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Grandi manovre NATO. Continue. Contro Mosca
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Dal 2 al 7 novembre si sono tenute grandi manovre militari NATO, definite «le più grandi esercitazioni militari strategiche degli ultimi dieci anni»: 7 mila uomini (solo i francesi ne hanno messo 1200), carri, aerei e navi. Dove? Nei Paesi baltici, ai confini della Russia, ovviamente. Nome dell’esercitazione, Steadfat Jazz.

«Da cinque anni, la Russia si mostra sempre più sicura di sé nel Baltico», ha dichiarato il ministro della Difesa, Artis Pabrikis. «Stedfasty Jazz è importante perché sono le prime esercitazioni che ci permettono di addestrarci nella difesa del nostro territorio». Il generale americano Philip Breedlove, comandante supremo delle forze alleate (o servili), ha dato ai giornali baltici la seguente spiegazione: l’esperienza di contro-guerriglia acquisita dalla NATO in Afghanistan non basta, l’Alleanza deve prepararsi ad operazioni militari più sofisticate contro veri eserciti.

Un atto di ostilità contro Putin? Ma no, cosa andate a pensare: alle manovre hanno invitato osservatori russi. Così hanno potuto osservare come la loro antica zona d’influenza sovietica viene smangiata ogni giorno di più. Malfidente com’è, Vladimir Putin ha fatto della modernizzazione dell’armata russa una priorità naturale perché, ha detto, «il mondo attuale è lungi dall’essere pacificato e sicuro... L’instabilità cresce in vaste regioni del mondo», un fenomeno naturale che effettivamente abbiamo notato, anche se è impossibile dire – come per il riscaldamento globale – se sia provocato dall’attività umana, specificamente americana. Fatto sta che la Russia ha annunciato l’anno scorso un aumento del 25% del bilancio difesa, ciò che – giusto per fare un confronto – la pone alla pari della Gran Bretagna. Mosca spenderà da qui al 2020 l’equivalente di 515 miliardi di euro, con lo scopo di dotare di equipaggiamento moderno 700 mila del suo milione di soldati, e fabbricare 2300 carri armati, 1200 elicotteri, 15 navi e 28 sottomarini.



«Perché? Siamo molti a domandarcelo», s’è dispiaciuto un diplomatico occidentale: «Perché armarsi nella prospettiva di un conflitto con noi? Non è un enorme spreco di risorse?». Eppure la NATO ha molto chiaramente «segnalato la propria intenzione di non estendersi più verso Est».

La Lettonia s’è lagnata che l’aviazione russa (bombardieri) ha violato il suo spazio aereo ben 37 volte l’anno in corso, mentre cinque anni fa lo faceva una o due volte. Per risposta, caccia britannici (che siano stanziati in Lettonia? Possibile? No, certamente decollano da Heathrow) si sono levati in volo parecchie volte per contrastare i bombardieri. Hanno molto preoccupato i nostri alleati nuovi, i baltici, le manovre militari Zapad 103 che hanno avuto luogo in settembre in Bielorussia. Mosca le ha definite come «esercitazioni di lotta al terrorismo» (sic). Ma gli osservatori occidentali sono stati spaventati «dalla postura estremamente aggressiva di Zapad», hanno detto diplomatici occidentali, ricordando che «i Paesi baltici sono protetti dall’articolo 5 della NATO che obbliga i membri dell’Alleanza a intervenire se uno di loro è aggredito. Anche se sono tutti d’accordo che «attualmente il governo russo non rappresenta una minaccia». (L'Otan teste sa force de réaction rapide près de la Russie)



Effettivamente un clima da guerra fredda. E si ha ragione di domandarsi come mai la Russia si armi, e con uno sforzo supremo, per raggiungere la forza militare del Regno Unito, un solo membro della NATO. Forse bisogna alzarsi di quota allargando la visuale. Per esempio ad un blog che titola: «Israele vuol fare concorrenza alla Russia sul mercato del gas in Europa».

L’alta corte sionista ha autorizzato il governo Netanyahu a esportare il 40% della produzione di gas naturale estratto nei due campi sottomarini di Tamar e Leviathan , enorme (è valutato sui 19 mila miliardi di metri cubi). L’autorizzazione dell’alta corte serve, perché a rigore i giacimenti apparterrebbero ai palestinesi: un popolo che pretendeva di abitare la Palestina – ciò che è negato dalla Torah, lì abitano da tremila anni solo gli ebrei – e di cui presto si perderà la memoria. Così, con piena legalità, Sion ha potuto estrarre il gas in società con la ditta americana Noble Energy Inc. 39,66% del Leviathan) e le società israeliane del gruppo Delek Ltd. Il progetto dichiarato è di esportare il gas in Europa, insidiando la posizione del primo fornitore, la Russia. A questo scopo, Israele ha graziosamente acconsentito alla richiesta di Cipro – come sappiamo, in bancarotta e sotto amministrazione della Troika – di diventare la prima stazione di transito e, parzialmente, di liquefazione del gas palestinese (pardon, da tremila anni israeliano).

