Burrasca passeggera o crisi di sistema internazionale?
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Come si dice da noi in Toscana, “tanto tuonò che piovve”. Da qualche anno ormai ci aspettavamo che la vasta crisi economica, produttiva e finanziaria che ormai serpeggia per il mondo, e che si collega al profondo disagio per l’astronomica ingiustizia secondo la quale sono ripartite ricchezze e risorse, arrivasse a toccare anche il nostro mondo. E che non ci arrivasse soltanto sotto forma di disagi o dissesti socioeconomici: bensì anche nelle temute forme dell’esplosione d’una violenza che potrebbe anche trasformarsi in un’ondata rivoluzionaria.

A chi oggi si meraviglia e si preoccupa per l’esplosione delle proteste in Tunisia e in Egitto – che ormai, nonostante i tentativi fatti, politici e media non possono più minimizzare -, va ricordato che, almeno per il momento, gli occhiuti controllori dell’informazione “libera” sono riusciti a disinformarci piuttosto bene a proposito del montare del disagio anche in Algeria, in Giordania, nello Yemen, mentre ovviamente è in atto in Libia un fortissimo giro di vite repressivo per impedire che la protesta dilaghi anche nel beato paese governato dal nostro amico Gheddafi: e sarebbe il caso che il ministro Frattini, se può distogliere un istante l’attenzione dall’importante problema internazionale costituito da alcune proprietà immobiliari monegasche, informasse di ciò il parlamento e, magari, perfino il paese.

Ma sbaglia chi pensa che il malessere che si presenta con tanta evidenza nei paesi dell’Africa settentrionale – pur senza per ora toccare, è non e un caso, le aree interessate dalla produzione petrolifera – possa confinarsi ai paesi musulmani; e che magari ha già cominciato (come alcuni media stanno facendo) ad attribuire senza prove e senza ragioni la colpa di tutto al solito comodo capro espiatorio, il “fondamentalismo islamico”.

Società differenti reagiscono in modo diverso a una crisi che è la medesima, pur mostrandosi luogo per luogo con volti specifici. Non dobbiamo dimenticare le difficoltà nelle quali si stanno dibattendo Irlanda e Islanda, e che non sono semplicemente finanziarie; non vanno sottovalutati i disordini che solo qualche mese fa hanno interessato in vario modo prima la Spagna, poi la Romania, quindi la Grecia e adesso l’Albania; non si può far finta di nulla di fronte alla sofferenza del Belgio, che da sette mesi è senza governo e sull’orlo dello scisma etnico. E’ inquieta anche la Francia dove ormai la popolarità di Sarkozy è vertiginosamente scesa. Quanto all’Italia, qualcuno potrebbe anche chiedersi quanto potrà durare il regime da barzelletta scollacciata che diverte sempre di meno e preoccupa sempre di più, in un clima di generale sfiducia nelle istituzioni e di polverizzarsi della società che – lo notava qualche giorno fa Massimo Cacciari – sarebbe obiettivamente “da vigilia di guerra civile”. Fortuna, obietta qualcuno, che le guerre civili le fanno i paesi seri...

E’ presto per avanzar ipotesi, che potrebbero sembrar pronostici. Del resto, si tratta di una situazione destinata ad evolversi molto rapidamente. Qualcosa, però, possiamo e dobbiamo pur dirla. Anzitutto questo: la crisi sta attaccando paesi retti da governi che da anni si distinguevano per essere “fedeli alleati dell’Occidente” e quindi, per generosa definizione, delle “quasi-democrazie”. Gianni de Michelis era arrivato a proporre l’interessante definizione di “democrature”, che per la verità era già stata coniata prima di lui. Le “democrature” sarebbero “democrazie-dittature”, riguardo alle quali non ci sarebbe troppo da guardar per il sottile visto che sono alleate sicure dell’Occidente e che ci si potevano far anche buoni affari (ad esempio, il Berluska con le TV tunisine).

