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Le origini dell’Islam
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Diversi anni or sono (1991) scrissi un articolo sui rapporti tra giudaismo e islam (ripreso in «Per padre il diavolo», EFFEDIEFFE 2016), in cui sposavo totalmente l’ipotesi di padre Théry o.p.
Ora ristudiando il problema mi sono imbattuto in una letteratura più recente, che perfeziona e corregge - in parte - lo scritto del succitato padre domenicano, onde mi sento in dovere di riaprire il dibattito e «aggiustare il tiro».

Edouard-Marie Gallez ha scritto recentemente un interessante libro (in due volumi) sulle origini dell’islam («Le Messie et son prophète. Aux origines de l’islam», Parigi, Èdition de Paris, 2005) che compie un notevole passo avanti nella ricerca delle fonti della religione musulmana.

Negli anni Cinquanta il domenicano padre Gabriel Théry (1891-1959) sotto pseudonimo di Hanna Zakarias («De Moise à Mohammed. L’islam entrepise juive», Parigi, Cahors, 1955) aveva avanzato un’ipotesi secondo la quale il «Corano primitivo» sarebbe stato il frutto dell’insegnamento orale dato a Maometto soprattutto dai rabbini talmudisti ortodossi ed anche (ma in misura minore) dai cristiani eretici [nestoriani e giacobiti (1)], che si trovavano in Arabia nel VII secolo (soprattutto a Medina e pure a La Mecca e a Taif, anche se in minor numero).

Il Corano - secondo il Théry - sarebbe stato una sorta di sunto del Pentateuco di Mosè, scritto e interpretato da Maometto ad uso del mondo arabo, che poi ha fatto proprie le tendenze del progetto politico di «dominio universale» del rabbinismo, ma le ha trasferite dal giudaismo a se stesso.

Purtroppo non esiste nessun manoscritto del Corano anteriore al IX secolo (il più antico di essi si trova a Istanbul nel museo Topkapi).

Tuttavia il professor Sergio Noja Noseda, uno dei più illustri arabisti contemporanei, stava lavorando ad «un ambizioso progetto, concepito con l’illustre arabista francese François Déroche: l’edizione critica del Corano. Egli stava confrontando i manoscritti più antichi e il lavoro era ricco di sorprese e soddisfazioni» (Armando Torno, Il Corriere della Sera, 2 febbraio 2008, pagina 44), ma è morto tragicamente investito da un’auto mentre stava rincasando il 31 gennaio 2008.

«Con l’accordo dell’Accademia di Francia il Noja si era recato nello Yemen, dove - dopo decenni di chiusura - aveva avuto uno speciale decreto presidenziale con il permesso di fotografare e pubblicare alcuni manoscritti conservati alla ‘Casa dei Manoscritti’ a Sana, nonché il permesso di prelevare alcuni campioni della preziosa pergamena [che è considerata il più antico manoscritto del Corano, nda] per la datazione con il carbonio 14. Era apprezzato dai prìncipi arabi, ministri ed ambasciatori ed era uno dei pochi arabisti che sapeva muoversi in campo internazionale» (Giuliana Malvezzi, «Ricordo mondo-arabo», 3 febbraio 2008).

La sua morte lascia il lavoro in sospeso, forse non si riuscirà più (almeno per ora, anche perché negli anni Trenta un arabista tedesco che si stava cimentando nello stesso sforzo, perì di morte cruenta, scivolando in un burrone di alta montagna, come soleva ricordare il Noja, prima che una sorte analoga toccasse anche a lui…) ad avere la edizione critica del Corano e ad arrivare alla tesi certa sulla sua composizione ed origine.

Nel 1977 Patricia Crone & Michael Cook («Hagarism. The making of the islamic world», Cambridge University Press), dopo aver visionato le ultime scoperte archeologiche dell’epoca, hanno dato una spiegazione secondo la quale l’islam sarebbe nato in Siria e il «Corano attuale» non sarebbe un documento storicamente autentico del Seicento dopo Cristo.

Confermando in ciò l’ipotesi di padre Théry che aveva parlato di un «Corano primitivo» non corrispondente a quello attuale.

La Crone ha poi pubblicato nel 1986 assieme a Martin Hinds un altro libro («God’s Caliph», Cambridge University Press) ed un ultimo nel 1987 da sola («Meccan trade and the rise of islam», Oxford, Blackwell); questi volumi - molto accurati - insistono sul fatto che la teologia islamica dopo il Mille (al-Ghazàli) impedisce di studiare il testo del Corano da un punto di vista storico-filologico e quindi rende impossibile allo studioso accedere a delle prove certe che lo possano far giungere da un’ipotesi condizionale ad una tesi certa e indicativa.

