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Demagoghi sull’orlo di una crisi di nervi...





Che s’ha da ffa’....



Vendola recupera. Ma Bersani ha avuto l’idea per primo. E ha paura di cadere





E questo chi è? Non mi viene il nome...





Questo dev’essere Pancho Pardi: già capo dei girotondini, oggi senatore dipietrista



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Di Pietro col fiato grosso






Benedetto Della Vedova si arrampica per conto del Kippà. E di tutti i kippà



Fabio Granata, deputato del Flit (Futuro e Libertà per i Tullianos) si arrampica per esprimere solidarietà con i parassiti che combattono la riforma Gelmini





Flavia Perina,  direttrice del Secolo D’Italia. Nota scalatrice.



Poi la Perina ha scritto un fondo auto-giustificatorio sul giornale dell’ex Male Assoluto, che è una acrobatica arrampicata sugli specchi.


Titolo: «Meglio i tetti che 40 anni di rimpianti»
Flavia Perina

Ci saranno pure gli asini sui tetti come ha titolato ieri in prima pagina il Giornale, ma è possibile che il centrodestra trovi così difficile dire quel che lo stesso Vittorio Feltri scrive in apertura del suo pezzo, e cioè che la protesta giovanile dovrebbe suscitare comunque, a chi ha a cuore il cambiamento delle cose, un moto istintivo di simpatia perché sono i giovani l'anello debole della crisi? Nel lungo elenco di asinate commesse dalla destra politica, è centrale l'aver associato i suoi simboli a uno degli episodi più odiosi della storia delle contestazioni studentesche: il famoso intervento di Giulio Caradonna nel marzo 1968 per sgomberare la Sapienza (occupata, fino al giorno prima, da giovani di sinistra e di destra, insieme all'insegna di ciò che si chiamava "unità generazionale"). L'elenco delle autocritiche su quella giornata è così lungo che non basterebbe l'intero nostro giornale a contenerlo. Col senno di poi - il senno degli opposti estremismi, il senno degli anni di piombo, il senno della notte della Repubblica - sappiamo quanto costò cara quella bravata. A sinistra, immaginiamo, sentimenti analoghi si coltivano a proposito di un'altra prova di forza entrata nella storia, quella che portò alla cacciata di Luciano Lama dall'università di Roma nel '77. Se si ha memoria di tutto questo è facile capire perché, oggi, chi ha dietro di sé tracce politiche e non solo curriculum aziendali, con gli studenti e con i ricercatori preferisce parlarci piuttosto che criminalizzarli. E per quello che riguarda Futuro e libertà, non si può certo indicare come priorità per un nuovo centrodestra "di tipo europeo" la cultura e la ricerca e poi chiudersi nel Palazzo quando chi opera in quei due settori scende in piazza per farsi ascoltare.

Anche nella difesa di un disegno di legge-bandiera come la riforma Gelmini, c'è modo e modo di rapportarsi con la contestazione.

Il Pdl sembra oscillare tra la tentazione di farne un mero problema di ordine pubblico (la linea Fede: «Vanno menati, capiscono solo se li meni») e il borbottio che ricorda un vecchio sketch di Alto Gradimento, quello del professor Aristogitone:

«Quarant'anni in mezzo a queste quattro mura scolastiche, tra questi studenti delinquenti». È quest'ultima impostazione che ricorre nelle dichiarazioni di chi accusa i dimostranti di essere «solo una minoranza», e per di più una «minoranza di fannulloni» perché «i veri studenti stanno all'università a studiare», il che, detto da un partito che nel '94 è nato con l'ambizione di rappresentare e mettere insieme gli outsider e i non garantiti nel nome del cambiamento radicale (o addirittura della "rivoluzione italiana"), suona davvero incredibile. Tanto è vero che la Lega, dotata di sguardo lungo anche in questa circostanza, si è sottratta al gioco della guerriglia generazionale dando la sua adesione, anche parlamentare, all'emendamento contro parentopoli che giovedì mattina ha determinato il blocco del dibattito e il suo rinvio alla prossima settimana.