Secondo il sito economico ebraico Globes, Cipro e Israele firmerebbero il relativo accordo entro sei mesi. Sarebbe previsto sull’isola un impianto di liquefazione da 12 miliardi di dollari. Un ottimo affare per la disastrata Cipro, e non solo per le royalties di transito. Sull’isola ci si apre alle più rosee speranze di un «partenariato strategico con Israele», visto come il miglior mezzo di attrarre investimenti esteri, e come protezione contro le eventuali mire turche. Per Israele, l’accordo strategico avrebbe il vantaggio di evitare di inoltrare il gas all’Europa per mezzo di un gasdotto sottomarino, più costoso ed esposto a sabotaggi; e il fatto che Cipro sia membro della UE non è certo un male per gli affari israeliani.

Verrebbe quasi da sospettare che la crisi finanziaria che qualche mese fa ha colpito Cipro, e s’è tradotta in una confisca dei ricchi depositi bancari appartenenti a cittadini russi nelle banche cipriote, sia servito molto bene a facilitare il piano israeliano di fare di Cipro il suo satellite, e una piattaforma per la penetrazione dei mercati europei a danno di Gazprom. Ma chi si abbandonasse a questo sospetto darebbe solo prova di un malsano antisemitismo, e si nutrirebbe della vecchia e screditata teoria del complotto secondo cui gli ebrei dominando la finanza internazionale, possono ben provocare crisi finanziarie ad hoc.

È da notare che il regime israeliano sta esaminando anche l’adozione, come transito del suo gas, della Turchia, con cui ha riannodato felici rapporti. La Turchia è ingolosita dal progetto di lucrare le royalties di passaggio; e inoltre anch’essa ha come fornitore principale la Russia, e desidera diversificare le sue fonti energetiche. Il vantaggio per Israele sarebbe il costo del gasdotto dal Leviathan ai porti turchi di Mersin o Jihan , 3 miliardi di dollari, di cui investitori turchi, ricchi di liquidità, potrebbero dare un contributo ragguardevole.

Il contributo diretto israeliano alla distruzione della Siria con bombardamenti «mirati», va inteso nella prospettiva di questo progetto di occupare i mercati europei – una Siria spaccata e impotente sulla scena internazionale non potrebbe vantare la sua parte di diritti sui giacimenti mediterranei. Sotto questo aspetto, fa molto comodo allo Stato ebraico anche l’embargo americano (e dei suoi satelliti) all’Iran, che ne mina le capacità di esportare il suo greggio in Europa.

Quanto al Libano, Netanyau ha respinto con spregio la proposta dell’Amministrazione Usa di appianare la vertenza che vede Israele opposta al vicino proprio sui confini marittimi, ossia sulle quote libanesi dei giacimenti. Il Libano dichiara di sua proprietà il campo sottomarino chiamato «blocco 9»: sono 850 chilometri quadrati al largo delle coste libanesi meridionali che si pensa contenga circa le stesse riserve del campo di Tamar, sfruttato dagli ebrei.

E gli ebrei dicono che il Blocco 9 appartiene a loro (è la solida tradizione giudaica). La vertenza, secondo alcuni è pretestuosa: serve a ritardare lo sfruttamento da parte del Libano del suo giacimento, mettendo Israele in vantaggio nel marketing europeo delle sue forniture. Già nel 2010, davanti alla Commissione economia della Knesset, il ministro giudeo Yossi Peled ha messo in guardia sul fatto che paesi europei ansiosi di svincolarsi dal monopolio russo, avevano iniziato trattative con il Libano. «Pensate quel che vorrebbe dire, se il paese diventasse produttore di gas», disse allora il ministro. Ma il sito economico israeliano già citato, Globes, commentava: «Le passate esperienze mostrano che Israele non ha nell’immediato alcuna ragione di temere. Le risorse naturali del Libano genereranno dei conflitti interni (ed esterni) gravi... I giganti del petrolio non si precipiteranno ad investire miliardi in un Paese che non si sa esattamente da chi è controllato, e su cui interferiscono tanti Paesi esteri».

