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La zizzania
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Sono giunte alla redazione varie e-mail di risposta al mio articolo «Io cattolico Ingenuo».
Tra queste, due (una di Matteo Castagna, l’altra ancora di Franco Damiani) si possono leggere nella posta dei lettori.
Desidero precisare anzitutto una cosa: non attribuisco le posizioni del professor Damiani ad una sorta di sofferenza psichica che il suo caso gli avrebbe prodotto.
Il professor Damiani non è un pazzo, né una persona psichicamente instabile.
Se ho ricordato quell’episodio è stato solo perché i lettori ricordassero che Damiani - di cui si possono condividere o meno le opinioni - è uno che ha pagato per le sue idee: il che vuol dire che è un uomo che merita rispetto.
Insomma le sue posizioni non sono la conseguenza di una sofferenza interiore: al contrario la sua sofferenza interiore, che io ho creduto di poter leggere nel suo essere, è conseguenza del fatto che per quelle idee ha lottato.
Quindi, anzitutto, giù il cappello.
Il professor Damiani è certo un uomo di Fede, che mi ha ispirato istintivamente - è la parte «terrona» del mio animo - un sentimento di sim-patia in senso etimologico, cioè di sentire, anzi di patire comune.
Al contrario di lui, forse, quando non trovo altre soluzioni, io la butto sul ridere, ma «dentro» il riso è amaro.

Le obiezioni che in questa e-mail Damiani mi muove sono molte e richiederebbero come risposta non un articolo, ma almeno un breve saggio.
Per uno come me, che scrive nei ritagli di tempo, questo è al momento impossibile.
Quindi non risponderò a tutte le obiezioni in una volta sola, ma le terrò presenti, comunque, se dovessi ritornare su questi temi.
Quello che mi preme assolutamente smentire è l’idea - casomai qualcuno oltre al professor Damiani l’avesse pensato - chi io possa anche lontanamente aderire ad una visione storicistico-hegeliana del divenire storico.
Lo storicismo - provo a riassumere per chi l’avesse scordato - presuppone la natura storica e progressiva della manifestazione della Verità, frutto di una lenta maturazione che procede secondo una precisa logica di sviluppo, in cui grande peso ha il ruolo del Negativo, che assolve ad una essenziale funzione di trasformazione e rigenerazione del processo storico.
In Hegel particolarmente, la dinamica storica muove attraverso un processo dialettico di tesi ed antitesi, che condurrebbe attraverso sintesi progressive ad un inveramento della Ragione nella storia, in modo tale che il Reale (cioè quello che concretamente si realizza nella storia) sarebbe Razionale (cioè conforme alla Ragione) ed il Razionale (cioè quello che è conforme alla Ragione storica) sarebbe ciò che è Reale (vale a dire solo ciò che nella storia si è realizzato).
Ciò presuppone ovviamente che «il Vero è l’Intero», che ogni fatto che si manifesta del mondo risponde a una legge razionale, che l’Assoluto si manifesta razionalmente in tutti gli aspetti della realtà (inconsapevolmente nella natura, più consapevolmente negli uomini), che ogni cosa non ha un senso arbitrario, ma risponde necessariamente alla struttura profondamente logica del mondo, con la conseguenza, quindi, che l’unico tribunale esistente sarebbe il tribunale della Storia e che la Storia è in se stessa razionale.

Nulla vi è più profondamente anticattolico che questa concezione della Storia, in cui Bene e Male sarebbero in definitiva equipollenti e coopererebbero al raggiungimento di una meta finale tutta intrinseca alla Storia medesima: giustizia e necessità storica, infatti, in tale visione coinciderebbero.

Tornando al mio precedente articolo, le vicende riguardati la Chiesa che ho narrato ed in particolare i segni di crisi che già si manifestavano in essa prima del Concilio non volevano essere affatto un giudizio di valore: erano una constatazione descrittiva della realtà.
Per rispondere a Damiani, affermare da parte mia l’esistenza di una crisi non significa condividere il fatto che essa si sia prodotta e che abbia cooperato hegelianamente al bene della Chiesa, anzi. Significa solo provare a spiegare perché ad un certo momento un evento si è manifestato: infatti, a meno di un intervento straordinario di Dio, la Storia, pure condotta dalla Provvidenza, risponde ordinariamente alla legge naturale di causa-effetto, per cui si può affermare che nell’analisi dei processi storici «historia non facit saltus».
All’interno di questo paradigma, l’indagine storica è solita distinguere tra cause profonde o intrinseche e cause scatenanti.

