per sé solo, questo principio basta a rovinare tutte le religioni e particolarmente la religione cattolica, poiché, essendo la sola vera,
non può tollerare che le altre religioni le siano eguagliate, senza subire ingiurie e ingiustizie».
Lettera «E’ giunto» all’Imperatore del Brasile: «... l’unica vera religione, che Dio ha stabilito nel mondo e ha designato con caratteri e segni chiari e precisi, affinché tutti possano riconoscerla come tale ed abbracciarla. Qui non è questione di questa tolleranza di fatto, che in date circostanze può essere concessa ai culti dissidenti».

Sulla tolleranza del male


Libertas: «Se non che la Chiesa, con intelligenza di madre guarda al grave peso dell’umana fralezza, e non ignora il corso degli animi e delle cose onde trasportata l’età nostra. Per queste cagioni, senza attribuire diritti fuorché al vero e all’onesto, ella non vieta che per evitare un male più grande o conseguire e conservare un più gran bene, il pubblico potere tolleri qualche cosa non conforme a verità e giustizia. Nella Sua provvidenza Iddio stesso, infinitamente buono e potente, lascia pure che v’abbia mali nel mondo, parte perché a beni maggiori non schiuda la via, parte perché non si apra a mali maggiori. Nel governo dei popoli è giusto imitare il Reggitore dell’universo: che anzi, non essendo possibile alla potestà umana impedire ogni male, deve ‘permettere e lasciare molte cose impunite che la Divina Provvidenza punisce e giustamente» (Sant’Agostino, De Lib. Ab., I. I. c. 6

n. 14). Tuttavia, se per ragione del bene comune e per quest’unica ragione, può la legge umana e anche deve tollerare il male, approvarlo però e volerlo per se stesso non può e non deve; perché il male, essendo per se medesimo privazione del bene, ripugna al bene comune, che, per quanto è possibile, ha da volere e tutelare il legislatore. E qui pure è necessario che la legge umana prenda esempio da Dio, il quale, nel tollerare che vi siano i mali nel mondo, ‘né vuole che il male si faccia, né vuole che non si faccia, ma vuole permettere che si faccia, e questo è bene’ (ST, I, Q. 19, q. 3).
La quale sentenza dell’Angelico Dottore racchiude in poche parole tutta la dottrina della tolleranza del male».
«Seguita finalmente, che coteste libertà si possono, è vero, quando lo richiedono cause giuste, tollerare, ma dentro certi limiti, affinché non abbiano a degenerare in eccessi. Dove poi sono esse già in uso, i cittadini se ne valgano a ben fare, e ne abbiano in concetto medesimo che ne ha la Chiesa. Poiché legittima deve stimarsi la libertà, in quanto ci facilita il bene onesto; altrimenti no.

Una cosa tuttavia resta sempre vera, che cotesta libertà, concessa indistintamente a tutti ed a tutto, non è... per sé desiderabile, ripugnando alla ragione che gli stessi diritti della verità abbia l’errore.
E quanto alla tolleranza, troppo dall’equità e prudenza della Chiesa van lontani coloro che professano il liberalismo. Imperocchè con quella sconfinata licenza, che in tutte le cose da Noi accennate danno ai cittadini, trapassano i termini d’ogni debita misura, e riescono a questo che, per essi, vero o falso, bene e male, sembra valere il medesimo. E poiché la Chiesa, colonna e sostegno della verità, e maestra incorrotta della morale, rigetta con fermezza cotesta specie di tolleranza sì licenziosa e malvagia, e la dichiara illecita, il liberalismo l’accusa di intollerante, senza avvedersi
di darle biasimo dove Ella merita encomio. In tanta ostentazione di tolleranza nel fatto succede spesso che verso la religione cattolica essi danno prova d’intolleranza grande; mentre sono larghissimi a tutti di libertà, non sanno rassegnarsi a lasciar libera la Chiesa.».
La liberalità è applicata dai liberali alla società e dai conciliari ad ogni culto, come se ci fosse una coscienza del bisogno di un culto comunitario indipendente dal Culto divino rivelato e ordinato da Dio stesso alla Chiesa:

