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I libici rivelano 20 anni dopo: «Così Craxi salvò Gheddafi»
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«Gli italiani ci avvertirono del raid Usa contro Tripoli»

ROMA — Tra amici non devono esistere segreti. E allora, visto che Italia e Libia ora sono ufficialmente amici, ecco il ministro degli Esteri libico regalare agli italiani una piccola ma robusta verità: l'Italia avvertì la Libia dell'attacco che gli americani avevano deciso di lanciare contro Tripoli, per «punire» Gheddafi dell'attentato alla discoteca La Belle di Berlino. Una decisione presa in prima persona dal premier di allora, Bettino Craxi.

Una decisione che gli americani non avrebbero gradito, così come non avevano gradito il braccio di ferro del 10 ottobre '85, quando a Sigonella i militari italiani avevano impedito a quelli della Delta Force Usa di arrestare il dirottatore dell'Achille Lauro, Abu Abbas. Meno di un anno dopo,il 15 aprile dell'86, il raid Usa: 45 aerei che in 12 minuti avevano sganciato 232 bombe e 48 missili contro 6 diversi obbiettivi. Il bombardamento aveva provocato la morte di una decina di civili, tra i quali una figlia adottiva di Gheddafi. Ma il leader, avvertito dagli italiani, era riuscito a salvarsi. «Non credo di svelare un segreto — dice adesso Mohammed Abdel-Rahman Shalgam nella sala delle conferenze internazionali della Farnesina — se annuncio che il 14 aprile dell'86 l'Italia ci informò che ci sarebbe stata un'aggressione americana contro la Libia». Notizia non nuova di zecca (ne aveva parlato nel 2003, il senatore dello Sdi Cesare Marini) ma che non aveva mai avuto una così autorevole conferma. E subito le parole di Shalgam, ambasciatore in Italia dall'84 al '95, di conferme ne ottengono un'altra, altrettanto autorevole: quella di Giulio Andreotti, che in quell'aprile di 22 anni fa era ministro degli Esteri: «Io ritengo di sì, l'avvertimento ci fu», dice il senatore a vita. Del resto, aggiunge, quella degli americani «fu un'iniziativa improvvida, un errore di carattere internazionale». L'occasione dell'outing di Shalgam non poteva essere più eclatante: un convegno sul trattato di amicizia italo-libico appena stipulato, con un parterre che spiega il peso specifico che la Libia ha per il nostro Paese.

Accanto al ministro sono seduti Seif al-Islam, primogenito di Gheddafi, e Shukri Ghanem, che presiede la Compagnia nazionale libica del petrolio Noc. Tutto attorno all'enorme tavolo rotondo, oltre al padrone di casa Franco Frattini e all'ex ministro Beppe Pisanu, organizzatore del convegno, sedeva infatti il gotha dell'imprenditoria italiana: gli amministratori delegati Scaroni (Eni), Bernabè (Telecom Italia), Profumo (Unicredit) e Moretti (Ferrovie), e Marchionni (Fondiaria-Sai), i presidenti Ponzellini (Impregilo), Abete (Bnl), Gnudi (Enel). Ed è toccato a Gheddafi jr, autentico plenipotenziario del padre, pronunciare le parole più coinvolgenti: «Non parliamo del passato, ma del futuro: gli artigiani italiani tornino in Libia. Tornino i servizi, i bar, le imprese piccole e medie imprese». E, perché no, Seif sogna anche una cooperazione militare: «Vorremmo vedere forze militari italiane e libiche fare esercitazioni congiunte ». I due Scud che la Libia sparò contro Lampedusa quel 15 di aprile, ritorsione contro l'uso della stazione Loran dell'isola da parte dei bombardieri americani, adesso sembrano davvero un pezzo di storia e niente più. A Frattini non resta che mettere il sigillo: «Se Muammar Gheddafi deciderà di visitare l'Italia lo accoglieremo con amicizia». E la ratifica del trattato? «Spero che il consiglio dei ministri adotterà il disegno di legge in tempi brevi».

Fonte >  Corriere.it | 31 ottobre

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