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Zimbabwe, una storia africana
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Almeno settemila morti ammazzati, case e capanne incendiate, migliaia di persone in fuga:  «un’orgia di violenza attuata dalle forze di sicurezza di Stato, cui si sono uniti veterani di guerra, miliziani giovanili e fanatici dello Zanu-Patriotic Front», il partito del presidente Mugabe.

«Il regime di Mugabe si accanisce sull’indifeso popolo dello Zimbabwe per punirlo di aver votato per cambiare», dice Winfred Mhanda. «Eppure questo Mhanda non è uno impressionabile: è stato uno dei comandanti della ‘guerra della savana’ negli anni ‘70, a fianco di Mugabe stesso, quando - con il nome di guerra di Dzinashe Machingura - ammazzava i coloni bianchi» (1).

Uomini in uniforme compiono gli eccidi per smantellare le sedi rurali del partito d’opposizione, il Movimento per il Cambiamento Democratico, colpevole di aver vinto il primo turno elettorale con il 47,9%, il che lasciava a Mugabe  (43,2%) la prospettiva di abbandonare il potere dopo 26 anni. Benchè abbia accumulato immense ricchezze, la prospettiva non gli piace. Così s’è fatto arrivare dalla Cina un carico di 3 milioni di proiettili per kalashhnikov, 1500 RPG, e 3 mila bombe da mortaio, per dare una lezione al suo ingrato popolo.

Pechino s’è affrettata a dar corso agli ordinativi: un nuovo mercato per il suo export competitivo. La nave cinese con questi rifornimenti, la «An Yue Jiang», era stata a tutta prima bloccata. Ma Emerson Mnangagwa, il comandante dell’operazione-terrore, è poi andato in Angola a convincere il presidente di laggiù, Eduardo Dos Santos, a lasciar sbarcare il carico (2). Non è stato difficile convincerlo, i dittatori africani non mancano di darsi una mano a vicenda. Anche il capo del Sudafrica, Mbeki, tiene discretamente bordone.

E pensare che Mugabe è stato popolarissimo fra la sua gente. Fin dal principio aveva promesso di «risolvere il problema della terra», sostenendo che i coloni bianchi (gente nata lì, nella ex-Rhodesia), l’1% della popolazione, avevano accaparrato  il 70% dei terreni coltivabili. Raggiunse l’apice della popolarità nel 2000, quando decretò l’esproprio forzato di 4 mila e passa coltivatori bianchi, e la redistribuzione forzosa delle loro terre alla gente nera: per lo più suoi fedelissimi, ma non conta. Ci furono scene di giubilo, esplosioni di gioia, mentre migliaia di coltivatori neri prendevano possesso dei campi, fra abusi  e violenze, condonate dai tribunali.

Mugabe definiva i bianchi «i nostri nemici», e nel 2002 vietò persino loro di mietere: ben fatto!, applaudiva il popolo zimba. Via gli sfruttatori d’altra razza, quei razzisti!  Finalmente padroni in casa nostra.

Fatto sta che l’agricoltura, la prima voce di esportazione per lo Zimbabwe - specie tabacco - sotto le cure degli agricoltori neri è crollata. Non solo mancano i prodotti da vendere, ma anche quelli per mangiare. Secondo le agenzie dell’ONU, da anni lo Zimbabwe soffre una crisi umanitaria con pochi paragoni. La speranza di vita per i maschi, che toccava i 60 anni nel 1990, è scesa a 37 anni, e a 34 per le donne, la più bassa del mondo. La mortalità infantile è salita da 53 ad 81 ogni mille nati vivi.
Quasi due milioni di zimbaweani hanno l’AIDS. E 3,4 milioni (su 12 di popolazione totale) sono riparati all’estero.

Oggi persino l’attività mineraria e il turismo hanno superato l’agricoltura come fonti di valuta estera; ed è tutto dire, dato che, sotto la libertà di Mugabe, il turismo (1,9 milioni di turisti nel 1999) è crollato del 75%.  Solo il 20% delle camere di albergo sono occupate, ciò che ha messo sul lastrico migliaia di disoccupati, nonostante le attrazioni locali, dalle Cascate Victoria al fiume Zambesi ai safari. Del resto, quali safari?

Il 60% dei selvatici sono morti dal 2000, apparentemente per indipendenza dagli sfruttatori bianchi razzisti. La deforestazione ha proceduto con pari intensità, e così l’inquinamento di acque e fiumi con metalli pesanti a causa di tecnologie di estrazione mineraria indipendenti. Poche le attrattive  rimaste, per cui valga la pena di visitare il Paese.

Fra queste, un’inflazione salita dal 32% nel 1998 al 100.58% a gennaio 2008 (secondo i dati del governo), e del 150 mila% non ufficiale. Oppure la nuova moneta introdotta nel 2006, il dollaro zimbabweano pesante, pari a 100 dollari zimbabweani di prima: sul mercato parallelo, nel giugno 2007, ce ne volevano 120 mila per comprare un dollaro USA.

L’attrazione più pittoresca però è certamente lui, il presidente Mugabe. Quest’uomo calunniato da Amnesty International, che lo accusa di violare la libertà di residenza, di riunione, di negare aggressioni a giornali, oppositori politici e attivisti sociali, ha organizzato per il suo popolo, nel 2005, la «Operation Murambatsvina»: ossia ha raso al suolo le bidonvilles che si affollano attorno alle città, e con l’occasione ha stroncato i mercatini «illegali» con cui la gente sopravviveva all’iperinflazione. Lo scopo proclamato era di dare alloggi decenti a tutti quei baraccati. Naturalmente non s’è visto un solo alloggio nuovo costruito, e 560 mila ex-baraccati sono diventati senzatetto.

Il fatto è che il Paese, che dipende totalmente dall’estero per l’energia, non ha abbastanza dollari USA con cui comprare il petrolio, perchè le sue esportazioni agricole sono praticamente a zero. Questa sarebbe una delle cause della iperinflazione, insieme alla corruzione del regime o - come accusa il regime - alle sanzioni imposte da Europa ed USA per le suddette calunnie (violazioni dei diritti umani).

La crisi valutaria ha indotto Mugabe, nel 2005, a mettere al governo Gideon Gono, il banchiere centrale. Costui ha riaperto ai coloni bianchi, chiedendo loro di tornare a riprendere a coltivare i campi; nel 2007, il governo ha persino concesso a qualche bianco (4 o 500 coraggiosi) ad affittare le terre con contratti a lungo termine.

Ma poi, Mugabe  ha cambiato idea: ha preso a minacciarli di nuovo. L’ordine è stato chiaro: via dal Paese, altrimenti in galera. I 400 coraggiosi se ne sono andati. Senza troppi rimpianti: le terre che erano state confiscate, sotto le cure dei coltivatori afro, ormai non erano più produttive. Irrecuperabili (3).

Poi le elezioni, che hanno dato una vittoria agli oppositori. Una vittoria misurata: evidentemente, il padre della patria ha ancora molti sostenitori e clienti. La loro Casta, si può dire. La speranza di liberarsi di Mugabe sta affondando nel sangue e nel terrore. E’ una storia africana.

Ma riguarda un pochino anche noi: vedete com’è difficile liberarsi dalla Casta parassitaria, una volta che ha piantato i suoi artigli sulla schiena del popolo.




1) Peta Thornycroft, «Zimbabwe: terror of Rhodesian bush war  days returns», AllAfrica.com,
4 maggio 2008.
2) Lance Guma, «Zimbanwe: minister claims controversial Chinese arms now in country», AllAfrica.com, 6 maggio 2008.
3) Voce «Zimbabwe» su Wikipedia.



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