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Altro che fanatismo islamico
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Onde preparare spiritualmente i soldati al massacro di Gaza, i rabbini militari dell’esercito israeliano hanno distribuito un opuscolo sui doveri religiosi del pio ebreo combattente. Essenzialmente l’opuscolo contiene raccomandazioni fatte da rabbi Shlomo Aviner, capo di una yeshiva che s’è piazzata nel quartiere musulmano di Gerusalemme.

Il savio anziano di Sion istruisce i soldati: un divieto biblico vieta, dice, di «cedere un solo millimetro» del Grande Israele (la terra promessa che YHVH avrebbe promesso ai suoi eletti si estende dal Nilo all’Eufrate); l’opuscolo incita a non aver pietà, perchè «quando mostri pietà per un nemico crudele, sei crudele verso i puri soldati... Questa è una guerra contro assassini». L’opuscolo dichiara che i palestinesi non sono altro che i filistei, di cui la Bibbia ordina e approva lo sterminio (1).

L’organizzazione ebraica Yesh Din, che ha rivelato l’esistenza di tale opuscolo, sostiene che esso è la causa probabile delle atrocità commesse dai soldati di Tsahal, contrarie al diritto internazionale, come l’assassinio a freddo di bambini con colpi alla nuca, o il mitragliamento di donne che uscivano dalle case sventolando una bandiera bianca.

fanatismo_israele.jpgQuesto manuale della ferocia talmudica è stato autorizzato dal rabbino-capo dell’esercito, Avichai Ronsky. Rabbi Ronsky, che ha il grado di generale di brigata, è lui stesso un fanatico membro di un insediamento illegale a Itimar, presso Nablus;  fa visite in carcere ai (pochi) coloni che vengono arrestati per le loro angherie più sanguinose ai palestinesi fra cui si sono insediati, e recentemente ha offerto la sua casa a un fanatico messo agli arresti domiciliari per aver ferito un palestinese senza provocazione. Il generale-rabbino porta spesso gruppi di ufficiali superiori a visitare gli insediamenti estremisti, onde il contatto coi «coloni» possa toccare il cuore dei colonnelli e capitani, e riportarli sulla retta via del genocidio talmudico.

Rabbi Ronsky, da quando è stato scelto per la carica tre anni fa, ha trasformato i compiti del rabbinato militare: da semi-preti incaricati di offrire riti religiosi e sorvegliare che il cibo dei soldati sia kosher, essi sono diventati il «corpo educativo» di Tsahal. Riuniti a questo scopo in un apposito «Dipartimento della Coscienza Ebraica», che vuole appunto risvegliare nelle reclute e negli ufficiali la coscienza della superiorità del popolo eletto su tutti gli altri, animali parlanti.

E’ un po’ come se negli eserciti europei sorgessero «dipartimenti della coscienza ariana», o (peggio ancora) «della coscienza cristiana»: provate a immaginare le proteste e lo scandalo.

Che questa educazione militare sia di tipo razziale non c’è dubbio: il Dipartimento si coordina con Elad, l’organizzazione dei coloni di Gerusalemme Est. Secondo Mikhael Manekin, 29 anni, un coraggioso capo del movimento «Rompere il Silenzio» fatto di ex-soldati obiettori di coscienza che cercano di denunciare le atrocità militari contro i palestinesi, «vedute simili sono in giro da sempre; il fatto nuovo è che l’esercito è diventato un’agenzia in appalto che promuove le idee degli estremisti di Hebron fra i soldati».

L’insediamento di Hebron è quello dove abitava Baruch Goldstein, quello che nel 1994 ne uscì per mitragliare a caso dei musulmani in preghiera, ammazzandone 29. E a difenderlo scese in campo il rabbino Israel Ariel: chiedendosi pubblicamente se «la morte di un arabo non sia di per sè un evento fortunato e propizio», una mitzva, un atto compiuto «per santificare il sacro nome di Dio».

Effettivamente questa morale bellica è stata sempre insegnata dai rabbini. Israel Shahak riporta come, in risposta a un soldatino incerto se «è lecito uccidere gente disarmata o donne e bambini», il rabbi Shim’on Weiser rispose per iscritto: «Le nazioni non ebraiche hanno una tradizione secondo cui la guerra ha le sue regole, come un gioco (...) Ma secondo i nostri saggi (...)  per noi la guerra non è un gioco, ma una necessità vitale, ed è quindi soltanto su questa base che noi ebrei dobbiamo decidere come fare la guerra».

E ricordava due rescritti del Talmud: secondo uno, l’assassinio di un gentile da parte di un ebreo è un assassinio, «salvo il fatto che nessun tribunale ha il diritto di punirlo» (sic). Ma l’altro rescritto ordina: «E’ il migliore dei gentili. Uccidilo! E’ il migliore dei serpenti. Schiacciagli la testa». E’ questo che vale «per lo stato di Guerra» (2).

