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Perché l’Ucraina è incapace di autogoverno
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«Il Governo al potere a Kiev ha dichiarato di voler chiedere alla NATO di prendere il controllo delle 15 centrali nucleari ucraine», racconta Vladimir Marcenko, sindacalista filorusso, della Federazione dei Lavoratori di Ucraina.

«Il partito neonazista Svoboda, che ha tre Ministri nel Governo, ha nel suo programma di fare del Paese una potenza atomica», aggiunge Valeri Sergachov, ex consigliere regionale di Odessa, fondatore del partito Kiev-Rus. Già colonnello dell’Armata Rossa (in Afghanistan), Sergachov aggiunge sùbito che gli armamenti atomici che effettivamente erano posizionati in Ucraina durante l’era sovietica, sono stati consegnati a Mosca un decennio fa, e così le riserve di uranio arricchito. Ma sono esempi dell’irresponsabilità, dell’irrealismo, estremismo e (in fondo) della disperazione del potere insediato a Kiev dagli armati di piazza Maidan e sotto la protezione di fatto americana, ed eurocratica. Il «nuovo» Parlamento, intimidito e sotto minaccia, ha varato la legge che vieta in Ucraina l’uso della lingua russa: altro esempio di sconsiderato avventurismo, nella speranza di provocare lo scontro e – con il conflitto bellico – l’intervento dell’Alleanza Atlantica.

Natalia Vitrenko, parlamentare del Partito Socialista Progressista (anche lei filorussa) mostra un sondaggio condotto poche settimane prima dei disordini dall’Accademia delle Scienze Ucraina: alla domanda se si voleva integrarsi nell’Unione Eurasiatica (di fatto, se stare con Putin) nella parte occidentale del Paese solo il 16% ha risposto sì; nel centro, il 50%, nel Sud, il 78, e nella zona orientale, l’84: lì ci sono i russofoni, e soprattutto fabbriche militari che lavorano praticamente solo per la Russia «e un passaggio alla UE significherebbe la disoccupazione per centinaia di migliaia di loro». E il meridione i due terzi del Pil del Paese.

I tre russi che incontro alla Regione Lombardia dove a loro volta hanno incontrato qualche politico (vengono da Bruxelles, dove hanno cercato di contattare il tedesco Schulz, capo del socialismo europoide, trovandolo «sfuggente») elencano ovviamente i motivi per cui il «Governo» attualmente in carica a Kiev con la benedizione santificante di USA ed UE è per loro totalmente illegittimo: la maggior parte della popolazione (come mostra il sondaggio) non ne condivide il fine ma non ha avuto voce in capitolo; è un Governo insediato dai kalashnikov della parte più fanatica della piazza, dagli armati che hanno saccheggiato depositi della polizia ed hanno violato la Costituzione vigente, oltretutto in una mediazione «assistita» da tre Ministri europei (Polonia, Francia e Germania). Questo Governo s’era impegnato a disarmare la «piazza» entro 24 ore, e restituire le armi alla polizia. Ma la «piazza», per l’esattezza il Pravi Sektor, ha risposto picche al «suo» stesso Governo: «Noi non abbiamo firmato niente» —– giustificando appieno la decisione russa di tutelare la popolazione russofona, fino a distribuire armi ai cosacchi.

Naturalmente, i tre illustrano cose che i lettori di questo sito già conoscono: come il «Governo» di Kiev sia stato assegnato da Victoria Nuland, l’assistente Segretaria di Stato americana (neocon ebrea) che ha del resto ammesso di aver investito, per staccare l’Ucraina dalla Russia, 5 miliardi di dollari; e difatti a capi del «Governo» un personaggio che gli ucraini non hanno avuto modo di eleggere, ma che la Nuland ha chiamato familiarmente «Yats» nella famosa intercettazione («Fuck Europe»): Arseni Yatseniuk, ebreo e banchiere centrale già a 39 anni, di famiglia oligarchica... La Nuland diceva all’ambasciatore che «Yats» era la sua scelta, che lo preferiva a «Klitsch», ossia a Vitali Klitsko, il pugile protetto dai tedeschi. E «Yats» eccolo al Governo, e John Kerry è accorso al suo fianco a promettergli, per intanto, un miliardo di dollari...

