Baltimora: la manina di Soros dietro i Blacks (Bloc)
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Anche a Baltimora, anche a Ferguson – come a Milano – sono comparsi i Black Bloc. O qualcosa di molto simile: gruppi organizzati, venuti da fuori, che si sono dati a violenze estreme, incendi e saccheggi , ed hanno trasformato la giustificatissima protesta dei neri per le brutalità poliziesche e l’emarginazione sociale in qualcosa di diverso: uno scontro razzialmente motivato, dove si suscitano odi di pancia.

Varie fonti , fra cui il Baltimore Sun, attestano di una ventina di identificati «social media» intesi ad aizzare i peggiori istinti dei manifestanti a Ferguson e poi, ugualmente, a Baltimora. Il Washington Times ha raccontato che, prima dei disordini, già venivano diramati tweet con l’incitamento ad «ammazzare un poliziotto bianco» per vendicare i ragazzi negri trucidati dagli agenti in entrambe le città. Altre fonti, per esempio il sito motherjones, hanno riferito di un comportamento provocatorio della polizia contro bus di studenti che stavano tornando da scuola, «fatti scendere» e tenuti in attesa senza motivo, impossibilitati ad andare a casa (la polizia aveva chiuso la fermata della metropolitana) , fino a provocare il loro lancio di pietre. Un inviato a Baltimora, Jay Johnson, che ha coperto i disordini per Sputnik news, dice: in mezzo alle violenze «ho visto quei tipi bianchi, alti un metro e ottanta con le bandane sul volto. Cercavano di mascherare la loro faccia bianca. Cosa facevano? Cercavano di eccitare i giovanissimi... chi sono questi provocatori professionali?».

Alfano e la sindachessa

Stephanie Rawlings-Blake
  Stephanie Rawlings-Blake
Clamorose le parole sfuggite alla sindachessa nera di Baltimora, Stephanie Rawlings-Blake, ripresa dalle tv mentre diceva d’aver gestito la sua polizia locale secondo «un delicatissimo bilanciamento, perché mentre ci dobbiamo assicurare che siano protetti dagli automezzi, abbiamo anche dato a coloro che volevano distruggere, lo spazio per farlo...».

La somiglianza con le frasi di Alfano e dei capi delle nostre polizie, contenti per «aver scongiurato il peggio», e con gli ordini ricevuti dagli agenti italiani di «evitare il contatto», è impressionante. Anche loro hanno lasciato spazio ai violenti, astenendosi dal bloccarli, e limitandosi a proteggere il perimetro della libertà di violenza.

Gli incidenti sono stati almeno lasciati accadere, e la protesta negra è stata invelenita da agenti provocatori bianchi. Da quale mandante?

Fatto sensazionale, il Washington Times, conservatore e benpensante, già a gennaio (gli incidenti erano ancora limitati a Ferguson), ha scritto:

«C’è un uomo solitario al centro finanziario del movimento di protesta (...) il miliardario di sinistra George Soros, creatore di un impero finanziario che domina oltre-oceano in Europa, e ha plasmato una macchina politica i cui motori sono fondazioni non-profit che influiscono sulla politica americana (...) Soros ha incitato il movimento di Ferguson attraverso anni di contributi in denaro e di mobilitazione di gruppi in tutti gli USA... Mr Soros ha dato almeno 33 milioni di dollari in un solo anno a gruppi che hanno ‘incoraggiato’ gli attivisti di base, sul terreno a Ferguson».

«Bus pieni di attivisti della Samuel Dewitt Proctor Conference di Chicago; della Drug Policy Alliance, Make the Road New York and Equal Justice USA from New York; dei Sojourners, dello Advancement Project e del Center for Community Change in Washington; e reti della Gamaliel Foundation – tutte entità finanziate da Soros – sono calati a Ferguson a cominciare da agosto e poi hanno organizzato la protesta in città fino al mese scorso», conclude il Washington Times. Avevamo riportato la notizia qualche tempo fa.

Attivisti in trasferta per mesi, da agosto a gennaio, sono un costo non indifferente; devono essere stipendiati. A tutte le organizzazioni «spontanee» e fondazioni sopra citate, Soros provvede attraverso la sua Open Society Institution, la fondazione «culturale» (1) con cui diffonde la «democrazia», ossia suscita rivoluzioni colorate all’Est europeo, e in Occidente promuove la liberalizzazione delle droghe, l’aborto, l’eutanasia legalizzata... insomma l’ideologia della «società aperta» consumista-permissiva e sradicata che va’ tanto bene al capitalismo terminale.

È interessante sapere che fra le sopra citate, la Gamaliel Foundation (che si denomina come «una rete di organizzazioni inter-razziali di base») finanziata da Soros, è la fondazione dove ha cominciato la sua carriera come organizzatore di comunità il presidente Barak Obama. Quanto allo Advancement Project, che si impegna alla costruzione di una democrazia multi-razziale con cause legali, comunicazioni strategica e sostenendo riforme», ha insegnato alle altre fondazioni le attività di disobbedienza civile.. .con una donazione di 500 mila dollari ricevuta da Soros nel 2013.

