Teologia di Israele (4)
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Dio Diffonderà La Sua Grande Misericordia Sulla Maggior Parte Del Popolo Ebraico Prima Della Parusia (Rom., XI, 25-32) 

San Paolo inizia ora (Rom., XI, 25) a trattare un argomento di grande importanza e lo fa utilizzando la formula: “Non voglio che ignoriate”, la quale vien da lui impiegata nelle sue Epistole per attirare l’attenzione del lettore.

L’Apostolo si rivolge ai Cristiani che provengono dal Paganesimo e spiega cosa non vuole che essi ignorino: “Questo mistero”. Qui la parola “mistero” significa una verità che la ragione umana puramente naturale non può conoscere, ma l’intelletto - mosso dalla volontà spinta dalla grazia attuale di Dio - può aderire ad essa solo per fede soprannaturale nella divina Rivelazione. La verità che San Paolo rivela ai Gentili convertitisi al Cristianesimo è la futura conversione in massa dei Giudei a Cristo, che avverrà dopo la conversione dei Pagani e prima della fine del mondo (v. 25)[1].

Per quale motivo l’Apostolo svela con tanta solennità questo mistero ai Pagani convertiti? “Affinché interiormente non vi  reputiate sapienti”, ossia affinché non si insuperbiscano della loro conversione e non disprezzino i Giudei, ritenendo che oramai per essi non ci sia più misericordia né possibilità di salvezza.

Infatti, spiega l’Apostolo, “l’infedeltà di Israele è avvenuta in una sola parte di esso”, ossia non tutti i Giudei sono rimasti increduli, ma alcuni (anche se meno numerosi di coloro che son restati infedeli) hanno accettato il Messia. Inoltre, aggiunge che l’indurimento o accecamento volontario di Israele non sarà per sempre, ma solo temporaneo, cioè durerà “solo sino a che la totalità delle Genti sia entrata nella Chiesa di Cristo”.

Quindi una parte (anche se meno numerosa) di Israele si è convertita a Cristo, un’altra parte (più numerosa) è rimasta incredula, ma essa - essendo stata abbandonata da Dio a causa della sua ostinazione - è stata occasione della conversione dei Pagani, ai quali fu predicato il Vangelo dopo l’apostasia dei Giudei; infine più tardi la conversione della “pienezza dei Gentili” sarà occasione della futura conversione in massa d’Israele (v. 25).

Così “tutto Israele sarà salvato” (v. 26), ossia allora, quando la “pienezza dei Pagani” sarà entrata nella Chiesa, la maggior parte degli Israeliti viventi in quel tempo abbraccerà la fede in Cristo. La totalità qui non è assoluta e matematica, ma solo morale, cioè riguarda la maggior parte di Israele. Quindi la fine del mondo non verrà prima che tutti i popoli pagani e il popolo giudaico si siano convertiti al Cristianesimo.

Già nell’Antico Testamento si trovava la rivelazione di questa futura conversione. San Paolo (v. 26) cita il testo di Isaia (LIX, 20), in cui il profeta, circa sette secoli avanti Cristo, annunziava: “Il Messia liberatore verrà a Sion e scaccerà le empietà da Giacobbe”, vale a dire da Israele. La rivelazione fatta da San Paolo (Rom., XI, 26), quindi, è solo una conferma di quanto era già stato rivelato nella Vecchia Alleanza (Is., LIX, 20), che il Messia prima rifiutato sarebbe stato poi accolto dai Giudei (Sion e Giacobbe) ed avrebbe cancellato la loro infedeltà.

L’Apostolo (v. 27) continua a citare il testo d’Isaia (LIX, 21) in cui il Signore annunzia che contrarrà con i Giudei un’altra Alleanza, avendo essi rifiutato ai tempi di Gesù di entrare nella Nuova Alleanza e poi si rifà sempre a Isaia (XXVII, 9), in cui viene annunziata la “remissione dei peccati” d’infedeltà d’Israele, come conseguenza della sua futura conversione a Cristo.