«DH, 3c)... E non si deve neppure impedirgli di agire in conformità con la sua coscienza, soprattutto in campo religioso. Infatti l’esercizio della religione, per sua stessa natura, consiste anzitutto in atti interni volontari e liberi, con i quali l’essere umano si dirige immediatamente verso Dio: i quali atti da un’autorità meramente umana non possono essere né comandati né proibiti (Ptr). Però la stessa natura sociale dell’essere umano esige che egli esprima esternamente gli atti interni di religione, comunichi con altri in materia religiosa, professi la propria religione in modo comunitario.
d) Si fa quindi ingiuria alla persona umana e allo stesso ordine stabilito da Dio agli esseri umani, se si nega ad essi il libero esercizio della religione nella società, una volta rispettato l’ordine pubblico informato a giustizia.
e) Inoltre gli atti religiosi, con i quali in forma privata e pubblica gli esseri umani con decisione interiore si dirigono a Dio, trascendono per loro natura l’ordine delle cose, terrestre e temporale.
‘Quindi la potestà civile, il cui fine proprio è di attuare il bene comune temporale, deve certamente rispettare e favorire la vita religiosa dei cittadini, però evade dal campo della sua competenza se presume di dirigere o di impedire gli atti religiosi».

«4. Il diritto della libertà delle comunità religiose -
a) La libertà religiosa, che compete alle singole persone, si deve ritenere che competa ad esse anche quando agiscono comunitariamente. Le comunità religiose infatti sono postulate tanto dalla natura sociale degli esseri umani quanto della stessa religione. A tali comunità, pertanto, posto che le giuste esigenze dell’ordine pubblico non siano violate, deve essere riconosciuto il diritto di essere immuni da ogni misura coercitiva nel reggersi secondo norme proprie, nel prestare al supremo Nume il culto pubblico, nell’aiutare i propri membri ad esercitare la vita religiosa, nell’alimentarli della propria dottrina e nel promuovere quelle istituzioni nelle quali i loro membri cooperino gli uni con gli altri ad informare la vita secondo i princìpi della propria religione».
Quindi, per i chierici del Vaticano II, «la potestà civile, il cui fine proprio è di attuare il bene comune temporale, deve certamente rispettare e favorire la vita religiosa dei cittadini...».
Perciò è «bene» anche che il satanismo, il frankismo e altre sette il cui «culto»... «evade dal campo della competenza [dello Stato]»,  siano liberi non solo d’essere praticati, ma insegnati e promossi pubblicamente.

Quanta cura: «E contro la dottrina delle Scritture, della Chiesa e dei santi Padri non dubitano di asserire: ‘La migliore condizione della società essere quella, in cui non si riconosce nello Stato il dovere di reprimere con pene stabilite i violatori della cattolica religione, se non in quanto ciò richiede la pubblica quiete».
Libertas: «Considerata rispetto alla società, la libertà dei culti importa non esser tenuto lo Stato a professarne o a favorirne alcuno; anzi dover essere indifferente a riguardo di tutti e averli in conto di giuridicamente uguali, anche se si tratti di nazioni cattoliche. Ma, perché tali massime fossero vere, bisognerebbe che il civile consorzio non avesse doveri verso Dio, o li potesse impunemente violare: due cose false apertamente. Difatti l’umana società, o si consideri nelle parti che la compongono, o nell’autorità che n’è il principio formale, o nello scopo a cui è ordinata, o nei grandi vantaggi che all’uomo ne provengono, non può dubitarsi che essa è da Dio. Iddio è quegli che creò l’uomo socievole, e lo pose nel consorzio dei suoi simili, affinché i beni, onde ha bisogno la natura di lui, e ch’ei, solitario, non avrebbe potuto conseguire, li trovasse nell’associazione. Laonde la società civile, proprio perché società, deve riconoscere in Dio il padre e l’autore suo, e riverirne e onorarne il potere e dominio sovrano. Ragione adunque e giustizia del pari condannano lo stato ateo o, ch’è lo stesso, indifferente verso i vari culti, e ad ognuno di loro largo dei diritti medesimi».

Pio XI

Quas primas: «Gli Stati, a loro volta, apprenderanno con questa celebrazione annuale (della sovranità sociale di NSGC) che i governi e i magistrati hanno l’obbligo, così come i singoli, di rendere a Cristo un culto pubblico e di obbedire alle sue leggi. I capi della società civile si ricorderanno da parte loro, il giudizio finale, quando il Cristo accuserà coloro che l’hanno espulso dalla vita pubblica, ma anche coloro che l’hanno sdegnosamente messo da parte o ignorato, e da simili oltraggi trarrà  la più terribile vendetta; poiché la sua dignità regale esige che tutto lo Stato si regoli sui comandamenti
di Dio e sui principi cristiani nel promulgare le leggi, nell’amministrazione della giustizia, nella formazione intellettuale e morale della gioventù, che deve rispettare la sana dottrina e la purezza
dei costumi».