Solo che anni fa molti rabbini ritenevano non del tutto kosher la vita del soldato, e avevano ottenuto esenzioni e privilegi militari per gli studenti delle loro yeshivoth (scuole talmudiche) anzi iscriversi a una yeshiva per studiare la Torah era un modo per sottrarsi alla leva. La novità è che ora gli studenti rabbinici si arruolano in sempre maggior numero, incoraggiati dai loro maestri, e proprio nelle formazioni di elite, quelle che vengono a contatto con la popolazione inerme nelle incursioni a Gaza.

Secondo dati citati dai media israeliani, più di un terzo dei soldati combattenti israeliani sono «religiosi», e più del 40% sono i talmudisti religiosi che superano i corsi per ufficiali. Per contro il numero dei secolarizzati sta diminuendo, proprio come scompaiono i kibbutzim da cui veniva la borghesia laicista israeliana.

I comandi supremi hanno incoraggiato questa tendenza. Hanno creato una ventina di «hesder yeshiva», di scuole rabbiniche dove si lo studio della Torah si combina con l’esercizio bellico; e questi studenti-soldati formano unità separate, molto kosher e molto fanatiche, vogliose di spaccare teste di «Filistei» e sterminare «Amaleciti». Non c’è bisogno di dire che molte di queste scuole sorgono in Cisgiordania, fra i coloni illegali, dove gli studenti-soldati sono istruiti dai rabbini più estremisti, quelli che vivono negli insediamenti.

Ehud Barak, da quando è ministro della Difesa, ha molto ampliato questo programma di indottrinamento «religioso» armato: nella sola estate scorsa ha autorizzato quattro di queste yeshivoth; altre dieci sono in via di approvazione.

L’influenza crescente di questa truppa «religiosa» e dei loro ufficiali sta cambiando la natura e i metodi dell’armata. Intere unità operative sono oggi formate da studenti della Torah e guidate da ufficiali che, più che alla catena di comando regolare, rispodono ai loro rabbini ultrà, quelli che proclamano che Gaza e Cisgiordania sono anch’esse parte del’Eretz Israel, dato da YHVH agli eletti.

«Siamo arrivati al punto», spiega Ygal Levy, docente di sociologia politica che ha scritto vari libri sulla mentalità e la composizione dell’armata d’Iraele, «che questa massa critica di soldati religiosi può negoziare coi comandi sul come e per quale scopo la forza militare è impiegata sul terreno». Mai questa specifica truppa potrà essere usata, se si dovesse, per far sloggiare i coloni dagli insediamenti e restituire le terre ai palestinesi, come riuscì a Sharon quando operò il cosiddetto ritiro unilaterale da Gaza.

Soprattutto,  essa cambia l’ideologia delle forze armate: che dalla «difesa di Israele» passano a prendere la forma di un corpo messianico, che si sente investito di combattere la «guerra santa» - la jihad giudaica - contro la razza araba in quanto tale.

Le crudeltà gratuite e gli eccessi di ferocia che hanno punteggiato l’ultima incursione ne sono una ovvia conseguenza. Anche se questa ferocia gratuita non è affatto sgradita agli alti gradi militari, ancora in gran parte eredi del secolarismo socialisteggiante israeliano. Ma quello che ora è visto dai gallonati come un «mezzo» per spezzare il morale del nemico, sta diventando il «fine» e il motivo della guerra ebraica permanente, il jihad rabbinico. E presto, la strapotenza di fuoco e le centinaia di testate nucleari di Sion saranno a disposizione di Stati Maggiori «teologizzati», irrazionalisti religiosi convinti di guidare l’esercito di YHVH alla nuova conquista della Terra di Canaan.

Il 10 febbraio, a capo di questo governo e di questo esercito sarà quasi certamente Benjamin Netanyahu: un politico privo di scrupoli, a capo di un partito - il Likud - che ha nel suo programma il rigetto di tutti gli accordi già riconosciuti da Olmert persino verso il collaborazionista Abu Mazen.

«Il governo di Israele rifiuta la creazione di uno Stato arabo palestinese ad ovest del Giordano», si legge nel programma, «I palestinesi possono vivere liberamente (sic) nel quadro dell’autonomia, ma non come Stato sovrano e indipendente. Così ad esempio in materia di politica estera, sicurezza, immirazione ed ecologia, la loro attività sarà limitata in base agli imperativi della esistenza, sicurezza e dei bisogni nazionali di Israele».

Insomma continueranno e aumenteranno gli insediamenti; continueranno le angherie, i posti di blocco, le uccisioni mirate: la Cisgiordania diverrà - nonostante sia guidata dai «moderati» di Fatah - esattamente come Gaza di Hamas: un poligono di tiro in cui i talmudici armati potranno liberamente sterminare «Cananei, Amaleciti e Filistei» delle loro fantasie omicide messianiche.

Sarà almeno questo il «momento di chiarezza» capace di risvegliare gli europei alla coscienza della reale natura di Israele? Saranno capaci di vedere dove sta il terrorismo fondamentalista più concretamente spietato e pericoloso? La Chiesa sarà capace di scuotersi dalla sua soggezione a questa «simia Dei»?

