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La scuola dei cretini. Che si credono furbi
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Su 100 studenti italiani quindicenni, 37 risultano analfabeti. Non si può parlare nemmeno di «analfabeti di ritorno»: non sono manco partiti, sono ancora a scuola. E’ una bella conferma dei successi della nuova pedagogia degli insegnanti plurimi, o no?

Giorni fa, in 40 scuole romane, gli insegnanti si sono presentati con un nastro nero a lutto per «la fine del nostro sistema scolastico», ucciso dalla cattivissima Gelmini. Ma Attilio Oliva, vicepresidente della Luiss e già responsabile Confindustria per la formazione continua, dice al Corriere: «Si sono inventati una pedagogia unica in Europa per giustificare la pratica assistenzialistica delle assunzioni a getto continuo».

Non avesse altri meriti, alla Gelmini va riconosciuto già questo: aver dato il coraggio a qualcuno (che non ne aveva) di esprimere queste verità, e sul Corriere. Per uno-due giorni, s’è parlato del nostro disastro scolastico. «L’OCSE boccia la scuola italiana», apriva il Corrierone il 10 settembre.

Il bello è che se si va a cercare su internet, si scopre che questo titolo è ricorrente: «2006: l’OCSE boccia la scuola italiana». 2007: «L’OCSE  boccia la scuola italiana». Ma nelle pagine interne, e zero dibattito.

Oggi invece, un Attilio Oliva si può permettere di plaudire al taglio di migliaia di posti di maestro ventilato (solo ventilato) dalla ministra: «Sono un esercito che nessuno gestisce. Non viene valutato nella qualità. La nostra scuola è il sistema pubblico più privato della Terra. Un mondo opaco, di cui non si sa niente, come l’URSS negli anni ‘50». Aggiunge: con questa scuola «diventa impossibile creare una classe dirigente».

Un pezzo da novanta come Giuseppe De Rita del Censis scopre (con l’acqua calda) che occorre «una scuola elementare profondamente ricentrata sulla sua primordiale funzione di formazione dei sentimenti, della sintesi personale, del senso di responsabilità, della serietà del comportamento. Il ritorno all’insegnante unico non deve in questa luce scandalizzare, ha un senso profondo».

Ma dove eravate prima, Oliva e De Rita? Sono decenni che tre insegnanti si contendono classi di 11 bambini, e voi zitti. Grazie, Gelmini. Bene, il dibattito è cominciato e il livello è alto.

Si è inserito anche l’insigne pedagogista Umberto Bossi: lui è per gli insegnanti plurimi, anzi no, va bene anche un maestro solo, purchè sia bravo. Uno può credere magari che abbia colto al volo la lamentela di una insegnante padana, o del suo autista che ha una figlia alle magistrali. Invece è noto che Bossi riflette profondamente sui problemi pedagogici fin da quando era iscritto alla scuola Radio Elettra per corrispondenza. Dunque è ascoltato con rispetto. La sua uscita e la sua marcia indietro lo rendono ogni giorno più popolare.

Bossi è la prova vivente della classe dirigente che gli italiani amano: da quando ha solo mezzo cervello, è addirittura  aumentato nei sondaggi. Evidentemente non è di cervello che vive «la politica», e «il federalismo».

Comunque sia, ecco finalmente il dibattito, ampio e pubblico, sul problema-scuola, una delle macine da mulino che ci trascinano verso il terzo mondo.

E invece no: passato il giorno, tutto finito. Giusto per continuare esgiguamente il dibattito («solo un attimino», come si dice nei migliori talk-show) riprendo qui i dati OCSE così lestamente archiviati.
Bastano le cifre, dicono tutto.

Laureati fra i 24-35 anni: Italia, 17%. Media OCSE, 33%, quasi il doppio.
Laureati dai 55 ai 64 anni: Italia 9%, OCSE 19%, più del doppio.

Siamo sotto al Cile e pari alla Turchia.

Costo per alunno.
Alle elementari: Italia 6.835 dollari annui.
Media OCSE, 6.252; il resto dei Paesi civili, per formare uno scolaro, spende quasi 600 dollari in meno che da noi.

