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Avanza l’Euro-Russia
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Non c’è osservatore tanto ottimista da aspettarsi, dal vertice dei G-20 a Washington, una  soluzione alla immane crisi recessiva in corso. Ma dagli incontri bilaterali che hanno preceduto e preparato il G-20, emergono tendenze interessanti.

Il presidente Medvedev ha incontrato Sarko, come presidente della UE, a Nizza. Il Figaro intervista Medvedev (1) e gli chiede: porterà a Washington delle proposte precise?

Ecco la risposta di Medvedev: «Non solo ho delle proposte, ma le ho già inviate al presidente Sarkozy, al primo ministro Berlusconi, alla cancelliera Merkel, al primo ministro Brown. Non è un segreto: noi condividiamo la stessa visione sulla genesi e la natura della crisi. Dobbiamo trovare soluzioni per stabilizzare in modo durevole il sistema finanziario e riformarlo. Come ridurre al minimo i guasti della crisi attuale? Come evitare la ripetizione di una crisi simile?Dobbiamo trovare risposte a queste due domande-chiave. La nuova  architettura finanziaria mondiale deve essere anzitutto più trasparente, più prevedibile. Bisogna gettare le basi di una nuova Bretton Woods che comprenderà nuove istituzioni internazionali di credito, un nuovo sistema di contabilità, un nuovo sistema di assicurazione del rischio. Noi abbiamo proposto l’idea di un sistema di allarme preventivo dei rischi, che deve essere messo in atto da tutti i Paesi».

Insomma, il G-20 non darà grandi risultati, ma già uno è acquisito: Russia ed Europa ci vanno per sedersi dalla stessa parte del tavolo. Dopo essersi consultate fra loro. E condividendo «genesi e natura» della crisi in corso, ossia che è nata dal capitalismo terminale americano senza regole.

Dall’altra parte del tavolo c’è Bush, immagine patetica di presidente del Nuovo Secolo Americano cominciato nel 2000, e che è già agli sgoccioli nel 2009.

La posizione americana l’ha detta lo stesso Bush, pateticamente: «La storia dimostra che la più grave minaccia alla prosperità economica non è il ‘meno Stato’ nel mercato, ma il troppo Stato. Il nostro fine non deve essere ‘più Stato’ ma uno Stato più intelligente».

«La risposta» ha aggiunto l’uscente, «non sta nel reinventare il sistema. Sta nell’aggiustare i problemi che abbiamo di fronte, fare le riforme di cui abbiamo bisogno, e continuare con il sistema di libero mercato».

Certo che l’America, intesa come territorio occupato da Goldman Sachs, vuol «continuare» il sistema: l’ha inventato lei, le conviene, garantisce (o garantiva) la sua egemonia mondiale. Vuole solo «aggiustare» qualcosa, in modo che Wall Street possa continuare le sue giocate alla roulette globale. Non vuole «più Stato», ma è l’America che ha estorto 700 miliardi di dollari allo Stato per cercare di salvare le banche dalla rovina che si sono provocate da sole, senza riuscirci.

Quanto alla prosperità economica che il sistema di libero mercato in versione Goldman prometteva, è il caso di chiederlo ai lavoratori americani, il cui potere d’acquisto è calato negli anni del boom, mentre accrescevano la loro produttività; e che ora si trovano con una disoccupazione che sale come uno tsunami, e con milioni di case pignorate, mentre gli speculatori continuano a pagarsi bonus miliardari, che sono tutto quel che il capitale ha rubato al lavoro.

Patetico dire che «non c’è niente da reinventare». L’intervento di Stato l’ha reinventato Paulson; solo, a favore degli speculatori e non dei cittadini. «L’amministrazione non accetta di essere chiamata responsabile dei guai del mondo», annuncia Bloomberg. E la linea di difesa è già pronta.

L’ha detto Paulson: a danneggiare l’economia mondiale sono stati «anche i bassi consumi e l’accumulo di riserve dell’Asia e dei Paesi esportatori di petrolio, insieme alle questioni strutturali in Europa», ossia le famose rigidità europee: troppo Stato assistenziale, lavoro non abbastanza flessibile, e la solita solfa.

