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Fraternità San Pio X: il problema vero
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… Mio Dio! E io che pensavo di avere scritto un articoletto piccolo e insignificante! Invece guarda che putiferio! Come se non bastasse, quando avevo già abbozzato una risposta, ci si è messo di mezzo anche un «mediomassimo» come don Nitoglia: confesso, sono alle corde, quasi barcollo.  Vi risponderò a puntate, tutto in una volta è impossibile. Cominciamo dall’inizio, con leggiadria.

«Carlo II» deve essere un lettore con molta autostima: non so a quale Carlo II egli si ispiri, ma il suo soprannome mi ha richiamato istintivamente Carlo II Stuart, detto Merrie Monarch (monarca allegro). Sposò Caterina di Braganza, infanta di Portogallo, sterile: il sovrano, tuttavia, doveva avere tale desiderio di paternità che per non sbagliare ebbe dodici figli illegittimi con varie amanti. Quando si dice la vocazione…! Non lo dico per moralismo, ma mi auguro per il nostro lettore che la scelta del «nomignolo» non abbia alcuna attinenza. Non so quale sia il suo reddito, ma dodici assegni alimentari a fine mese sarebbero un bel pacco! Se così fosse, apro una sottoscrizione.

Comincio da «Carlo II»  perché, commentando una mia frase, scrive: «Gli ‘starnuti’ di don Floriano e del vescovo Williamson saranno anche stati imprudenti, ma é anche giusto che si apra una discussione seria sull’‘olocausto’ e sulle sue conseguenze». Lo dice, evidentemente, ragionando sull’incipit del mio articolo, che recava testualmente: «La notizia (cioè la revoca della scomunica ai 4 vescovi lefebvriani) è stata tenuta artificialmente viva per diversi giorni: gli starnuti di monsignor Williamson hanno rischiato di divenire ‘crimini contro l’umanità’, mentre non è bastato a don Floriano Abrahamovicz ricordare le sue origini ebraiche per sottrarsi alla gogna mediatica e all’infamante insulto di ‘negazionista’.

Non ho una laurea in Scienze delle comunicazioni, ma perfino uno come me ha capito dal primo momento il trappolone: e infatti, a caldo, citavo il mio vecchio professore di filosofia, don Carlo Gentilini, che in classe amava ammonirci con una frase che in molti dovrebbero imparare: «‘Non mettete mai il sedere nelle pedate’, salvo specificare: ‘Ma se lo fate, siate pronti a renderle. Il Vangelo infatti si limita ad esortare a porgere l’altra guancia. Sulle terga si astiene».

Domanda: a chi è giovato aprire, a latere della revoca della scomunica, un dibattito sulla Shoah? A chi è giovato consentire che venisse arbitrariamente istituito un collegamento tra monsignor Lefebvre e il dottor Goebbels? Forse alla Tradizione cattolica? Chi ha interesse che l’opinione pubblica, ignorante e ammaestrata solo dal tubo catodico, istituisca un immediata identificazione tra la talare nera dei sacerdoti tradizionalisti e le divise nere delle Schutzstaffeln?

Qualche ultra-tradizionalista crede che corrisponda alla Buona Battaglia offrire al Mondo il destro per fare sì che la Fede cattolica venga confusa con l’esoterismo neopagano della Thulegesellschaft e del Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi? Quale Tradizione ritiene sovrapponibile la Croce di Cristo e la croce uncinata: quella cattolica o quella di qualche malriuscito seguace del barone Julius Evola? Ci vuole un quoziente di intelligenza particolarmente elevato per capire che qualsiasi affermazione avente un oggetto diverso dalla Fede in sé, diventa in questo contesto uno strumento da usare contro la Fede? Qualcuno pensa che monsignor Lefebvre abbia fondato la fraternità San Pio X per difendere la Fede cattolica o le posizioni di Robert Faurisson?

Non era forse meglio, dopo lo scivolone di monsignor Williamson, tacere e pregare, invece che darsi la briga di polemizzare, di rinfocolare polemiche e di prestare il destro ad accuse pretestuose? Che c’è di meglio in certi casi che «fare silenzio e quadrato»? Ci voleva molto a capire - e questo è il senso della mia frase - che perfino uno starnuto o altra emissione pneumatica di monsignor Williamson sarebbero stati presentati come sintomo non di raffreddore o meteorismo, ma di un pericoloso «virus antisemita»? Non è stato forse così? Finanche le scuse postume, a quel punto inutilmente dannose, non sono servite a nulla. Quanto giova guadagnare le prime pagine dei giornali, se poi la Fede viene infangata? E’ sintomo di modernismo ricordarsi di essere stati mandati come pecore in mezzo ai lupi e di essere prudenti come serpenti e semplici come colombe?

