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L’alienazione anglicanista che inquinò il mondo
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La gran confusione internazionale dell'ora presente è legata al fatto che l'egemonia mondiale degli Stati Uniti dell'America del Nord, non corrisponde ad un modello di civiltà ordinata al vero ed al bene, e perciò non è in grado di generare e diffondere la pace, che è la tranquillità dell'ordine.
Per capire le lacune di fondo di tale modello, si deve risalire alle sue origini, che sono europee, poiché la rivoluzione americana fu una specie di prova tecnica generale su scala ridotta e in posizione decentrata, allora in una remota colonia britannica, della successiva rivoluzione francese, destinata a colpire al cuore la più potente monarchia cattolica dell'epoca e con essa indirettamente la Chiesa.
Nella ex-colonia venne impiantata una democrazia rivoluzionaria (si veda Tocqueville,
«La Démocratie en Amérique») il cui stabilirsi poté dimostrare ai massoni di Francia, in massima parte reclutati tra i nobili e i vescovi - il capo della massoneria era il cugino del re -, che l'operazione era possibile.
Ora, una società ed uno Stato richiedono senz'altro ed assolutamente una fede, e quindi una religione.
Infatti, come ha osservato perfino Rousseau, «Non fu mai possibile costruire uno Stato senza che la religione ne stesse a fondamento» (1).
E lo stesso Voltaire afferma che «Dove esiste una società, la religione è assolutamente indispensabile» (2).
Dato quindi che le società hanno bisogno di una fede assoluta e che alle fedi è legato un culto, s'instaurò oltre oceano il culto della democrazia assoluta, in sostituzione di quello della dea ragione onorata sugli altari rivoluzionari del nostro continente. (3)
Tale culto diveniva così modello d'esportazione, e gli USA divenivano prima i depositari ufficiali, e poi il vettore messianico della fede democratica - della sovranità umana - che da secoli s'impianta in ogni luogo per sostituire la fede nella sovranità divina del cristianesimo.
Dunque si tratta di un sistema di pensiero proposto come «evoluzione» del metodo di governare su una base più «scientifica».
Da dove proviene tale idea?

Se la forza di tale impresa americana viene dalla semplificazione mentale ereditata dalla cultura inglese, sospettosa del pensiero teorico, è bene per capirlo approfondire un po' questo pensiero che si è rinforzato nel mondo anglosassone.
Si pensi ai filosofi, veri sofisti, tutti concentrati a cercar di provare che la logica, compreso il sillogismo aristotelico (Stuart Mill), non avrebbe un senso intrinseco e che la filosofia non sarebbe che un gioco di parole, da non prendere sul serio.
Il pragmatismo americano completa quest'opera.
Basti pensare alla filosofia di Emerson e di William James, secondo cui la verità ha per criterio, nell'ordine del credere, la fecondità, nell'ordine dell'azione, il successo.
Mentre in Europa il liberalismo, il naturalismo e il modernismo erano i pensieri ispiratori del motto libertà, uguaglianza e fraternità, negli USA, più pratici sul piano intellettuale, tale motto esprimeva la prassi per placare anche le dispute religiose ordinate al nuovo precetto: cercate il modello democratico-ecumenista americano e tutto il bene democratico vi sarà dato in aggiunta!

Le radici «filosofiche» dell'evoluzione scientifica democratica

Si è visto il legame di questa «nuova civiltà rivoluzionaria» con le idee della Rivoluzione Francese. Ma per capire anche le origini di questa non si può non considerare la «rivoluzione religiosa» inglese, uno dei momenti più bui di tutta la storia, quando la lussuria di un re cambiò radicalmente l'equilibrio e la precaria unità del mondo cristiano e fu accettato da quasi tutti i suoi sudditi che da un giorno all'altro hanno cambiato religione e riverito per papa un tale re.
Ci aiuta a capire tale collasso epocale, che tuttora condiziona mezzo mondo, la visione pratica di Hilaire Belloc, pensatore cattolico anglo francese, grande amico del geniale Gilbert Keith Chesterton, convertito al cattolicesimo dall'anglicanesimo.
Ma prima vediamo un po' come è evoluto il pensiero inglese.

La chiave mentale per capire il dilemma britannico


Qual è la chiave mentale per svelare l'apparente mistero di un popolo che cambiò completamente la sua tradizione di fede, ma ha tendenze conservatrici?
Poiché la gente guida la propria vita con la volontà che va guidata dalla ragione, è in questo campo che si trova la chiave del comportamento.
Siamo nel campo della filosofia e qui si trovano gli elementi per capire i grandi problemi umani.
Ma non si deve cadere nella trappola di cercarli percorrendo una «storia della filosofia».
Già qui si è fuori strada poiché la filosofia essendo legata alla verità - che non ha storia - è una e non può cambiare; o è vera e non ha storia o si tratta solo della storia del filosofare, o come piace dire oggi: «fare» filosofia.
Infatti, la vera premessa è questa: il pensare umano è decaduto e inevitabilmente imperfetto.
La sua pretesa di evolvere nella storia ne è la riprova perché l'aumento della sua confusione è nella realtà dei fatti.
Basta considerare le rivoluzioni e le guerre devastanti derivate dalle nuova forme di filosofare, come la marxista e la nichilista.
Seguiamo allora la storia del filosofare inglese, che è divenuta, come tutte le loro abitudini,
abbastanza tradizionale da lasciare una chiara e originale traccia.
Partiamo dal francescano Bacon.

Roger Bacon, da non confondere con Francesco (nato due secoli dopo), che seguiva quel ramo della scolastica inglese di aspetto tradizionale, ma dedicato specialmente ad una nuova visione, anche ermetica, delle scienze sperimentali.
Perciò Bacon si dedicò anche allo studio delle lingue antiche e all'investigazione matematica e fisica.
La sua sperimentazione si presenta, come si addice ad un monaco, in forma di «intuizione soprannaturale mistica».
Ma in verità è tutta applicata alla scienza naturale, come vogliono gli scienziati moderni più materialisti.

Giovanni Duns Scotus, (circa 1266-1308)
Questo gran contestatore di San Tommaso d'Aquino, conosciuto come «doctor subtilis», nacque in Scozia (perciò il nome «Scotus») e diventato francescano, studiò a Oxford e a Parigi, dove poi insegnò fino a trasferirsi all'Università di Colonia (1307).
Insisteva sulla distinzione tra fede e ragione e sulla limitazioni di questa in rapporto alla volontà, al contrario di San Tommaso, che spiegava la loro armonia.
Ma lo faceva in nome della spiritualità, per cui nel secolo XVI, quando le sue idee volontariste erano popolari, lui era molto impopolare presso i riformisti.
La sua posizione rimasta famosa fu la difesa teologica dell'Immacolata Concezione di Maria, allora negata da San Tommaso, ma più tardi, nel 1854, proclamata dogma da Pio IX, tenendo conto della Divina Maternità di Maria per l'Incarnazione del Verbo di Dio (4).
L'altra posizione di Scotus era il Regno di Cristo in terra, nel senso che l'Incarnazione non aveva per causa la Redenzione e il Peccato originale, fatto minore che poteva non essere avvenuto, ma il fatto principale della creazione della Terra per stabilirvi il Regno di Cristo.
Tutto molto bello, ma perché Dio avrebbe bisogno di creare il mondo per regnare in tale polvere dell'universo?
Il Signore Incarnato era più che il Re dei Re, ma non si era incarnato per essere riconosciuto tale dagli uomini.
Dalla sommatoria di tali posizioni di Scotus spunta curiosamente quanto lui poteva non volere: quel volontarismo che sovrapponendo la volontà alla ragione avrebbe preso forme varie.
Infatti, distaccando la ragione dalla fede si limitavano entrambe in rapporto alla volontà.
L'amore sarebbe superiore alla fede e sarebbe meglio amare Dio con la volontà che conoscerLo con la ragione.
Come se esse non fossero entrambi dono di Dio.
Era come dire che alla teologia e alla metafisica non raggiungibile con la ragione andasse sovrapposta la volontà, che apre la strada alla scienza umana, anche di Dio.
Era la via di Bacon.
Il fatto è che Oxford coltivò l'aristotelismo, specialmente nel senso empirico, aprendo la via al nominalismo e all'empirismo moderno: la conoscenza verrebbe dalla ragione a servizio di una «volontà attiva».

