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La prima incompetenza: di Stato
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La buona notizia è che, a quanto pare, Marchionne in Elkann non ha accettato altri sussidi pubblici per tenere aperto Termini Imerese. E’ la voce del buonsenso, in un clima che prevede (e richiede) una riduzione del 30% delle produzioni di auto a livello mondiale, e visto che un’auto a Termini costa mille euro in più che altrove.

La cattiva notizia è che i nostri politici, a cominciare da Scajola e Lombardo (il governatore della Sicilia), erano pronti a sussidiare la fabbrica inutile ancora una volta: con 780 milioni di euro, pare. Di cui la regione sicula, 350.

In una radio privata sento un economista che mi pare intelligente (non ne ho colto il nome) strozzarsi di rabbia e dire: con quella cifra si potrebbe ridurre l’IRAP per tutte le aziende italiane, alleviando tutti i settori – non ad uno solo – di questo tributo fra il più idiota del mondo, che punisce la imprese quanto più personale impiegano.

Altra voce del buonsenso che resterà inascoltata. In piena depressione globale, il tipo di politiche «di sostegno» è demente: si tappano buchi  rispondendo alle richieste di clientele sediziose, o bacini elettorali privilegiati, senza un programma complessivo nè una parvenza di strategia.

Non va dimenticato il salvataggio della «italianità» della Alitalia: altri 500 milioni gettati per restituire una parvenza di vita alla carogna purulenta e, beninteso, agli azionisti-amichetti. Se li addizioniamo con la propensione dei politici a cacciarne quasi 800 per tenere in vita artificiale Termini Imerese, stiamo già parlando di 1,3 miliardi di euro.

I politici sono disposti a spendere tanto per gli stipendi di due settori comunque condannati, anzichè pensare a sostegni universali delle imprese. Il motivo è ovvio, la coltivazione del consenso elettorale e di certe clientele. Ma c’è di peggio: l’incapacità del governo – dei governi – di pianificare.

Siamo un Paese che perde competenze, ma questa è forse la più grave: l’arte di governo intesa come pianificazione generale, guida strategica dell’economia e della società. Capacità che esisteva, ed abbiamo perso. Perchè richiede studio serio, analisi e proposte a scadenza lunga (poco vantaggiosa per vincere elezioni ogni sei mesi), e grand commis relativamente autonomi dal potere politico, o relativamente esenti dal bisogno di farsi riconfermare ad ogni cambio di governo. La grande ondata dell’ideologia privatistica (fasulla) e delle privatizzazioni (truffaldine) degli enti pubblici di servizio s’è poi tradotta in una irresponsabilità generale.

Una conoscente che è nel settore immobiliare mi informa che a Milano, Comune e Regione stanno costruendo pezzi di città, tali da albergare 700 mila abitanti in più. A che scopo, per una ex-metropoli che declina demograficamente ed economicamente? Non illudiamoci che Formigoni e la Moratti stiano preparando un futuro immaginario; obbediscono a qualche loro clientela, probabilmente bancario-palazzinara. Spreco di risorse non solo scarse, ma ottenute a debito.

Sembra ieri, quando Berlusconi aveva lanciato una sua idea per il rilancio dell’edilizia: 30 metri quadri in più in ogni casa, o qualcosa del genere. Liberalizzazione del ripostiglio. La mezza idea malcotta è annullata dalle burocrazie comunali (i famosi «vincoli», in un Paese coperto di edifici abusivi), ma soprattutto dalla sua stessa  miseria intellettuale, così bassa da renderla impraticabile.

Il patrimonio edilizio italico è cadente, e conforma l’aspetto di città con bruttezze da quarto mondo, pronte a crollare ad ogni terremoto, sprechi di energia. Poteva essere l’occasione di un grande piano di riqualificazione urbana generale, in cui l’aumento di cubatura avrebbe dovuto essere il premio e il compenso per i costi di rimodernamento sopportati dai privati. Nulla, Berlusconi è incapace di pensare una qualunque complessità ambiziosa, con contenuti tecnici superiori a quelli che bastano a un palazzinaro. In compenso, è stato 43 volte all’Aquila a micro-gestire di persona le villette temporanee per gli sfollati, complete di pilastri antisismici, apparechio TV e surgelati nel frigo.

Ora pare che i giovani si iscrivano meno di prima all’università: è un’ottima notizia, visto che (salvo eccezioni) prendere la laurea non insegna nulla, nè serve a trovare un lavoro più pagato di quello di una badante. Si noti: dopo un quarantennio di «università per le masse», il 70% degli italiani non legge un libro l’anno, solo il 30% riesce a capire un comunicato della sua banca, sa navigare su internet, ha qualche nozione di lingua e aritmetica. Se il mito del pezzo di carta stinge, perchè non approfittarne per un grande piano che orienti i giovani all’artigianato qualificato?

