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Giappone: fuga dal dollaro
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Gli investitori giapponesi si liberano in massa dei dollari (1).
Approfittando di un lieve rialzo della divisa USA contro lo yen, non solo uomini d’affari, ma pensionati e casalinghe si sono dati a vendere dollari al Tokyo Financial Exchange.
Ciò, perché ormai prevedono in USA una forte recessione.
«Evidentemente, non credono in una ripresa dell’economia americana verso fine anno», dice Yuji Kameoka, economista-capo al Daiwa Institute of Research: «Ci si aspetta che il dollaro crolli».

Il fatto è gravido di conseguenze, perché il Giappone ha enormi riserve in dollari, guadagni del suo export; ne ha più della Cina.
Gli investitori privati giapponesi hanno 1.536 trilioni di yen (14.2 trilioni di dollari) in attivi finanziari.
Benchè il dollaro si sia svalutato sullo yen del 13% da giugno 2007, molti investitori nipponici detengono dollari (anzi si indebitano per comprare dollari) perché i bond, titoli e Buoni del Tesoro USA fruttano tassi d’interesse più alti che i Buoni giapponesi, praticamente a tasso zero.

Ma ora il beneficio degli alti interessi si avvicina al punto di essere eroso dalla caduta del dollari
(la differenza tra il Treasury Bill USA a due anni e il pari titolo giapponese è arrivato a 1,28), sicchè ogni lieve rialzo del dollaro provoca una valanga di vendite opportuniste.
Anche perché ci si aspetta che i tassi americani scendano con il rallentamento dell’economia USA.

Il fiuto dei singoli giapponesi coincide con l’analisi di Europe 2020, il sito francese spesso da noi citato, il quale ha previsto da tempo una «Très grande Dépression USA», tale da «incidere direttamente sui fondamenti del sistema internazionale che sottende l’organizzazione planetaria da decenni».
In una parola, il tramonto traumatico della superpotenza (2).
Infatti «non sono l’Europa né l’Asia ad avere un tasso di risparmio negativo, una crisi immobiliare generale che getta sulla strada milioni di cittadini, una moneta in caduta libera, deficit pubblici e commerciali abissali, una economia in recessione e, per giunta, guerre in corso costose da finanziare».

Ciò non significa che Europa e Asia non soffriranno della crisi Made in USA: ci attendono anni di stagflation, stagnazione ed inflazione insieme.
Significa che «l’evoluzione dell’economia USA e delle altre regioni del mondo non sono più sincronizzate: Asia ed Europa evolveranno secondo traiettorie che non saranno più determinate da quelle dell’economia americana».

La fuga dal dollaro dei giapponesi è il primo segnale del «découplage».
Il fenomeno presenta lati paradossali.
Il fatto che le spese al dettaglio dei consumatori americani siano ancora cresciute (del 4%) ha fatto esultare Wall Street - dunque, la crisi non c’è - ma a torto.
In realtà, i consumatori americani spendono di più perché i generi di prima necessità costano di più (3).
Consumano come prima o meno, ma i prezzi del carburante sono cresciuti del 22% nell’ultimo anno, quelli alimentari del 6%.
Le vendite dei grandi magazzini sono calate del 3%; aumentano invece le vendite nei «discount».

L’Iran e il Venezuela hanno proposto in sede OPEC di prezzare greggio e gas in monete diverse
dal dollaro.
E benchè gli altri membri esitino a discutere la proposta apertamente (sono protettorati americani), il Katar ha annunciato che progetta di staccare la sua moneta dal dollaro a cui è agganciata, come ha già fatto il Kuweit.
La dipendenza dal dollaro non solo produce perdite a questi Paesi esportatori, ma fa loro imbarcare inflazione.

Gholam Reza Ansari, ambasciatore di Teheran a Mosca, ha detto in un’ntervista alla radio Echo Moscow: «tiamo provando a lanciare la nostra Borsa petrolifera in Iran, e cercando un sostituto al dollaro, che potrebbe essere il rublo».
Effettivamente Dimitri Medvedev, il futuro presidente ed oggi capo di Gazprom, ha espresso l’intenzione di prezzare il petrolio e gas russi in rubli.

Questo genere di proposte, fino a ieri, si scontrava con un dato di fatto: Paesi come la Cina e il Giappone, con le casseforti stracolme di dollari, non avevano alcun interesse ad accelerare il deprezzamento della divisa USA.
Ma se la situazione precipita da sé, queste proposte possono essere accettate di colpo e in massa.


In USA intanto avviene un fenomeno allarmante: non solo i debitori sub-prime sono in arretrato nel pagamento delle rate del mutuo, ma - in misura crescente - anche i debitori «prime», ossia le famiglie della classe media prima considerate solvibili.
In questa classe, i ritardi dei pagamenti sono saliti di colpo al 4%, una percentuale record.
E si pensi che se i mutui subprime «pesano» per un debito complessivo di 2 mila miliardi di dollari, i mutui «di prima qualità» valgono 8 mila miliardi.
Una crescita delle insolvenze in questo settore può provocare danni maggiori di quelli causati dai subprime.

Il rischio più imminente è che arrivino sul mercato una quantità eccessiva di immobili sequestrati, con vendite forzate (le banche pignoratrici hanno esse stesse urgente bisogno di liquidità), trascinando ancora più in basso i prezzi edilizi in America.
Che sono già calati del 7,7% in un anno.
Secondo gli analisti di Goldman Sachs, possono arrivare a perdere il 25%.
E lo stesso avviene dovunque: bancarotte sulle carte di credito, ratei dei prestiti agli studenti non pagati, insolvenze nelle rate per l’acquisto di auto.
I piazzali si riempiono di auto sequestrate (il tasso di insolvenze ha raggiunto il 7,1% nel settore). «Alla fine cominceranno a fallire le imprese», prevede Willem Sels, analista alla Dresdner Kleinwort: «Attualmente i fallimenti sono l’1,1 %, ma possono salire tra il 5 e il 9% nei prossimi dodici mesi» (4).

In questa situazione, va notato un fatto simbolico: la Grameen Bank, la «banca» caritativa nata in Bangladesh per fare micro-credito ai poveri e ai poverissimi, ha cominciato a fare micro-prestiti a New York (5).
E’ la prima volta che la Grameen entra in un mercato sviluppato, e comincia dagli Stati Uniti.
Offre aiuto a persone cui le banche, oggi, negano il credito, e si trovano a rivolgersi ad usurai che chiedono interessi esorbitanti.
Ormai il terzo mondo è sull’Atlantico.



1) Kosuke Goto, «Dollar Sales by Japanese Investors Reach Record High», Bloomberg, 15 febbraio 2008.
2) «Crise systémique globale, septembre 2008: Phase d’effondrement de l’economie réelle aux Etats-Unis», Europe2020, 15 febbraio 2008.
3) Floyd Norris, «U.S. retail sales show increase because necessities cost more», International Herald Tribune, 17 febbraio 2008.
4) Ambrose Evans-Pritchard, «US credit crisis escalates as defaults spread», Telegraph, 13 febbraio 2008.
5) Daniel Pimlott, «Bangladesh bank offers loans to US poor», Financial Times, 15 febbraio 2008.


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