Resta da capire come mai Soros – che si proclama un seguace del filosofo liberale Karl Popper – abbia manipolato la protesta negra nella «sua» America, distorcendola verso esiti estremisti e ciechi di violenza. Vuol fare una rivoluzione colorata anche lì? Obbedisce ad un istinto per la destabilizzazione sempre ed ovunque?

Potrebbe essere come lo scorpione dell’apologo che punse la rana la quale aveva accettato di portarlo aldilà dello stagno: «è la mia natura...». È un’intuizione da non scartare, che va integrata con la «teoria del caos» di un altri ben noto filosofo ‘americano’, l’ebreo Leo Strauss: nel disordine, prima psichico che sociale, chi comanda davvero da dietro le quinte ha solo da guadagnare e cogliere occasioni.

Dietro l’organizzazione delle rivoluzioni dei colori, scrive Brandon Turbeville, giornalista di Washington, «c’è tutta una scienza di mobilitazione di un movimento di destabilizzazione».

Una scienza che usa varie professionalità (marketing, giornalismo, pubblicità, radio e tv, lobbing dei politici, musica, slogan), che ha come scopo di «creare non solo amici ma i nemici, creare i confini fra buoni e cattivi, per lo più utilizzando questi talenti per aggirare l’intelligenza della audience, poiché il vero bersaglio è suscitare emozionalità, spesso anche subconsce (..) Collettivamente, il loro scopo è di far sembrare un putsch di palazzo da loro perseguito, come una rivoluzione sociale; riempire le strade di dimostranti senza paura che agiscono per il governo dei loro sogni, e legittimano una golpe con l’autenticità della democrazia popolare e del fervore rivoluzionario».



In Ucraina, la tecnologia della destabilizzazione è utilizzata per il regime change. È possibile invece che in USA, la stessa tecnica sia usata per regime reinforcing: il rafforzamento del regime attuale, quello delle oligarchie di Wall Street, attraverso la delegittimazione della protesta sociale (come hanno fatto a Milano i Black Bloc) tramutandola in teppismo razziale.

Lo indovina il giornalista di cui sopra:

«...l’economia americana continua a collassare – nonostante gli strombazzamenti mediatici a proposito della ripresa – e la gente sta cominciando a capire che i caporioni dietro le quinte stanno esaurendo i trucchi. Le corporo-crazia diventa sempre più ricca e potente, e dall’altra il mercato del lavoro non fa che restringersi: il futuro non si presenta buono per l’uomo qualunque» (2).

Non vi sembra che il collega americano descriva il governo Renzi, il nulla pseudo-decisionista messo lì per proclamare coi tweet che c’è la ripresa, per recitare l’ottimismo, simulare che le riforme sono state fatte, che ormai il futuro è roseo, basta che arrivino gli investimenti stranieri? Con le sue belle e giovani ministre adoperate come comparse ed attrici, per coprire il crollo economico senza prospettive...

Il trucco comincia a vedersi. Nei sondaggi, Renzi cala. Ed allora ecco i Black Bloc a terrorizzare la gente, quella che avrebbe tutte le ragioni per protestare civilmente e politicamente, e sequestrare la protesta coi centri sociali.

«Il popolo americano – conclude il collega – deve far presto a imparare la formula che sta dietro le rivoluzioni dei colori, l’agenda dell’oligarchia mondiale dietro le destabilizzazioni prima che sia tardi per noi tutti. Le proteste sono necessarie. Una ben diretta rabbia può essere parimenti necessaria. Ma la devastazione e distruzione vandalica di beni comuni, appartenenti a tutti ai nostri vicini, provoca una rabbia che può essere diretta contro voi che protestate, e persino a ragione. L’intero Paese è suonato come un violino. Baltimora è un microcosmo. Svegliamoci prima che sia tardi».




1) Tutti i miliardari americani hanno le loro fondazioni culturali — la dizione «culturale», o «senza scopo di lucro», comporta l’esenzione fiscale: consente ai ricchissimi di versare a questi enti parte dei profitti ricavati dai loro business, eludendo l’esazione e finanziando centri-studi che fanno i loro interessi, talvolta sotto finzione di filantropia. La Rockefeller Foundation, RAND Corporation, il Council o Foreign Relations – ed ovviamente la Open Society – sono tutte esenti da imposte.
2) Naturalmente, il potere americano ha approfittato dei disordini per proporre la «federalizzazione» delle polizie, ossia la loro dipendenza dall’FBI. Le polizie locali possono simpatizzare con le proteste sociali. Che in USA le polizie siano state armate come un esercito, è cosa che salta all’occhio. È un progetto già esposto nel 2008 da uno studio dello Strategic Studies Institute (SSI), un ente dello ’US Army War College. Intitolato «Known Unknowns: Unconventional Strategic Shocks in Defense Strategy Development», scritto dal tenente colonnello Nathan Freier, il rapporto diceva che le forze armate devono addestrarsi ad essere usate all’interno dello stato americano, quando un «collasso economico imprevisto» o « la perdita di efficacia dell’ordine legale o politico» possa provocare, attraverso le proteste sociali, «una dislocazione strategica violenta dentro gli Stati Uniti»: Per «dislocazione strategica», ovviamente, si intende la perdita del potere dalle mani delle oligarchie dominanti.



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