I tre russi dicono di temere un conflitto balcanico moltiplicato (la Iugoslava non aveva 15 centrali tipo Chernobyl) che può sboccare nella terza guerra mondiale. Mentre li ascolto con relativo scetticismo, mi viene a mente tutte le volte che l’Ucraina s’è infiammata di spirito indipendentista, le volte in cui è divampato l’autonomismo più fanatico, senza alcun compromesso, inflessibile: e com’è finita.

L’ultima volta è stato nel 1917: tra la formazione della dittatura bolscevica e la pace di Brest Litovsk (che aveva assegnato Kiev all’impero absburgico) si aprì un vasto spazio all’indipendentismo ucraino. Fu un’orgia di libertà, di voglia di indipendenza: tra l’Armata Rossa di Bronstein Trotski e l’Armata Bianca zarista di Denikin, sorse l’Armata Nera: no, non il nero fascista che nemmeno era ancora nato, ma la nera bandiera dell’anarchia: né Dio né padroni; autogestione, esproprio delle terre e sua distribuzione ai braccianti – ed ovviamente, Ucraina indipendente da tutti: e Kiev solo da pochi mesi era stata lasciata dall’armata polacca di Pilsudski, ed era governata da un «etmano» o «ataman», tale Skoropadskij, che si pavoneggiava in antico costume cosacco: lo stesso nome di ataman evocava la mitica indipendenza cosacca — ancorché, nella fattispecie, l’etmano Skoropadskij governasse su poco più che Kiev, e sotto la tutela delle truppe tedesche. E alla mala parata si ritirò con l’ultimo convoglio germanico, vestito da ufficiale tedesco e con la testa bendata per simulare una ferita e non farsi riconoscere: lasciando il suo piccolo esercito di allievi ufficiali e liceali senza ordini, e gli ufficiali a scappare strappandosi le mostrine davanti alle truppe di Petliura... Otto Settembre ucraino, ahimè tragicissimo. Beninteso, Simon Petliura era un indipendentista fanatico, aveva formato un suo esercito, ma era di destra e sotto la tutela polacca, che mai ha nascosto mire espansioniste su Kiev.



Nestor Makhno
  Nestor Makhno
Ma riprendo il filo: la bandiera nera. Fu Nestor Makhno (1888-1934), di origine contadina, sedotto dalle idee i Bakunin e Kroptkin, a levarla: cercò accordi coi bolscevichi a Mosca credendoli fratelli, e riuscì ad organizzare un’ampia repubblica autogestita: piccole comuni di contadini su terre espropriate, si dividevano il raccolto e lo vendevano alle città in cambio di merci industriali. La comuni formarono gruppi di autodifesa a cavallo: le guardie nere, stendardi neri col teschio, mitragliatrici su carri, giunsero a contare 50 mila uomini. Era un esercito autogestito, totalmente egualitario, senza gradi né ufficiali: un po’ come se i centri sociali formassero un’armata. Sì, l’Ucraina non si fece mancare nulla in fatto di libertà. Provò tutto, si fece anche la sua repubblica anarchica di relativo successo.

Per Lenin e Trotski e il potere bolscevico, fu il nemico numero Uno: la loro idea di collettivizzazione era diversa, Makhno aveva il cuore dei contadini ed era un tremendo concorrente ideologico: già fra i soldati ucraini dell’Armata Rossa , giustappunto in Crimea, s’erano prodotti ammutinamenti di massa, in decine di migliaia avevano deposto i loro ufficiali bolscevichi, e molti s’aerano aggregati all’Armata Nera .

«Nessun nemico a sinistra», sancì Lenin, ed era sottinteso: massacrateli fino all’ultimo.

Mentre a Mosca partivano le purghe degli elementi anarchici (i soviet operai ne erano infettati), in Ucraina Makhno si alleava con i bolscevichi: fu la sua armata, la makhnovcina, a sconfiggere le armate bianche di Denikin e, definitivamente, a conseguire la disfatta delle forze armate di Wrangel a cui Denikin aveva lasciato il comando: l’esercito bianco, che all’inizio dell’avventura aveva 100 mila uomini, traversò la frontiera rumena, il ritirata, ridotta a 3 mila.