Guglielmo di Ockham, (1285-1349), fu un altro teologo-filosofo francescano di Oxford.
E quanto era stato tracciato dal volontarismo di Scotus fu accentuato dalla volontà di Ockham, che non dubitò di servire l'Impero contro il Papato, così come di scegliere la scienza fisica tralasciando la teologia.
Tutto perché le verità di fede sarebbero irraggiungibili dalla ragione ed estranee alla filosofia.
Ecco il volontarismo che aliena la ragione dalla Divinità, la quale a sua volta sparisce dall'orizzonte intellettuale come oggetto di contemplazione della mente.
S'inizia così, senza confessarlo, l'abbandono della filosofia perenne.
E' il processo dell'alienazione del «pensiero di Dio» alla base della conoscenza e della Filosofia cristiana per antonomasia, rappresentata dalla Scolastica tomista.

Dall'Utopia al Leviatano

Quale il punto di arrivo del «fare» filosofia?
Il concetto laicista della vita e dello Stato.
L'uomo con la sua nuova «filosofia scientifica» deve «idealizzare» tutto.
E' l'ora dell'Utopia di Tommaso Moro e del Leviatano di Hobbes, mentre in Italia abbiamo il Principe di Machiavelli e la Città del Sole di Campanella.
E' la nuova religiosità della volontà umana che richiede una riforma radicale, non più per capire l'ordine naturale, ma per stabilirlo.
Si elabora la scienza naturale che determinerà morale e religione naturali.
La modernità vuole pensare i propri presupposti e il suo dio.
Era l'inizio degli scavi archeologici nel pensiero di Platone, perfino di Gorgia e altri sofisti; della ricerca del demiurgo di Corinto e compagnia bella, perfino di un presunto ermetismo agostiniano. Tutto poteva andar bene, basta che si smettesse col rigore razionale della philosophia perennis.

La rivoluzione: dell'Ego protestante riformista dell'«Altro»


Esplode allora una pseudo riforma di pulizia filosofica dei contrari.
I principi d'identità e non contraddizione, di finalità e di ragione sufficiente sembravano discriminatori di fronte alla nuova volontà razionalista.
Tali principi oggettivi andavano messi alla pari di quelli soggettivi!
Pensiero spinto allora in senso diametralmente opposto a quello dell'esorcismo cristiano.
E il maligno non si è fatto pregare.
Ha invaghito i riformisti dell'idea di creare nuovi ordini religiosi e il re inglese Enrico VIII della sensuale e spregiudicata Bolena, che, come scrive Belloc, non risulta neppure fosse bella (5) ed ecco che la volontà liberata del bestione prese il sopravvento e portò la sua mente a giustificare la sua volontà di Anna nel piano nazionale e perché no, mondiale.
Sarebbe vero, direbbe quindi Severino, la volontà di fare stava al disopra della ragione.
In fondo la legge del fare provava la verità dell'esistere, che supera ogni ragione.
Volontarismo vincente?

Tommaso Moro (Sir Thomas More) è l'esempio vivo della volontà che tornò soggetta alla fede e alla ragione.
Esempio che dovrebbe valere, non solo per noi e per gli inglesi, ma per l'essere umano.
A che vale guadagnare il mondo intero con i suoi corsari e le sue guerre dei Boeri e dell'oppio, se alla fine si perde l'anima?
L'anima di una monarchia che in teoria sarebbe d'esempio morale per i sudditi, ma che in pratica si prostra davanti alle varie Anne, Wallis Simpson e Camille.
Si capisce allora il profondo dilemma compulsivo di quel popolo: seguire la volontà di potere e seduzione dei re o l'esempio eroico dell'ammirabile Tommaso Moro di convertirsi al vero.
Ecco il dilemma inglese proiettato nel tempo: seguire il cristianesimo delle verità obiettive o la seduzione di convertire il mondo al «fare» vincente dei suoi corsari sanguinari o alla «cultura» di Beatles stralunati.
La domanda può sembrare perfino provocatoria.
Eppure la storia del mondo moderno anglosassone come quella della loro chiesa modernista fu scritta sulla falsariga di un soggettivismo e idealismo tanto demenziale quanto letale, fattore di deliri e di apostasie.
Dove e con quale pensiero un vescovo avrebbe potuto scrivere quel «Honest to God» (John Robinson), e «create the furore it did...»?

Joseph-Pierre Hilaire Belloc, (1870-1953), poeta, saggista, storico e novellista, era un devoto cattolico che nei suoi libri non perse occasione per prendere in giro, in collaborazione con Chesterton, sia la società «Edoardiana», sia il socialismo «fabiano».
Belloc fu pure eletto come Liberal membro del Parlamento nel 1906, ma disilluso abbandonò la politica nel 1910.
Ha scritto biografie storiche e numerosi libri di viaggi, tra cui «The Path to Rome» (1902).
Riguardo al nostro argomento, egli si concentrò su due questioni di politica pratica che hanno un peso incontrovertibile.
La prima riguarda la «rivoluzione luterana» che incendiò l'Europa e contro la quale il re Enrico VIII si era inizialmente schierato, addirittura con un lavoro teologico di una certa importanza (realizzato, pare, proprio dal Santo Vescovo Fisher che in seguito farà decapitare), per cui ricevette da Roma il titolo di «Defensor Fidei».
La seconda riguarda la divisione delle forze in campo riguardo alla guerra religiosa scatenata dai protestanti nell'Europa continentale, che era in sostanza inizialmente equilibrata.
Per ristabilire l'unità cattolica precedente, il peso politico-militare della posizione inglese avrebbe potuto spostare tale equilibrio offrendo alla Chiesa una condizione vantaggiosa.
Viceversa, la caduta spirituale di quel re con il conseguente crollo religioso dell'Inghilterra invertì tale condizione squilibrando le forze a vantaggio del protestantesimo.

Una santa ma isolata reazione inglese

Ben pochi giusti tornarono in sé dal gran delirio anglicano, ma era tardi.
Tommaso Moro fu decapitato per aver difeso la fede e il pensiero che era generale solo pochi anni prima.
Fu ucciso in mezzo alla gran vergogna del silenzio generale di fronte alla volontà di potenza e di bassi interessi di quel regno.
E di tutti i vescovi cattolici, uno solo, il santo Vescovo di Rochester, monsignor John Fisher, anch'egli martire, non tradì la fede: tutti gli altri aderirono senza indugio all'apostasia del re.
E tutto è in fondo cambiato fino ai nostri giorni, perfino in campo cattolico.
Basti pensare che a Roma si sentì Giovanni Paolo II dire che Moro fu canonizzato perché difese la sua libertà di coscienza (soggettiva)!
Quanto ai principi fondamentali del retto pensare: che ne è stato fatto del principio basilare di identità e di non contraddizione?
Perché, se dalla Cattedra di Pietro, che dovrebbe essere la roccia oggettivamente piazzata della fede, circondata da mura, difesa da consacrati in tutto il mondo, sostenuta dall'obolo di San Pietro e da altre entrate oggettive, si giustifica la santificazione e salvezza delle anime con i princìpi soggettivi delle coscienze, allora a cosa serve essa stessa?
Non sarebbe secondo logica inutile soggettiva e oggettivamente?

