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La serpe wahabita ha morso il seno
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Spero non sia sfuggita la sinistra ironia del fatto: nella Bengasi – «liberata» dagli aerei americani –, gruppi armati di militanti, co-autori della «liberazione» mettono a ferro e fuoco il consolato americano, e uccidono l’ambasciatore Stevens, più due Marines e un funzionario. Egitto: almeno tremila salafiti – alleati degli americani nella guerra e sovversione contro il regime laico di Siria – tentano di assaltare l’ambasciata statunitense.

La causa occasionale è un altro film offensivo per Maometto, in parte apparso su Youtube, prodotto da un giudeo americano, un ricco promotore immobiliare di nome Sam Bacile, che ha raccolto fondi tra una cinquantina di altri ricchi ebrei (1). E se ne vanta pure: «L’Islam è un cancro», dichiara al Wall Street Journal. L’intero mondo islamico è in fiamme.

Decidere se si tratti di estrema stupidità o calcolo machiavellico – creare altre difficoltà al detestato presidente Obama prima delle elezioni, smentire l’ipocrita declamazione ufficiale della Casa Bianca: «Siamo in guerra con Al Qaeda, non con l’Islam» – è difficile e forse inutile: ultimamente, in Israele e nel mondo ebraico, stupidità e calcolo sopraffino coincidono, sono un tutt’uno (vedasi Netanyahu).

In guerra con Al Qaeda? Gli Stati Uniti sono in alleanza con Al Qaeda, se per tale nome si intende – com’è ormai oggi evidente – la monarchia dell’Arabia Saudita, che sta diffondendo i combattenti islamici wahabiti e la loro «cultura» nel mondo musulmano (2). Nella Libia, che americani e occidentali hanno «liberato» da Gheddafi, i liberatori salafiti appoggiati dall’Occidente stanno facendo saltare ad una ad una le moschee e le tombe dei santi sufi, attorno a cui si riuniscono le confraternite: in questa devastazione della tradizione vivente dell’Islam africano, e nella satanica interruzione del «canale di grazia» (barakah) che spirava dalle tombe dei pii fondatori delle confraternite sufi, si rivela la vera natura dell’Islam wahabita (3).

I wahabiti jihadisti imparano (per lo più nella saudita università Imam Mohammad) a considerare eretici e nemici non solo i cristiani, ma tutti gli altri musulmani: sciiti, alawiti, sufi, relativamente più tolleranti; da sterminare. In questo, il wahabismo ufficiale della monarchia saudita (covo di ipocrisia religiosa unita a vizi inconfessabili, che i ricchi sauditi sfogano quando vengono in Europa, o in Libano, fuori vista dai loro fanatici) è alleata di fatto del sionismo. La monarchia del vizio vuole, come Israele, l’attacco all’Iran; il re Abdullah bin Abdulaziz in persona ha fatto lobby e pressioni sulla Casa Bianca perchè «tagli la testa al serpente», ossia a Teheran – di cui teme l’accresciuta influenza nel Golfo, oltre che l’improbabile atomica (mai i sauditi hanno alzato la voce contro le 200 testate israeliane).

In Siria, la casa dei Saud manda notoriamente e paga i combattenti salafiti contro il regime laico degli Assad; e i suoi combattenti sono riusciti ad affondare ogni tentativo di cambiare il sistema politico per mezzo di riforme, riportando continuamente alla lotta armata senza quartiere; ed approfittandone, già che ci sono, per massacrare le minoranze alawite, sciite, druse, cristiane – aprendo fra le comunità siariane un solco di sangue che non può che far piacere a Israele. Israele ha interesse a dimostrare che l’Islam è un mostro, è un cancro, e i salafiti di formazione wahabita sono lì per servire.

