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Legge 194… «Lievito dei farisei»
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La polemica innescata in questi ultimi tempi, a proposito della «moratoria» dell’aborto (e che, in Italia, riguarda la oramai tristemente nota legge 194/78, disposizione legislativa che legalizza l’infanticidio nel grembo della madre), è di quelle che onestamente danno un po’ il voltastomaco;e questo a causa del velo di ipocrisia che si stende incredibilmente impietoso su quasi tutti i protagonisti coinvolti.Non so se sia più repellente l’affermazione sofistica, illusoriamente «omniconciliante», di Veltroni, che da un lato ritiene debba considerarsi la 194 «una conquista di civiltà che deve essere difesa» (1), e dall’altro si premuri di precisare tuttavia che l’aborto non sia un «diritto assoluto» (2), lasciando così spazio concettuale a quelle tanto diffuse zone d’ombra, che contraddistinguono l’operato del maligno; né «si» né «no» (come da comando evangelico), appunto, ma apertura massima ai «può darsi», «forse», «vediamo», tipici del «cattolicesimo adulto», inaccettabile compromesso di una politica che voglia dirsi serio perseguimento del vero bene comune, secondo la volontà di Dio ed il conseguente (inevitabile, se vale la premessa) rispetto per il prossimo e che voglia rendersi credibile e trasparente interprete di quell’autentico pensiero cattolico (ai cui voti aspira) di tutela della vita e della persona e soprattutto di rispetto sacro della stessa maestà dell’Altissimo e non vuoto e demagogico interloquire, privo di vero senso e di effettivi valori.
Oppure se sia più nauseante la recidiva vigliaccheria di coloro che, pur chiamati, più di ogni altro, a rendere ragione della speranza che è in loro e ad annunziare Cristo e la buona novella, con occasione o senza, si vergognino di predicare apertamente l’abrogazione della famigerata legge e, colmi di «rispetto umano», di falso pudore, di idolatria dell’uomo, sentano bene la necessità di correggere il tiro, «come ha sottolineato Avvenire, il quotidiano dei vescovi - non è partito nessunanatemao ordine di smantellare la legge sullaborto di questo o quello Statoma solo lauspicio diuna riflessione pubblicae di undibattitosulla legge 194» (3), dimenticando in una parola, in nome di quella falsa istituzione dello «Stato laico», la suprema regalità di Cristo, Signore dell’universo, Signore dei signori, che possiede diritto assoluto ed inalienabile di governare nelle cose umane, spirituali o materiali che siano!

Forse costoro hanno dimenticato le parole durissime pronunciate da Gesù e la sorte di coloro che, dormienti, lasciarono spegnere la fiaccola del loro amore, della loro testimonianza davanti agli uomini (condizione richiesta per essere riconosciuti davanti al Padre!), perduti nell’oblio della loro fede confusa, bussare alla porta del palazzo reale ed essere cacciati con un «non vi conosco! Non so di dove siete», illusi ancora e forse sempre di più di poter conciliare il diavolo e l’acqua santa, le edizioni Paoline e la vendita del «Codice da Vinci»; non consapevoli di essersi forse già messi in condizione di autoesclusione dalla piena comunione con la Chiesa santa, o per lo meno dalla possibilità di rappresentarne autenticamente il pensiero.Uomini di Chiesa, veri Giuda, traditori e possessori indebiti di verità di Fede e di cura d’anime a loro affidate, ma che lasciano perire nei meandri oscuri di una confusione a dir poco rabbrividente.
O forse l’ignorata ed universalmente sottaciuta questione, per esempio, di alcuni evidenti abusi non soltanto applicativi, ma finanche interpretativi che hanno riguardato e riguardano tuttora la summenzionata legge 194; in particolare, scandaloso, ad avviso di chi scrive, l’avallo autorevole di una lettura «aperta» dell’articolo 12 della medesima viene fatta ad opera della Corte Costituzionale.
La parte di testo che ci interessa è il seguente (corsivo e grassetto, nostri):«Se la donna è di età inferiore ai diciotto anni, per linterruzione della gravidanza è richiesto lo assenso di chi esercita sulla donna stessa la potestà o la tutela. Tuttavia, nei primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, il consultorio o la struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, espleta i compiti e le procedure di cui allarticolo 5 e rimette entro sette giorni dalla richiesta una relazione, corredata del proprio parere, al giudice tutelare del luogo in cui esso opera. Il giudice tutelare, entro cinque giorni, sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere la interruzione della gravidanza».«Il Giudice Tutelare, pur non avendo alcun potere istruttorio, una volta verificata la sussistenza dei requisiti e la correttezza delle procedure prescritti dalla Legge, possiede sempre un certo margine di discrezionalità circa la sua decisione (…può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo..’; articolo 12), potendo basarla non solo sulla documentazione inviata dalla struttura, ma anche sul colloquio con la minorenne e sul suo libero convincimento come giudice».