Per la DH del Vaticano II, «La potestà civile, il cui fine proprio è di attuare il bene comune temporale, deve certamente rispettare e favorire la vita religiosa dei cittadini...».
Anche la Rivoluzione Francese celebrò un «essere supremo», secondo le loro idee, che vanno da una dea Ragione a Lucifero.
Gli autori della DH reclamano la tutela dei pieni diritti di ogni culto da parte degli Stati, affermando di parlare con l’autorità di Dio.
Credono allora che Dio gradisca questi culti; una fede contraria non solo al Vangelo ma al Vecchio Testamento, perciò il «bene» del satanismo, del frankismo e quant’altro ha il diritto naturale d’essere rispettato, insegnato e promosso pubblicamente!
Uno degli effetti del Vaticano II sugli animi è la rabbiosa avversione al vero Magistero, perciò di una profonda alienazione «cattolica», per cui, anche su questo stesso sito, un lettore rimase inorridito con la frase del Signore: «Andate per tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e si farà battezzare sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato...», accusando la religione d’essere macabra, e chi la ricorda d’imbecillità.
Figuriamoci cosa dirà leggendo il Magistero dei Papi sulla libertà, qui solo in piccola parte riprodotto. Ciò perché ormai l’idea di «bene», col supporto delle tesi conciliari, è legata alla sua più alta idea: quella della piena libertà religiosa.
Che quest’idea di «bene» sia stabilita oggi dai politici è divenuto normale; ma che sia in un documento della Chiesa cattolica no.
Anzi, per chi lo firma e mette in atto, implica, più che una contraddizione, una tacita dichiarazione di rinuncia alla carica di diffondere e confermare il vero bene della legge di Gesù Cristo; uno sciagurato crollo nella fede che fa dubitare della sua apparteneza alla vera Chiesa, dove non può sussistere la nuova «fede» conciliare.
All’applicazione della «pastorale conciliare» è seguita una spaventosa proliferazione di sette di ogni genere, specialmente nei Paesi attenti alle istruzioni di siffatte autorità del liberalismo religioso.
Se c’è la libertà di scegliere il concetto di Dio si può anche scegliere la propria religione e verità.
La DH affida la giustizia dell’ordine pubblico al potere civile, che vorrebbe democratico.
Delega così proprio al potere moderno, che ignora i princìpi divini parificando il vero al falso,
la creazione di un nuovo «diritto» per l’eutanasia del cristianesimo.
Come se ciò non fosse già la prima discriminazione contro la verità di una nuova falsa religione democraticamente rivelata.

Leggiamo la DH:

«6b) Tutelare e promuovere gli inviolabili diritti dell’uomo è dovere essenziale di ogni potestà civile (Ptr).
Deve quindi la potestà civile assicurare a tutti i cittadini, con leggi giuste e con altri mezzi idonei, l’efficace tutela della libertà religiosa, e creare condizioni propizie per favorire la vita religiosa cosicché i cittadini siano realmente in grado di esercitare i loro diritti attinenti la religione e adempiere i rispettivi doveri, e la società goda dei beni di giustizia e di pace che provengono dalla fedeltà degli uomini verso Dio e verso la sua volontà. […]
d) Infine la potestà civile deve provvedere che l’uguaglianza giuridica dei cittadini, che appartiene essa pure al bene comune della società, per motivi religiosi non sia, apertamente o in forma occulta, mai lesa, e che non si facciano fra essi discriminazioni.
e) Da ciò segue che è illecito alla pubblica potestà di imporre ai cittadini con la violenza o con il timore o con altri mezzi la professione di una religione qualsivoglia o la sua negazione,
o di impedire che aderiscano ad una comunità religiosa o che vi recedano».
Eppure la discriminazione principale è sorta proprio in sede all’approvazione di questi documenti. Rivediamo i fatti attraverso alcune questioni chiave.
1) Può la «coscienza della Chiesa» non riguardare la sua Dottrina di sempre?
2) La storia della libertà religiosa iniziata nell’Eden fa una tappa finale in Vaticano?
3) Potevano i Padri conciliari fedeli al Magistero cattolico accettare la DH?
4) Che rapporto ha la visita di Paolo VI all’ONU con questa nuova dottrina?

1 - Per considerare il corso di questo documento conciliare si deve ricordare che, se un Concilio ecumenico insegna delle verità di origine divina, esso è di per sé infallibile in ragione di questo contenuto e non perché è dichiarato una cosa o l’altra dai prelati che lo promuovono.
Divagare sulla sua autorità sarebbe divagare sulla sua origine o sulla coscienza che ha la Chiesa di manifestare l’autorità divina.
Perciò, parlare della nuova «coscienza» della Chiesa, ancora in formazione (o da formare) significa esercitare la funzione, non di interprete del Vangelo rivelato da Dio, ma di chi lo rivela.
La posizione di tale autore che anticipa una nuova «coscienza, ecclesiologia, dottrina»; elementi per una nuova religione, è già nel libero esame protestante.