Circa le cause che sono alla base della crisi attuale della Chiesa, ritengo che il Concilio Vaticano II fu in maniera certo dirompente causa scatenante della diffusione di convinzioni eretiche, che si erano tuttavia venute sedimentando in Essa ben prima.
Se la Chiesa è oggi certamente malata, occorre ammettere che la malattia difficilmente aggredisce un organismo sano, ovvero, se lo aggredisce, esso reagisce e non  si lascia prostrare.
Se la Chiesa subì una crisi come forse non accadeva dai tempi di Lutero, ciò fu dovuto certo ad un attacco di virulenza inaudita e ad una mancanza di prudenza gravemente colpevole, ma anche al fatto che il virus l’aveva già minata.
Alla domanda posta dal professor Damiani se la crisi che ha investito la Chiesa dopo il Concilio fu una crisi di crescita o di decadenza rispondo senza alcun dubbio: fu una crisi di decadenza.

Solo non avendo letto con attenzione il mio articolo si può dubitare di questo: ho già scritto che a mio modesto parere c’è una grande differenza tra la Chiesa dell’Ottocento e la Chiesa del Novecento.
Durante il diciannovesimo secolo la Chiesa si oppose con risolutezza al Mondo, ingaggiò con esso una battaglia senza esclusione di colpi, elaborò risposte alla crisi che l’aveva investita, generò santi, espresse condanne formidabili, pagò un prezzo altissimo, sicchè all’inizio del nuovo secolo potè meritare la guida di San Pio X.
Non così nel ventesimo secolo: anziché proseguire in quella battaglia, la Chiesa parve voler trovare un po’ di riposo, un inizio di accomodamento col Mondo.
Non compiacciamoci troppo - ad esempio - della politica concordataria: essa fu per un verso necessaria, ma per un altro le fece mancare lo slancio della battaglia.
Se alla pretesa di tutti i totalitarismi la Chiesa avesse opposto la stessa intransigente fermezza della battaglia antimodernista, se insomma i successori di san Pio X fossero stati pari a lui, forse la storia del «secolo breve» non avrebbe visto tanti orrori consumarsi in così poco tempo.
Aggiungo che, se nonostante ciò la Chiesa non fu travolta dai totalitarismi, lo dovette a quella straordinaria eredità lasciatale dalla battaglia antimodernista, di cui forse ad un certo punto non si mostrò abbastanza degna.

Pure in un contesto di discorso talvolta opinabile, questo lo riconoscono oggi - già lo ho ricordato in un altro articolo - perfino vescovi progressisti come monsignor Bruno forte, che ha ammesso:
«E’ merito della reazione antimodernista e del rifiuto delle presunzioni ideologiche, ispirato al primato di Dio sul cuore e sulla vita, l’aver mantenuto viva l’alternativa cristiana nelle vicende drammatiche del ‘secolo breve’ (Eric Hobsbawm), segnato dalle grandi tragedie delle guerre mondiali, dei totalitarismi e dei genocidi, fra cui in primo luogo quello della Shoah. Contro le presunzioni dell’universo ideologico di destra e di sinistra, si leva il grido di denuncia della Chiesa e dei Papi […]. La motivazione ultima dell’opposizione alle presunzioni totalizzanti della ragione ideologica sta nella trascendenza di Dio, nel Suo essere irriducibile alla cattura degli interessi legati al potere e proprio così nel Suo offrirsi come il paladino dell’uomo e della sua libertà. […]
Questo atteggiamento di alternativa a ogni riduzione ideologica e di testimonianza della sovranità trascendente di Dio caratterizza la presenza cristiana in Europa in maniera forte fino alle soglie del Concilio Vaticano II a Oriente, come in Occidente». (1)

