Falluja: c’è Al Qaeda. Davvero…
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Ora, i media dicono che la città di Falluja è in mano ad «Al Qaeda». E mostrano foto di barbuti inturbantati coranici col kalashnikov, certamente truci e pericolosi (a patto che le foto non siano state scattate in Siria, dove simili inturbantati sono alleati dell’Occidente). Falluja è diventata, dunque, islamista integralista fanatica.

Non lo è stata sempre. Come capitale del triangolo sunnita e sede della kabila dei sostenitori di Saddam Hussein, la sua popolazione aderiva massicciamente al laico partito Baath. Cosa abbia fatto diventare questa popolazione integralista e coranica, assetata di sangue infedele, l’ha ricordato brevemente ai suoi concittadini l’ex candidato alla Casa Bianca Ron Paul:

«Falluja? Subito dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003, le forze armate USA spararono su manifestanti che protestavano disarmati, ammazzandone venti e ferendone decine. Per ritorsione, iracheni del posto hanno preso un convoglio di contractors militari USA, uccidendone quattro. Poi [nel 2004] gli USA hanno sferrato un attacco pesantissimo su Falluja per riprenderne il controllo, che ha lasciato forse 700 iracheni uccisi e la città di fatto distrutta. Secondo la stampa, non solo Falluja, ma la provincia di Anbar dove Falluja è situata, è sotto assedio di Al Qaeda. Durante il “surge” del 2007, più di mille soldati USA sono stati uccisi mentre “pacificavano” la provincia di Anbar. Al Qaeda non si trovava in Iraq prima dell’invasione USA; oggi lancia il proprio “surge” ad Anbar».

Anche Ron Paul sorvola alquanto: gli attacchi americani a Falluja hanno avuto lo scopo di eliminare dal potere politico le kabile sunnite che lo detenevano all’ombra di Saddam, attraverso un deliberato genocidio. Nell’aprile, un’incursione di Marines per vendicare i quattro contractor (erano sparacchiatori-assassini della Blackwaters, provocatori ottusi, che avevano sfidato la dignità tikrita) i cui corpi mutilati gli iracheni avevano appeso ad un ponte, incontrò una resistenza del tutto imprevista: gli insorti, ben consci che dal loro valore dipendeva il futuro posto della minoranza sunnita nel « nuovo» Iraq, si batterono con eroismo irriducibile, attirando le stupide truppe americane in una battaglia nel centro urbano, casa per casa, dove si trovarono ovviamente in inferiorità. Per sganciarli, gli americani usarono tutto il loro immane volume di fuoco, bombardamenti aerei, carri armati Abrams, artiglieria pesante, attacchi con gli AC-130 — detto «cannone volanti».



Era la prova di un valore irriducibile, che doveva essere stroncato. Il quartier generale americano occupò mesi per accumulare forze schiaccianti attorno alla città; come preparazione psicologica, già a settembre la propaganda USA si disse certa che a Falluja era asserragliato «Ayman Al-Zawahiri» (l’introvabile «numero 2 di Al Qaeda», i cui video sono scoperti sul web dal SITE, la ditta di Rita Katz) con cinquemila uomini «per lo più non iracheni».

La battaglia di novembre consisté in diluvi di fosforo bianco, di napalm ed altri prodotti incendiari, di obici all’uranio impoverito sparati dal GAU-8A 30 millimetri a sei tubi (una katiusha) sull’abitato, da sostanze non identificate che carbonizzavano i corpi ma non gli abiti da cui erano vestiti. Quando le truppe USA osarono entrare nella città, «fu solo un massiccio massacro di Arabi», come ha dichiarato uno dei soldati che vi partecipò, Jeff Englehart, del Colorado. Moschee, ospedali sono stati colpiti e «ripuliti», s’è sparato su chi si arrendeva. Un altro soldato, Garret Reppenhagen, ha detto che le uccisioni di civili, anche bambini, furono «frequenti e intenzionali». Tutto ciò è stato documentato dal documentario «la Strage Nascosta» di due italiani, Sigfrido Ranucci a Maurizio Torrealta, che la RAI ebbe il raro coraggio di mandare in onda l’8 novembre 2005.

Le centrali americane, naturalmente, hanno smentito e negato. A conferma, restano le immagini dei cadaveri consumati, il fatto che dopo la «vittoria» camion americani hanno portato via tonnellate di terra – in pratica scrostando e ripulendo il primo strato di terreno dalla città-martire, per nascondere l’uso di sostanze criminali – e le malformazioni orrende che continuano a colpire i feti e neonati-morti a Falluja. Il numero dei morti, mai accertato, si calcola a migliaia, dato che nella città sotto la pioggia di fuoco erano rimasti almeno 30 mila civili. Almeno 200 mila sono i senzatetto e i profughi.