Ci aiuta a capirlo il teologo P. Dörmann.

«La nuova coscienza conciliare non è evidentemente la stessa coscienza della Chiesa di prima del Vaticano II, ma deve giustamente, ‘malgrado inquietudini momentanee’, raggiungere, secondo il principio della ‘accommodata renovatio Ecclesiae’, il livello della nuova coscienza conciliare.
La nuova coscienza conciliare è semplicemente descritta come la ‘coscienza contemporanea della Chiesa’ di cui Paolo V1 ha fatto ‘il tema della sua enciclica fondamentale Ecclesiam suam’. Coscienza ‘contemporanea’? Come è possibile che un’enciclica del 1964 possa avere per soggetto la ‘coscienza contemporanea della Chiesa’ di cui tratterà poi l’enciclica inaugurale Redemptor hominis (1979) promulgata quindici anni dopo? La difficoltà è risolta nel testo latino dove l’aggettivo ‘contemporanea’ traduce l’espressione hac aetate. Questa coscienza quindi è caratterizzata dall’epoca, ‘dal tempo in cui viviamo’. Tuttavia, come ha potuto Paolo VI esporre in ‘Ecclesiam suam’ tale ‘coscienza conciliare della Chiesa’? Dato che quando l’ha promulgata (6 agosto 1964) non conosceva ancora né i testi definitivi di ‘Lumen gentium’ (21 novembre 19), né quello di ‘Gaudium et spes’ (7 dicembre 1965), di ‘Nostra aetate’ (28 ottobre 1965) o di ‘Dignitatis humanae’ (7 dicembre 1965), né l’effetto rivoluzionario esercitato dal Vaticano II sul concetto che la Chiesa ha della sua fede e della sua missione descritte da Giovanni Paolo II nella sua enciclica inaugurale del 1979. Come Paolo VI ha potuto fare della ‘coscienza conciliare’ il soggetto della ‘Ecclesiam suam’, prima che il Vaticano avesse formulato e definitivamente votato i suoi documenti decisivi? Come
si deve comprendere questa coscienza contemporanea conciliare della Chiesa? Non si può trattare
di una coscienza contemporanea della Chiesa universale constatabile in modo empirico, né di una coscienza conciliare della Chiesa fondata sui documenti conciliari già votati. E’ dunque un’astrazione, dietro la quale si nasconde una certa idea di Chiesa che deve prendere forma’. […]
Lo stesso si applica allo spirito del Concilio sotto il quale ognuno può capire quel che vuole  (P. Johannes Dormann, «La Teologia di Giovanni Paolo II», Ichthys, Albano Laziale, 1996, pagine 71-73)».

Insomma, siamo davanti ad un piano di mutazione della fede che non può che venire da ambienti molto lontani e oscuri, dalla cabbala al modernismo; idee non solo estranee, ma avverse alla coscienza della Chiesa.
Mancava solo chi fosse elevato ai poteri di tiara e cappa per attuarlo rivestito dall’ephod di Caifa.

2 - Infatti, sia Giovanni XXIII che i suoi successori parlarono di un nuovo «avvento», di una nuova «pentecoste», non perché questi eventi immaginari siano conseguenti alla Rivelazione, ma perché anticipano una nuova.
E’ il progetto di cambiamento della coscienza cattolica in senso modernista e altro, esposto nell’analisi del teologo Johannes Dörmann della «Redemptor hominis» («L’Ètrange Théologie de Jean-Paul II et l’esprit d’Assise», Courrier de Rome, 1995).
Nella successione di Giovanni XXIII, vista la tendenza rivoluzionaria del Vaticano II, gran parte
dei cardinali, consapevoli che la composizione del Collegio cardinalizio era stata rinnovata in senso modernista, voleva ellegere Siri in opposizione a Montini.
Il patriarca sirio d’Antioquia, Tappouni, «propose in modo drammatico la candidatura» allo stesso Siri: «Sapete cosa mi disse il cardinale - era veramente un ‘big’ - ‘O accettate o sará un disastro’.

