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La confusione dei conservatori a proposito dell’Iran
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Il processo attraverso cui i neo-con sono stati capaci di dirottare la politica estera del Partito Repubblicano è stato dissezionato ed analizzato frequentemente negli ultimi due anni. Comunque forse più sgradevole nel lungo termine è stato il loro successo nell’appropriarsi dell’etichetta “conservatore”. Quando i giornalisti televisivi Brian Williams e Katie Couric descrivono qualcuno come un conservatore repubblicano si riferiscono di frequente in realtà ad un “neo-conservatore”.
Quando un talk show della domenica mattina ospita un “conservatore” per “par condicio”, in realtà il più delle volte si tratta di un neo-con. Questo accesso ai mezzi di informazione come asseriti rappresentanti del conservatorismo si è dimostrato utile in quanto ha consentito ai neo-cons di continuare ad aver molta voce in capitolo a dispetto dell’aver torto su ogni argomento fondamentale. Ha inoltre consentito loro di raccontare e raffinare costantemente la propria storia, auto-assolvendosi mentre instillavano il timore di sempre nuovi pericoli da affrontare, nuovi dragoni da uccidere.

Molti repubblicani, come molti elettori, preferiscono non chiedersi molto cosa significhi la definizione “conservatore”. Conservatorismo significa sostenere modi tradizionali di fare le cose in casa propria, cioè senza sposare la causa di cambiamenti radicali, ed una forte politica difensiva oltremare. A parte ciò, non c’è molta altra finezza nella visiona che del conservatorismo ha il grande pubblico. Per molti una apprezzabile politica di difesa e di sicurezza è precisamente quello che i neo-cons hanno creato, una vendicativa sferzata al resto del mondo scuro di pelle, non cristiano, visibilmente teso ad incoraggiare il terrorismo, usando la forza per portare a termine il lavoro.

In linea con questa semplicistica visione del mondo, molti auto-definiti neo-cons continuano a difendere il presidente Bush e la sua politica estera neo-con, soltanto perché ritengono importante sostenere un presidente repubblicano, fino all’inferno o in fondo al mare; non perché abbiano considerato tutti gli argomenti o i pro e contro della politica che viene condotta. Accettano come un atto di fede che l’Iran sia cattivo e che debba quindi essere affrontato con fermezza, perché è proprio questo che vedono e sentono costantemente alla televisione e leggono nei giornali, la maggior parte dei quali riportano notizie che provengono da quegli stessi neo-con che ci hanno portato in Iraq.

Ma, politicamente parlando, non esistono corse gratis, e le cattive politiche alla fine diventano un prezzo da pagare nelle urne elettorali. Dato che ormai la guerra in Iraq è adesso disapprovata da più di due terzi degli americani, e un ulteriore coinvolgimento in Iran è ugualmente impopolare, i repubblicani ed i conservatori dovranno ripensare la propria politica estera se vogliono almeno sperare di tornare ad essere partito di maggioranza.
A tal fine dovrebbero tornare ai principi conservatori che furono delineati dai Padri Fondatori da Russel Kirk, da William F. Buckley, da Barry Goldwater, e anche da Ronald Reagan, prima del furto della definizione di conservatore perpetrato da George W. Bush.

Per i conservatori il primo principio è che la guerra è “l’ultima opzione”, da utilizzare quando tutto il resto fallisce e c’è una situazione di “pericolo reale ed imminente” per gli Stati Uniti. I soldati, i marinai, gli aviatori USA sono un bene primario prezioso che non può essere sprecato in guerre inutili, e le nostre forze armate non sono lo strumento appropriato per ricostruire o riformare altre nazioni. La forma di governo dell’Iran non è affar nostro, e Teheran attualmente non costituisce alcun genere di minaccia per il popolo americano tale da giustificare un’azione militare. Ronald Reagan espresse così il concetto: “La politica della difesa degli Stati Uniti si basa suuna semplice premessa: gli Stati Uniti non iniziano guerre: Noi non saremo mai gli aggressori.”