Le ragioni della rivoluzione religiosa irreversibile

La situazione inglese avrebbe potuto ancora essere corretta dai successori di Enrico VIII, ma un secondo fattore, del tutto pragmatico, rese impossibile il ritorno all'indietro: l'avidità.
La distribuzione dei beni della Chiesa a quella nobiltà «greedy» ed a quel clero traditore che si erano inchinati alla ribellione divorzista regale.
L'apostasia saldata col terribile collante dell'avarizia.
E chi sarebbe poi stato disposto a restituire tali regali?
Se in Francia si sentì la frase - Parigi vale bene una Messa -  quei bravi nobilotti e quei colti ecclesiastici avrebbero urlato in coro - le prebende donate valgono bene un'intera tradizione religiosa.
E la rivoluzione anglicana fu così consumata.
Parlando di civiltà, qui si dovrebbe ricordare che quei beni ecclesiastici erano veramente al servizio dell'istruzione e della salute pubblica.
Cosa che poco o nulla interessava ad una classe feudale di bassa lega, che senza nemmeno pensarci iniziava la demolizione di quel precario equilibrio politico del «sacro impero europeo», che avrebbe causato le grandi guerre mondiali.
Roba da nuovi barbari, da corsari di terra e di mare che miravano ad una razzia anglicana d'ordine planetario, l'ambizione più ricorrente della storia, ma che questa volta aveva per retroscena l'alcova del re-papa e della verginità insaziabile di sua figlia Elisabetta.
Le voci più sensibili si davano allora alla musica, alle lettere e al teatro di Shakespeare.
Intanto le guerre divennero infinite fino al patto di Westphalia col suo infausto principio «cuius regio eius et religio», che in fondo legalizzava proprio l'opera anglicana.
Ma possibile che l'intelligenza inglese non abbia avuto un sussulto, un dubbio sulla stortura che tutto ciò significava per il mondo dello spirito?
Si può ritenere che gli inglesi più riflessivi sono da allora senz'altro combinazioni di nostalgici conservatori e potenziali convertiti.
E poiché sono conosciuti nel mondo come gente di carattere indomito, si deve riconoscere che in genere sono molto migliori del loro modo di pensare.

L'alienazione filosofica anglosassone

Quando potrò svelare meglio cosa sia stato il Vaticano II con le sue bombe a tempo, ci sarà occasione per riepilogare tutti i suoi errori nel campo del pensiero, già condannati dal Magistero, che ne hanno fatto «un ammasso di ambiguità, di inesatezze, di sentimenti nascosti, di termini suscettibili di qualsiasi interpretazione per aprire le porte della Chiesa alla modernità».
Per ora ci basti quanto ha detto l'arcivescovo Lefebvre sul contenuto del famigerato Schema 13:
«La sua fonte risale ai filosofi del XVIII secolo: Hobbes, Hume, Locke, Rousseau...».
Avrebbe potuto aggiungere altri anglosassoni, come Newton e il vescovo Berkeley.
Passiamo allora a considerare lo sviluppo di questo inquinamento mentale.
 
Su Newton rimando allo studio di Giancarlo Infante «Newton e la 'Crociata massonica del Settecento», del 04/01/2008 su
Partendo dalle idee di Ockham, la conoscenza non andava riferita a cose ma a simboli.
Per Galileo il gran libro della natura è scritto con simboli matematici.
Per gli idealisti la conoscenza andava riferita alle idee.
Dunque nei simboli, nelle formule ideali ci sarebbe la verità perfetta sul mondo e sull'uomo. Successivamente, si volle che per queste «verità ideali» valesse la pena rivoluzionare la terra, morire o uccidere per impiantare le formule da Lenin o da Hitler, ma anche quelle riciclate dai Guevara, dal prete Camillo Torres o dai Pol Pot di turno.
Un mondo impazzito da cretinate d'apparenza filosofica, da simboli e da idee astratte che uccidono davvero, ma nate proprio dall'odio per la vera Filosofia?
Volendo ignorare l'origine e il fine dell'uomo e della natura, si pretende tuttavia di stabilire formule certe per governarlo.
Si vuole perscrutare la natura della ragione, ma pretendendo di farlo con la propria ragione, come se essa fosse esente e al disopra del criticismo che la dovrebbe misurare! (kantismo)
Ad ogni modo Kant aveva ancora nella testa qualche sassolino metafisico che lo disturbava e quando batteva contro il muro dell'assurdo scopriva la realtà del mitico «imperativo cattegorico»! Ma non sarà così per i pensatori anglossasoni.

La filosofia inglese dei secoli XVI al XVIII


Come si sa l'immaginazione inglese è insuperabile nella creazione di nuovi giochi con nuove regole.
Ma anche nel campo della filosofia hanno fatto molto, ossia si sono liberati dalla metafisica senza colpo ferire.
E' vero che lo hanno fatto un po' alla cieca e senza accorgersi che con il loro empirismo sensualista convertivano il pensare in semplice psicologia.
Ma tant'è, chi inventa un gioco guarda all'effetto e nel continente si rimase meravigliati della nuova «filosofia», come oggi di Harry Potter.
Non si sa da dove viene né dove va, ma l'importante è svolazzare.
Eppure tale filosofia suggerisce una nuova tabellina evolutiva, invertita, del pensare umano:
da bambino si pensa secondo una metafisica; da ragazzino secondo una teologia; da giovanotto universitario come filosofo; finalmente da adulto come scienziati.
E il nuovo-vecchio saggio non sarà che uno scettico come Bertrand Russell.
Ecco la tabellina evolutiva ripresa dal Vaticano II col «cattolico adulto».
C'è solo da cambiare «scettico» con «apostata».

Francesco Bacon (1561-1626), ha preceduto Cartesio di un paio di generazioni.
La sua opera principale è il «Novum Organum», in cui presenta una logica induttiva, libera dai sillogismi aristotelici.
Per la scuola di Ortega y Gasset la sua fama di creatore di una nuova filosofia é decisamente esagerata.
Ma se si legge la sua «Cogita et visa» come opera filosofica del campo degli indovinelli, allora è nuova: se capisci, vinci, perché capire è chiave di una sciarada che scambia la mano con la testa,
il «fare» col capire.
Gran bel gioco, che si rifà alla metafora aristotelica dell' «organon» come logica per vincere; «natura non nisi parendo vincitur», si vince soltanto stando al gioco e conoscendo le quattro carte degli idoli: «tribus, specus, fori, teatri».
Quale è allora il problema?
Che tali giochi piacciono e possono servire a cambiare la mentalità sociale, ormai abbastanza adulterata.
L'uomo estenderà allora il suo «fare» per esperimentare e inventare i giochi sull'Essere stesso, visto come un rischio da interpretare.
Un gioco che avrebbe contaminato anche un mondo cattolico sedotto dal «fare» modernistico.

Tommaso Hobbes (1588-1679), è stato segretario di Bacon e ha conosciuto Cartesio.
Si è occupato di politica e di scienza dello Stato col suo «Leviatano».
E' stato empirista e nominalista, per cui il pensiero è una operazione simbolica, una specie di calcolo legato al linguaggio.
Per lui i processi mentali derivano dal corpo e dalla materia.
E da materialista nega la libera volontà e propende a un determinismo naturale.
Eppure, si occupa del governo dell'uomo sociale che, nella luce interamente pessimista dell' «homo hominis lupus», può solo risolvere la sua situazione naturale con la guerra di tutti contro tutti, «bellum omnium contra omnes».
Da ciò spunta lo Stato come mostro che divora e la sua idea del divino servirà solo per difendere il diritto dei re.
Qui il gioco si fa duro e ha per campo esperimentale il dominio e la guerra!