In questa sovversione hanno una gran parte, che sarebbe da lumeggiare, le numerose Organizzazioni non-governative (tale lo status che è stato loro riconosciuto dall’ONU, con voto americano) fondate fin dagli anni ‘80 dalla casa saudita e dai suoi ricchi uomini d’affari: la Muslim World League, l’International Islamic Relief Organisation, la World Association of Muslim Youth, e Al-Haramayn. In seguito, molte di queste ONG sono state accusate d’essere coinvolte in atti di terrorismo in vari Paesi, musulmani e no; alcuni dirigenti sono stati uccisi o messi in prigione, ma i più si sono dati alla clandestinità – per riapparire come combattenti islamici in Yemen, Marocco, Somalia, Libia, Indonesia, Mali. L’Arabia Saudita ha mantenuto i vecchi contatti con queste ONG per reclutare i salafiti inviati poi a combattere in Siria. Recentemente, il capo del movimento salafita «Al Asalah», del Bahrein, un tale Abd al-Halim Murad (un satellite wahabita), è andato in visita in Siria per contattare i capi della cosiddetta armata di liberazione e mettere a disposizione i suoi militanti della «rivoluzione». Il tutto con l’appoggio ufficiale ed ufficioso di Washington.

Secondo il solitamente ben informato Thierry Meissan, dato che il regime di Assad s’è rivelato un osso più duro del previsto, «cinquemila jihadisti di Al Qaeda dovrebbero essere spediti in Siria grazie a un accordo stilato fra Stati Uniti e Arabia Saudita, con un capo d’operazione che è nella lista dei terroristi, lo yemenita qaedista Al-Fadli». (Pacte USA-Al Qaeda sur la Syrie)

Washington è dunque l’alleato primario nell’espansione del qaedismo saudita, il che non impedisce agli americani di continuare a credere che sono stati 17 sauditi di Al Qaeda a provocare l’immane strage dell’11 settembre 2001. La «lotta ad Al Qaeda» si coniuga felicemente con l’armare e finanziare i qaedisti che stanno demolendo la Siria e la sua pluralità religiosa, che minacciano la Libia, che infuriano in Somalia e nel Mali.

Fino a che punto sia l’America a utilizzare qui il suo grande alleato Arabia Saudita, o al contrario sia l’alleata Arabia Saudita a forzare la mano agli americani, non è del tutto chiaro: ma questo è un altro punto di somiglianza fra Saud e Sion. Entrambi hanno bisogno della protezione armata del gigante americano per esistere. Entrambi se ne fanno i servi-padroni, anche se in misura diversa.

Il potere che l’Arabia Saudita esercita nei corridoi di Washington dipende in gran parte da un fatto: è uno dei principali clienti del complesso militare-industriale a americano, da cui acquista miliardi di dollari in armamenti, non importa se troppo sofisticati per l’armata locale – sono degli americani guidare gli F-16 e manovrare i sistemi missilistici venduti. Di fatto, senza gli acquisti sauditi, molte grandi imprese USA del settore sarebbero vicine alla bancarotta. Hanno un altro grande cliente, che è Israele: ma notoriamente, Israele non paga, è il governo americano che le dona ogni anno miliardi di dollari d ‘armamenti, con voto unanime del Congresso. In ultima analisi, è l’Arabia Saudita – tramite il contribuente americano – a pagare per le armi ad Israele.

La cosa viene ormai apertamente riconosciuta in Sion. Nell’aprile 2001, il giornale ebraico Yedioth Ahronoth ha pubblicato un’analisi così intitolata: Our Saudi Arabia Allies, i nostri alleati sauditi. Una delle conseguenze di questa alleanza fra due tribalismi, il wahabita e il talmudico, è questa: fino all’altro ieri, la lobby ebraica in USA si opponeva alla vendita di armi troppo avanzate ai sauditi da parte degli americani. Era una pressione rumorosa sui membri tremebondi del Congresso, che otteneva lo scopo: ai sauditi, i migliori clienti, finiva sempre il penultimo modello dei gadget letali, mentre l’ultimissimo era destinato a Israele. Adesso anche questa grancassa è cessata. Israele non si oppone più a forniture di armamenti a Casa Saud, perchè ormai vive l’Arabia Saudita non più come una minaccia nemmeno virtuale, ma come il suo scudo protettore, in prima linea in caso di guerra all’Iran. Si aggiunga che i sauditi non hanno mai sostenuto la causa dei palestinesi. Che hanno ricche relazioni commerciali con il giudaismo. E che entrambi sono stati tribali sostenuti da ideologie ipocrite e arcaiche. E si vedrà che l’alleanza fra queste due forme del Male, devastatrici della fede qualunque sia, era inevitabile.