Barry Goldwater raccomandò che la politica estera degli USA “rendesse chiaro a tutte le nazioni del mondo che noi non abbiamo alcun desiderio di espandere il nostro territorio o di imporre il nostro tipo di governo a qualsiasi altro popolo.”
Prima di George Bush i repubblicani ed i conservatori sono stati, tradizionalmente, guerrieri riluttanti. Nel secolo scorso la 1a Guerra Mondiale, la Seconda, la Guerra di Corea e l’escalation in Vietnam, sono tutte scoppiate sotto amministrazioni democratiche, con forte dissenso da parte dei repubblicani.

In linea con la loro riluttanza a far guerre i conservatori hanno sempre ritenuto che la prima linea di difesa è la diplomazia: la diplomazia sostiene gli interessi nazionali senza scatenare le impreviste conseguenze che derivano dalla guerra. Come ha spiegato Russel Kirk: “Una solida politica estera conservatrice, all’alba di questa epoca, non dovrebbe essere né ‘interventista’ né ‘isolazionista’; dovrebbe semplicemente essere ‘prudente’.”

Ma fra Stati Uniti ed Iran la diplomazia non è stata neppure tentata, è stata scartata dalle due amministrazioni Bush e dal candidato repubblicano McCain come “ingenua”. E’ tempo di fare la cosa appropriata e prudente, da conservatori, che significa sedersi al tavolo dei negoziati e iniziare a discutere con l’Iran, senza pre-condizioni e con tutti gli argomenti nell’agenda.

I conservatori riconoscono anche che mentre in guerra la prima vittima è sempre la verità, la seconda è, invariabilmente, la libertà civile e la Costituzione. La guerra significa eserciti, polizia, tasse, grandi governi e restrizione delle libertà personali. Essa erode i diritti fondamentali e quasi sempre comporta intrusione nella vita privata dei cittadini per mezzo di leggi che resteranno anche quando la minaccia straniera sarà sparita. Come scrisse James Madison: “Se la Tirannia e l’Oppressione dovessero mai giungere in questa terra, avverrà sotto forma di un nemico straniero da combattere…, di tutti i nemici alla libertà pubblica la guerra è, forse, il più temibile, perché porta in sé e sviluppa i germi di ogni altro male. Nessuna nazione potrebbe mai conservare la propria libertà nel mezzo di una guerra continua.”

La nostra nazione, che è stata sempre rispettata per il proprio comportamento corretto e per le sue libertà, è guardata adesso dall’alto in basso dalla maggior parte del mondo a causa del proprio bullismo ed intransigenza. John Quincy Adams una volta affermò che “l’America non ha bisogno di andare all’estero in cerca di mostri da uccidere.”
Attaccare l’Iran potrebbe solo scatenare una nuova ondata di terrorismo internazionale e convincerebbe gran parte del mondo che lo scopo di Washington è quello di cambiare governi, con le buone o con le cattive, e sterminare i mussulmani. L’america non ha bisogno di un altro 11 settembre.

Riferendosi al problema del terrorismo Pat Buchanan ha scritto: “Dobbiamo rimuovere le motivazioni (del terrorismo, n.d.t.) col disimpegnare gli Stati Uniti da conflitti etnici, religiosi e storici che non sono nostri e che non possiamo risolvere in alcun modo.”

Nel suo già citato discorso di congedo George Washington espresse ancora che gli Stati Uniti dovevano “osservare la buona fede e la giustizia nei confronti di tutte le nazioni; coltivare la pace e l’armonia con tutte. La religione e la moralità ci comandano questa condotta e non può accadere che una buona politica non comandi le stesse cose. Sarebbe degno di un paese libero, illuminato e, fra non molto una grande nazione, dare al genere umano il magnifico e nuovissimo esempio di un popolo sempre guidato dall’esaltazione della giustizia e della benevolenza.”

Il consiglio di George Washington, una volta seguito dai repubblicani, era valido nel 1796 e lo è ancor più al giorno d’oggi.

Philip Girali

Tradotto da Arrigo de Angeli

Fonte >
  Antiwar.com | 15/7/2008


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