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L’estate degli oligarchi
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In queste settimane, personaggi russi di peso frequentano il lussuosissimo hotel Four Season di Limassol, Cipro, vistosamente accompagnati e pronti a spendere cifre favolose. Tra i più notati: Viktor Vekselberg, Mikhail Fridman, Leonid Blavatnik (1).

Chi sono costoro? Oligarchi «russi», valutati da Forbes con fortune di 40 miliardi di dollari, ma soprattuttto i padroni di un consorzio finanziario chiamato Alfa-Access Renova (AAR) che detiene il 50% di TNK-BP, il consorzio che doveva aiutare la British Petroleum a mettere le mani sui giacimenti russi più promettenti.

Nove anni di trattattive e manovre, con la consulenza di un gruppo britannico (United Financial Group), e il suo capo, Steven O’Sullivan, che ha passato quei nove anni a Mosca per oliare l’accordo, ma la TNK-BP alla fine è incorsa in misteriosi intoppi (problemi di visto per tecnici e dirigenti inglesi), e i soci russi della joint-venture sono in lotta con BP, a quel che pare per accaparrarsi il controllo dell’iniziativa. La BP li accusa di giocare sporco, tramite «protezioni politiche».

Il fatto è che, spiega O’Sullivan, gli affaristi russi sono diventati una potenza alla Borsa di Londra, di cui anche le grandi compagnie british e il governo stesso devono tenere conto; quanto ai metodi di costoro, notoriamente non sono da veri  gentlemen. Ma sono stati ben accolti, perchè portavano liquidità.

Secondo Forbes, tra il 1998 e il 2004 sono fuggiti dalla Russia capitali per almeno 100 miliardi di dollari; spesi in gran parte nelle boutiques londinesi, nell’immobiliare di lusso, ma anche in pacchetti azionari. Un centinaio di aziende della Russia e del CIS (la comunità economica attorno alla Russia) sono quotate a Londra; nella capitale britannica vivono attualmente 300 mila russi, tra oligarchi e loro dipendenti, gorilla o «clientes».

Roman Abramovich è stato il primo a capire i vantaggi di un mercato de-regolamentato per eccellenza come quello londinese; come si sa, uno dei suoi primi acquisti è stata la squadra del Chelsea. Come abbiano fatto i soldi costoro, non è un mistero.

Nel 1992 il governo Eltsin, su consulenza di Jeffrey Sachs e Stanley Fischer della scuola liberista di Chicago, decretò la privatizzazione di massa dei beni dell’URSS. Ai lavoratori russi furono distribuiti dei buoni, che rappresentavano la loro quota delle proprietà comuni ex-sovietiche. Le durezze della vita sociale nel passaggio al «mercato» obbligò i lavoratori russi a vendere i loro buoni, per comprare il pane. Si offrirono di acquistarli gli oligarchi, ma ovviamente per quel boccone di pane. Si calcola che i 140 milioni di buoni emessi, che rappresentavano l’intera ricchezza nazionale ex-sovietica, siano stati comprati per soli 12 miliardi di dollari.

Non basta: nel '95, il governo Eltsin, con l’acqua alla gola, si rivolse agli oligarchi «russi» per avere prestiti. Qualche anno dopo il governo fece bancarotta, e gli oligarchi-creditori si presero quei pochi attivi su cui non avevano ancora messo le mani, miniere e pozzi petroliferi, metalli rari e giacimenti di gas. Ciò li ha messi nella miglior posizione per approfittare degli attuali rincari di greggio e materie prime.

Gli oligarchi, da ricchi, sono oggi ricchissimi, sfondati. E se 100 delle loro imprese sono quotate a Londra (fra gli applausi dei liberisti), ci si è accorti che costoro hanno messo sul «mercato» solo quote di minoranza, mantenendone il controllo.
Oggi, con il mercato immobiliare inglese in caduta libera e la crisi delle banche insolventi, «la Russia è la sola fonte di vero denaro fresco», dice Charlie Ellinworth, della HSBC Private Bank.