Specialmente la Crone ha aperto la strada a numerosi altri ricercatori, per esempio padre Antoine Moussali (+ 2003) che è riuscito a ristabilire il testo di alcuni versetti coranici e li ha separati da aggiunte posteriori e ha asserito che il «Corano originario» sarebbe stato una sorta di lezionario usato da una setta di giudeo-cristiani (o cristiani venenti dal giudaismo o «giacobitismo», i quali credevano che per salvarsi non bastasse la fede in Cristo e le buone opere, ma occorresse osservare il cerimoniale dell’Antico Testamento) ed era una traduzione dall’aramaico in arabo fatta tra il 610-630 di cui parla il «Corano odierno» stesso, nel suo testo ufficiale.

A questo «Corano primitivo», i califfi arabi avrebbero aggiunto un testo composto da una compilazione di scritti in arabo, che rimaneggiato poco alla volta, divenne il «Corano attuale», durante il Settecento.

Anche altri autori hanno seguito tale pista (A-L. De Prémare, «La fondation de l’islam», Parigi, Seuil, 2002; Idem, «Aux orìgines du Coran», Parigi, Téraèdre, 2004).

Quindi (diversamente da quanto ipotizzato da padre Théry alias Hanna Zakarias) l’autore del «Corano primitivo» non sarebbe un rabbino ortodosso che avrebbe ispirato Maometto, ma una setta di giudaizzanti o giudeo-cristiani, come sostengono gli studiosi più recenti testè citati, i quali - tuttavia - mantengono ferma l’ipotesi del Théry di due Corani, uno primitivo e l’altro odierno, assai diversi tra loro.

Occorre tenere presente che queste conclusioni sono anche esse solo un’ipotesi scientifica corredata da vari indizi, ma non ancora una tesi certa e provata (confronta «Le Sel de la Terre», Avrillé, numero 55, hiver 2005-2006, pagine 282-293) alla quale stava giungendo il Noja.

Quindi l’ipotesi di padre Théry è sorpassata da quella più recente della Crone e di de Prémare, onde:

a) se non si può affermare più con il Théry che Maometto sia stato influenzato da un rabbino rappresentante del giudaismo farisaico-talmudico ortodosso; e neppure che la moglie di Maometto (Khadigia) fosse ebrea (molti lo affermano ma non se ne trova alcuna prova neanche nella «Encyclopédie de l’islam», Brill, Leiden, 1961-1978); e nemmeno che Maometto fosse un «proselite della porta» ossia un non (etnicamente) ebreo convertitosi al giudaismo religione;

b) invece è ancor oggi sostenibile l’ipotesi che vi sia un «Corano primitivo» (giudaizzante o giudeo-cristiano) diverso da quello attuale; i musulmani non sono arabi convertiti al giudaismo talmudico, ma influenzati dai giudaizzanti.

Come si vede l’ipotesi iniziale di padre Thèry era ben fondata, ma andava perfezionata, non tutto in essa è inesatto, anzi vi sono molti elementi validi che sono stati ripresi dagli autori più recenti, ai quali padre Théry ha aperto la strada.

Vi sono anche altri autori che hanno studiato il problema e, indipendentemente da padre Théry, sono giunti a conclusioni simili alle sue o addirittura a quelle della Crone e del de Prémare.

Essi sono:

1) Edouard Pertus («Connaissance élémaintaire de l’islam», AFS, Parigi,1991, pagina 24) secondo il quale Maometto avrebbe frequentato a La Mecca alcuni giudaizzanti e ciò spiegherebbe sia la negazione della divinità di Cristo ma anche l’affermazione del suo essere profeta, diversamente dal giudaismo talmudico che nega la bontà del profeta Cristo il quale sarebbe solo un impostore.

2) Bernard Lewis («La rinascita islamica», Bologna, Il Mulino, 1991, pagine 187-225) che parla della vicinanza teologica (pur con marcate diversità) tra giudaismo e islamismo, spesso uniti contro la cristianità. Lo stesso Lewis.(«Gli ebrei nel mondo islamico», Firenze, Sansoni, 1991, pagine 72-73; 82-88; 204; ) parla - citando padre Théry - di analogie tra ebraismo e islam e di una contrapposizione tra giudaismo e cristianesimo (sulla Santissima Trinità e divinità di Cristo) molto più forte di quella esistente tra ebraismo e islamismo (monoteismo unitariano e negazione della divinità di Gesù). Mentre tra cristianesimo versus giudaismo o islam la distanza è più forte con il giudaismo il quale non solo nega la Trinità e la divinità di Cristo ma lo reputa un impostore, invece l’islam lo ritiene un profeta (non Dio) ma neppure un «imbroglione».