Giovanni Locke (1632-1704), politico liberale e filosofo dell'empirismo, è passato decisamente all'esperienza nel campo scientifico.
Sospettato di tradimento fuggì in Olanda nel 1683, ritornando in patria dopo la rivoluzione del 1688, della quale divenne il principale teorico.
Come filosofo sostenne, nella sua opera «Essay Concerning Human Understanding» (1690), che la conoscenza umana può derivare solo dall'esperienza.
In tal senso Locke, d'accordo col noto chimico Roberto Boyle (1627-91) si riteneva un operatore per il trionfo della scienza nel XVIII secolo.
La sua visione politica, che è nel suo «Treatise on Civil Government» (1690), insiste sulla superiorità della legge naturale su quella umana e della proprietà privata, ma era contrario al diritto divino dei re.
Ha difeso con vigore la tolleranza verso i dissidenti, esclusi gli atei e i cattolici!
Il suo trattato, «Some Thoughts Concerning Education» (1693), influenzò l'insegnamento attraverso la conoscenza a livello materiale, il cui oggetto dipende dall'esistenza dell'osservatore. (vedi Berkeley).
Perciò limita la capacità umana di conoscere, limitazione che culminarà con lo scetticismo di Hume.
 
Giorgio Berkeley (1685-1753), nato in Irlanda, studiò nel Trinity College di Dublino.
Dopo essere stato decano a Derry, partì per l'America con l'idea di fondare un collegio missionario nelle Bermude.
Di ritorno in Irlanda fu nominato vescovo anglicano di Cloyne.
Nella vecchiaia si trasferì a Oxford dove morì.
Pensava in simbiosi con Locke, ma il suo spiritualismo di chierico lo portava, anche se nominalista e idealista, a riflessioni metafisiche.
Il risultato è stato l'approdo ad uno spiritualismo idealista estremo, per cui la materia non esiste;
la sua realtà si esaurisce con la percezione.
Perciò, ecco la sua conclusione stupefacente: «esse est percipi».
Il mondo materiale sarebbe una rappresentazione o percezione del solo osservatore.
Come si capisce, anche senza essere filosofi, la mente umana al crocevia tra spirituale e materiale spesso si perde.
L'uomo può superare le sue sciocchezze nel campo del «fare» e salvarsi mediante il retto credere,
il guaio è che pretenda, seduto su una cattedra importante, insegnarle urbi et orbi.
Un «fare» ecumenista nel campo della religione, e una fede relativa nell'ordine del credere.
Berkley almeno non pretese di passare le sue intuizioni come dottrina della Chiesa.

David Hume (1711-1776), nato in Scozia, è il filosofo che ha portato alle ultime conseguenze l'empirismo iniziato da Bacon.
Abitò lungamente in Francia lavorando all'Ambasciata Britannica.
Frequentò allora gli ambienti dell'Illuminismo e dell'Enciclopedismo, facendo amicizia con
J. J. Rousseau.
Tornato ad Edinburgo nel 1769, sfruttò la grande reputazione di storico che si era guadagnata col suo libro «History of Great Britain».
Ma la sua fama vera era di filosofo grazie alla sua opera «Treatise of Human Nature» del 1739, la cui idea guida era che alla conoscenza si arriva solo con l'esperienza, cioè col «fare».
La sua visione soggettiva raggiunge il colmo dell'assurdo quando Hume passa dalla critica alle sostanze materiali, al proprio IO, che così non avrebbe più una realtà sostanziale; sarebbe risultato dell'immaginazione!
Varrebbe la pena conoscere la ragione per cui Rousseau, invitato da Hume, finì per litigare col suo anfitrione, che lo mise alla porta.
Forse Hume lo annoiò a morte volendo spiegare la nozione di sostanza come risultato di un processo associativo di impressioni sensibili, senza accorgersi che era proprio il contrario:
la percezione diretta e immediata viene dalla cosa e le impressioni ne sono solo il risultato apparso alla fine della percezione.
E l'Io soggettivo di chi viveva tra i fantasmi dei castelli scozzesi si deve esser scontrato con l'Io del «buon selvaggio» che non poteva accettare un tale suicidio virtuale: un pensiero soggettivo che elimina perfino l'io dei propri sensi è suicida; utile solo ad ispirare un giallo su un delitto perfetto! Un sonoro schiaffone avrebbe potuto schiarirlo sul suo io obiettivo!
Ma Hume anticipò Rousseau a causa del suo «Contratto sociale», critico della religione e dell'affitto, e preferì sfrattarlo.

L'enorme influenza delle scuole di pensiero inglesi in Europa

Questo genere di moderna filosofia britannica moderna, nonostante la sua inconsistenza, ha esercitato enorme influenza nel Continente, tanto che lo stesso Kant è dovuto correre ai ripari di fronte a certi pensieri «sperimentali» di origine anglosassone.
Il guaio è che si era alla ricerca di una «filosofia» per cambiare la società e introdurre in essa, non solo l'alibi spirituale del dubbio sistematico, ma il sensualismo, che dall'Eden in poi ha sempre causato rovine all'umanità.
A cosa, allora,  può portare la sperimentazione sull'essere, se non al materialismo e poi allo scetticismo e ad un agnosticismo universale?
A ciò infatti miravano le insinuazioni di questa «filosofia» britannica, che la gente pensa non di leggere, ma di intuirne i ritrovati, un po' come lo «spirito» del Vaticano II, che ognuno può intendere come preferisce, soggettivamente, tante sono le sue contraddizioni ed eresie riguardo al Magistero precedente.
Esso è imposto in quanto emanante da uno spirito evolutivo aperto al mondo che cambia e in grado di proporre una nuova visione, conforme all'«idealismo cattolico».
Ecco l'aggiornamento ai tempi che relativizza la trascendenza con l'operazione ecumenista, per cui ogni religione avrebbe avuto da Dio una diversa rivelazione (soggettiva).
Ma se tale aggiornamento vale perché fa sì che ciascuno pensi come vuole, in modo da realizzare la grande unione soggettiva, allora quel che esprime non vale niente.
Perciò molti cattolici rimangono adagiati in un'interpretazione propria del «non praevalebunt», per cui  sarebbe il «fare» del Papa e della gerarchia a preservare il dogma minacciato dal «fare» degli eretici e scismatici, e non invece la perfetta adesione dei cattolici al dogma atto a suscitare la difesa della Chiesa.
Parimenti, non sarebbe da ricercare l'unione nell'unica vera fede, senza fare accezione di persone, ma piuttosto il darsi da «fare» per conseguire una riunione allargata in ambito ecumenista.

La relativa reazione del «common sense»

Nella stessa filosofia britannica vi fu una reazione allo scetticismo e all'empirismo di Hume.
Si tratta della scuola scozzese di fine Settecento e inizio Ottocento.
Essa, nelle opere di Thomas Reid e Dugald Stewart, parte ancora dall'empirismo, ma arriva ad una realtà più diretta e immediata, ad un appello al «common sense».
Ora, anche se l'influenza di tale tendenza di pensiero fu limitata, penso che ci aiuti a ricordare l'antica posizione cattolica fondata sul buon senso di San Vincenzo di Lerino del V secolo, nel suo «Commonitorius» (434 dopo Cristo): «Magnopere curandum est ut id teneatur quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est».
Si deve sommamente procurare di ritenere ciò che è stato creduto dappertutto, sempre e da tutti.
(c. II: «Regola Generale per distinguere la Verità della Fede Cattolica dalle Falsità dell'eretica gravità»).
«Should some new doctrine arise in one part of the Church , Donatism for example, then firm adherence must be given to the belief of the Universal».
Ecco il canone che aiuta a stabilire un senso comune del credere, che contesta le novità che slegano dalla Tradizione, mantenendo la memoria del senso teandrico: da Dio all'uomo.
Citiamo ad esempio, la necessità del Sacrificio insegnato da Adamo ai figli, a cui si è creduto in ogni luogo e tempo, come dimostra la Storia, anche se non risulta da nessun trattato filosofico, psicologico, scientifico.
E' evidente, però, che anche la filosofia e la scienza senza ordine e memoria sono morte.

