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La Comunità di Sant’Egidio, icona di ecumenismo
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«La Comunità di Sant’Egidio è nata a Roma nel 1968, per iniziativa di un giovane, allora meno che ventenne, Andrea Riccardi (1)… oggi è un movimento di laici a cui aderiscono più di 50.000 persone, impegnato nella comunicazione del Vangelo e nella carità a Roma, in Italia e in più di 70 Paesi dei diversi continenti. E’ ‘Associazione pubblica di laici della Chiesa’» (2).
Quali sono le finalità di questa associazione?
«La preghiera, che accompagna la vita di tutte le comunità a Roma e nel mondo e ne costituisce un elemento essenziale. La preghiera è il centro e il luogo primario dell’orientamento complessivo della vita comunitaria.
La comunicazione del Vangelo, cuore della vita della Comunità, che si estende a tutti coloro che cercano e chiedono un senso nella vita.
La solidarietà con i poveri, vissuta come servizio volontario e gratuito, nello spirito evangelico di una Chiesa che è ‘Chiesa di tutti e particolarmente dei poveri’ (Giovanni XXIII).
L’ecumenismo, vissuto come amicizia, preghiera e ricerca dell’unità tra i cristiani del mondo intero.
Il dialogo, indicato dal Vaticano II come via della pace e della collaborazione tra le religioni, ma anche come modo di vita e come metodo per la riconciliazione nei conflitti.» (3)
Aggiungiamo ad onor del vero che la Comunità si dedica attivamente ad ammirevoli opere di carità corporale, aiutando poveri e bisognosi di ogni dove.
Qual è lo spirito con cui queste lodevoli attività viene portato avanti?
«La Comunità di Sant’Egidio ha continuato a vivere lo spirito della Giornata Mondiale di Preghiera di Assisi, convocata da SS. Giovanni Paolo II nel 1986, raccogliendo l’invito finale del Papa in quello storico incontro: ‘Continuiamo a diffondere il messaggio della Pace e a vivere lo spirito di Assisi’» (4).
Di fatto, e coerentemente con tali presupposti, la Comunità si è resa protagonista attiva di moltissime (se non tutte) le riunioni ecumeniche, che anno dopo anno hanno luogo in diverse località del mondo.

Premettendo che chi scrive riconosca il valore oggettivamente encomiabile che comporti il porgere il bicchiere d’acqua che non resterà senza ricompensa, si ritiene necessario chiarire un po’ meglio quale sia il pensiero autentico della Chiesa in ordine alla carità.
Ammonisce già San Paolo: se anche dessi il corpo alle fiamme, ma non possedessi la carità, nulla mi giova.
Se anche donassi tutti i miei averi, se perdessi la vita, ma non facessi questo con lo stesso spirito che anima il sacratissimo cuore di Gesù, sarebbe inutile, o quasi.
A chi crede di avere - ma in realtà non ha - sarà tolto anche quel che pensa di possedere, per darlo a chi davvero ha saputo far fruttificare i propri talenti.
Qual è questa carità di cui ci parla l’Apostolo?
Quali sono i talenti da mettere a frutto?
La carità non avrà mai fine.
Tutto passerà, ma l’amore di Dio riversato nei nostri cuori per opera dello Spirito Santo, capace di farci simili a Lui, trasformandoci di gloria in gloria nell’immagine che contempliamo, resterà per sempre misura della nostra eternità.
In cosa consiste questo amore?
Proprio nella partecipazione dell’eterna carità dello Spirito Santo, che infiammando di Sé ogni cosa, porta tutto a Dio ed in Dio.
La stessa creazione geme e soffre le doglie del parto per assaporare i frutti della redenzione operata da Cristo; frutti che la vedranno trasformata in una nuova creazione.
L’uomo, da parte sua, deve accedere al tesoro ricchissimo dell’amore di Dio, lasciandosi riempire di Lui e vivendolo partecipativamente, divenendo uomo nuovo, in Gesù, capace di vincere il peccato, bruciato dallo zelo per la gloria di Dio e per la felicità del prossimo.
L’uomo che ama è, pertanto, colui che, attingendo all’amore infinito del Padre, lo renda in sè cosa propria e diffusiva, divenendo lui stesso prossimo per chiunque.
La carità di Cristo spinge, da un lato, all’adorazione perpetua verso l’unico vero Dio, alla preghiera incessante, alla compunzione del cuore e, dall’altro, al bene autentico dei fratelli.