E’ sintomo di modernismo o non invece di fedeltà evangelica non sfidare la «malizia dei farisei»?  E’ sintomo di modernismo invitare alla Imitatio Christi? Guardate quanto è attuale questo passo evangelico: «Postisi in osservazione, mandarono informatori, che si fingessero persone oneste, per coglierlo in fallo nelle sue parole e poi consegnarlo all’autorità e al potere del governatore. Costoro lo interrogarono: ‘Maestro, sappiamo che parli e insegni con rettitudine e non guardi in faccia a nessuno, ma insegni secondo verità la via di Dio. E` lecito che noi paghiamo il tributo a Cesare?’. Conoscendo la loro malizia, disse: ‘Mostratemi un denaro: di chi è l’immagine e l’iscrizione?’. Risposero: ‘Di Cesare’. Ed egli disse: ‘Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio’. Così non poterono coglierlo in fallo davanti al popolo e, meravigliati della sua risposta, tacquero».

Pensate se, invece di avventurarsi in improbabili spiegazioni storiche, di fronte alla domanda: «Vescovo Williamson, queste sono parole sue? ‘Non c’è stato un solo ebreo ucciso dalle camere a gas! Sono tutte menzogne, menzogne, menzogne’ », egli avesse risposto, mostrando il crocifisso: «Guardi qui, cosa vede?» Gli avrebbero detto: «Il crocifisso». Ed egli avrebbe potuto rispondere: «In questo ebreo crocifisso vi sono non solo tutti gli ebrei morti ingiustamente, ma tutti gli uomini morti ingiustamente. Tutti coloro che hanno subito la morte e tanto più la morte violenta, l’hanno subita a causa del peccato. Egli con la Sua morte ha vinto il peccato del Mondo e con esso la Morte: quel rabbi era ebreo ed era anche Dio!». Se avesse risposto così, monsignor Williamson sarebbe forse stato un rinnegato modernista o avrebbe detto la Verità cattolica?

E’ modernismo ritenere che nella trattativa tra Fraternità San Pio X e Vaticano l’«olocausto» e le sue conseguenze non debbano necessariamente far parte dell’agenda? E’modernismo non cadere nelle trappole? E’ modernismo lasciare agli storici il dibattito storico, ai politici le battaglie politiche? Non credo.

Mi scrive l’amico Matteo Castagna: «Non solo col silenzio e la preghiera si fa apostolato, ma anche con la predicazione costante e, se serve, con la coraggiosa battaglia. Comporta rischi? Certo. L'esempio è Gesù Cristo. I cattolici dovrebbero esser disposti a correre qualche rischio per Lui».

Per Lui, appunto non per Faurisson! … Perché, così come non è verità di Fede che «chi nega la shoah, nega la Croce» (non lo ricordo come articolo di Fede del Credo), così non è verità di Fede che l’autenticità della Fede passa attraverso posizioni revisioniste.

Io non vorrei si confondesse l’antigiudaismo tradizionale con alcuna moderna posizione storica o politica, confondendo teologia, politologia e storiografia in un cocktail improbabile.

Piuttosto credo che sarebbe assai più utile una seria riflessione sul giudaismo, che sia in grado di approfondire proprio oggi, nel momento del trionfo mondano di Israele, cosa significhi per noi e per loro la frase terribile di Cristo «Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani siano compiuti». Perché la perdita dell’identità cristiana nelle nazioni dei Gentili sembra qui profetizzata da Cristo, quasi come preludio del ritorno del popolo ebraico in Eretz Israel.

Mi pare non sia sufficiente imprecare contro le tenebre, né limitarsi a denunciare e condannare l’ennesima manifestazione di orgoglio «etnolatrico» di Israele: certo nulla deve essere taciuto riguardo alle menzogne del giudaismo (l’ho mai fatto!?), ma ancor più per questo gli ebrei vanno amati. Notate che uso i termini giudaismo ed ebrei non a caso, giacchè gli ebrei sono pervertiti nella Fede dei loro stessi padri a causa del giudaismo.

Ma il loro trionfo, alla luce del monito di Cristo, parla alla nostra apostasia di nazioni che furono cristiane, la loro possibile conversione a quella che è divenuta la nostra perversione.  Rammentiamo le parole di San Paolo, che suonano terribili - come già quelle del Cristo - più per noi, che per loro:

«Ora io domando: Forse inciamparono per cadere per sempre? Certamente no. Ma a causa della loro caduta la salvezza è giunta ai pagani, per suscitare la loro gelosia. Se pertanto la loro caduta è stata ricchezza del mondo e il loro fallimento ricchezza dei pagani, che cosa non sarà la loro partecipazione totale! Pertanto, ecco che cosa dico a voi, Gentili: come apostolo dei Gentili, io faccio onore al mio ministero, nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni. Se infatti il loro rifiuto ha segnato la riconciliazione del mondo, quale potrà mai essere la loro riammissione, se non una risurrezione dai morti? Se le primizie sono sante, lo sarà anche tutta la pasta; se è santa la radice, lo saranno anche i rami. Se però alcuni rami sono stati tagliati e tu, essendo oleastro, sei stato innestato al loro posto, diventando così partecipe della radice e della linfa dell’olivo, non menar tanto vanto contro i rami! Se ti vuoi proprio vantare, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te. Dirai certamente: Ma i rami sono stati tagliati perché vi fossi innestato io! Bene; essi però sono stati tagliati a causa dell’infedeltà, mentre tu resti lì in ragione della fede. Non montare dunque in superbia, ma temi! Se infatti Dio non ha risparmiato quelli che erano rami naturali, tanto meno risparmierà te! Considera dunque la bontà e la severità di Dio: severità verso quelli che sono caduti; bontà di Dio invece verso di te, a condizione però che tu sia fedele a questa bontà. Altrimenti anche tu verrai reciso. Quanto a loro, se non persevereranno nell’infedeltà, saranno anch’essi innestati; Dio infatti ha la potenza di innestarli di nuovo! Se tu infatti sei stato reciso dall’oleastro che eri secondo la tua natura e contro natura sei stato innestato su un olivo buono, quanto più essi, che sono della medesima natura, potranno venire di nuovo innestati sul proprio olivo!».

Qualcuno avverte talvolta il dubbio che quell’invito a non montare in superbia, ma a temere Dio, sia rivolto anche a lui? Qualcuno si ricorda che non è lui a portare la radice, ma la radice a portare lui? Qualcuno ricorda che quella radice è ebraica, o ha adottato Marcione al posto di San Paolo?
 
Il problema è che - ci piaccia o meno - gli ebrei sono i nostri «fratelli maggiori». E’ inutile negarlo, lo sanno perfettamente anche loro, che, infatti, simmetricamente a certo ultratradizionalismo, rifiutano tale definizione. Invece, a chi è fedele alla Tradizione, quel termine deve stare a cuore. Giustamente, e ripeto giustamente, in una dichiarazione del 2 febbraio monsignor Fellay ha scritto: «Gli Ebrei sono i nostri fratelli maggiori, nel senso che abbiamo in comune l’antica Alleanza, anche se ci separa l’aver riconosciuto il Cristo quando lui è venuto».

E che siano fratelli maggiori va detto, anche se i giudei non vogliono sentirselo dire, così come occorre pregare per loro, pure se lo rifiutano. Nelle «Considerazioni sul messaggio del Papa per il Centenario della Sinagoga» di Roma il dottor Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma ha detto che «il dato più rilevante e certamente positivo è che  (…) non si faccia più riferimento ai «fratelli maggiori»; quest’ultima espressione usata nel 1986 fu certamente geniale e grazie ad essa l’uomo della strada capì che il rapporto con gli ebrei poteva essere di fratellanza; per il teologo o il conoscitore della Bibbia, invece, l’espressione poteva conservare il sapore della cattiveria dei biblici fratelli maggiori, da Caino a Esaù insieme all’idea della perdita della primogenitura a favore del fratello minore».

E’ vero - come insegna San Tommaso - che «bisogna predicare agli ebrei senza aver paura di urtarli, come Gesù Cristo, senza timore di offenderli, insegnava pubblicamente la verità che loro odiavano e li rimproverava dei loro vizi», ma qualcuno pensa il cuore di questo insegnamento sia costituito dalle tesi revisioniste? Io non nego che vi siano argomentazioni a base delle tesi revisioniste. Penso che don Curzio Nitoglia ne abbia offerto un ordinato resoconto, per il quale gli ho espresso il mio apprezzamento, in quanto si tratta di un compendio ordinato e misurato.

Nego invece che a questo argomento, simmetricamente alla shoah, debba essere attribuita da parte cattolica una valenza teologica, proprio per non aderire simmetricamente, seppure per confutarla, a quella «nuova religione immanentistica e idolatrica» di cui parla don Nitoglia, facendo riferimento al cosiddetto «olocausto».

Ciò che temo è che, invece, come ho già scritto, dietro l’enfasi sul caso Williamson, qualcuno, simmetricamente alla Sinagoga ed ai neomodernisti, per non andare nemmeno a sedersi al tavolo delle discussioni dottrinarie con Roma, preferisca «buttarla in rissa», sperando che l’arbitro fischi la sospensione della partita, col «fumo dell’olocausto» a coprire la scena. Sarebbe la via più semplice per mascherare una ritirata strategica da quel limite che lo stesso monsignor Lefebvre avrebbe in cuor suo certamente voluto valicare, firmando il protocollo fissato nel corso della riunione tenutasi a Roma il 4 maggio 1988 con l’allora cardinale Joseph Ratzinger e firmato dai due prelati il 5 maggio 1988. Sarebbe l’autogol che, è certo, i Martini, i Melloni, i Mancuso aspettano.

Ecco perché non rispondo oggi alle altre punzecchiature di alcuni lettori e di qualche amico: per non perdere di vista il problema vero. Tornerò sul problema e state tranquilli: come ho detto all’inizio sono alle corde, ma - come vedete - ancora lucido. «…Spugna!».

Domenico Savino



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