Il pensiero segreto anglosassone sul nuovo ordine del mondo


Dobbiamo qui registrare quei sistemi di pensiero proposti come «evoluzione» dell'essere e del metodo di «fare» per governare il mondo su una base più «scientifica».
L'argomento, di enorme importanza, è trattato da una letteratura immensa di cui non saranno citati che le correnti e movimenti principali nati dal pensiero inglese che combina filosofia e scienze naturali, religione e empirismo, potere e pragmatismo.
Tale pensiero ha prodotto in quest'ordine la Massoneria, la cui prima loggia ufficiale inglese è del 1717.
Essa diverrà il centro di raccolta dei pensieri rivoluzionari: dell'enciclopedismo, dell'evoluzionismo di Darwin, del teosofismo occultista della Blavatsky, Besant e compagnia, e poi dell'antroposofia di Steiner e del suo seguito pseudo cristiano.
Dall'agnosticismo di Huxley padre è derivato l'anticristianesimo di Julian Huxley che si è inserito nell'ONU con l'UNESCO e nei vari centri di pensiero mondialista dei Bilderberger, Trilaterale, Club di Roma e via dicendo.
Non sanno niente sulla natura e sul fine ultimo dell'essere umano, ma lo vogliono guidare, educandoci a non far caso di tale ignoranza.
Riepilogando: il pensiero segreto ha lo scopo preciso di scacciare Cristo dal pensare umano e cancellare il cristianesimo.
Ciò è tentato in modo diretto (Blavatsky) o indiretto attraverso una mutazione radicale (Leadbeater, vescovo della chiesa liberale, la scuola di Steiner e, più recentemente, l'unione ecumenista dell'URI) (6).
Ci sarebbe pure da considerare la rivoluzione messianica dei «British-israelites» per la proiezione di una super religione millenarista costruita su immaginari elementi storici. (a)

La grande unione «religiosa» del soggettivismo mondialista


Questa unione è stata ampiamente facilitata dalle novità del Vaticano II e concretizzandosi quindi nell'URI (United Religions Initiative) di sir Edmond Sternberg, col sostegno di Giovanni Paolo II. Tale movimento non si comprometteva così solo il pensiero cattolico della Scolastica, ma anche la visione cattolica della conoscenza necessaria all'autogoverno delle persone e alla preservazione di quel retto ordine universale, che non può prescindere dal primato del pensiero cristiano.
Nei suoi «Pensieri» Pascal diceva saggiamente: «L'impegno a pensare bene è il principio della morale».
E Blanc de Saint-Bonnet: «Ogni politica deriva da un'idea sull'uomo. Gli errori di un'epoca, i pericoli che essa corre, risultano dalla falsa nozione che regna negli spiriti. Se, come si dice, l'uomo è nato buono, che senso hanno i codici, a cosa servono i principi? Niente più si spiega nella nostra civiltà: tutto va rinnovato. Qui siamo alla sorgente degli eventi che ci colpiscono e spaventano nel momento attuale» («La légitimité, de la pratique en politique», I. III).
Ecco il pensiero cristiano.
Una visione fondata sulla Verità e giammai su una strategia ecumenista dove il pensiero sia libero e ciascuno pensi come vuole, ma sia aperto a realizzare una grande unione indifferenziata (soggettivista).
Quanto tale politica esprime è meno che virtuale; non è che la raccolta del liquame delle tante filosofie di «verità soggettive», come accusato da monsignor Antonio de Castro-Mayer, dall'arcivescovo Lefebvre e da tanti altri teologi e pensatori cattolici del passato.
La Religione di Dio vuole salvare la nostra ragione e la nostra volontà proprio da queste idee perverse mascherate da filosofie.
Perciò ha stabilito il Suo Vicario, che reggeva l'equilibrio tra i due estremi della catena del retto pensiero e del retto agire.
La Cattedra di Pietro è stata stabilita dalla Provvidenza a Roma perché mantenesse questo equilibrio tra pensiero e volontà, tra legge e spada; non la Roma dei cesari ma dei centurioni.
Questa Cattedra non era solo la prima guida della liturgia e della lode a Dio, ma la guida infallibile per conoscerLo nella Verità, nella Bontà e nello Splendore che la nostra mente può conoscere, specialmente se aiutata dalla Grazia.
Perciò la Roma cattolica era la sede del Katéchon e divenne il gran bersaglio dell'anglopensiero e derivati, che finanziò il focoso avventuriero Garibaldi, anche in Sud America, per minarla.
E oggi?
Non sarà che sono alla ricerca di un clone garibaldino anglosassonico per ultimare il piano?
Rimando all'articolo di Giuliano Rodelli, «D'Azeglio, gli italiani, finalmente, sono fatti» (Effedieffe, 11/01/2008) e ad alcuni dei suoi riferimenti (7).

Il XX secolo ha visto il tradimento dei «chierici filosofi»

Riprendiamo ancora Chesterton: «Oggi il criminale più pericoloso è il filosofo moderno, emancipatosi da ogni legge»; a questo lo scrittore francese Jean Madiran aggiunge, parlando dell'alienazione operata dalla rivoluzione conciliare del Vaticano II: «(emancipatosi) dalla legge di Dio che è il Vangelo, ed emancipatosi dalla legge naturale che è il Decalogo»; e continua:
«La filosofia moderna non è, in essenza, una filosofia, è un atteggiamento religioso a livello della religione naturale, una controreligione naturale, l'opposto dei primi quattro comandamenti del Decalogo; […] La formidabile eresia del XX secolo consiste nell'affermare cose che non sono vere in nessun ordine reale, in nessun dominio dell'essere, che sembrano vere solo nell'ambito della filosofia moderna e specialmente marxista, e che fuor da codeste farneticazioni ideologiche non hanno né una realtà, né un senso» («L'eresia del XX secolo», Volpe, Roma, 1972).

Il dilemma della conoscenza nella vita dell'uomo e del mondo

Perché attribuire alla teoria della conoscenza, alla epistemologia una così fondamentale importanza per la vita umana, al punto di riconoscere nelle deviazioni del volontarismo, dell'empirismo,
del sensismo e del nominalismo, delle idee pragmatiche dello scientismo, dello soggettivismo degli idealisti in genere, le cause del profondo degrado della «civiltà» moderna?
La ragione cattolica è semplice: il retto uso della libertà dell'uomo creato libero, ma decaduto col peccato, dipende dalla conoscenza del bene umano, che a sua volta dipende dalla conoscenza dell'origine, dello stato presente e del fine ultimo della vita dell'uomo.
In altre parole, l'essere umano per governare la sua libertà deve conoscere i princìpi per orientarla nel bene, per sé e per la sua società.
Ma come può farlo se tale conoscenza lo trascende come creatura?
Può conoscere il Bene dal Creatore che lo rivela.
Ne discende che l'appartenenza al solo Creatore dell'albero della conoscenza del bene e del male è un fatto puramente logico.
Dopo le ferite causate dal peccato originale e da tutti gli altri peccati successivi fino agli attuali,
un altro albero adatto a noi, quello della Croce, ci è stato dato per insegnamento e guida.
E' quest'ultimo, e non l'altro il corretto riferimento.
A tal punto la vera conoscenza è nella contemplazione del Verbo divino, nell'ascolto della Parola di Dio in senso teandrico, da Dio rivolta all'uomo, nella religione del Dio fattosi Uomo.
Ma fin dall'inizio l'orgoglio dell'uomo ha preteso e pretende di raggiungere la conoscenza di sé e del mondo con la propria ragione e volontà, nel senso dell'uomo a Dio, ossia androteistico, gnostico, teosofico, antroposofico, sperimentale e pragmatico.
Questa è la religione dell'uomo che si fa dio.