Al di là dei piu o meno pietosi eufemismi, eccoci tornati al solito gioco di bussolotti all’occidentale. Regimi feroci, tirannici, corrotti presentati come “amici” finché conviene, salvo poi venir buttati a mare quando non servono più o quando diventano palesemente indifendibili. Chi si ricorda più di quando di un dittatore assassino e ladro si poteva dire ch’era son of a bitch, but OUR son of a bitch? Chi si rammenta di quando Kissinger e Rumsfeld volavano a Baghdad per stringer la mano al “presidente” Saddam Hussein, l’uomo che faceva per loro conto la guerra all’Iran e intanto in proprio – ma con l’aiuto di raffinate tecnologie occidentali...- gasava i curdi?

Ora, assistiamo all’abbastanza pietoso spettacolo di un Obama che ormai si è rimangiato quasi tutto il programma riformatore della sua vittoria con Bush ed è tornato, insieme con i suoi amici Clinton, a volar di conserva con i falchetti di Wall Street, e che al tempo stesso si dice schierato “con i diritti dei popoli” tunisino ed egiziano, visto che le cause di Ben Alì e di Mubarak si sono rivelate indifendibili. A questo punto, è quasi preferibile Netanyahu il quale, giocando come al suo solito pesante, esorta - confidenzialmente, è vero: ma senza peli sulla lingua - Washington a sostener l’ormai insostenibile Mubarak in quanto sarebbe “interesse dell’Occidente” e “di tutto il Medio Oriente” (quale?) “mantenere la stabilità del regime in Egitto”. Ovviamente, quelli di “Haaretz” mordono il freno e parlano chiaro: ma le autorità restano abbottonate, e non nascondono poi troppo il loro disappunto per il benservito che la signora Clinton prima, il presidente Obama poi hanno già dato a Mubarak. E ora anche qualcun altro comincia a star sulle spine.

Per esempio sauditi ed emirati del golfo, paesi nei quali le adultere o presunte tali vengono da anni lapidate senza che in Occidente una sola voce si levi a difenderle, fra le tante che hanno più volte protestato contro la mai avvenuta lapidazione dell’iraniana Sakineh (n’est-pas, monsieur Bernard-Henri Levy)? Paesi nostri sicuri amici, dai quali comprar petrolio e presso i quali far vacanze; e che naturalmente non sono degli “estremisti musulmani”, anzi sono dei quasi-democratici ad honorem.

Ma non dovete preoccuparvi troppo. O, a scelta, non avete granché da sperare. La nuova fase dell’imbroglio e dell’imbrigliamento occidentale e democratico si sta già aprendo. Non stupitevi se, nei prossimi giorni, si verificheranno attentati e carneficine tali da indignare e da preoccupare l’opinione pubblica; se bruceranno altre chiese cristiane e se uscirà fuori da chissaddove il solito comunicato di Bin Laden, di al-Quaida o di un altro Fantomas loro pari minacciando i crociati occidentali e i sionisti d’Israele e spingendoci così tutti a fra quadrato per la difesa di nuovi ordini “democratici” o comunque “moderati”. Sempre beninteso disposti a far docilmente, passato il mal di pancia, l’interesse delle lobbies multinazionali: che già da qualche mese, attraverso il piano euromediterraneo di Sarkozy che aveva fatto infuriare la signora Merkel, si erano messe in moto per una ridefinizione unilaterale dell’intera area.

Il colto e compìto Mohamed el-Baradei, appena rientrato in Egitto ed educatamente galvanizzate le folle dei suoi sostenitori con alcune prudenti dichiarazioni “antiamericane”, sta già facendo capire di esser disponibile a cambiar qualcosa affinché tutto resti come prima. Metteremo alla berlina un po’ di ex-alleati, scopriremo un po’ di limacciosi affarucci e affaracci dandoli in pasto alla pubblica opinione: una bella ripulita alla facciata, e così la rivoluzione non si farà. Rimandata a data da destinarsi. A meno che non sia davvero la volta buona.

Franco Cardini

Fonte > 
Francocardini.net



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