Il problema è che cosa ci guadagni l’Europa a stare a questo gioco, sostenendo i salafiti nella loro guerra alla Siria (o in Libia). È l’Arabia Saudita a diffondere il verbo wahabita – ossia dell’odio e dell’intolleranza assoluta verso «i satanici miscredenti» che saremmo noi – fra gli immigrati. Quando vedete la vicina di casa musulmana indossare di colpo il fazzolettone o l’abito islamico, quando vi accorgete che il numero di donne fatte velare dai loro mariti è in crescita esponenziale, potete intuire quanto febbrile sia l’attività degli imam wahabiti inviati come missionari in Europa – in parte anche per liberarsi dei suoi militanti più agitati, che rischiano di scatenare una «primavera araba» all’interno.

Qualcosa di più allarmante è stato rivelato da Jacques Beres, uno dei fondatori di Medecins Sans Frontières, che è stato per due settimane in Siria, ad Aleppo, per curare e operare i feriti, per lo più i cosiddetti ribelli. Scoprendo che la metà sono mercenari stranieri, fra cui musulmani di cittadinanza francese. «È una cosa strana», cade dalle nuvole il dottor Beres parlando alla Reuters: «Dicono esplicitamente che non sono interessati alla caduta di Bashar al-Assad, ma a come prendere il potere per instaurare uno Stato islamico, un emirato mondiale, avente come legge la Sharia (...); certi miei pazienti erano francesi, completamente fanatici per questo futuro... Sono stati molto prudenti anche con me, il medico che li curava. Non si fidavano. Ma per esempio, mi hanno detto che Mohammed Merah era un esempio da imitare».

Mohammed Merah è il 23 enne francese di origine maghrebina che, in quel di Tolosa, ha ucciso quattro soldati francesi musulmani e tre bambini, più un rabbino nella scuola rabbinica del luogo, per poi farsi uccidere dalla Polizia asserragliato in un appartamento, nel marzo scorso. Il ragazzo era stato in Afghanistan nel 2010, e il servizio segreto francese DGSE conosceva quella sua missione, e a quanto pare lo utilizzava come informatore. O credeva di utilizzarlo, fino alla sparatoria finale, necessaria perchè il giovane non restasse fra noi a parlare di quel suo «lavoro» coi servizi. Sarkozy ha abbattuto Gheddafi creando le condizioni per un caos wahabita in Libia. Francois Hollande ha fornito armamento speciale (atto ad abbattere aerei) ai combattenti contro Assad in Siria, di cui metà sono mercenari e un numero imprecisato cittadini francesi fanatizzati dai wahabiti. Cosa faranno questi, quando torneranno in Francia? Cosa faranno nell’Europa così commossa dalle violazioni dei «diritti umani» in Siria, in Libia, altrove?

Ancora una volta, non si sa decidere se questa è stupidità o complotto. Probabilmente una cosa e l’altra: il Sistema – il Sistema della finanza che trionfa mentre devasta, il Sistema delle guerre senza vittoria che durano decenni, il Sistema dei «diritti umani» che toglie i diritti politici e tortura e uccide senza processo, il Sistema che ha inventato «l’intervento umanitario» (4) che sembra non mirare ad altro che produrre «failed states», Stati falliti come campi liberi per terroristi; insomma il totalitarismo della dissoluzione – è diretto da machiavellici cospiratori che sono di una stupidità senza precedenti. E forse, loro credono di dirigere qualcosa: mentre sono puri burattini in un’altra Mano, veri Pilastri del Nulla.