A questo proposito si fa presente che vi sono alcune divergenze interpretative nonché difficoltà applicative della Legge, di seguito riportate.In linea generale, alcuni giudici suggeriscono un’attenta valutazione, oltre che della documentazione, anche del colloquio con la minorenne (e, possibilmente, anche con qualche familiare) per approfondire e valutare nel modo migliore i motivi da essa addotti per chiedere l’aborto.Altri hanno proposto di confrontare le conseguenze psicologiche dell’aborto con quelle dell’eventuale prosecuzione della gestazione, nonché di valorizzare il periodo di tempo ancora disponibile (sempre entro i 90 giorni) per permettere alla minorenne di valutare nel modo migliore la sua decisione.Per ciò che riguarda i motivi addotti dalla minorenne per chiedere l’aborto e i seri motivi di non consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, vi sono orientamenti diversi e, a volte, anche diametralmente opposti tra un Giudice Tutelare e l’altro. In generale, si possono distinguere due gruppi: un primo gruppo è costituito da alcuni giudici che ritengono corretto entrare, sia pure in certa misura, nel merito delle risposte fornite dalla minorenne per valutare nel modo migliore se concedere o meno l’autorizzazione; un secondo gruppo è costituito da altri giudici che, al contrario, non ritengono corretto entrare in tale merito, ma ritengono invece corretto solo fornire un sostegno volto ad integrare la volontà non ancora del tutto formata della minorenne, considerando quindi come dato di fatto quanto da lei dichiarato.

1° gruppo) Relativamente ai motivi addotti, è stato affermato che «se fosse sufficiente il semplice disagio personale e relazionale della minore a far ritenere sussistente il serio pericolo per la salute psichica prescritto dalla legge, dovrebbe concludersi che in tutti i casi di concepimento ad opera di una minore, che ne abbia tenuto alloscuro i suoi genitori, laborto dovrebbe essere autorizzato quasi automaticamente, perché quasi sempre, in casi del genere, la minore vive una situazione di grave sofferenza e disagio…».Relativamente ai motivi di non consultazione, è stato osservato che, senza poteri di accertamento ed istruttori, risulta difficile per il giudice valutare l’esistenza dei «seri motivi che impediscono o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela», anche a causa dei tempi molto ristretti prescritti dalla Legge per decidere sulla richiesta (il giudice deve decidere entro 5 giorni dalla ricezione della relazione della struttura; vedi anche paragrafo 3.2).A tale proposito è stato affermato che non rientra tra i seri motivi di non consultazione il mero timore della minorenne di una censura, sia pure ferma e decisa, da parte dei genitori, i quali hanno il diritto-dovere di educare i figli (articolo 30 della Costituzione).Sarebbe infatti necessario un «quid pluris» da lasciare fondatamente prevedere una rottura irreparabile dei rapporti genitori-figlia.Infatti, «Se la consultazione dei genitori non è prescritta essa non è nemmeno esclusa, ma lasciata (…) al prudente apprezzamento del giudice» (sentenza 109/81 della Corte Costituzionale).
Analogamente è stato osservato che «la consultazione dei genitori va decisa o esclusa a seconda che, con essa, la libertà morale della minore si rafforzi (nel caso in cui il confronto con persone, le quali costituiscano un punto di riferimento affettivo e morale, possa rimuovere pregiudizi o rinsaldare motivazioni e dare, comunque, indispensabile conforto in un delicatissimo momento di vita), ovvero si riduca (nel caso in cui i genitori possano conculcare la minore, imponendo soluzioni, anziché favorendo un processo formativo)».
In questo contesto potrebbe forse inserirsi la questione di legittimità costituzionale avanzata da un Giudice Tutelare relativamente all’articolo 12 della Legge in relazione all’articolo 111,6° comma della Costituzione («Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati»).Se infatti da un lato l’articolo 12 della Legge assegna teoricamente al Giudice un certo potere discrezionale autorizzativo e integrativo della volontà della minorenne («Il giudice tutelare…può autorizzare la donna…») consentendogli quindi di motivare il suo provvedimento (in accordo quindi con l’articolo 111, 6° comma Costituzione), dall’altro, tale potere discrezionale non sembra essere di fatto esercitabile, non essendovi concretamente il tempo materiale per una eventuale istruttoria (il giudice deve infatti provvedere entro 5 giorni dalla ricezione della relazione della struttura sanitaria), come peraltro osservato anche da altri Giudici di questo primo gruppo.

2° gruppo) «Al giudice non spetterebbe sindacare sui motivi addotti dalla donna allaborto, né sullesistenza dei seri motivi di non consultazione, in quanto sarebbe semplicemente sufficiente quanto affermato dalla minorenne.Una volta verificata la sussistenza dei requisiti e la correttezza delle procedure indicati dalla Legge, al giudice spetterebbe unicamente, da un lato, di fornire alla minorenne un sostegno volto ad integrare la sua libera ma non ancora del tutto formata volontà, e, dallaltro, di assicurarsi che la sua scelta sia libera da coercizioni morali, senza quindi entrare mai nel merito di quanto affermato dalla minorenne, non essendovi bisogno di alcuna valutazione discrezionale circa i motivi addotti ed i seri motivi di non consultazione (da ciò discende che nella maggioranza dei casi lautorizzazione diviene quasi automatica)». (4)

Evanescenti elucubrazioni, che di fatto si traducono in un automatico assenso del magistrato alla volontà della quindicenne capricciosa che non si sappia assumere le responsabilità delle proprie azioni.

Stefano Maria Chiari

Note1) Da http://www.iltempo.it/politica/2008/01/09/824155-risultato_della_polemica_innescata_giuliano_ferrara.shtml;2) Ibidem3) Ibidem

4) Da http://www.giustizia.it/newsonline/data/multimedia/2010.pdf