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L’ONU riesce, finalmente, a far passare qualcosa ai sinistrati della Birmania, affamati, privi di tutto e minacciati dalle malattie tropicali. Per la precisione: l’UNFPA, il fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, ha ottenuto dalla giunta di far recapitare 218.400 preservativi e pillole anticoncezionali, «al fine di permettere ai sopravvissuti del ciclone di proseguire la loro pianificazione familiare».

L’UNFPA è nato per tenace volontà della famiglia Rockefeller, che nell’operazione di lobby ha speso, in quasi un secolo, qualcosa come 200 miliardi di dollari attuali.

Nel 1911 un Rockefeller creò il Bureau of Social Hygiene, avanguardia del movimento d’opinione «spontaneo» per la limitazione delle nascite, che nel 1913 passò direttamente sotto la Rockefeller Foundation, molto ampliato e fornitissimo di denaro. La sua missione proclamata era, ovviamente, «tutelare la salute della donna e diffondere l’educazione sessuale».
I Rockefeller finanziavano anche il Wilhelm Kaiser Institute tedesco, il centro dell’eugenetica «scientifica» che ebbe tanta parte nella ideologia del Terzo Reich.

Nel 1993, sul bollettino di famiglia (Rockefeller Archive Center Newsletter), un professor John B. Sharpless sottolineava come «le fondazioni e singoli filantropi siano stati importanti» per causare «il cambiamento di attitudine sulla riduzione delle nascite che avvenne, con straordinaria rapidità e quasi unanimità, negli anni '60. Tali fondazioni hanno finanziato la ricerca e sviluppo di contraccettivi, ma soprattutto costruirono la rete internazionale di esperti che ‘conformarono’ il dibattito pubblico»; i filantropi sono attivi ancor oggi.

George Soros ha fondato un suo Program of Reproductive Health and Rights, che dedica i suoi sforzi alla causa del diritto all’aborto. Bill Gates ha donato 57 milioni di dollari all’UNFPA; Ted Turner, ha versato a questo organismo un miliardo di dollari fra il 1997 e il 2007. Warren Buffett ha promesso di lasciare i suoi beni, alla sua morte, a progetti di «pianificazione familiare».

La pratica dell’eufemismo in questo campo fa ovviamente parte integrante della propaganda per «conformare» il dibattito pubblico: non si dice «aborto» ma IVG, e si dice «pianificazione familiare» per i contraccettivi o gli abortivi. Una così generosa e tenace mobilitazione non poteva non essere coronata da successo.

Gli ultimi dati del Dipartimento Sanità inglese (ma non abbiamo ragione di ritenere che la situazione sia diversa in Italia) dicono che il 33% delle donne britanniche fanno o faranno un aborto entro i 45 anni d’età. Nel 1968, primo anno della legalizzazione, gli aborti furono 22 mila; oggi sono 194 mila.

In tremila casi, l’aborto è stato praticato dopo la ventesima settimana (oltre il quinto mese), un aumento del 44% nel decennio. Oltre 60 mila donne  si sono sottoposte ad «aborti ripetuti»; di queste, 17 mila erano al terzo aborto, 3.800 al quarto, 1.300 al quinto «o più». Tra questi più ci sono 65 donne che, a 30 anni, hanno già fatto sei aborti legali, e più di 50 donne che ne hanno fatti otto «o più». Si rilevano anche 82 ragazze sotto i 18 anni che hanno già abortito tre volte.

Ma questi risultati non bastano ai filantropi preoccupati della «salute della donna» e dei suoi «diritti». Come abbiamo già visto sui giornali, il parlamento britannico ha appena rigettato una proposta di abbassare il periodo dell’aborto legale a 20 settimane (cinque mesi), lasciandolo a 24 settimane. E’ il periodo più lungo nelle legislazioni abortiste: il feto è ucciso al sesto mese di gestazione.

Solo quando l’aborto sarà consentito fino al 24mo anno del feto, però, avremo raggiunto la piena e decisiva conquista della pianificazione familiare.

Non è una battuta. La Camera dei Comuni - come già probabilmente sapete - ha rigettato anche (a schiacciante maggioranza) un emendamento che vietava la fabbricazione di embrioni ibridi, uomo-animale. La formazione di tali ibridi o chimere è legale in Gran Bretagna dal 2007. Lo scopo è, naturalmente, «permettere la ricerca per debellare terribili malattie» del «nascituro», s’intende di quello che non verrà abortito.

A proposito di questo commovente e progressivo scientifico intento, monsignor Elio Sgreccia, presidente dell’Accademia pontificia per la vita, ha detto che si tratta di «una menzogna mediatica senza supporto scientifico». Ma naturalmente sbaglia.

La creazione di ibridi umano-animali apre effettivamente la strada al farmaco assoluto contro tutte le malattie genetiche del «nascituro». A questo farmaco sarà dato un nome eufemistico. Per il momento, possiamo chiamarlo il «bambino-medicina».

Genitori che hanno un figlio colpito da una malattia genetica si faranno produrre in vitro un fratellino gemello del piccolo malato, geneticamente modificato con cellule di topo, maiale, serpente o quale altra bestia sia adatta allo scopo; poi abortiranno il fratellino-medicina, e ne ricaveranno i sieri e le sostanze OGM per curare  l’altro bambino. Quello che hanno voluto ed amato, che hanno atteso come «nascituro». L’altro, lasciato sviluppare fino al sesto mese e poi smembrato  per estrarne i farmaci, dovrebbe essere chiamato «aborturo». Aspettiamo un nome più eufemistico.

La Camera dei Comuni ha anche legalizzato la fecondazione in vitro fra lesbiche. Ora non resta che estendere questa azione umanitaria occidentale ai birmani. Con la dovuta urgenza, visto che sono stati devastati dal ciclone.


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