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La verità di El Baradei
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Mohammad El  Baradei, l’egiziano (e premio Nobel) che guida la AIEA, l’ente che sorveglia i programmi nucleari nel mondo, ha recentemente annunciato che si dimetterà immediatamente se l’Iran verrà attaccato.

La notizia è passata quasi inosservata. Mentre molto si è detto nei media sulle esercitazioni aeree israeliane per un attacco a grande distanza: tutti i media ci hanno spiegato che Sion si preparava a bombardare i siti nucleari iraniani. Come se ciò fosse normale. Perchè Ahmadinejad «vuol cancellare Israele dalle mappe». Se Israele esprime la volontà di cancellare l’Iran dalle mappe, ciò è normale.

Lo stesso segretario generale dell’ONU Ban Ki-mun ha espresso «sgomento e sorpresa» per le dichiarazioni di Ahmadinejad, ma nulla ha detto a proposito delle esercitazioni di Israele. Dunque è normale e legale. Perchè è normale?

Perchè l’Iran si sta facendo la bomba atomica, con cui incenerirà Israele. Chiedete in giro, chiedete al mitico uomo della strada, e ve lo confermerà. Questo è ciò che crede: è un bel successo della guerra psicologica. L’uomo della strada è informato dai media. I media italiani copiano quelli americani, che diffondono appunto l’idea che l’Iran stia per avere la Bomba.

Sul Boston Globe il professor Graham Allison, fisico nucleare principe di Harvard, ha scritto: «L’Iran ha in funzione 3.492 centrifughe a cascata e ha prodotto 250 chili di uranio a basso arricchimento: un terzo di quanto richiesto per la prima bomba atomica iraniana».

Sul Wall Street Journal, la signora Jane Harman, che nel Congresso dirige la Commissione Sicurezza Interna (Homeland Security), ha parlato dell’«unsupervised, weapon-grade material» accumulato dall’Iran. Ossia di materiale «non controllato, e arricchito a livello militare».

E’ questo che ha allarmato El Baradei. Forse che sta dalla parte degli iraniani? Dopotutto, il sospetto è facile: è musulmano, dirà l’uomo della strada. Il fatto è che gli ispettori della AIEA non sono tutti musulmani. E nei loro rapporti ufficiali continuano a dichiarare che tutte le attività di arricchimento dell’uranio in Iran sono sotto la costante azione «di limitazione e monitoraggio» (containment and monitoring) della AIEA.

Altro che «unsupervised»: dal marzo 2007, gli ispettori della AIEA hanno fatto nove «ispezioni senza preavviso» nello stabilimento di Natanz dove Teheran arricchisce l’uranio. Dal 2003, le ispezioni della AIEA hanno totalizzato 3.500 ore: quello iraniano, che ha diritto a sviluppare il nucleare pacifico come firmatario del Trattato di non-proliferazione, è il programma più «supervised» del mondo. E l’arricchimento al 4% è ben lontano dal «weapon-grade», dal livello occorrente per una testata atomica, che è del 90%.

Il «quintetto più uno», ossia i governi che controllano il programma nucleare iraniano, ufficialmente non lo negano. E fra questi non c’è un solo Paese musulmano:  sono USA, Francia, Cina, Russia, Gran Bretagna e Germania. Solo che quei governi, se occidentali,  lasciano che i loro giornali scrivano il contrario, senza mai rettificare.

Il 20 giugno New York Times, nel dare notizia delle sensazionali esercitazioni israeliane intese a colpire l’Iran, le spiegava così: «Nel maggio scorso, la AIEA  ha riferito che i sospetti lavori iraniani nucleari erano ‘materia di grave preoccupazione’ e che gli iraniani dovevano all’agenzia ‘una spiegazione concreta’». Vedete, anche El Baradei è gravemente preoccupato, dirà l’uomo della strada, se ha cura di ricevere questa «informazione».

La verità è un’altra: la IAEA non ha mai «accusato» l’Iran di arricchire l’uranio, cosa che è suo diritto finchè resta nei limiti del trattato di non-proliferazione. La IAEA non ha mai sostenuto che l’Iran stia infrangendo gli obblighi che ha sottoscritto. Semplicemente, El Baradei ha chiesto a Teheran di sospendere il suo programma nucleare, perchè suscita tante opposizioni, come «misura per creare fiducia» («Confidence-building measure»), chiarendo anzi che lo avrebbe apprezzato, perchè era un consiglio «legally non-binding», ossia a cui Teheran non è tenuta in termini legali. Teheran ha rifiutato il pressante consiglio; per questo El Baradei ha chiesto «una spiegazione concreta».