Quel tipo di guerra che si può chiamare «strategia israeliana», in quanto applicata da mezzo secolo come risposta alle richieste politiche palestinesi: sterminio invece che negoziato. Il successo, anche in Iraq, è stato discutibile. Nell’area di Falluja incenerita, gli attacchi degli insorti invece di calare si sono accresciuti, con agguati ai mezzi americani per bombe improvvisate (IED) ed attacchi cosiddetti “suicidi”. Una irriducibile volontà di resistenza, ed uno stillicidio di vittime tra i Marines. Un anno e mezzo dopo, i ribelli erano capaci di «operare in grandi numeri»: è stato necessario montare una terza battaglia di Falluja dall’autunno 2006 al gennaio 2007: ma non l’hanno chiamata così; la propaganda di George Bush jr. la ribattezzò «surge», «ondata: un’ondata che richiese 20 mila altri soldati USA da impegnare: la strategia era stata suggerita dalla centrale neocon (ossia israeliana) American Enterprise Institute.

Si parlò anche di Great Sunni Awakening, il gran risveglio sunnita: gruppi di auto-difesa capeggiati da sceicchi locali che accettarono, dietro pagamento di stipendi, di affiancarsi agli americani nel ridurre la violenza locale: era ancora una volta manifestazione altamente politica, i capi tikriti dimostravamo che erano capaci di controllare civilmente il loro territorio di Anbar e di tener lontani gli stranieri fondamentalisti («Al Qaeda», insomma i sauditi) dalla loro guerra patriottica.

Il Primo Ministro messo al potere dagli americani, Nuri al Maliki – sciita – ha avvertito gli USA che questi «cittadini armati» erano in realtà l’opposizione sunnita; gli americani hanno raccomandato di integrarle al più presto nelle forze armate o polizia irachena, cosa che è stata fatta (ovviamente) poco e male dal nuovo regime sciita. Persa la speranza di avere un posto dignitoso e riconosciuto nel «nuovo» Iraq, già nel 2009 gruppi del «risveglio» avevano minacciato di scatenare la guerra fra kabile. Gli enormi, continui sanguinosissimi attentati in corso in Iraq sono il segnale che le esigenze politiche dei sunniti – un gruppo che evidentemente continua a resistere e a richiedere il suo posto – non sono state esaudite.

Come ha detto Ron Paul: «L’anno passato in Iraq è stato il più mortifero degli ultimi cinque. Nel 2013, combattimenti e attentati son costati la vita di 7.818 civili e di 1050 membri delle forze di sicurezza. Nel solo dicembre sono stati uccisi un migliaio di persone. Per l’Iraq, la “liberazione” americana si comprova peggiore dell’autoritarismo di Saddam Hussein, e continua a peggiorare».

Ron Paul ha ricordato le infinite sedute della Commissione Relazioni Internazionali della Camera, in cui si lodava il «surge» perché avrebbe dato la certa vittoria agli USA, e il cosiddetto «awakening, che era di fatto un accordo per cui gli insorti smettevano di combatterci in cambio di dollari». Ed ha chiamato in causa Richard Perle, l’ebreo neocon che di fatto preparò al Pentagono l’invasione dell’Iraq, e gli altri neocon che assicurarono che l’invasione sarebbe stata «una passeggiata».

«Il mese scorso gli Stati Uniti hanno mandato un centinaio di missili aria-terra all’aviazione irachena per martellare il sorgere di Al Qaeda in Falluja. Ironicamente, gli stessi Al Qaeda che godono dell’aiuto coperto ed aperto americani per cacciare Assad dalla Siria, che sta nella porta accanto. I neocon non hanno rinunciato. Sono loro che quest’estate premevano per l’attacco alla Siria, e per fortuna senza successo. Ora fanno tutti gli sforzi per mandare a monte i tentativi del presidente Obama di aprire negoziati con l’Iran. Giusto la settimana scorsa William Kristol [potentissimo giornalista ebreo, neocon che fu nel governo di George H. W. Bush come capo della staff del vice-presidente Quayle] ha incitato Israele ad attaccare l’Iran con la speranza che noi americani ne saremmo trascinati dentro. Senatori neocon di entrambe le parti hanno varato la legge Nuclear Weapon Free Iran Act del 2013, anche questa allo scopo di metterci in guerra con l’Iran. La prossima volta che questi ci vogliono portare in guerra, pensate: Iraq».

Adesso ci stanno dicendo che Falluja è caduta in mano ad Al Qaeda, che i tikriti sono diventati islamisti e vogliono la Shariah.

«Siamo molto preoccupati», ha detto John Kerry, «degli sforzi di Al Qaeda e dello Islamic State of Iraq in the Levant, che è affiliato ad Al Qaeda – per cercare di affermare la sua autorità non solo in Iraq, ma anche in Siria. Sono gli attori di gran lunga più pericolosi nella regione. La loro barbarie contro i civili a Ramadi e Falluja e contro le forze di sicurezza irachene è di fronte agli occhi di tutto il mondo».

Barbari, forze del male sono ovviamente quelli di Falluja, non noi. Strano, dopo tanti energici e ripetuti sforzi per portarvi pace e democrazia e stile di vita occidentale. Come mai l’America sotto guida neocon crea attorno a sé il caos? Forse perché «è» il caos.




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