Insomma, non è colpa loro, è colpa nostra. Del resto, ha rincarato Bush, gli europei «hanno dei problemi» nonostante le loro regolamentazioni più dure delle nostre.

Problemi veri, ma le dure regolamentazioni europee sono un mito: altrimenti una Banca Centrale non avrebbe consentito a Unicredit di esporsi per centinaia di miliardi con la Bulgaria, nè a UBS e a Credit Suisse di crescere fino ad avere, insieme, bilanci pari a dieci volte il PIL elvetico, sicchè il loro fallimento rischia di trascinare con sè gli Stati e le monete.

Il disastro bancario europeo è effetto di regole inesistenti, e regolatori addormentati. I Paesi che se la cavano meglio nella attuale crisi globale sono proprio quelli che non hanno aderito alla dogmatica ultraliberista: come il Libano, la cui Banca Centrale ha vietato alle banche di trafficare in derivati, e parecchi Paesi asiatici, che hanno mantenuto un controllo sui cambi, e limitato l’afflusso di capitali esteri roventi nelle loro economie.

Ora, la crisi stessa, senza una deliberata volontà (almeno da parte degli europei), spinge l’Europa a fianco della Russia.  Un fatto politico d’importanza storica, dovuto alla «forza delle cose».

Come ha detto chi le idee e la deliberata volontà ce le ha, il viceministro degli Esteri Aleksandr Gruchko: «Ritengo che Russsia ed Unione Europea abbiano opinioni simili in questioni essenziali come la trasparenza dei mercati, un controllo e una  regolamentazione più stringente, e la soppressione della speculazione».

Assaporate  la frase, perchè qui in Occidente non si è mai sentita: da noi si parla al massimo di mettere qualche freno alla speculazione, là di «sopprimerla».

Bisogna, ha aggiunto Gruchko, «Riformare il sistema di Bretton Woods, cambiare il compito del Fondo Monetario Internazionale e portare il sistema finanziario in linea con la domanda dell’economia globale la quale, da una parte, offre vaste opportunità di crescita economica, ma dall’altra è piena di enormi rischi che richiedono sforzi in comune».

La forza delle cose è tale che anche Angela Merkel condivide la visione sulla «genesi e natura» della crisi. Persino Gordon Brown, l’inglese, sta da questa parte del tavolo, a fianco della Russia e di Sarkozy, sulla necessità di una regolamentazione della finanza folle.

La difesa di Berlusconi delle ragioni di Mosca, spinta fino al punto di chiamare «una provocazione» il piazzamento dei missili americani in Polonia, è una delle sue uscite estemporanee (difatti se l’è subito rimangiata di fronte alla irritazione di Washington: «Sono stato capito male») (2); ma vuol dire che anche il Salame, con l’istinto di seguire l’aria che tira, sente che l’aria è cambiata. Non avrebbe mai detto una cosa simile all’«amico Bush», prima.

Com’è cambiata l’aria, il sito Dedefensa di Bruxelles lo esprime così: «L’intensa attività diplomatica in corso (negli incottri bilaterali in preparazione del G-20) mostra che il mondo non è affatto in attesa di una resaturazione della leadership USA per ricominciare a funzionare, ma che funziona di fatto».

Per mezzo secolo l’Unione Europea, per sapere cosa pensare e cosa fare nel mondo, aspettava il verbo da Washington. Ora la crisi è così grave e urgente, che ricomincia a pensare con  la sua testa. E’ una testa piccola, ma non si può chieder troppo a chi non l’ha usata mai più dal 1945. Imparerà, ha bisogno di rieducazione per capire quale è l’interesse storico europeo, senza la guida americana.

Intanto è trascinata dalla forza delle cose a convergere con quell’Europa che gli americani vogliono tenere fuori dalla porta, e che ha come capitale Mosca. Meglio che niente.




1) Etienne Mougeot, «Medvedev tend la main à Obama», Figaro, 13 novembre 2008. Si veda anche il commento di Dedefensa («Considerable Dèvelopement discrètement en cours», 14 novembre 2008) che qui riecheggiamo.
2) Maurizio Molinari, «L’America irritata: ‘Non abbiamo provocatto Mosca’ - Replica a Berlusconi su scudo e Kosovo. Il Cavaliere frena: ‘Mi hanno capito male’ », La Stampa, 14 novembre 2008.


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