Il «dilemma» della conoscenza e il governo della società umana


Una volta che si riconosce risolto tale dilemma, come lo fa il cristianesimo, il dilemma rimane tale solo per quanti vogliono governare la vita dell'uomo, personale e sociale, con le proprie idee sulla verità umana.
Ecco allora l'elenco di queste vane tendenze nel segno del teismo e androteismo.
Riguardo alla volontà: volontarismo; all'esperienza: l'empirismo; alle sensazioni: il sensualismo;
ai simboli e parole: il nominalismo; ai successi d'ordine pratico: il pragmatismo; alle scoperte scientifiche: lo scientismo; alla verità come idea: l'idealismo.
Insomma, queste vie mentali per cercare la verità possono essere incluse nel soggettivismo, per cui invece di verità oggettive, ci sono solo quelle percepite soggettivamente.
Ma allora non si può nemmeno parlare di verità universali.
Ognuno avrebbe la libertà di averne di proprie, diverse e anche contrastanti, sulle cose semplici come sulle essenziali.
Per esempio, l'essere umano potrebbe avere o non avere un'anima spirituale immortale.
Il governo della vita umana potrebbe benissimo prescindere da questi «particolari» irrilevanti per una moderna democrazia!
Non si tratterebbe nemmeno di conoscenza, ma di «opinioni non scientifiche»!

La democrazia e il democratismo

Qui devo ripetere il rapporto ideale che deve sussistere tra civiltà e verità umane, tra il potere materiale e la capacità della coscienza collettiva di discernere tra bene e male con una visione spirituale consolidata.
E' pericoloso allora prendere per riferimento del retto pensiero quello democratico che è, per la neutralità che proclama, necessariamente agnostico.
E relativizzare il male è il peggior male, morale e mentale.
Il Papa Pio XII distingueva due forme di democrazia: una accettabile, consistente nel sistema del consenso per eleggere il governo che meglio rappresenti i governati; l'altra perversa, il cui democratismo pretende sottomettere al voto popolare princìpi assoluti, che trascendono ogni governo umano.
Sono i princìpi di governo per cui, «la dignità dell'autorità politica consiste nella sua partecipazione all'autorità di Dio».
Questo principio Pio XII applica alle sane democrazie, e solo esso può fondare il governo per «l'unità del genere umano e della famiglia dei popoli».
Dunque per Pio XII una cosiddetta «democrazia mondialista», una vera riforma mondiale, non può sussistere senza riconoscere il princìpio universale della potestà divina; che non è quello accettato dalle democrazie moderne fondate sui massonici «diritti dell'uomo» e tanto meno dall'ONU.
Ebbene, la chiesa conciliare confonde le due forme, perché mescola Cristo con Belial mirando ad una mera convivenza globale tutta terrena, come vuole il nuovo ordine mondiale.
Nel suo discorso alla chiusura del Vaticano II Paolo VI benedice esplicitamente questa «cultura»
i cui «valori... sono stati non solo rispettati, ma onorati, i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e benedette»! e la dichiarazione conciliare «Dignitatis humanae» lo dice implicitamente perché rimette la gestione di questioni come ad esempio l'aborto all'ordine pubblico di tale «civiltà».

Non si creda che questo scritto intenda alimentare sentimenti antibritannici.
Anzi, ammiriamo tutti quelli che, pur subendo l'atmosfera mentale inquinata dal volontarismo, dal nominalismo, dall'empirismo, dal pragmatismo, dall'utilitarismo, dal consumismo e da altri miasmi nefasti, prodotti da intellettualoidi vari, sono riusciti a ricavare persino da tali idee impulsi positivi per coltivare un carattere retto e lucido.
Abbiamo avuto e abbiamo molti amici britannici.
Ricordo con affetto e ammirazione Bill Morgan e quel Hamish Fraser che si è convertito da sfegatato attivista comunista alla diffusione del Messaggio della Madonna di Fatima. (8)
E coltiviamo ancora l'amicizia con quelle donne e famiglie inglesi che ci hanno invitato a girare il Sud dell'Inghilterra per parlare del gran Segreto, degli errori del Vaticano II e della tragedia dell'aborto.
Se la reazione inglese del tempo di Enrico VIII non fece storia a causa dello spirito di compromesso dei loro capi dell'epoca (9), i cattolici inglesi del nostro tempo, guidati dall'intrepido padre Baker e da altri sacerdoti fedeli, avrebbero potuto scuotere la barcaccia dei nuovi bucanieri religiosi, meglio di noi, italioti compiacenti, forse immuni dal pensiero volontarista, ma purtroppo anche dall'esercizio regolare della retta volontà.

L'essenziale è non rimanere mai indifferenti all'esistenza stessa di una verità inerente alla natura e fine dell'essere umano, né pensare che su questa conoscenza l'uomo possa formarsi un'idea propria, come nel caso dello gnosticismo.
Soprattutto mai negare il primato del pensiero cattolico trascendente per poter pragmaticamente aderire ad ogni posizione, politica o religiosa sull'uomo, allo scopo di giungere ad una soluzione unitaria ad un super governo mondiale.
Inutile dire che tale governo si reggerebbe su norme di diritto che, aliene da quella del Diritto naturale, sono di larva umana e contingente, perciò mai universale.
Ecco il paradosso a cui si arriva, specialmente se esso avrà per braccio armato la nazione più potente della storia, gli USA, dove impera l'idea di libertà, uguaglianza e fratellanza massonica. Tale idea, impregnata di filosofie demenziali, come quella democratista che stabilisce la verità sull'uomo col voto, hanno per culla l'Inghilterra.
In tale condizione di dominio delle idee sperimentali, soggettive, che decretano «verità» sperimentali e provvisorie, come non pensare che tale mondo non sia avviato alla completa alienazione dell'autorità umana capace di far rispettare il vero Ordine; va verso un disordine incontenibile.
Ecco il dilemma del disordine universale accentuato da un deviato anglo-filosofare.

L'impercettibile ma profondo inquinamento cattolico

Per concludere.
Il modo più breve per individuare la gravità dell'errore soggettivista e idealista sta nell'alienazione dell'idea stessa di princìpio, di causa e di fine.
Possono questi dati essere immaginari o sperimentali; nominalisti o simbolici; percepiti solo dai sensi personali o dalla volontà popolare con il democratismo; o forse calcolati dallo scientismo che brancola tra ipotesi?
Certamente no.
Eppure, questi «sistemi filosofici» nascono per stabilire una conoscenza e determinare una forma di governi della vita umana di cui si ignorano i princìpi, le cause, il fine.
Ecco la grande alienazione, che si estende al campo religioso e oggi anche a quello nominalmente cattolico.
Infatti, in mezzo ad una crisi che dura da mezzo secolo ci sono quelli che ne scorgono la causa non tanto in atti intrinseci che toccano il dogma e la fede, ma nel degrado precedente, contingente, anch'esso causato.
Non ha anch'esso le sue cause?
Prendiamo la Liturgia cattolica devastata dalla riforma del Vaticano II.
Si dirà: le cause precedono lo sfascio.
Vero, ma si può negare che esso è stato il vettore di quel movimento liturgico di Dom Beauduin, condannato da Pio XI e da Pio XII, ma approvato da Giovanni XXIII.
Eppure, si vorrebbe fare un «nuovo movimento liturgico... che richiami in vita la vera eredità del Vaticano II, magari un Vaticano III, ma con quali princìpi?

