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La prima guerra persa per sciopero
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Troppo rischioso rifornire le truppe in Afghanistan. Così i camionisti pakistani, soci della Khyber Transport Association, si sono rifiutati di fare il viaggio da Karachi al Paese occupato.

«Sono in sciopero», dicono i portavoce dell’associazione. Dopotutto, i suoi 3.500 soci sono anche padroncini: i camion sono loro proprietà. E nei giorni scorsi, precisi attentati hanno incenerito centinaia di veicoli in attesa nei parcheggi di confine e poco prima, veicoli militari americani ma anche autocarri dei privati.

pakista_trucks.jpg La Khyber Transport Association rappresenta il 60% dei padroncini che fanno il percorso da Karachi, dove caricano le merci, a Peshawar, e da qui attraverso il Passo Khyber a Kabul, passando per la dogana di Torkham. Lavorano in subappalto; perchè la responsabile ultima della logistica occidentale è la Maersk Lines Ltd., una ditta di spedizioni internazionali che ha vinto l’appalto di fornitura. Adesso, la ditta lamenta «un grosso arretrato di carico militare» nei depositi disseminati lungo la difficile e tortuosa linea logistica, esposti a nuovi attacchi e sabotaggi (1).

L’evento merita una nota, perchè segnala un’altra bancarotta in stile trash (ossia: nel ridicolo con spruzzi di sangue) dell’ideologia americana ultraliberista. Perchè, ovviamente, questo blocco dei rifornimenti, che mette a rischio le forze armate cosiddette «occidentali» occupanti, nasce dalla medesima concezione che ha prodotto il collasso terminale della finanza derivata, l’abisso di Wall Street e la truffa di Madoff: ovvero la cieca fede nell’eccellenza del «privato» sul «pubblico».

Fu Donald Rumsfeld ad applicare i metodi privatistici, della gestione aziendale, alla guerra. Le fabbriche di auto, poniamo, hanno trovato che non conviene fabbricarsi in casa gli specchietti retrovisori, ma comprarli da un’azienda specializzata in specchietti, ciò che si chiama «esternalizzazione».

L’outsourcing di tutte le attività ausiliare del business è una delle glorie dell’«efficienza» aziendale; si fabbrichi auto, il «core business», perchè devi occuparti delle vendite, della contabilità, dei trasporti, degli accessori? Conviene esternalizzare a ditte specializzate in contabilità, spedizioni, vendite... Risparmiando, perchè si possono strappare a questi fornitori presi per il collo prezzi stracciati, e pagarli a nove mesi. Efficienza, efficienza.

Rumsfeld ha esternalizzato tutto l’esternalizzabile. Ha assoldato mercenari per i «servizi» in zona d’operazione, dove i fornitori devono essere armati: alla ditta di Cheney Halliburton, alla Blackwater (Acque Nere, mai nome fu più appropriato) alla Private Military Resources.

I mercenari costano, uno per uno, almeno dieci volte di più di un soldato: «Ma li usiamo solo fin quando ci servono», disse Rumsfeld. Efficienza, efficiente calcolo dei «costi e benefici». Il più grosso apparato pubblico della storia gestito in modo privatistico. Faccio la guerra di quarta generazione, disse il coglione. La Revolution in Military Affairs. E non risulta che Gates, suo successore, abbia corretto il tiro.

La Kellogg Brown & Roots, una sussidiaria della Halliburton, continua ad occuparsi di fornire il rancio ai soldati americani in Afghanistan. Adesso tale Josua Eller, un civile che ha lavorato con l’Air Force nel 2006, ha accusato formalmente la ditta di «fornire intenzionalmente e deliberatamente alle truppe cibo guasto, scaduto, marcio o contaminato da shrapnel ed altri
materiali. Ha fornito acqua non trattata e anti-igienica. Ha spedito ghiaccio (ghiaccio?!) alle truppe USA in camion che erano stati usati per portare resti umani ed avevano ancora tracce di fluidi corporali e resti putrefatti» (2).

Trash da capitalismo terminale; profitti e disonestà intrisi di fluidi cadaverici.

Ma qualcosa di peggio, come dimostra lo sciopero dei camionisti pakistani, da cui dipende la logistica delle forze di occupazione. Qui, si vede che il Paese più militarista del mondo, quello che per gli armamenti spende più dei cinque Paesi che per armi vengono dopo di lui messi insieme, non ha più la minima idea di quel che sia la vita militare, e le sue leggi ferree.

pakista_trucks.jpg Secondo queste leggi, un camionista militare non è anzitutto un camionista, è anzitutto un soldato: uno cui s’impone il dovere di servire «sotto le più avverse condizioni»; uno che deve portare il suo camion, e il rancio e i ricambi ai camerati in linea, a prezzo della vita. Questo hanno imparato gli eserciti europei in secoli di storia; questo erano (prima) gli eserciti nazionali, di cittadini-soldati.