La seconda parola oso appena pronunciarla perché è coinvolto un Pontificato» (Benny Lai, «Il Papa non eletto», Laterza, 1993, pagina 201).
La gran mutazione era alla portata di mano attraverso un conclave ben preparato, perché in seguito il decadente mondo cattolico avrebbe creduto che fosse stato lo Spirito Santo ad ellegere tal Papa!
Sì, forse già nelle riunioni che vi sono state nella villa del banchiere della loggia P2, Ortolani, per preparare l’elezione di Montini, come desiderato dai democristiani Andreotti e Fanfani (opera citata, pagine 202/3), ma pure dai poteri conosciuti da molti e dal cardinale Tappouni.
Si voleva un apostolo liberal-progressista con un «bagaglio testamentario» molto speciale.
Ci sono indizi dell’elezione di Siri, ma anche di un intervento estraneo al Conclave per impedire la sua accettazione, probabilmente di esponenti del «B’nai B’rith». L’episodio è descrito dall’ex gesuita Malachi Martin, autore di («The Keys of This Blood, Simon and Schuster», pagine 608/9).
La Massoneria avrebbe vinto di nuovo.
Su quel conclave sospetto il cardinale Siri dichiarò, anni dopo al marchese de la Franquerie e al giornalista Hubert Remy: «Sono vincolato dal segreto. Un segreto orribile. Sono accadute allora cose molto gravi. Ma non vi posso dire nulla!» (Chiesa Viva, numero 198).

3 - Si può desumere che la Chiesa, la sua Dottrina e il Papa cattolico erano senza difesa e a rischio di una «sostituzione» radicale attraverso uno strano conclave?
La risposta è positiva se si considera che questa difesa è affidata a uomini che spesso ignorano il Magistero, la legge e le ragioni soprannaturali della Chiesa di fronte ad un’uomo incoronato.
Eppure, era tutto scritto sui rischi di nuovi conclavi e dei nuovi concili illegittimi.
«Execrabilis (1460), è la Bolla con cui Papa Pio II definisce che: «qualsiasi concilio convocato per effettuare cambiamenti drastici nella Chiesa è decretato antecipatamente invalido e nullo».
«Vatican II was avowedly convoked for this purpose... either ordered these changes, and is therefore annulled, or it did not order these changes, and our innovators, including Paul VI and his successors, have lied to us. Or both!» (Hutton Gibson, «Is the Pope catholic?», Groupacumen, Wodonga, Victoria, Australia, pagina 126, sigla IPC).
A questo punto, prendere il riferimento dell’unità cattolica (il Papato) come autorità per operare cambiamanti sostanziali è interamente contraddittorio; significa riconoscere in chi ha per munus precipuo il dovere di preservare e continuare illuminando l’integrità della fede, il potere di mutarla! Cercare appoggio nell’infallibilità papale non è d’aiuto per giustificare  un attentato al potere papale, oggetto di tale rapina.

Diversi padri conciliari lo sapevano e hanno costituito una reazione con il «Coetus Internationalis Patrum», ma è mancata la reazione proporzionata alla gravità del progetto di mutazione della Chiesa. Reazione ancora oggi da fare per rettificare l’idea dei diritti umani che la Pacem in terris fa derivare, «non dal dovere morale dell’uomo, e quindi dal suo legame finalistico con Dio, bensì immediatamente dalla dignità umana secondo l’effetto antropotropico, che sarà poi fatto proprio dal Concilio [Vaticano II], che l’uomo é una creatura voluta da Dio per e stessa’ ». (Romano Amerio, «Iota unum», pagina 439).
Quindi, i padri conciliari fedeli al Magistero non potevano, come noi cattolici non potremmo mai, accettare la DH che evoca la tentazione libertaria originale.
Eppure, nel 1965 quasi tutti i padri del Vaticano II furono indotti da Paolo VI a sottoscrivere errori ed eresie già condannate dal Magistero.
Alcuni ne erano coautori, ma la maggioranza cadde nell’abbaglio dell’«ubbidienza assoluta» a chi era in veste papale.
Il «colpo da maestro» di Satana è consistito nell’imporre un «concilio pastorale» come se fosse infallibile, poiché «più importante di Nicea» secondo disse Paolo VI.
Quindi il Vaticano II fu imposto per «ubbidienza al Papa» tanto ai prelati quanto ai semplici fedeli.
E così s’innescò la sua contraffazione col processo del «clericalismo» che antepone l’umana ubbidienza a quella dovuta alla fede divina, sovvertendo così il fine del potere ecclesiastico conferito, al contrario, per la difesa e continuità della fede integra et pura.