Quel che manca sono i santi che li riconoscano e magari Dio che ci metta le mani, perché Ratzinger rappresenta... allo stato delle cose... il massimo che lo Spirito Santo ha potuto destare nella Chiesa... cure più drastiche di quelle messe in atto potrebbero uccidere il «malato».
Anche Dio sarebbe qui limitato dall'empirismo del «fare»!
E tornare ai princìpi cattolici potrebbe essere mortale!
Quindi, si faccia l'esperimento di una mezza tradizione, di una mezza fede, di una liturgia mutilata in senso ecumenista.
Elementi integri di fede potrebbero essere fatali.
Ma a questo punto si confessi, non si tratta di princìpi, ma di mezzi, non di cause ma di opinioni; non di agire ma di fare.
Si rinforzi allora la collaborazione con la mentalità liturgica inglese.
Essi hanno trionfato, almeno nel loro mondo ancora non del tutto empirico.
Così si arriverà prima in fondo al pozzo dell'abisso (confronta Apocalisse 11).

Quando Paolo VI ha voluto imporre il suo Novus Ordo da quelle parti, molti intellettuali hanno manifestato la loro indignazione in pubblico e il cardinale Heenan ha dovuto chiedere a Roma, inascoltato, di soprassedere da tale proposito, altrimenti molti cattolici inglesi avrebbero potuto rifiutare il nuovo rito che, secondo quanto dichiarò l'arcidiacono Pawley, osservatore anglicano al Vaticano II e consulente di Paolo VI, «non solo attiva (il senso protestante), ma lo supera nel rito anglicano di Cranmer» (10).
Il risultato dell'imposizione, come noto, fu, specie in Inghilterra, come del resto anche altrove,
il crollo verticale della presenza dei fedeli nelle chiese dove ora veniva loro ammannita sulla tavola protestante la nuova messa anglicanizzata, con la conseguente rapida scristianizzazione generale.
Qui dobbiamo ripetere il rapporto ideale che deve sussistere tra civiltà e verità umane, tra il potere materiale e la capacità della coscienza collettiva di discernere tra bene e male con una visione spirituale consolidata.
E' pericoloso, allora, prendere per riferimento del pensiero la democrazia, le cui ideologie sono, - o indifferenti all'esistenza stessa di una verità inerente alla natura e fine dell'essere umano, come è l'agnosticismo; - o che su questa conoscenza l'uomo possa darsi un'idea propria, com'è lo gnosticismo; - o negatrice della trascendenza per poter accettare pragmaticamente ogni posizione, politica o religiosa sull'uomo, allo scopo di arrivare ad una soluzione di governo, come è l'ateismo pratico, magari mascherato da democrazia «cristiana».

La vera preghiera cattolica

I cattolici devono pregare perché sia fatta la volontà di Dio; per la conversione della volontà di tutti; della propria come di quella degli ebrei; del prossimo come degli inglesi, a quell'armonia che deve sussistere tra ragione e volontà nell'uomo spirituale creato da Dio.
A questo punto si deve invocare l'aiuto dei grandi santi inglesi: San Vilfredo, Santa Eanfleda, regina, San Riccardo, re del XIII secolo sepolto nella chiesa di San Frediano a Lucca, San Edmondo re, Sant' Edoardo II re, Santa Margherita, regina di Scozia, San Tommaso Becket, San Simone Stock, San Giovanni Fisher, vescovo, San Tommaso Moro, i beati Tommaso di Sherwood, Giovanni Stone, Arturo Abate, Tommaso Percy, Roger Dickenson, Raul Milner, Giovanni Olgivie, Edoardo Coleman, Sant' Edmondo Champion e i dieci compagni gesuiti inforcati e squartati e tutte le vittime cattoliche di Enrico VIII, Elisabetta I e successori.
Una «filosofia» che volesse alienare la ragione a favore di una volontà diretta all'amore di Dio è tanto falsa quanto letale per le anime.
Lo stesso si dica della preghiera.
I buoni teologi distinguono tra fare e operare.
Il fare può essere sperimentale; l'operare ha una direzione: «cerca il Regno di Dio e la Sua giustizia, il resto lo avrà per giunta».
Il grande pensatore inglese, l'illuminato Chesterton, convertito al cattolicesimo, spiegava che un errore nel campo del pensiero è peggiore di un delitto, è matrice di molti delitti, presenti, ma anche futuri, che si estendono in un ampio arco di tempo storico.
E l'errore degli errori è il voler anteporre valori umani ai princìpi divini, il materiale allo spirituale, un ordine sperimentale, gnostico all'Ordine Cristiano fondato sulla roccia del Sacrificio di amore di Gesù Cristo.
San Pio X ha bloccato il «pensiero modernista», che raccoglieva anche il peggio del pensiero anglosassone.
Con ciò ha difeso la sana dottrina con i princìpi della fede, da cui derivano la Liturgia e anche la visione storica cristiana.
Ma questi campi erano più aperti agli innovatori e sono stati frequentati dai vari Sangnier, Loisy, Duchesne e i loro discepoli Turchi, Roncalli e compagnia.
E poi nella liturgia dal movimento liturgico di Dom Beauduin, amico di Roncalli e di tanti modernisti.
Viviamo forse l'interregnum in cui il Sacrificio perpetuo è sospeso, come profetizzato dal profeta Daniele, ricordato da Gesù (Matteo 21, 15)?

Comunque sia, che nessuno s'inganni: l'atto redentore è il principio diretto ad unire la volontà e la ragione umana decadute, ovvero staccatesi dall'adesione alla Verità.
Aggiornare allo sfascio moderno la visione di quest'atto nelle coscienze, nella propria vita e nella lettura della storia universale significa abolire la capacità d'opposizione del bene al male.
Tutti i nostri mali, civili e religiosi hanno per causa finale lo stacco delle coscienze dalla visione del Sacrificio, l'aborto nelle coscienze del pensiero del Creatore della vita umana a Sua immagine e somiglianza, animata dal Suo Spirito.
Solo in Cristo, rivelatoSi la Verità, si può attingere la conoscenza per mettere a frutto nella costruzione della pace e la forza di applicarla a questo mondo, a ciò presentandosi con quel credito minimo di buone opere, ma anche con una ragione preservata retta, integra e pura, per la riscossa della vita in questo mondo, in modo di meritare quello che nel profondo dell'anima è l'aspirazione più alta: la comunione nella Verità del nostro adorabile Redentore.