1) I media nostrani insistono a dire che il film insultante è stato prodotto «da copti egiziani che vivono in USA»: chi diffondequesta notizia falsa, al palese scopo di provocare un massacro di cristiani? Le Monde dice la verità: (Le film à l'origine des attaques en Egypte et en Libye est produit par un Israélo-Américain)
2) L’estremismo wahabita è fondato sulle dottrine di Ibn Abd al-Wahab, un imam saudita del 18 mo secolo. La famiglia reale saudita, arricchita dagli occidentali per il petrolio che giace sotto il deserto, ha usurpato la custodia dei luoghi santi islamici che spettava da secoli alla dinastia hashemita (la famiglia del re di Giordania). Re Faisal già 60 anni fa usava il wahabismo per combattere il nazionalismo arabo laico e modernizzante, quello rappresentato da Nasser in Egitto, e dal movimento baathista di Saddam Hussein in Iraq e degli Assad in Siria. La dottrina wahabita è anche il mezzo usato dalla famiglia reale per stroncare spietatamente ogni critica al suo regime nel nome della lotta alla «fitna», ossia – nel significato opportuno per il potere – alla sedizione.
3) Questo fatto mostra che il wahabismo è una deviazione dall’Islam, paragonabile in qualche modo all’iconoclastia nella cristianità, e al protestantesimo in Europa; come questo rifiuta il culto alla vergine e ai santi in nome del ritorno alla «purezza» evangelica, i wahabiti odiano come non-islamiche tutte le forme di culto più ricche, ritenute spurie e pagane. Fra queste ha un posto speciale il sufismo, a cui le pie famiglie islamiche sono affiliate da secoli, e dove ha grande spazio la preghiera intima, del cuore, per lo più insegnata da un pio asceta musulmano morto secoli fa. Tradizionalmente, un nordafricano nasceva già in una confraternita sufi, quella a cui erano affiliati nonni e bisnonni. Il culto delle tombe dei santi e delle loro tombe è giustificato col fatto che il pio asceta aveva dato origine ad un metodo di salvazione e di preghiera efficace, aprendo con la sua santità un «canale di grazia» a cui si abbeveravano gli adepti. È mia convinzione che, con la distruzione delle tombe sufi, i jihadisti wahabisti si rivelano uno dei successivi strumenti di Colui che– nel turbine della storia recente – ha mirato e approfittato di tutte le rivoluzioni per chiudere, eliminare e sopprimere fonti e canali di grazia. Dalla distruzione della Chiesa ortodossa russa e delle sue pratiche «del cuore» operato dai bolscevichi ebrei, allo scempio e vilipendio dei corpi di pie suore e frati, magari morti da secoli, operato dai comunisti in Spagna. Sono convinto che l’occupazione cinese del Tibet, altopiano di 4 mila metri sul mare, da cui c’è ben poco profitto da trarre, non abbia avuto altro scopo che spegnere la luce spirituale che da Lhasa si irradiava fin nella Mongolia, in Siberia e nella stessa Cina. Credo, anche se non posso provarlo, che una profanazione del genere abbia motivato le tante guerre del ‘900 contro l’Afghanistan, una specie di Tibet musulmano non solo per il suo posare sulle più alte catene montuose dell’Asia, ma perchè per millenni (non solo islamici) quelle montagne furono scelte da asceti – anche buddhisti – per meditarvi e santificarsi. Naturalmente, l’espulsione e la persecuzione dei cristiani oggi ferocemente in corso ha lo stesso scopo. E così le profanazioni ebraiche in Palestina. Le mani sono diverse, i fanatici possono esere ciechi, ma chi li comanda è sempre il Principe di Questo Mondo, e ci vede benissimo.
4) Il giornalista John Pilger ha riesumato un documento congiunto fra servizi americani e britannici del 1957, dal titolo «A Collision Course for Intervention», che già stilava per la Siria il seguente progetto: «Al fine di facilitare lazione delle nostre forze liberatrici (sic) uno sforzo speciale dovrà essere dispiegato per eliminare certi individui-chiave (e) procedere a destabilizzazioni interne in Siria. La CIA è pronta, e il SIS (oggi MI6) tenterà di montare dei sabotaggi minori e degli incidenti in appoggio allinterno della Siria (mentre) degli affrontamenti e degli incidenti alle frontiere forniranno un pretesto all’intervento... CIA e SIS dovranno usare mezzi secondo i casi mezzi psicologici e azioni sul terreno per aumentare la tensione». Pilger ha scoperto che questo diritto d’intervento umanitario veniva già predicato dal filosofi liberale John Stuart Mills nel suo trattato «On Liberty» («Sulla Libertà») del 1859: «Avendo a che fare con barbari, il dispotismo è un modo di governo legittimo», scriveva Mills, poi subito umanitario: «A condizione che il fine sia di cambiarli, di migliorarli...». (La manière libérale de diriger le monde: «changez, ou nous vous tuerons»)



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