Temo la domanda sia retorica. Più illuminato dallo Spirito mi sembra oggi Jeff Halpers,  antropologo, coordinatore del Comitato Israeliano contro le Demolizioni di Case (e candidato per questo al Nobel) quando avverte: attenzione, i metodi israeliani per la «pacificazione» dei palestinesi hanno tanto sinistro successo per il potere, che essi saranno adottati - nel contesto della crisi economica invincibile, che richiederà ampie repressioni sociali  e un govero unico mondiale -  contro altri popoli.

Halpers ha delineato il «Sistema di Pacificazione Globale» (Global Pacification System) durante una conferenza nel Quebec in Canada, in base ad alcuni punti essenziali:

Ricerca di armi nuove
- Israele sperimenta continuamente nuove armi anti-insurrezionali sulle cavie palestinesi: proiettili che traversano il cemento, tecnologie di sorveglianza elettronica, droni armati, tecniche di avvelenamento dei militanti, eccetera. Ha provato e adottato nuovi metodi per vincere in ambiente urbano: i soldati non circolano più nelle strade, esposti, ma attraversano i muri delle case, sfondando una casa dopo l’altra coi corazzati. Tecniche di assassinio selettivo, e di massacri per espellere popolazioni. Gli specialisti israeliani di questi metodi anti-insurrezionali sono molto richiesti all’estero; il know-how repressivo è una importante voce dell’export israeliano.

Criminalizzazione di ogni opposizione - Come Israele è riuscita ad imporre al mondo l’etichetta di «terrorista» alla resistenza palestinese, con gli stessi metodi mediatici sarà possibile criminalizzare ogni movimento di rivendicazione, d’opposizione alle guerre, di denuncia delle politiche anti-popolari, onde poter reprimere  qualunque opposizione al sistema dominate «in modo sproporzionato». Il potere costituito, qualunque sia, può torturare e assassinare e deportare (come si è fatto sotto Bush) essendo legittimato dai media, mentre i movimenti insurrezionali o di protesta sono «terroristi», e dunque privati di ogni legittimità. Le motivazioni utilizzate saranno: l’esercito regolare non può distinguere fra civili e combattenti - I nostri soldati devono essere protetti - I nostri soldati devono portare a successo la missione - L’utilizzo dei carri armati contro i civili è legittimo. I media suoneranno questa musica, come hanno fatto nascondendo o svalutando la ferocia dei massacri di donne e bambini a Gaza.

«Surplus Humanity», o umanità eccedente - Israele considera il popolo palestinese come un popolo «eccedente» e lo tratta di conseguenza. I poteri costituiti globali, confrontati con la crisi mondiale, possono (affidando il compito agli Stati, ormai ridotti a poliziotti) adottare la stessa concezione per altri popolazioni, da sterminare o da disperdere. Metodi di questo tipo sono già stati praticati in Africa, o in Colombia, dove i «paramilitari», con l’appoggio dell’esercito e degli USA, hanno espulso col terrore cinque milioni di contadini poveri per «liberare» terre. Conseguenza del concetto di «surplus humanity» è il «warehousing», il magazzinaggio o parcheggio indefinito della popolazione di troppo in campi-profughi, riserve e bidonvilles. E’ noto che in USA sono stati allestiti da tempo campi di raccolta per la popolazione insubordinata.

Complicità dei media e dei governi - La prima non ha bisogno di essere esemplificata: dall’11 settembre fino al massacro di Gaza, i media globali si sono adoperati oltre ogni limite per emarginare ogni voce che elevava dubbi sulle versioni ufficiali degli eventi. Quanto ai governi, stanno già firmando accordi di sicurezza bilaterali con Israele (contro il «terrorismo», ovvio) e affidando a ditte israeliane gli apparati di controllo e sorveglianza (come Telecom Italia). La UE e la NATO hanno già accettato Israele come socio di fatto, con tutti i diritti relativi, e nessun dovere.

La conclusione possibile: il nuovo ordine mondiale, come stanno cercando di costruirlo per i propri interessi gli stessi poteri finanziari che hanno provocato la crisi, può identificarsi con una «global Palestine»: un sistema mondiale di sottomissione delle popolazioni attraverso i metodi e le tecniche sperimentate con successo da Israele (3).




1) Jonathan Cook, «Is Israel’s army waging a Jewish Jihad? - Religious extremists rising through the ranks», Antiwar, 5 febbraio 2009.
2) Citato da Israel Shahak, «Storia ebraica e giudaismo», Sodalitium, 1997, pagina 162. «La lettera del rabbino al soldato fu pubblicata sull’annuario universitario delle più prestigiose istituzioni universitarie, ‘Midrashiyyat No’am’, dove vengono educati i leader e gli attivisti del partito nazionale religioso e del Gush Emunim».
3) Su «Géopolitique & Palestine», numero 425, 26 gennaio 2009.



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