Alisher Usmanov, uno degli oligarchi, sta comprando a buon prezzo tutto quel che il «mercato» inglese alla rovina offre a prezzi di liquidazione: il 24% dell’Arsenal, proprietà immobiliari, ed anche quote di miniere australiane; inoltre sta per acquistare la Kazakhmys, un gruppo minerario che sfrutta miniere kazache, quotato a Londra, per unirlo con il suo colosso Metalloinvest, che sfrutta miniere metallifere russe.

Oleg Deripaska, ritenuto il più sfondato degli oligarchi (28 miliardi di dollari il suo patrimonio, secondo Forbes; è sposato con una parente di Eltsin), ha acquistato la LDV, una fabbrica di furgoni con sede a Birmingham per 50 milioni di sterline. Inoltre, insieme ad Ushmanov e a un altro socio di nome Vladimir Potanin, Deripaska sta cercando di comprare la Norisk Nickel, un colosso pari alla BP, quotato a Londra, le cui quote sono possedute da una quantità di «salotti buoni» finanziari londinesi.

Insomma, Londra comincia a chiedersi - con qualche nervosismo - se quei capitalisti «russi» a cui ha dato tanto volentieri asilo perchè «investono qui», non stiano ripetendo il trucco che giocarono alla Russia nell’era Eltsin: accaparrandosi cioè le ricchezze del Paese-ospite per il solito boccone di pane.

Così la City si chiede anche perchè i tre oligarchi siano in questi giorni tutti insieme nello stesso albergo a Cipro - nota sede di banche «ortodosse» ma poco ortodosse, con affari poco controllabili nel mondo russo. Che siano lì in vacanza, è escluso.

Ecco qui una lista non esaustiva di questi nuovi signori della City:

Oleg Deripaska: al nono posto nella lista dei 100 personaggi più ricchi del mondo secondo Fortune, possiede 28 miliardi di dollari. Primo re dell’alluminio russo (la sua azienda colossale si chiama, con poca fantasia, Rusal), governa il suo impero da una holding chiamata Basic Element, che possiede quote in una quantità di industrie.

Roman Abramovich
: Forbes lo mette al 15° posto dei ricchi più ricchi del mondo, con 23,5 miliardi di dollari di fortuna. Orfano e cacciato da scuola, Abramovich ha fatto i primi milioni con transazioni petrolifere negli anni '90. Nel '95 ha fatto società con Boris Berezovsky, grande nemico di Putin, al centro delle più oscure manovre cecene, per accaparrarsi il gigante petrolifero Sibneft. Nel 2006 Abramovich ha comprato una quota della Evraz, il più grosso gruppo siderurgico russo, e quest’anno una quota di Higland Gold, un’azienda britannica che sfrutta l’oro minerario russo.

Mikhail Fridman: Fortune lo mette al 20° posto dei super-ricchi, e lo valuta sui 20 miliardi di dollari. Nato e cresciuto nella comunità ebraica di Lvov in Ucraina, ha fondato il gruppo Alfa con il suo amico German Khan; ha buone relazioni col Cremlino, perchè un suo ex-sottoposto è diventato consigliere politico di Putin.

Viktor Vekselberg: numero 67 nella classifica di Fortune, valutato 11,2 miliardi di dollari. E' il re dell’alluminio. La sua Sual Holding, in accordo con la Alfa di Fridman, ha preso il controllo della TNK (Tyumen Oil  Company) che si è fusa con la British Petroleum nel 2003, allo scopo di sfruttare i giacimenti di Tyumen in Siberia.

Alisher Usmanov: Fortune lo nette al 91° posto, e lo valuta 9,3 miliardi. Comproprietario di acciaierie e imprese metallurgiche, si interessa molto ai media. Ha comprato il periodico economico Kommersant dall’amico Berezovsky, e una quota di Telecominvest, una finanziaria che si occupa non solo di telecom, apparentemente in amicizia con potenti del governo russo.

German Khan: 54° nella lista di Fortune, 13,9 miliardi di dollari. Aià nel 1989 fondò, con l’amico Fridman, il gruppo Allfa-Eco, una entità che commerciava in materie prime sovietiche, e che è il capostipite dell’attuale gruppo AAR, che possiede la TNK e vorrebbe possedere anche la BP.




1) David Litterick, «Russian oligarchs tighten their grip on London», Telegraph,  5 agosto 2008.


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