Sùbito dopo – ovviamente – Trotski tradì quegli alleati. Non gli servivano più. Due settimane dopo che quelli (non lui) avevano disfatto i bianchi; convocò i suoi capi militari ad un convegno in cui, diceva, si sarebbe discusso dell’indipendenza dell’Ucraina e del suo affratellamento con la Russia Sovietica, e li fece arrestare e fucilare tutti quanti; lanciò la Cheka, organizzata in «brigate punitive», alla più minuziosa epurazione degli elementi anarchici; anche i semplici simpatizzanti, o sospetti di simpatizzare, furono eliminati. Gli ebrei della Ceka lavorarono bene: si calcola che ammazzarono 300 mila makhnovisti, cifra ampiamente approssimata per difetto. Fu il primo holodmor di contadini ucraini.

Makhno, con gli ultimi superstiti, riparò anch’egli in Romania nell’agosto 1921, e finirà a Parigi, a morire di miseria e nostalgia con gli altri esuli russi. Del resto, i comitati autogestiti dell’esercito avevano cominciato a criticarlo per certi aspetti della sua vita privata: si parlò di orge e di violenze carnali. I trozkisti vi aggiunsero l’accusa, falsa, di antisemitismo.

A quel punto, l’Armata Rossa aveva debellato l’altro indipendentista, il politico, scrittore e poi capo militare Simon Petliura (1879-1926); quello che, scappato l’etmano mascherato da tedesco, s’impossessò di Kiev coi suoi armati.

Simon Petliura
  Simon Petliura
Anche Petliura crebbe nella finestra temporale in cui il potere zarista scomparve e lasciò la presa sull’Ucraina, il potere sovietico non vi aveva ancora potuto affondare i suoi artigli d’acciaio. Sgretolato l’esercito panrusso, Petliura fu eletto dal Congresso Pan-Ucraino dei delegati della truppa, comandante del comitato ucraino militare; dissidi e conflitti sorsero presto a rompere quella bella unità; Petliura fondò il suo partito, Sloboda Ukraine, Libera Ucraina (il partito Svoboda attualmente al potere a Kiev sotto tutela americana, si rifà a quella esperienza); l’etmano lo incarcerò per quattro mesi; uscito, Petliura si unì ad altri elementi – ciascuno con un seguito di contadini – in una specie di putsch di destra: il Direttorato d’Ucraina. Ed immediatamente si diede a combattere su due fronti: contro i Bianchi, e contro l’Armata Rossa.

Fiero indipendentista, Petliura si mise sotto tutela polacca. Il maresciallo Pilsuski, contro cui l’Armata Rossa s’era avventata convinta di attraversare la Polonia come un coltello nel burro ed arrivare di corsa a Berlino a risvegliarvi la Rivoluzione, non solo bloccò i comunisti sulla Vistola; nel suo incredibile, eroico e geniale contrattacco, arrivò ad «liberare» Kiev, e a soccorrere l’armata di Petliura messa a mal partito dai bolscevichi. Pilsudski lasciò il Governo di Kiev a Petliura, ma quello non riuscì a conseguire l’indipendenza: aveva contro eserciti di ucraini sotto le varie denominazioni, lui era di destra, loro di sinistra... Finì a formare un Governo in esilio a Varsavia, inteso malinconicamente a diffondere la «cultura nazionale» e la lingua ucraina. Era, essenzialmente, un letterato ed un giornalista.

Emigrò infine a Parigi, fra gli altri esuli. Là, il 25 maggio 1926, mentre camminava per Rue Racine, un passante gli chiese in ucraino: «È lei Simon Petliura?». Non fece a tempo a rispondere: il passante gli scaricò cinque colpi di pistola nel ventre. L’assassino si chiamava Sholom Schwartzbard, era un ebreo ucraino, mandato dai bolscevichi a regolare i conti. Petliura era accusato di avere ammazzato 50 mila ebrei in pogrom: cifra leggendaria, tipica narrativa con cui l’ebraismo giustifica i suoi delitti come vendette bibliche. L’estrema destra di Kiev, Pravi Sektor, ha ovviamente Petliura fra i suoi eroi e martiri.