4 - Ora ci interessa chiarire la grave contraddizione di Paolo VI, non solo nel campo dottrinale, ma in quello operativo.
Infatti, lui che voleva ad ogni costo la dichiarazione della libertà di coscienza e di religione proclamata in ambito universale nell’ONU, riguardo ai cattolici esercitava una dura pressione sulle coscienze.
Ciò è palese riguardo al difficile corso di approvazione della «Dignitatis humanae», tra altre, come poi del Novus Ordo Missae, per cercare di sostituire la Messa secolare della Chiesa con una cerimonia protestantizzante.
Il piano di mutazione era uno e comprendeva la Dottrina come la Liturgia.
Riguardo al corso d’approvazione del diritto alla libertà religiosa della DH, voluta dalle logge, si registrarono sei rifiuti. «Nessun testo sottomesso al Concilio ha subìto tante revisioni quanto lo schema sulla libertà religiosa. Prima della sua promulgazione (come dichiarazione) il 7 dicembre 1965, vigilia della chiusura del Vaticano II, sei diversi progetti sono stati proposti, e uno dei vescovi americani disse che, senza il loro appoggio «questo documento non sarebbe mai arrivato all’aula» (Ralph Wiltgen, s.v.d., «Le Rhin se jette dans le Tibre», Ed. du Cerf, Paris, 1976).

In vista del Magistero papale in materia si capisce la resistenza cattolica.
Al contrario, non è chiaro come fu possibile farlo approvare in nome della Chiesa.
Anche se fino alla fine ancora 70 padri continuarono a rifiutarlo.
Tre nomi aiutano a capirlo: Paolo VI, il cardinale Bea e John Courtney-Murray S. J. (1).
A quest’ultimo «perito americanista», fu affidata la stesura del testo, d’accordo col cardinale Bea, artefice e continuatore del gran progetto di Giovanni XXIII, condiviso, se non suggerito dall’inizio
da Paolo VI.
In tal senso anche Murray si proponeva d’usare ogni mezzo a favore della dottrina sulla separazione tra Chiesa e Stato, considerata «mostruosa» separazione tra corpo e anima da San Pio X, ma incredibilmente fatta propria dalla nuova Chiesa del Vaticano II, da cui Murray era stato nominato per la stesura della dichiarazione Dignitatis humanae sulla «libertà religiosa».
Come detto altrove, negli USA il Modernismo, simile all’Americanismo in molti punti, non ha assunto importanza allora fino ad essere associati da padre Murray.

Dal 1950 le dispute riguardo al rapporto tra Chiesa e Stato erano rinate proprio a causa del suddetto gesuita, divenuto noto, giudicando i rapporti tra Chiesa e Stato in America, più conformi alla dottrina della Chiesa di quelli di ogni tempo.
Seguì la censura di Roma inviata al Superiore Generale dei Gesuiti in America, che limitò i suoi interventi.
Ma con Giovanni XXIII tutto cambiò e Murray fu solennemente reinserito tra i «grandi teologhi» e invitato come esperto dei vescovi ameri¬cani nel Vaticano II.
A lui, noto liberale, fu affidata la redazione della formula per la rivoluzione centrata sul nuovo concetto di libertà religiosa.
Per Murray: «Come cristiani si deve vedere la democrazia come una richiesta naturale imposta dalla ragione stessa di cui la più perfetta espressione in politica, economia e vita sociale è presente nella democrazia in America».
Le sue ultime parole confermano il suo americanismo: «D’ora in avanti la Chiesa definisce la sua missione nell’ordine temporale nei termini della realizzazione della dignità umana, della promozione dei diritti dell’uomo, la crescita della famiglia umana verso l’unità, e la santificazione delle attività secolari del mondo».
Courtney Murray, esperto in materia di «libertà religiosa», dichiarò che la «sua» DH sarebbe l’inversione di quanto detto cento anni prima da Papa Gregorio XVI, classificando tale libertà «delirio».
E bastarono leggeri ritocchi al suo testo per sollevare il suo santo sdegno!
 
Le Nazioni unite e la Chiesa conciliare


La prima ha una dimensione «sacra» nella fede dei «diritti fondamentali dell’uomo», della Rivoluzione Francese, il cui punto focale è il diritto alla libertà di religione.
Ciò significa l’esautorazione della Chiesa cattolica, idea sempre respinta dai Papi, ma che cercava il clerico che l’accogliesse e proclamasse in ambito internazionale.
Paolo VI, che ad ogni bocciatura della DH provava di tutto per garantirle il suo personale appoggio, ha dovuto però partire per visitare l’ONU giorni prima che il Vaticano II dichiarasse con la DH finalmente quel «diritto».
In quella visita per «la ratificazione morale e solenne di quella istituzione», dichiarava l’ONU...
«via obbligata della Civiltà moderna... ultima speranza della Concordia... riflesso del disegno di Dio... ove noi vediamo il messaggio evangelico, da celeste, farsi terrestre».
E con tale spirito si raccolse orante nella camera di meditazione del Palazzo di vetro.
Lo stesso spirito pervase le visite all’ONU dei successori.