Dunque il problema è: ma allora come giudicare il Male presente nella Storia?
Nell’unico modo in cui lo può fare un cristiano: il Male è frutto del peccato e dunque opera del demonio e della libera scelta dell’uomo di votarsi ad esso.
Il Male non è mai, nemmeno in estrema analisi, anche un Bene, magari rivelatore solo di una crisi di crescita: il Male - a meno che non si aderisca a dottrine gnostiche - è sempre e solo il Male.
Esso è stato vinto da Cristo una volta per sempre con la Sua morte e resurrezione, ma il demonio, seppure già sconfitto, è ancora all’opera.
Male e Bene non sono affatto due princìpi astratti che operano dialetticamente nella costruzione della Storia, due a-priori che agiscono come una sorta di potenze super-individuali per l’equilibrio dell’energia cosmica.
Essi sono invece criteri di distinzione dell’agire e dell’agito, imputabili rispettivamente alla presenza e all’azione di Dio, ovvero a quella del suo Avversario, Satana.
Il Male è entrato nel mondo a causa del peccato, che è essenzialmente la ribellione a Dio ed è la prima causa della decadenza dell’intera creazione, che tutta geme e soffre nell’attesa del ritorno glorioso del Salvatore.
Peraltro lo sappiamo bene: il dragone non ha mai smesso di insidiare la donna vestita di sole, la sua lotta contro la Chiesa ha attraversato i secoli, continua e continuerà fino alla Fine.
Ci consola una promessa: «non prevalebunt».


Contrariamente ad ogni visione dialettica, dunque, un po’ di Male non fa affatto bene, non è affatto necessario per generare più Bene.
Il Male non è necessario, ma casomai «necessitato» dal peccato.
E tuttavia anche tutta la straordinaria potenza del Male è in realtà effimera, perché già vinta in Cristo, al punto che, nonostante il Male (e quindi in antitesi ad ogni visione dialettica) Dio, sommo Bene e infinita Onnipotenza, può sempre da ogni circostanza ricavare il Bene: ciò può avvenire, dunque, nonostante il Male, non grazie anche al Male, il che è tutta un’altra cosa.
In Dio non vi è dialettica di Bene e Male e proprio per questo l’Essere vince il Non-essere: proprio per questo la storia ha un suo fine ed una sua Fine e non è l’eterno ripetersi di cosmogonie senza senso intrinseco in un divenire infinito che mai ha avuto inizio.
Per questo nella visione cattolica, al contrario di ogni vecchio e nuovo gnosticismo Dio non coincide mai col Cosmo.
Per questo - al contrario di tutti gli gnostici di ogni tempo - il mondo e la sofferenza sono reali, come reale e unica è l’Incarnazione, necessaria per la nostra Redenzione e reali, non simboliche, sono state la Morte e la Resurrezione di Gesù.
Tornando all’obiezione del professor Damiani, la crisi della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II non è stata dunque affatto salutare e non c’è affatto da compiacersene, né da interpretare come una crisi provvidenziale.
Di provvidenziale c’è, casomai, il fatto che Dio non ha permesso che questa crisi, come un tumore maligno, dilagasse a tal punto da soffocare del tutto la Verità: ciò peraltro non sarebbe stato possibile, giacchè egli aveva promesso che le porte degli inferi non avrebbero prevalso contro di Essa.

La crisi della Chiesa va forse interpretata come una prova, che, magari a causa del proprio peccato la Chiesa si è meritata.
Forse proprio per il suo torpore, per avere attenuato la propria opposizione al Mondo, essa ha consentito al nemico, al Satana appunto, la semina nel campo.
Noi dimentichiamo troppo spesso la necessità della vigilanza: vi è infatti una dimensione soprannaturale nella Storia che il cristiano non  può ignorare e di fronte a cui Gesù, pure, ci ha messo in guardia: «Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo».
Mentre dormivano venne il nemico, non dimentichiamolo mai!
Non so francamente se in passato Ratzinger abbia mai aderito ad idee hegeliane, non mi risulta: talvolta - me lo consentano i miei interlocutori - le loro citazioni sono perlomeno un po’ sincopate e non sono sicuro che rispettino sempre fedelmente il senso complessivo del pensiero di Ratzinger.
Io mi limito a riportare questa citazione di Benedetto XVI.