«Le elementari costano il 20% in più dei corrispettivi europei perchè hanno un numero folle di insegnanti», sbotta il neo-coraggioso Attilio Oliva. Già.

Le nostre maestre impartiscono le loro preziose lezioni elementari per 735 ore l’anno, contro le 812 delle maestre straniere. E tuttavia, i nostri scolaretti passano in classe 990 ore l’anno, contro le 796  dei bambini nei Paesi civili. Ossia: i nostri «studiano» (se si può dir così) quasi 200 ore più degli altri.

Come è possibile questo miracolo, che le maestre italiote insegnino «meno», ma i bambini italioti restano in classe «di più»?

Facile: il corpo insegnante si è diviso i bambini sempre meno numerosi, onde mantenere alto il loro numero: le classi italiane hanno 18 alunni, quelle europee 21,5. E inoltre gli insegnanti plurimi si danno la staffetta: ecco perchè i nostri scolari restano in aula 200 ore di più, per «occupare» le insegnanti.

E’ straordinario che il 37% degli scolari riesca a passare indenne, ossia a mantenersi perfettamente analfabeta, durante questo bombardamento pedagogico subìto per tutti gli anni del corso formativo.

Gli insegnanti sono furbi. Gli studenti sono ancora più furbi, e gliela fanno in barba alla scuola. La fregano, senza il minimo dubbio che forse stanno fregando se stessi, e che si preparano un futuro in cui abiteranno in qualche bidonville, che non mancherà di nascere a Milano, attorno agli smaglianti edifici della Regione che ormai occupa tutti i grattacieli, come ce ne sono già al Cairo, a Maputo e a Calcutta.

Ci sono tanti modi di essere scemi. Il peggiore è quello di credersi anche furbi. E’ un primato italiano.

Ma la furbizia non finisce alle elementari, anzi si accresce. Vediamo il costo annuale per studente.

Alle elementari: Italia (come già detto) 6.835 dollari per scolaro.
Media OCSE, 6.252. All’estero spendono 500 dollari in meno.

Secondarie: Italia 7.648 per studente, OCSE 7.804.

Già all’estero cominciano a spendere 150 dollari di più per una formazione più complessa, che richiede più sussidi e più formazione specialistica degli insegnanti. Ma il record è all’università.

Costi annui per alunno all’università: Italia 8.026, media OCSE 11.512. Qui la differenza è enorme. Nei Paesi civili, per formare uno studente universitario si spendono 3.500 dollari annui in più che da noi.

Com’è logico: l’insegnamento universitario richiede sussidi e strumenti costosi, laboratori di ricerca, grandi biblioteche, cliniche, eccetera. Invece da noi, la formazione di un universitario costa più o meno come quella di un liceale. Chiedetevi perchè.

Uno dei motivi lo conosco: un professore universitario, appena strappata la sospirata cattedra, passa l’80% del suo tempo al telefonino, con altri professori, nel continuo mercanteggiare per «aggiustare» fra colleghi concorsi per altre cattedre universitarie. Non esagero, so quel che dico, posso fare anche dei nomi. Non fanno altro che tramare, esercitare il potere indebito di assegnare cattedre in combutta: è una specie di mania, di malattia mentale.

Naturalmente, smettono di studiare appena avuta la cattedra. Magari fanno dei viaggi, partecipano a conferenze internazionali con l’amante, e mettono la nota spese a carico dell’università. Quel po’ di ricerca e di didattica, lo abbandonano a borsisti, precari e contrattisti-schiavi, pagati 700 euro mensili.

Di questi, resistono solo quelli che aspirano, come massimo della vita, a diventare cattedratici per attaccarsi subito al telefonino e tramare, mercanteggiare, assegnare cattedre in quota-partito
(«No, quello no, è di destra!»; «Lui sì, ma...  è iscritto al Partito? Sei sicuro?»).

La selezione dei peggiori. O dei cretini. Che si credono furbi.

Non a caso all’università solo 17 studenti universitari su cento conseguono davvero la laurea, contro 33% della media OCSE.