3) S. Goitein («Ebrei e Arabi nella storia», Roma, Jouvence, 1980, pagine 59; 63-69; 74-76) ammette che la presenza ebraica a Medina fu in grado di far accettare agli arabi allora politeisti il rigido monoteismo antitrinitario del giudaismo. Egli scarta, però, la tesi dell’influsso giudaizzante o del giudeo-cristianesimo sull’islam e sposa quella del talmudismo stretto. Ma si tenga presente che il suo libro è solo degli anni Ottanta, mentre gli altri autori sono più giovani di un decennio.

4) R. Bouman, («Il Corano e gli ebrei», Brescia, Queriniana, 1992) spiega le cause che portarono alla «rottura» tra Maometto e giudaismo, ossia mentre Maometto da una parte aveva ricevuto sostegno e istruzione dai giudaizzanti, dall’altra parte voleva rivolgersi agli arabi e non agli ebrei. Egli in parte segue alcune prescrizioni ebraiche (circoncisione, niente carne suina, preghiera inizialmente verso Gerusalemme), fatte proprie anche dai giudaizzanti, ed in parte dà loro un contenuto nuovo adattandole alla mentalità araba. Il suo attaccamento all’identità araba, purgata dal politeismo, lo ha portato ad allontanarsi sempre più dal giudaismo o dai giudaizzanti.

5) Vittorio Messori («Pensare la storia», San Paolo, 1992, pagina 624) scrive: «La polemica ebraica è convinta che il Vangelo in se stesso costituisca una fonte perenne di ostilità
antigiudaica. (…). L’islamismo non è invece considerato rischioso per gli ebrei (…). Per il passato vi fu uno stretto legame tra islam ed ebraismo in funzione anticristiana».

Egli conclude che lo scontro tra Stato d’Israele e Palestina e poi mondo arabo, non ha nulla di teologico ma è una questione politica-sociale-economica: l’invasione e l’esproprio della terra dei palestinesi da parte del sionismo.

Come si vede il dibattito sulle origini dell’islam è ancora in fieri ma si sono fatti passi in avanti enormi a partire dal 1955 con padre Théry sino alla tragica morte di Sergio Noja Noseda (2008) che era giunto alla prossimità dell’edizione critica del Corano, la quale solo avrebbe potuto darci le risposte certe, che le succitate ipotesi sollecitano.

Comunque l’ipotesi di un influsso notevole dei giudaizzanti su Maometto e l’islam è sempre più comune tra gli arabisti attuali.

Se qualcuno vuol saperne di più può proseguire (qualora ne abbia le capacità scientifiche e filologiche che io non possiedo) il lavoro iniziato dal Noja, ma deve tener presente che molto probabilmente non lo porterà a termine… «nel nome di Dio clemente e misericordioso» Requiescat in pace.

Amen!

Don Curzio Nitoglia




1) Il Nestorianesimo è un’eresia cristologia del V secolo, che rompeva l’unità di Cristo ponendo in Lui due soggetti uno divino ed uno umano, Cristo è innanzitutto uomo perfetto, ma in Cristo uomo c’è il Verbo che inabita nella sua umanità come in un tempio, né più né meno come in ogni cristiano che vive in grazia di Dio. Tale eresia che in pratica nega la divinità di Gesù Cristo, anche se in teoria distingue due soggetti in Lui di cui uno divino, fu condannata al Concilio di Efeso (431 dopo Cristo).
Il Giacobitismo è un’eresia dei discepoli estremisti e deviati di San Giacomo apostolo (+  62) il quale nel Concilio di Gerusalemme (49 dopo Cristo) aveva sostenuto che la sola fede in Cristo con le buone opere basta a salvare le anime, ma aveva chiesto per gli ebrei convertitisi al Vangelo una speciale deroga la quale permettesse loro di osservare alcune cerimonie legali mosaiche soprattutto alimentari, onde non ferirli o scandalizzare i deboli. I suoi discepoli degeneri ritornarono all’eresia giudaizzante o giudeo-cristiana che pretendeva essere necessario per salvarsi la circoncisione e l’osservanza stretta della legge cerimoniale vetero-testamentaria. Essi furono debellati dai primi Padri ecclesiastici nel II-III secolo.


 
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