Daniele Arai



1) J. J. Rousseau, «Del Contratto Sociale», Libro IV, capitolo VIII.
2) Voltaire, «Trattato della Tolleranza», capitolo XX.
3) La cosiddetta Dea Ragione del tetro culto rivoluzionario francese venne effettivamente impersonata a Parigi da una meretrice portata in trionfo nella cattedrale di Notre-Dame dove si svolse un satanico rito il 10 novembre 1793.
4) Costutuzione Apostolica di Papa Pio IX «Ineffabilis Deus», 6 dicembre 1854.
5) «L'aspetto di Anne era singolare. Aveva un portamento piuttosto cattivo, un busto piatto con spalle rotonde. Aveva un collo assai sottile, con un pomo d'Adamo prominente e largo al quale si pensò fosse dovuta la sua realmente bella voce da contralto. Aveva anche lisci capelli scuri e potenti occhi neri. Bella in un qualunque ordinario senso del termine non era certamente. Ma possedeva uno strano e malsano potere di attrazione, efficace almeno su alcuni tipi di uomini. Era leggermente deforme. Il mignolo di una mano era sdoppiato. Quelli che volevano lusingarla la chiamavano 'due unghie'. La gente di parte opposta diceva apertamente che aveva due mignoli. Era un difetto che era sempre in ansia di nascondere meglio che potesse. Usava il suo fascino in modo calcolato e freddamente, e lo usava fin da precocissima età», Hilaire Belloc, «Characters of the Reformation», 1936, Capitolo IV, «Anne Boleyn».
6) URI, in «Massoneria e sette segrete - la faccia occulta della storia», Epiphanius, Editrice Ichthys, Albano Laziale, Roma, 2002, pagine 591-604.
7) John Stuart Mill e Thomas Carlyle ebbero modo di esprimersi così: «Essi [i britannici] non si sentono mai al sicuro a meno che non vivano all'ombra di qualche finzione convenzionale - una sorta di intesa a dire una cosa e significarne un'altra… Gli inglesi, visti da una certa angolatura sono certo un popolo straordinariamente stupido. Visti da un'altra angolatura essi ti colpiscono continuamente come un popolo nel quale il talento, di un certo tipo, abbonda […]». A sua volta, Carlyle, scrive Mill, sosteneva che «Gli inglesi… agiscono in maniera assai più razionale di molta altra gente, ma sono più ottusi degli altri nel fornire le ragioni… Agire bene senza essere in grado di dire perché si agisce così, significa agire bene solo per caso, vale a dire perché è capitato che degli istinti… indirizzassero sulla buona strada». Per questa via si spiegherebbe il male che quel popolo ha diffuso nel mondo per secoli, spacciandolo per civilizzazione.
8) Tanto il Santo Curato d'Ars che Belloc, hanno profetizzato, ciascuno nel suo ambito, la futura conversione dell'Inghilterra.
9) Molti non sanno che i cattolici insorsero, quando l'incameramento dei beni di circa 500 monasteri sparsi in tutta l'Inghilterra, dapprima presentato come «riforma», si mostrò chiaramente come abolizione e rapina. Nell'autunno del 1536 Enrico VIII si trovò a dover fronteggiare la peggior crisi interna del suo regno: la ribellione generale detta del Pellegrinaggio della Grazia  («Pilgrimage of Grace»). Partita dal Lincolnshire, si diffuse rapidamente in tutto il nord dell'Inghilterra. Sotto la bandiera delle Cinque Piaghe di Cristo, nobili e contadini s'erano uniti, domandando il ripristino dei monasteri e il ritorno alla religione cattolica. Alcuni monaci e preti svolsero un ruolo di guide della sollevazione, con prediche infuocate e talora perfino indossando l'armatura. Assicuratasi il controllo del nord, l'armata formidabile e disciplinata marciò verso sud. Quando raggiunsero Doncaster, solo le ben minori forze del re si interponevano a Londra tra loro e lo stesso trono di Enrico. All'alba del 26 ottobre, i cattolici passarono in rassegna le truppe. Là c'era tutto il fior fiore guerriero del nord: circa 30.000 uomini, più altri 12.000 in riserva a Pontefract. Era la più grande armata vistasi in Inghilterra dalla Guerra delle Rose. Ma sebbene i capi degli insorti avessero di fronte solo 8.000 uomini di Enrico, per il loro spirito di compromesso scelsero di negoziare,  volendo pensare che l'attacco alla Chiesa non era opera del re, ma dei suoi malvagi consiglieri tipo Cranmer. Enrico facilmente promise perdono e pacificazione, e credendogli, i cattolici sciolsero la loro armata. Ma pochi mesi dopo, dei tumulti di poca entità causati al nord da nuove angherie reali, gli dettero la scusa per la terribile vendetta che voleva realizzare. Gli aristocratici cattolici non allineati finirono decapitati ed i chierici ammazzati, previa tortura e squartamento.
10) Vedi «Pope John's Council», Michael Davies, Angelus Press, Dickinson, Texas, 1980, pagina 242.
a) Questa nota va sottomessa a Maurizio Blondet
British-Israelites: teoria religiosa che combina dosi diverse di razza eletta, religione primordiale, storia ermetica e perciò gnosticismo, per arrivare ad un regno britannico perfetto, in continuità con quello di re Artù e giugere al «grande» Enrico VIII, discendenti di Giuda o forse della tribù di Beniamino o di Giuseppe d'Arimatea (re Davide l'hanno lasciato ai francesi).
In verità pare una fiction promossa da quanti, già allora, dominavano i mezzi di comunicazione con lo scopo iniziale di giustificare con elementi d'ordine storico la rottura della Church of England con l'autorità cattolica.
Naturalmente a questo scopo, teologi adulatori si sono dati da fare per rivendicare al loro re la discendenza dalle tribù d'Israele, magari quelle disperse e di storia oscura.
Nelle Isole la nuova religione in poco tempo si rivelò lontana dal cristianesimo e aperta perfino ai Druidi e al politeismo.
Insomma un prodotto sinistro, degno dalla libidine regale; teoria fantasiosa tornata però con successo nel XIX secolo, quando poteva servire da recipiente per le tante sette che spuntavano in USA.
Di queste la Chiesa di Dio di H. W. Armstrong, pastore che fece la sua fortuna scoprendo che nell'elenco delle molte chiese protestanti non figurava il nome più diretto: chiesa di Dio.
Ha sviluppato allora la sua lettura delle Scritture per affermare la missione nel mondo di una nuova religione, potenzialmente millenarista, fondata in quella vecchia «tradizione» storica, sfruttata anche da altre correnti religiose.
Tale chiesa che vanta 5 milioni di fedeli nel mondo ora si chiama Worldwide Church of God e non professa più quanto insegnava il suo fondatore, ormai morto: «He believed Anglo-Israelism - the doctrine that the Anglo-Saxons of the United States and Britain were the true descendants of the House of Israel, while the Jews descended from Israel's other division, the House of Judah - provided the key to understanding the Prophets. He concluded that instead of applying the House of Israel prophecies to the Jews, one should apply them to the United States and the British Commonwealth».
La vecchia «tradizione» storica continua ora ad essere sfruttata da altre correnti religiose.
Di queste la principale sembra la Federazione che professa: «The Federation believes in the whole Bible it therefore believes the Covenants made between God and Abraham, Isaac and Jacob-Israel are everlasting and that the British nation plays an important part of God's great plan for world order».
In conseguenza la presenza della Chiesa cattolica in Palestina, come lo era in Inghilterra, è una grave minaccia e deve finire!
Oggi, conoscendo l'estensione del potere ebraico negli USA, non solo in termini di ricchezza, ma d'influenza, di cui persino i leader «religiosi» più popolari dipendono, è impossibile non pensare che ormai essa pende ben più per gli israeliti che per i british, è ben più sotto il nome Cohen che Armstrong, ben più favorevole ad un atteggiamento pro Israele che altro.
A questo punto un americano cristiano «reborn» può sentirsi portato a realizzare il «regno del mondo nuovo», secondo ideali sionisti, da inserire nella mentalità americana.
Si capisce allora il punto di vista di Petras (1), che «preferisce parlare di 'Zionist power configuration', di cui la lobby riconosciuta e propriamente detta (l'AIPAC, American-Israeli Political ActionCommittee) non è che una rotella di 'una complessa rete di gruppi interconnessi, formali e informali, operanti a livello internazionale, nazionale, regionale e locale', tutti concentrati 'come un laser' sullo scopo unico di sostenere lo Stato d'Israele in tutte le sue più discutibili azioni, pulizie etniche, genocidi a rate, guerre d'aggressione, e di silenziare ogni obiezione. Questa 'Configurazione sionista del potere' 'controlla la selezione dei candidati politici, può sconfiggere aspiranti che osassero criticare Israele' può 'far licenziare giornalisti che non collaborano e anche docenti universitari'; chi 'non sta allineato e coperto' può essere sbattuto fuori 'bandito dai media mainstream'. Maurizio Blondet».
Come si vede, dalla tentazione e peccato di Enrico VIII è sorta una corrente di potere incontenibile, uno scambio faustiano all'insegna della conquista del mondo intero in cambio della propria anima. E entrati nella morsa della guerra, l'intervento dei poteri occulti dell'alta finanza in tale scambio diviene inplacabile.
Si veda il caso del ministro Balfour, che autorizzò la formazione dello Stato d'Israele in Palestina. (confronta «Caso Balfour-Freedman», Effedieffe, 21.12.07).
10) James Petras, «The power of Israel in the United States», Clarity Press, 2006
 
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