Ma la «grave preoccupazione» di El Baradei chiaramente non è verso Teheran, ma verso quelli che si propongono di attaccare l’Iran. Difatti, proprio nel rapporto di maggio, quello con il caldo consiglio all’Iran di sospendere per non dare pretesto ad attacchi, la AIEA scrive nero su bianco che finora «non ha ricevuto alcuna credibile informazione» riguardo a supposti «studi di tipo militare» in corso nei laboratori persiani; chiara allusione alle soffiate di «informazioni d’intelligence» (1) evidentemente ricevute da USA e Israele; la AIEA le ha controllate sul posto, e non ha trovato nulla.

E non è che qualcosa sia sfuggito agli ispettori. Quello che all’uomo della strada non viene spiegato, è che per produrre uranio di grado militare, bisogna avere 55 mila centrifughe a cascata, non 3.500; che l’uranio deve essere ri-arricchito più e più volte, passando e ripassando per le centrifughe. Ogni riconfigurazione e modifica delle cascate di centrifughe iraniane sarebbe immediatamente identificata dai controllori della AIEA - che sono tecnici nucleari occidentali e russi. Che poi l’arricchimento al grado militare si possa fare in chissà quali laboratori sparsi sul territorio, e non conosciuti dagli ispettori, è semplicemente impossibile.

Per questo El Baradei minaccia le dimissioni: un attacco all’Iran trasformerebbe la volatile regione, da cui dipende il nostro carburante, in  una «palla di fuoco», ha detto. Gravissime perdite di vite umane in Iran, e non da ultimo, il barile a 300 dollari, che segnerebbe il collasso di un mondo già in pericolo per il convergere di plurime crisi simultanee in campo finanziario e climatico, energetico e alimentare.

Ogni giornalista che ripeta la propaganda anti-iraniana del Quarto Reich si rende moralmente complice del disastro imminente.

Ahmadinejad è «il nuovo Hitler»? Vedete come si ripete la storia: a metà degli anni ‘60 gli israeliani definirono Nasser «l’Hitler del Medio Oriente»; era la preparazione alla guerra-lampo del 1967, con il massacro di decine di migliaia di soldati egiziani». Nel frattempo tutti i media parlano dell’aggressione subita da un giovane ebreo di 17 anni a Parigi, da parte di una banda di maghrebini.  Con «profonda indignazione» ufficiale per «l’inqualificabile atto di antisemitismo» (2). Ci uniamo alla indignazione.

Sarà bene informare l’uomo della strada di quanto segue: il giovane ebreo, membro della setta Lubavitcher, già il 9 dicembre 2007 era stato arrestato dalla polizia parigina insieme a tre camerati ebrei dopo uno scontro con altri maghrebini: i tre erano stati trovati in possesso di pugni d’acciaio ed «altri proiettili di difesa» non meglio identificati; l’attacco aveva avuto luogo durante le celebrazioni di Hanukka a Bercy; la procedura giudiziaria relativa è tuttora in corso. Il pestaggio dell’agnello innocente è avvenuto in rue Petit, che si trova nel 19mo arrondissement: un quartiere che un consigliere municipale parigino chiama «una delle più grandi città ebraiche d’Europa». Vi sono sorte 16 sinagoghe, di cui tre Lubavitcher. In pochi anni, il 19mo è diventato sede della più popolosa comunità ebraica di Francia.

Abitanti del luogo hanno testimoniato di atteggiamenti provocatori tenuti dai Lubavitcher. Spesso i bambini vengono scacciati dal parco-giochi del quartiere, parco di Buttes-Chaumont, da giovani che gli dicono che le altalene «non sono per i goy». Nel quartiere abita anche una folta comunità di marocchini e nord-africani in genere. Gli scontri  multi-etnici sono all’ordine del giorno.




1) Kaveh Afriasabi, «The myth of weapon-grade enrichment», Asia Times, 24 giugno 2008.
2) «L’agression d’un jeune juif à Paris soulève l’indignation», Le  Monde, 22 giugno 2008.


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