Perciò (v. 28) la presente incredulità ebraica non impedirà che in futuro questa predizione della conversione d’Israele - fatta da Isaia e da San Paolo - si realizzi. Infatti “i Giudei, in quanto rigettano il Vangelo, sono considerati nemici di Dio” e sono privati della Sua grazia; ora ciò (il loro peccato) è successo “a vantaggio dei Pagani”, perché la caduta dei Giudei ha occasionato la conversione dei Gentili. Ciononostante riguardo al fatto che “i Giudei furono eletti” in Abramo tra tutti i popoli ad essere i custodi della Rivelazione divina, “essi sono carissimi a Dio” non in se stessi poiché increduli e deicidi, main ragione dei loro Padri”, che accolsero la Promessa di Dio e credettero nel Messia venturo. Qui occorre pesare bene queste parole, le quali, a partire da Nostra aetate, sono state stravolte, facendo dire a San Paolo che il Giudaismo infedele è amato ancora durante la sua incredulità a motivo dei loro Padri. Invece l’Apostolo rivela che in considerazione della santità dei Patriarchi, in futuro, Iddio farà misericordia a Israele in quanto figlio di essi ed Israele la accetterà convertendosi a Cristo che aveva crocifisso.

Infatti “i doni di Dio non sono soggetti a pentimento” (v. 29), cioè Dio non cambia opinione, ha chiamato Israele e non si pente di aver stretto Alleanza con i Patriarchi e l’Israele spirituale, che ha la fede di Abramo, ma gli uomini (i Giudei increduli) cambiano atteggiamento, hanno rinnegato il Patto Vecchio stretto con Jaweh e perciò sono stati rigettati da Lui. Quindi un giorno futuro Dio offrirà di nuovo il dono della fede al popolo una volta eletto, avrà misericordia di lui ed esso si convertirà in massa alla fede in Cristo, per la misericordia di Dio. Insomma benché Israele incredulo ora è rigettato per la sua infedeltà, avendo così permesso ai Gentili di poter entrare nella Chiesa; un giorno futuro Jaweh convertirà Israele, amato non in sé in quanto infedele e deicida, ma in ricordo dei Santi Patriarchi.

Ora l’Apostolo ricorda ai Gentili che “una volta essi non credevano in Dio, essendo avvolti nelle tenebre del politeismo; però adesso hanno conseguito misericordia e sono stati chiamati alla fede e alla grazia, per l’incredulità dei Giudei, affinché a causa della misericordia usata ai Gentili, i Giudei, rimpiazzati nel Regno di Dio dai Pagani, si sentano provocati a emulazione e così anch’essi conseguiranno misericordia” (v. 31). In breve, Ebrei e Pagani non si rinfaccino reciprocamente le loro colpe passate, ma considerino che entrambi sono debitori della loro conversione alla misericordia di Dio.

Conclusione

Infine San Paolo chiude (v. 32) spiegando che “Dio racchiuse tutti (Giudei e Gentili) nell’infedeltà per usare a tutti misericordia”. Egli magnifica adesso la misericordia e la giustizia di Dio, che vanno sempre di pari passo, infatti il Signore ha permesso che Ebrei e Pagani, presi in generale (non tutti e singolarmente), cadessero nell’incredulità e risorgessero da tanta miseria, non per le loro sole forze naturali, ma per la Sua misericordia e grazia, per far risplendere in entrambi dopo la Sua giustizia anche la Sua misericordia. Tutti gli uomini nascono col peccato originale, tutti hanno bisogno della grazia di Dio per essere giustificati, sia i Giudei sia i Gentili.

don Curzio Nitoglia

Fine dell’ultima e Quarta parte



[1] A partire dal versetto 12 del capitolo XI l’Apostolo aveva dimostrato - con una breve anticipazione di ciò che avrebbe trattato dal versetto 25 sino al 32 - che la futura conversione dei Giudei a Cristo avrebbe apportato al mondo molte benedizioni; infatti, se il loro peccato d’incredulità fu occasione della conversione dei Pagani, quanto maggiore vantaggio porterà al mondo intero la loro conversione in massa, che avverrà attorno alla Parusia? Quindi non bisogna disperare quanto alla sorte d’Israele. Per cui, se la loro riprovazione o esclusione dal Regno di Dio, a causa della loro incredulità, è stata occasione della riconciliazione dei Pagni con Dio; allora la loro conversione apporterà tanti beni e tanti doni, come se fosse una risurrezione dalla morte alla vita (v. 15). A partire da quest’ultima frase alcuni Padri (al séguito di Origene) hanno dedotto che la conversione in massa d’Israele sarà il segno dell’avvicinarsi della “risurrezione dei morti e del giudizio finale”, ossia la fine del mondo.