Ecco una profezia che sicuramente si avvererà. Già la frattura tra sunniti e sciiti è operante, per il momento frenata dalla potenza militare di Hezbollah (sciita) coadiuvato dall’alleanza politica con la componente cristiana. Anche il Libano avrà la sua primavera, con il previsto insorgere della «maggioranza sunnita» per la «democrazia» e poi, rafforzata da elementi jihadisti esteri, per la Sharia e il Califfato mondiale? Sotto questo aspetto, già si vedono i frutti della rivoluzione libica sostenuta dalla NATO: mentre scrivo queste righe, un gruppo armato berbero di Libia ha bloccato manu militari il terminale di Mellitah che porta il gas in Sicilia con gasdotto sottomarino. E ciò, perché la minoranza berbera pretende dal governo libico (quale?) il riconoscimento della lingua e dei diritti etnici dei berberi nella futura costrizione del Paese (senza futuro). Per puro caso, il terminale che hanno bloccato è gestito dall’ENI. L’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, ha proprio detto: il terminal di Mellita è “sotto attacco da parte di manifestanti che ci stanno spingendo a chiudere completamente le esportazioni verso l’Italia”. Ha detto anche che in questo momento agli europei le forniture energetiche costano tre volte di più di quanto costino agli Usa. Ed ha spezzato una lancia perché anche qui si sfruttino gli scisti bituminosi, perché «altrimenti “abbracceremo” la Russia che è l’unico fornitore in grado di darci la quantità di gas di cui necessitiamo ai prezzi che ci permetterebbero di essere competitivi».

Ma perché abbracciare la Russia? Fra pochi mesi Israele ci offrirà il suo gas per diversificare. Speriamo almeno che il gruppo berbero libico si sia fatto pagare bene, visto il vantaggio che dà allo Stato ebraico, veramente di portata strategica; con la sparizione delle forniture libiche, scompare un concorrente enorme, più ENI fra i competitors internazionali. Lì si è già attuata la profezia che Globes ha enunciato per il Libano: «... I giganti del petrolio non si precipiteranno ad investire miliardi in un Paese che non si sa esattamente da chi è controllato, e su cui interferiscono tanti Paesi esteri».

E così si spiega come mai, in quasi coincidenza con i «giochi di guerra» nei Paesi baltici finiti il 7 novembre, la NATO abbia lanciato una mega-esercitazione aeronavale nel Mediterraneo orientale, detta «Invitex»: cominciata il 4 novembre, l’esercitazione finirà il 14. Ospite la Turchia, il grosso delle forze è quasi esclusivamente americano, a quanto si sa con una partecipazione europea minore o forse (è un segreto) del tutto assente. L’esercitazione simula una guerra regionale (pardon, «la gestione di una crisi regionale»), crisi che renda necessaria l’invasione via mare, coadiuvata dalle forze aeree, con escalation in un paese vicino non menzionato, ma che pare proprio essere la Siria – insieme alle forze russe che la proteggono.

Fatto incredibile, questa grande manovra (imponente, dicono) si incastra con una simultanea esercitazione che la Turchia ha già in corso insieme alla Giordania, che impegna le forze speciali dei due Paesi e termina il 9 novembre . Le due manovre sono coordinate (1). Gli assalti sincronizzati di Greenpeace contro la piattaforma Gazprom nell’Artico e le sue provocazioni contro gli interessi petroliferi russi, fanno probabilmente parte di questa guerra, settore propaganda e disinformazione? Ohibò, Greenpeace è una compagnia indipendente, anglo-olandese, che non riceve donazioni da governi: il suo bilancio, nel 2003, era sui 350 milioni di dollari. Tutti donati da singoli ecologisti, come no.

Di questo susseguirsi ininterrotto di provocazioni armate contro Mosca, i nostri media non comunicano una sola riga. Ne parleranno forse se scoppia la scintilla, per sottolineare «l’impressionante postura aggressiva della Russia» verso la NATO.

E non c’è dubbio che i grandi giornali italiani saranno i primi a fornire questa versione dei fatti. Già si sono coperti di gloria per la faccenda delle chiavette USB che Putin avrebbe regalato ai dirigenti europei durante il G-20... Ricordate? Esplodevano in quei giorni le rivelazioni secondo cui la NSA e la Cia intercettavano tutti i leader e gli amministratori delegati d’Europa, compreso il cellulare della Merkel. Scandalo immenso, Washington in difficoltà. Occorreva mettere in piedi alla svelta una «riduzione del danno», diffondendo una informazione sulla linea «tutti spiano tutti». Ed ecco che due validi giornalisti italiani – nominiamoli a loro onore: Fiorenza Sarzanini del Corriere della Sera, e Sandro Ruotolo de La Stampa – saltano fuori con la notizia-bomba: «Il regalo avvelenato di Putin: chiavette USB con microspie».