La università da noi è totalmente inutile, uccide la passione del sapere e dello scoprire; e viene usata dagli studenti furbi per strappare il titolo di studio a valore legale, che dà la possibilità di partecipare a concorsi pubblici. Truccati per lo più, ma se riesci ad ammanicarti - col «titolo di studio» comunque legalmente indispensabile - sei a posto.

Per esempio: puoi diventare segretario comunale di un paesino, e guadagni 247 mila euro l’anno.

Il caso è autentico: il segretario di Stezzano (provincia di Bergamo, 12 mila abitanti) prende quella cifra.  Praticamente ogni abitante di Stezzano, leghisti e lattanti compresi, gli paga 20 euro. Senza fiatare. La Corte dei Conti indaga. Ma il segretario di Stezzano - si chiama Giovanni Barberi Frandanisa, 43anni, messinese con titolo di studio di Messina - è tranquillo.

«I sindaci dei dintorni, anche della Lega, mi hanno mandato sms di solidarietà» (vorrei leggerli, quegli sms: chissà quanto analfabetismo). L’emolumento è del tutto legale.

Anzitutto, il fortunato copre in comune a Stezzano (12 mila abitanti) un doppio incarico: è  segretario comunale, ma anche direttore generale del municipio; e questa seconda carica è assegnata con trattativa ad personam come un contratto privato; è un manager, ragazzi. Erano dipendenti pubblici, sono diventati tutti manager «privati» quanto a paghe.

La paga di segretario invece è stabilita per legge, in base a una tabella ministeriale: e, assicura il Corriere, «120 mila euro» è la paga giusta «per il segretario comunale di un paese di 12 mila  abitanti».

Ecco le belle carriere aperte in Italia, nonostante il declino generale: 120 mila euro annui, qualcosa come 6-7 mila euro mensili netti. Chissà quanto prevede la tabella per Milano, 1,5 milioni di abitanti: il segretario comunale prenderà 1,2 milioni di euro?
E pensare che gli insegnanti, che da noi guadagnano 22-29 mila euro lordi (in Germania 50 mila, in Corea 52 mila l’anno), si mettono il lutto per «il sistema scolastico» che li sottopaga; ma certo, in compenso non li controlla e non esige che lavorino. Nel loro calcolo, meglio prenderne 22 mila così, che 50 mila come i tedeschi, ma dover studiare e formarsi.

Sono sicuramente i più furbi. Giustamente manifestano contro la Gelmini. Sono loro che reggono il sistema dei segretari comunali a 120 mila, e dei «manager pubblici con contratto privato» a 150-300 mila. Pagati da una popolazione che, nell’80% dei casi, guadagna a malapena meno di 1.300 euro al mese, e 13 milioni di pensionati sono a 700-900.

Non sono solo loro però, siamo giusti. Una parte del merito di questa furbizia che ci rovina tutti, va data anche ai genitori: in Italia, il 92% sono soddisfatti del «buon lavoro che svolge la scuola», contro l’85% della media OCSE. Un record italiano di soddisfazione pedagogica. Contenti di aver figli, dopo anni di studi, analfabeti. Tanto se la caveranno nella vita; sono così furbi....

Non tutti se la cavano, il numero dei furbi essendo eccessivo, e la concorrenza spietata. Sicchè, molti cercano la scorciatoia per diventare ricchi nel gioco d’azzardo e comprando biglietti delle lotterie, del Superenalotto, eccetera.

Questi furbi italiani sono i maggiori giocatori (dopo gli inglesi, siamo giusti) del mondo: si giocano ogni anno 42 miliardi di euro, ossia lo regalano in gran parte allo Stato, cioè alla Casta, pari al 2% del PIL, pari all’introito del turismo.

Gli italiani hanno il record mondiale di giocate; e nello stesso tempo, hanno il record mondiale di vincite non ritirate nè reclamate: 103 milioni di euro di vincite mai riscosse. Forse i vincitori, analfabeti di ritorno, non sanno leggere i numeri del Superenalotto.

Come dicevano: se c’è un’aggravante all’essere cretini, è di sentirsi furbi.


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