L’America esibisce anche in questo il suo carattere di barbarie di ritorno: lo Stato militarista per eccellenza dei nostri tempi, come la antica Cina imperiale, spregia i soldati (in Cina erano al fondo della scala sociale) e il valore estremo del loro dovere imperativo. Non lo capisce nemmeno, se pensa di poterli sostituire con dei sub-appaltanti e dei dipendenti della Halliburton. Non capisce che il fatto militare non ha nulla a che vedere con il «privato», con il calcolo dei costi e benefici (quale beneficio può compensare, per il soldato, la vita?), e dei profitti o perdite di bilancio.

E’ lo spirito borghese e bottegaio che ha preteso di mettere al suo servizio ciò che non ha prezzo. E il fatto militare non è il solo ad essere stato messo a questo servizio.

La globalizzazione liberista ha preteso che gli Stati si riducano ad aziende, che il loro senso e scopo stia nell’export competitivo e negli «attivi» commerciali. Al punto che alla maggioranza delle opinioni pubbliche, oggi, non è chiaro che uno Stato «non» è un’azienda, ma una comunità di destini proiettata nel futuro: un’azienda seleziona il suo personale secondo efficienza, lo Stato non può esternalizzare i suoi inefficienti, i bambini, i vecchi.

Uno Stato deve per forza avere altri valori, altre responsabilità; e il management aziendale non si applica bene nè allo Stato nè alla guerra; nè i soldati sono, aziendalmente, dei dipendenti.

Lo Stato ideologico americano non vuole riconoscere precisamente questo: che le cose che contano nelle società non sono valutabili coi criteri del «mercato»; che quel che tiene insieme gli uomini è precisamente quel che non ha un cartellino col prezzo.

Lo sfaldamento delle società liberiste che stiamo contatando - la perdita di solidarietà, i ricchi sempre più ricchi, i poveri e i reduci di guerra abbandonati alla miseria, l’irresponsabilità dei politici, la loro corruzione, la stessa attività delle banche diventata distruttiva dell’economia reale, col le sue piramidi finanziarie - ne sono la ovvia conseguenza.

Adesso stiamo per vedere un’altra, estrema e ridicola conseguenza: la più cretina e malvagia delle guerre coloniali, scatenata con menzogne dallo spirito borghese, perduta causa sciopero.

I camionisti pakistani hanno ragione, dal punto di vista aziendale. Hanno ragione persino i mascalzoni della Halliburton a fornire alla truppa cibo scaduto e sporco di cadaveri putrefatti: è solo così che si può far profitto, in guerra come in ogni appalto pubblico; risparmiando sui «costi».

La guerra di quarta generazione è una truffa, come quella del finanziere Madoff, e viene dalla stessa filosofia del nulla. Ma qui, a sparire non sono dollari, ma vite e tutto quel che di impalpabile ma necessario nella vita comune, non può essere prezzato.

In modo più generale, il capitalismo terminale ha distrutto l’attività più tipicamente umana: la cultura in tutte le sue forme, compresa la cultura militare.

Una volta, persino i sergenti si tramandavano un detto: «Il dilettante guarda alla tattica, il professionista alla logistica». Napoleone: «Le armate marciano con lo stomaco». Vecchi luoghi comuni, di cui l’America crede di poter fare a meno. Come della storia e della geografia afghana, che non ha mai perdonato nessun invasore. Ora i comandi USA stanno pietendo diritti di passaggio dagli Stati vicini. Missione impossibile, come si può capire solo vedendo una mappa.

Le forze americane in Afghanistan hanno dovuto moltiplicare le missioni di rifornimento alle loro basi con lanci di paracadute: da 99 lanci nel 2008, siamo ad oltre 800 quest’anno. Sette milioni di chili di merce sono stati gettati ai soldati dall’aria, il doppio dell’anno prima. Le strade sono diventate troppo pericolose in tutto il Paese occupato: gli attacchi ai convogli, anche con ordigni lasciati a lato-strada, sono cresciuti dai 224 nel 2005 ai 1.041 oggi; altri 1.400 ordigni sono stati scoperti in tempo (3).

Inoltre, «una quantità di nostri presìdi di combattimento sono al difuori delle linee convenzionali di comunicazione», dice il capitano Josh Watkins, ufficiale dell’US Air Forces Central. Ciò significa che le basi di combattenti remote sono isolate, irraggiungibili da automezzi, nel difficile terreno afghano. Qaulcosa che ricorda molto da vicino i fortini di Diem Bien-Phu, dove si spense la Legione straniera in Indocina.

Il capitano Watkins affetta ottimismo: «I rifornimenti lanciati arrivano 200 metri dalla base nel 98%  dei casi. Abbiamo molto migliorato la precisione».

Lo dicevano anche i comandi francesi in Indocina.




1) Jeremy Page, « Pakistani lorry drivers supplying NATO troops in Afghanistan go on strike»,
Times, 16 dicembre 2008.
2) «Halliburton supplies rotten food to US troops», Big News Network, 13 dicembre 2008.
3) Jim Michaels, «Afghanistan airdrops increase as supply risks rise», USA Today, 14 dicembre
2008.


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