Non mancavano di precisare le circostanze, i due. Sandro Ruotolo: « Il presidente del Consiglio europeo, Herman van Rompuy, rientrato a Bruxelles dopo aver partecipato al G20 di San Pietroburgo in settembre, ha consegnato alcuni gadget (ricevuti in omaggio durante il vertice, ndr) ai funzionari della sicurezza, che a loro volta hanno chiesto una consulenza ai Servizi tedeschi. E l’immediato responso tecnico arrivato da Bonn ha allertato le diplomazie e le intelligence di mezzo mondo. Secondo una prima analisi tecnica, infatti, la chiavette USB e il cavo USB di alimentazione per cellulari ricevuti in regalo dai russi erano due «trojan horse», ovvero due strumenti per captare i dati del computer e del cellulare».

La Stampa pubblicava persino la foto delle chiavette con il logo del G-200, e la didascalia: Ecco la chiavetta con cui i russi spiavano al G-20. Nessun dubbio.

Che scoop questi italiani!, si sono detti i giornalisti esteri stanziati a Bruxelles (una legione), masticando amaro. Tanto più che avranno ricevuto telefonate roventi dai rispettivi direttori: «E voi non sapevate niente? Che fate lì? Dormite?». I giornalisti esteri hanno chiesto conferma. Hanno chiesto a Van Rompuy se davvero aveva fatto controllare le USB ricevute dai russi ed aveva scoperto i «trojan» (Sandro Ruotolo crede che i trojan siano le stesse chiavette, ma vabbè). Hanno chiesto anche a Barroso, alla baronessa Ashton, che erano presenti a Pietroburgo. No, non avevano fatto controllare le chiavette. Hanno dovuto emanare un comunicato-stampa, in cui hanno anche precisato che i diplomatici non applicano mai ai loro laptop «nessun oggetto IT estraneo, di qualunque provenienza sia». Come dire: va bene che ci credete idioti, ma non fino a questo punto...

Insomma, una netta smentita. Notizia senza fondamento. E una palata di cacca sui due valorosi giornalisti - ripetiamone in nomi: Sarzanini (2) e Ruotolo – esposti come disonesti e incapaci manovali della disinformazione raffazzonata dall’Ambasciata Usa. Ma credete che il Corriere, che La Stampa, abbiano rettificato? Macché. La smentita è apparsa su giornali stranieri e su riviste specializzate.





1) Questo susseguirsi di intimidazioni può essere la risposta occidentalista ai mai spiegati eventi del 13 settembre davanti alle coste della Siria in attesa dell’imminente invasione NATO, quando «cinque fregate Usa puntavano i loro Tomahawk su Damasco, e avevano di fronte a flotta russa di undici navi, con i testa la Moskva incrociatore missilistico, rinforzata da navi da guerra cinesi (!). Apparentemente, due missili sono effettivamente stati lanciati ed entrambi hanno fallito il bersaglio. Secondo fonti diplomatiche di un giornale libanese, i missili erano partiti da una base Nato in Spagna e sarebbero stati abbattuti dai sistemi russi aria-aria, a partire da una nave. Secondo Asia Times, c’è stato un dirottamento da parte dei russi, con i loro GPS potenti ed economici che avrebbero reso inutilizzabili i Tomahawks sofisticati e costosi. Una terza versione attribuisce il lancio agli israeliani, sia che abbiano tentato di provocare lo scatenamento delle ostilità, sia che si siano contentati di osservare le nuvole, come sostengono» (Israel Shamir). Fatto sta che l’intervento occidentale contro Damasco è rientrato.
2) Fiorenza Sarzanini, definita «la punta di diamante della cronaca giudiziaria del Corriere» (giudiziaria, dunque, è la «fonte» che l’ha imbeccata: la poveretta nulla sa di esteri) non è nuova a questi pezzi di compensazione: quando lo scandalo Montepaschi stava per travolgere il PD che in quella banca spadroneggia, è riuscita a scovare che anche Verdini (dunque Berlusconi) aveva messo un suo uomo nella banca rossa. Ed ha scritto fiori di articoli parlando di «spartizione» – «Così Pd e Pdl si dividevano le nomine di Monte Paschi», per esempio. Spartizione cosiffatta: un uomo di Verdini sperso fra 99 di Bersani, D’Alema e Amato...Quanto a Sandro Ruotolo, è il segugio di Santoro, vi è noto per i baffoni che esibisce, a comprovare la sua fede staliniana. Appartiene alla sinistra manettara: nelle elezioni del 2013, ha avuto l’intelligenza di mettersi nelle liste di «Rivoluzione Civile», ossia con l’intelligentissimo ex procuratore Ingroia, aspirando a diventare governatore del Lazio, e ricevendo se ben ricordo meno del 2% dei voti. Anche lui può aver ricevuto la notizia (falsa) sulle USB di Putin da una fonte della nostra valorosa magistratura. Come spesso accade, si riconferma il detto di Spengler: «La sinistra fa sempre il gioco del grande capitale, a volte perfino senza saperlo». A volte.


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