Giudichino i lettori se c’è o meno una radicale ripulsa del Male, leggendo sino in fondo il virgolettato: : «Se riflettiamo sinceramente su di noi e sulla nostra storia, dobbiamo dire che con questo racconto è descritta non solo la storia dell’inizio, ma la storia di tutti i tempi, e che tutti portiamo dentro di noi una goccia del veleno di quel modo di pensare illustrato nelle immagini del Libro della Genesi. Questa goccia di veleno la chiamiamo peccato originale. Proprio nella festa dell’Immacolata Concezione emerge in noi il sospetto che una persona che non pecchi affatto sia in fondo noiosa; che manchi qualcosa nella sua vita: la dimensione drammatica dell’essere autonomi; che faccia parte del vero essere uomini la libertà del dire di no, lo scendere giù nelle tenebre del peccato e del voler fare da sé; che solo allora si possa sfruttare fino in fondo tutta la vastità e la profondità del nostro essere uomini, dell’essere veramente noi stessi; che dobbiamo mettere a prova questa libertà anche contro Dio per diventare in realtà pienamente noi stessi. Con una parola, noi pensiamo che il male in fondo sia buono, che di esso, almeno un po’, noi abbiamo bisogno per sperimentare la pienezza dell’essere. Pensiamo che Mefistofele - il tentatore - abbia ragione quando dice di essere la forza ‘che sempre vuole il male e sempre opera il bene’ (vedi J. W. Goethe, Faust I, 3). Pensiamo che patteggiare un po’ col male, riservarsi un po’ di libertà contro Dio, in fondo, sia bene, forse sia addirittura necessario. Guardando però il mondo intorno a noi, possiamo vedere che non è così, che cioè il male avvelena sempre, non innalza l’uomo, ma lo abbassa e lo umilia, non lo rende più grande, più puro e più ricco, ma lo danneggia e lo fa diventare più piccolo. Questo dobbiamo piuttosto imparare nel giorno dell’Immacolata: l’uomo che si abbandona totalmente nelle mani di Dio non diventa un burattino di Dio, una noiosa persona consenziente; egli non perde la sua libertà. Solo l’uomo che si affida totalmente a Dio trova la vera libertà, la vastità grande e creativa della libertà del bene» (2).

Il professor Damiani, invocando condanne e scomuniche, conclude: «La politica, la prudenza, la diplomazia servono in tempi normali. Qui siamo in guerra e ci vogliono uomini da trincea».
D’accordo, però se sta arrivando qualche rinforzo, per cortesia, non spariamogli addosso.
Il professor Damiani mi è simpatico, perché in fondo ha la mia stessa indole battagliera.
Però a me e a lui ricordo quello che San Paolo scrive ai cristiani di Efeso: «Rivestitevi dell’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne ma contro i Principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo, contro gli spiriti del male che abitano le regioni celesti» (Ef 6,11-12).
Quindi anzitutto moltiplichiamo le preghiere.
In fondo, anche Pio IX doveva essere un Papa liberale, poi arrivò il Sillabo.
Di certo Ratzinger non è di carattere un guerriero.
Consideriamo che, viste le condizioni in cui versa la Chiesa, i suoi toni potrebbero essere quelli di chi non vuole «smorzare il lucignolo fumigante o spezzare la canna fessa» (Isaia 42, 1-4).
Il che - ci piaccia o meno e fatico anch’io ad accettarlo - è secondo la logica, o, meglio, secondo il Logos di Dio, che non vantò la sua potenza con la spada, ma vinse il Mondo con la paradossale «impotenza» della Croce.
Agli impazienti come il sottoscritto e il professor Damiani, il comportamento di Benedetto XVI risulterà molto più comprensibile magari ricordando come finisce la parabola della zizzania:
«E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio».

Pazienza ci chiede il Signore!
Pazienza, che un po’ vuol dire anche patire…
Il professor Damiani non si dovrebbe preoccupare: in fondo è molto più allenato di me.
Intanto vegliamo e preghiamo.
Il che non ci impedisce di proclamare comunque la Verità, che è Cristo: opportune, importune.

Domenico Savino



1) Discorso del 26 maggio 2007 pronunciato da monsignor Bruno Forte, arcivescovo metropolita di Chieti-Vasto, in occasione dell’«Incontro dei Membri e Consultori europei del Pontificio Consiglio della Cultura e dei Presidenti delle Commissioni per la cultura delle Conferenze episcopali d’Europa», tenutosi a Sibiu (Romania) dal 3 al 5 maggio scorsi, su http://www.zenit.org/article-10721?l=italian
2) Omelia di Sua Santità Benedetto XVI nella Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, Giovedì, 8 dicembre 2005, suhttp://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2005/documents/hf_ben-xvi_hom_20051208_anniv-vat-council_it.html