La breve stagione di libertà ucraina si concluse con forse un milione di massacrati, esiliati, dì affamati in una guerra civile senza fine. Dopo, si sarebbe steso sul Paese il gelo mortuario bolscevico: lo sterminio dei kulaki, i forse sei milioni di morti per fame.

Stepan Bandera
  Stepan Bandera
Quando entrarono a Kiev i tedeschi del Terzo Reich, si portarono dietro un estremo indipendentista ucraino: Stepan Bandera. L’avevano liberato dal carcere di Varsavia, dov’era stato chiuso all’ergastolo per l’assassinio del Ministro degli interni polacco nel 1934; radunando fuoriusciti ucraini, mise insieme un battaglione inquadrato nella Wehrmacht (Battaglione Nachtigall) che, insieme con il battaglione Roland formava la Legione ucraina. Nel 1941, mentre i nazisti imbarcavano colpi, Bandera proclamò lo Stato libero Ucraina a Leopoli: i tedeschi non ne erano stati avvertiti; sicché lo arrestarono e deportarono nel lager di Sachsenhausen.

Bandera sopravvisse. Dopo la guerra restò in Germania a dirigere l’OUN (Organizzazione Nazionalisti Ucraini). Il 15 ottobre 1959, fu trovato agonizzante in una pozza di sangue a Kreittmayr Strasse n. 7 . Come stabilì un tribunale tedesco, l’aveva avvelenato tale Bohdan Stachynsky, un ucraino di nome ebraico, inviato da Kkrushev a regolare anche quel conto. L’assassino si fece gli 8 anni di galera in Germania, e poi tornò Mosca, a godersi la pensione del Kgb che aveva guadagnato negli otto anni di servizio.

Si dovrebbe ancora parlare di come l’Ucraina, spopolata dalle stragi, dalla guerra civile, dall’orgia di indipendentismo e dall’holodmor staliniano, fu poi ripopolata da russi spostati o deportati lì. Di come i cosacchi furono schiacciati dallo stivale bolscevico, tragicamente, senza alcuna pietà. Di come i suoi confini stessi siano stati modificati a piacere ed arbitrio dei vincitori. Né si dovrebbe tacere l’immane crimine contro l’umanità perpetrato dai comandi inglesi a fine guerra: 300 mila cosacchi, i combattenti con le famiglie, che avevano combattuto a fianco del Reich, s’erano ritirati fino in Austria, e messi sotto la protezione dei britannici, pregando di non essere riconsegnati a Stalin. I comandi li riconsegnarono. Stalin li uccise tutti e trecentomila, fino all’ultimo bambino cosacco. Il barone Nikolai Tolstoy, discendente del grande romanziere, che vive a Londra, ha rivelato e documentato la vergognosa vicenda: un tribunale inglese lo ha condannato per diffamazione dei figuri, che nel frattempo sono divenuti lords e pari.

Si dovrebbe, ma avrete già capito qual è il problema, con l’indipendentismo ucraino. E come finiscono gli indipendentisti, cacciati per lo più da altri indipendentisti sotto tutela di altri stranieri, diversi.

Mi riscuoto: il deputato Marcenko sta dicendo: «Oltretutto, da quando s’è messo in moto l’indipendentismo neonazista a Kiev, ecco che la Romania ha avanzato pretese sul territorio della Bessarabia, e in Turchia ci sono già dei giornali e dei partiti che sostengono che la Crimea appartiene alla Turchia...».

Già, questo è un altro capitolo: confini mossi più e più volte, mire straniere sulle feraci zolle, concupiscenze di Polonia, dei neo-ottomani, dei germanici, di Mosca e dei filo-russi, della Romania a cui la Bessarabia effettivamente apparteneva. Appena si leva il grido «Ucraina Indipendente», ecco che nascono le voglie su «quale» e «quanta» sia l’Ucraina indipendente, e quale da cedere e da ridisegnare.

No, non ci sarà nessuna guerra mondiale. Le truppe in Crimea hanno posto un punto fermo, anche se Hollywood strilla — è la guerra americana, chr vince sempre nella propaganda, ma sul terreno, è sconfitta. Kiev si goda pure la tutela di Hollywood e del Fondo Monetario, l’assistenza di John Kerry e i benefici dell’eurocrazia. Farà a tempo a deludersi.





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