La protesta dei ricercatori non sta mettendo in campo solo interrogativi tecnici sul disegno di legge Gelmini, e salendo su quei tetti si scopre che le domande al centro dell'attenzione sono più ampie: si crede ancora all'università pubblica? Quale posto occupa la cultura nella scala di priorità del governo? È a questo che si dovrebbe rispondere, soprattutto dopo aver smentito per un mese che il centrodestra fosse appiattito sulla sfortunata battuta («di cultura non si vive, vado alla buvette a farmi un panino alla cultura, e comincio dalla Divina Commedia») con cui il ministro Tremonti ha risposto a chi chiedeva conto dei tagli al settore.

Dunque, salire sui tetti non è cavalcare demagogicamente lo strillonaggio antigovernativo ma mettere in pratica una capacità di ascolto che la politica deve sempre avere e che deve sempre mettere in pratica, senza trincerarsi nel luogo comune secondo cui in piazza ci vanno solo i centri sociali. Comunicare sempre, aprioristicamente, l'idea che gli studenti in piazza siano tutti e comunque di sinistra significa collocare il governo sempre e aprioristicamente contro i giovani. E qual è la scelta più irresponsabile, allora, salire sui tetti e parlare con chi protesta o mettersi contro la categoria che più sconta, al di là delle etichette, la crisi economica con le sue incertezza e la crisi di credibilità dell'università italiana?

Sicuramente, da questo punto di vista, la scelta di Mariastella Gelmini di rivolgersi direttamente agli studenti attraverso YouTube è un importante cambio di passo, che significa disponibilità al dialogo e non più criminalizzazione della protesta. L'appello ai giovani a non farsi strumentalizzare è senz'altro condivisibile ma è altrettanto vero che dire ai giovani che il loro compito dev'essere solo quello di passivi spettatori di provvedimenti che li riguardano è una strada miope, una prospettiva di corto respiro. E dunque dieci, cento, mille studenti in piazza: non vanno visti come nemici del governo ma come energie vive che si mettono in gioco, che intendono partecipare, che maturano consapevolezza. Un fattore che fa bene alla politica tutta, anche al centrodestra.

Flavia Perina



Il succo: 40 anni fa non ci siamo messi con i sessantottini di sinistra extraparlamentare, abbiamo sbagliato ed abbiamo vissuto di rimpianti. Adesso ci riproviamo.

Pierluigi Battista
   Pierluigi Battista
L’arrampicata della delegazione Flit ha meritato un duro rabbuffo, espresso a nome dei Padroni Forti, da parte del loro primo maggiordomo, PG Battista, vicedirettore di camera del Corriere della Sera.


Titolo: «La scalata sbagliata»

«I deputati del Fli che salgono sui tetti assieme agli studenti in rivolta, non immaginano neanche quanto il loro gesto abbia rischiato di far drammaticamente scendere qualcos'altro: la credibilità di un nuovo partito che pure, alimentando molte speranze, si era presentato come l'alfiere del merito, della modernità europea, del riformismo liberale.

I finiani avrebbero mille ragioni per marcare la loro differenza dall'immobilismo di un governo assopito da mesi nel «non fare» e nel tirare a campare. Hanno invece scelto di inscenare la loro presenza determinante per le sorti del governo ostacolando una riforma di cui l'Italia ha necessità improrogabile. Non che la riforma dell'università del ministro Gelmini sia inattaccabile, migliorabile, inemendabile. Ma gli emendamenti devono servire a renderla più efficace, non a diventare pretesto e bandiera di manovrette dilatorie e di furbizie parlamentari. Il partito del «merito», come più volte è stato presentato dallo stesso Fini, non può esordire penalizzando una riforma che fa del recupero del merito il suo cardine, che svecchia e contesta il reclutamento baronale, i finanziamenti a pioggia, la scandalosa chiusura nei confronti dei talenti giovani...».


Avvertimento finale del Maggiordomo ai Tulliano’s Party: invece di «costruire una destra moderna, repubblicana, costituzionale e “deberlusconizzata”, state diventando “l’ennesimo partitino destinato a campare sul potere di veto, sulle imboscate di corridoio, sulla filosofia deteriore dell’’ago della bilancia’”». (Siate serii, se no non vi paghiamo).

Dagli stessi ambienti vien fatta circolare una battura significativa: Gianfranco Fini è un buon tattico, ma non uno stratega.

Perchè una strategia non l’ha mai avuta.


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