Stiamo perdendo (anche) i saperi tradizionali, le grandi firme del Made in Italy non trovano ricamatrici, come le industrie, gli artigiani dei metalli e del legno (o della seta, o della gomma, o del modellismo) i tecnici di medio quadro capaci di ingegno. Ma anche questo richiede una pianificazione complessa: dall’adeguata informazione dei giovani sui contenuti degli artigianati alti,   ad una nuova conformazione delle assunzioni, dell’incontro fra domanda e offerta di specifiche nicchie, dei contratti di  apprendistato. Richiede sguardo lungo, responsabilità verso il futuro delle generazioni, e qualità professionale: qualcosa che è sparito per sempre dall’orizzonte del potere politico.

Sicchè abbiamo condannato una generazione ai call center. Solo che adesso anche questo «settore dei servizi» sta crollando: 50 mila posti di lavoro (se li vogliamo proprio chiamare così) sono a rischio causa depressione economica generale. Due grosse imprese, Phonemedia ed Omnia Network, sono fallite e chiedono la cassa integrazione (per i loro precari, a contratto a progetto).
Devastate dalla concorrenza al nero, di cooperative che insediano i loro centralini nei sottoscala, e vi imbucano giovani (magari laureati, ma che non vogliono sporcarsi le mani come artigiani)
sottopagati «a progetto»: dizione sarcastica di un lavoro e di un’Italia incapace di progetto alcuno.

Adesso si scopre che anche questo settore campava di incentivi fiscali: con la legge Damiano del 2006 (la sinistra al potere), si sono accordati sgravi contributivi a call center che «stabilizzavano» i loro precari, ossia davano loro contratti a tempo indeterminato. Nel Meridione soprattutto, gli sgravi erano totali: così i call center sono sorti a fungaia soprattutto lì.

«Abbiamo stabilizzato 25 mila posizioni», dice un sindacalista della CGIL, «solo che adesso gli incentivi sono in scadenza», e gli stabilizzati si trovano licenziati in massa. Il sindacalista non sa pensare ad altro che ad esigere «la proroga degli incentivi». Incentivi per il precariato non-qualificato: a questo siamo ridotti.

Proroga di Termini Imerese: per fare auto che nessuno comprerà. Proroga di Alitalia: per voli vuoti. Proroga dei miserabili call center: a chi telefoneranno, se non ci sono committenti nè mercato? Ed ora, proroga delle varie casse-integrazione.

Con i soldi risparmiati nelle proroghe, si poteva pianificare un futuro più ambizioso, migliore e condiviso per la società complessiva. Invece no: si va avanti nella crisi con «interventi» che sono rappezzature, sconti, favori, assistenza mascherata da posti di lavoro a categorie specifiche, le care al potere, le minacciose, le sindacalizzate.

L’Italia senza programma, è un’Italia in proroga. Con gli incentivi in scadenza.

Magra consolazione, non siamo solo noi ad avere un governo senza competenza. Zapatero s’è offeso che la Spagna sia stata messa a fianco della Grecia sotto tiro della speculazione internazionale, insieme ai PIGS qualunque puniti per i loro deficit. Non si trova uno statista che faccia la cosa urgente: indire una riunione dei PIGS, altrimenti detto Club Med, per discutere una  risposta concertata all’assalto, non esclusa l’uscita coordinata dall’euro. Già solo l’annuncio di una  tal riunione metterebbe i brividi alla Germania, che s’avvantaggia della nostra  impossibilità di riacquistare competitività  giocando sulla variabile monetaria. Sicchè noi PIGS cadremo divisi, uno dopo l’altro. Malissimo: con la moneta rigida, è l’occupazione che diventa flessibile.

Ma intanto, che cosa preme nella mente di Barroso, il commissario dei commisari eurocratici? Davanti a una zona euro che rischia la frattura, in cui Paesi interi saranno messi sotto tutela della Germania, che cosa pare più urgente, al Barroso, nato alla politica come dirigente della Federazione Portoghese degli Studenti Marxisti Leninisti, la sezione giovanile del maoista Partito Comunista dei Lavoratori Portoghesi? Lo dice Le Monde: «Barroso vuole estendere le coltivazioni OGM a tutta l’Unione Europea».

Finalmente un piano di lunga durata, un programma strategico. Solo che è quello della Monsanto.  (E tra l’altro: perchè Barroso governa ancora? Il Bilderberg non aveva eletto per noi tutti un certo Herman van Rompuy?).



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