ephod.jpg Paolo VI usò spesso in pubblico (foto), l’«ephod» dei grandi sacerdoti, il simbolo di Caifa che condannò Gesù.
Un giorno si capirà meglio le ragioni per le quali ritenne d’inviare il messaggio di un Papa in veste di gran sacerdote al mondo.
Per ora conosciamo solo i risultati giudaizzanti di tale iniziativa in Vaticano.
Egli usò anche il simbolo sinistro di una croce con una figura deforme, simile a quelle usate dai satanisti attorno al 500, che i fattuchieri del Medioevo usavano per rappresentare il «Marchio della Bestia» (confronta Piers Compton, «The Broken Cross, Neville Spearman, Jersey», 1983).

E’ l’uso di tale simbolo legato a quello precedente?
Certo è che per Caifa e successori Gesù va ridotto a uno straccio.
Tale croce simbolica, per riverenza verso Paolo VI, continuò ad essere portato in giro per il mondo da Giovanni Paolo II.
Oggi pare che fu finalmente accantonata da Benedetto XVI, che con ciò dimostra un po’ più di rispetto per il Crocefisso.

paul_VI_croce.jpg E siamo alla questione del Rito Romano della Messa cattolica.
La «pedagogia» del novus ordo consiste nell’indurre nelle coscienze un ideale di comportamento voltato al progresso dell’umana autonomia.
Tale piano è portato avanti dai suoi profeti con la metamorfosi del cristianesimo nel senso di una divinizzazione dell’uomo.
Il suo risultato è ovviamente la scristianizzazione sistematica.
Il grande ostacolo che trovano, però, é la Fede Trinitaria della Chiesa cattolica: della religione teandrica del Verbo divino, la cui direzione unica, da Dio all’uomo, determina ogni sua posizione e autorità.
Il segno di quest’autorità è la roccia sulla quale fu costituito il rappresentante di Cristo in terra.
La posizione è inginocchiata di fronte al potere di Dio che rappresenta.
Ecco il pericolo: inginocchiarsi di fronte all’uomo che dispensa la libertà umana dal vincolo ai poteri di Dio, rappresentati nel Triregno papale.
Paolo VI ritenne di venderlo a favore dei poveri come di liberare gli uomini dalle inginocchiature.
La «pedagogia» del novus ordo doveva perciò demolire o umanizzare questa autorità sulle coscienze per mutare la fede in una fiducia nell’uomo: perché l’uomo, mentre l’anima sua era plagiata da demoni. avesse fede nell’uomo.
Questo piano è stato messo in atto dall’inizio del cristianesimo attraverso idee sulla persona di Cristo opposte al Vangelo rivelato e insegnato dalla Chiesa.
Ma la sua autorità magisteriale, anche perseguitata, ha usato tutto il potere ricevuto per impedire l’inquinamento della Parola divina seminata nelle coscienze con idee umane.
E i molteplici attacchi eretici alla purezza della fede non sono mai prevalsi.
Sono ritornati sempre ma in altri campi, specialmente in quello della pedagogia che invitava l’intelligenza a ricuperare libertà creativa scoprendo la sua verità e il suo proprio culto, aggiornato
ai tempi.
Che gli uomini conoscessero per istinto il rischio della tirannide di una propria libera creatività è attestato dal sospetto con cui erano visti perfino i poeti nel passato.

L’umanesimo del Rinascimento ha invertito questo spirito e ha aperto la cultura ad ogni idea, iniziando la riforma mentale modernista.
Non importava quel che si doveva sapere, ma creare sempre più.
Questa priorità del creare si applica oggi all’arte, per cui, quanto può essere criticato e respinto perché immorale, se rientra nel campo dell’arte è giustificato come libera espressività.
E un nuovo concetto d’istruzione prevale, covando le rivoluzioni moderne che, a loro volta, passarono al piano universale, irreversibile, della nuova istruzione, dell’apertura verso un ammirabile mondo futuro fino ad’ora precluso all’uomo da una presunta greve mentalità religiosa inginocchiata del passato.
Se allora il sentimento prevalente del pittore d’immagini sacre era la riverenza, ora è la discussione. Basta vedere i nuovi crocifissi, come quella gigantesca ferraglia contorta nella spianata della Cova da Iria a Fatima.
Potranno mai dire seriamente che ciò rappresenta l’adorabile Salvatore in croce?
Il fatto è che un’aberrante deformazione intellettuale precede quella visuale; si corrispondono, ma la prima, mentale, passa spesso in modo velato, anche nella Liturgia.
Molti sacerdoti lo hanno capito, ma ben meno hanno saputo o potuto affrontare le conseguenze di una mutazione che sembrava venire dall’alto, da un Papa!
Come faceva notare Padre J. W. Flanagan («Fatima International» 4 febbraio 1975): «Se Paolo VI impose una messa contorta, immorale [‘The Great Sacrilege, Fr. James Wathen’, Tan  Rockford, 1975], in nome della ‘volontà di Cristo’ e ‘soffio dello Spirito Santo’, è ovvio che non aveva autorità legittima perché incorreva in eresia e ‘ipso facto’ rinunciava al suo mandato» (opera citata, IPC, pagina 12).
Inutile quindi prendere le distanze solo dal misero aspetto esterno della nuova liturgia.
Esso riflette solo la superficie di un processo di cambiamento profondo della posizione di fronte a Dio; una nuova fede per una nuova chiesa.
     