Questo bene tuttavia (e ben a ragione) non può essere parziale; è necessariamente diretto alla persona tutta intera così com’è; non si può amare solo la mente di Tizio o il corpo di Caio, ma deve riguardare la persona, la sua vita, tutta, il suo destino eterno.
Se con l’amare, si vuole il bene dell’amato la carità di Dio esige che chi la partecipi davvero, desideri per l’amato il Bene supremo, il più grande: Dio.
Questo comporta una duplice necessità inderogabile: primamente la dipendenza assoluta della carità soprannaturale dalla propria unica fonte: l’amore nessuno «può darselo da sé», quindi va attinto dove risiede, ossia nell’inesauribile sorgente eterna dell’amore senza misura, in Dio stesso.
In secondo luogo l’effettiva urgenza che tale amore non venga mai adulterato nel fine ultimo; un amore che non cerchi il Bene massimo da conferire a chi si ama, sarebbe un amore ridotto al nulla, diverrebbe un non-senso; una carità senza fine soprannaturale si tramuterebbe ben presto in filantropia.
Qual è dunque il fine soprannaturale ultimo perseguito?
«Che tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
E quando Gesù si riferisce a questa vita soprannaturale, non parla chiaramente solo dei beni del corpo.
In altre parole, la vita che Gesù viene a portare è la stessa vita divina, il cui accesso all’uomo è precluso dopo il peccato dell’Eden.
Come Cristo, anche il cristiano deve - dopo averla ricevuta nel cuore, dopo averla custodita come il tesoro prezioso, che vale più della propria esistenza - comunicare, annunziare, diffondere questa buona novella: l’amore che il Padre ha per l’uomo, volendolo redimere e salvare dai suoi peccati e da ogni male.
La carità fraterna autenticamente vissuta opera pertanto in questa dimensione duplice: verticale (per portare l’uomo a Dio, mediante l’evangelizzazione, la diffusione della Parola di Dio, l’insegnamento dei contenuti della vera Fede, facendo sì che l’uomo sia «raggiunto» da Dio stesso) e trasversale (per aiutare l’uomo nei suoi bisogni, in modo che, libero di impedimenti materiali, sia capace di vivere serenamente una vera esperienza spirituale).

Il fine ultimo sarà Dio, tutto in tutti; la vita eterna.
E come è possibile operare in tal senso senza diffondere in pienezza il santo Vangelo?
Impossibile.
Portare la vera carità significa, quindi, inesorabilmente proclamare la Verità, appresa e manifestata da Cristo e custodita dalla Chiesa.
Come si colloca, dunque, il movimento ecumenico nell’ottica della carità?
Falsandone apertamente i presupposti.
L’ecumenismo, in quanto possibile fonte di ambiguità e di dubbio in ordine all’oggetto del vero, non può essere mai funzionale ad una autentica carità.
Lo «spirito d’Assisi», lungi dal costituire un cammino efficace verso la pace e la giustizia mondiali, ne rappresenta solo la «deviazione personalista», in quanto pretende di fondare su una falsa rappresentazione del vero, l’annuncio di un messaggio unificante.
Noi sappiamo, perché così ci è stato insegnato dal Magistero perenne della Chiesa, che la pace, la tranquillità dell’ordine, si avrà definitivamente e fattivamente solo allorché si riconosca la regalità sociale di Cristo Signore.
Il buddista che «prega» per la pace, può essere un ottimo filantropo, ma non aggiungerà nulla allo stato di fatto che solo Dio può cambiare.
Le riunioni «di preghiera» pan-ecumeniche, in cui ognuno invochi il proprio dio [personale o impersonale che sia o l’energia cosmica pervadente l’intero creato], avendo come base comune non la verità rivelata, ma un irenismo perbenista, che abbia per dogma la tolleranza assoluta comunque e di tutto (anche del male e del falso), sacrificando l’integro deposito della dottrina [di cui neppure uno iota verrà mutato alla fine dei tempi], non può alimentare la vera carità.
Il pacifismo dialogico che rinunzi all’annuncio integrale del vero, non essendo capace di trasmettere Cristo, crocifisso, morto e risorto, non otterrà più frutti in termini di pace e di serenità di quanti ne ricavi una conferenza dell’ONU.

La Comunità di Sant’Egidio, collocandosi orgogliosamente in quest’ottica deviata post-conciliare, pur prodigandosi attivamente per il sollievo e l’aiuto materiale dei fratelli, difficilmente riuscirà ad operare per il vero Bene del prossimo.

Stefano Maria Chiari



1) Da www.santegidio.org/it/contatto/cosa_e.html
2) Da www.santegidio.org/it/index.html
3) Da www.santegidio.org/it/index.html
4) Da www.santegidio.org/it/ecumenismo/uer/index.htm