Conclusione: «Sedevacantismo» non esiste come dottrina e perciò non è posizione permanente.
Non è proprio, quindi, parlare di cattolici sedevacantisti come l’autore citato, che è il padre del noto attore Mel Gibson e mio amico. ma come cattolici fedeli che riconoscono l’evento contingente che tocca la fede universale ossia l’assenza per vizio legale o morte fisica o mentale del Vicario di Gesù Cristo.
In tutti questi casi, previsti nella legge della Chiesa, i cattolici riconoscono la mancanza del Papa e perciò la necessità dell’elezione di un altro e sarebbe folle accusarli di «sedevacantismo».
La questione è di estrema gravità poiché implica il rischio di accettare e ubbidire proprio a «chi affliggerà i santi dell’Altissimo e avrà in animo di mutare i tempi e il diritto» (Daniele 7, 25).
La chiave della religione divina che salva non sta in una mera fede sociologica, che pone la sua speranza nell’ONU e la sua carità nel servizio sociale.
La fede che salva è riassunta da San Tommaso nella fede del Dio giudice che castiga per i mali commessi e remunera per il bene fatto.
Ciò implica il riconoscimento della Legge e la necessità del ricorso soprannaturale, affidato all’autorità di Dio in terra, che risiede nella Sua Chiesa.
Perciò è molto difficile salvarsi senza appartenere corpo ed anima per rimanere vincolati al Signore nella Sua Chiesa.
Ma la volontà di vivere vincolati alla volontà di Dio è comunque la chiave di appartenenza alla Chiesa che salva, il cui opposto è credere nella scelta di una propria religione in virtù della dignità umana.

Sembra incredibile ma è proprio quanto vorrebbe far credere l’autorità conciliare, che in questo
si autosqualificarsi «ipso facto» come autorità cattolica.
Eppure affermarlo pare, per la decadente mentalità attuale, invito all’apostasia.
Oggi, nel buio del pensiero cattolico si sente dire che rifiutare il Vaticano II è apostatare la fede!
Ma si può apostatare da Giovanni XXIII o da Paolo VI come se incarnassero la fede?
O in verità incarnano la religione dell’uomo che rincorre e benedice la religione dell’uomo che ha apostatato da Dio e si fa Dio? (2).

Invito i cattolici a comparare l’opera conciliare con quella dei Papi, perché alla luce del Vangelo e anche della logica solo una è cattolica e viene da Dio.
E allora, poiché non si può servire a due signori, o si è con Gesù Cristo e il Suo Magistero, o con Caifa e i poteri del mondo.
Allora non ci saranno scuse per non seguire il dettame di Dio nella lettera di San Paolo ai Galati per tenere separati dalla Chiesa i contraffattori del Vangelo.
L’«anatema» è atto di profonda carità cristiana, sia per difendere le genti dalla falsa dottrina che danna, sia per richiamare gli errarti alla verità divina.
Chiudo ricordando il fondamentale «dogma della fede» per cui è la sottomissione alla volontà e giudizio di Dio la fede della Chiesa che salva.
Tale è la chiave per essere nella vera Chiesa di Cristo, sia per i pellegrini più semplici che per i più dotti.
A ciò si oppone il diritto di anteporvi la propria libertà di coscienza dichiarata dignità umana dai falsi profeti d’ogni tempo.
Quale altra poteva essere la sovverzione terminale dei tempi e del diritto operata da alto loco secondo il Profeta Daniele?

Arai Daniele



1) Vedi riferimento a John Courtenay-Murray S. J., nell’articolo «L’alienazione americanista che inquina il mondo».
2) Vedi discorso di Paolo VI alla chiusura del Vaticano II.


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