don C. Nitoglia 30 Luglio 2016
Premessa
1] Monsignor Mario Oliveri, ex Vescovo titolare della Diocesi di Albenga, ha scritto su Studi Cattolici del giugno 2009 un articolo su “La riscoperta di Romano Amerio” in cui afferma che non è solo lo spirito o l’interpretazione data da alcuni teologi super-progressisti del Concilio a contenere equivoci, ma è la lettera stessa del Concilio ad essere oggettivamente in contraddizione con i Concili dogmatici della Chiesa.
2] Cfr. Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009; Id., Tradidi quod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010; Id., Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011; Id., Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011.
L’Autore in questi libri sostiene che la “continuità” tra la Tradizione apostolica e la teologia pastorale del Concilio Vaticano II è “affermata, ma non provata”. Innanzitutto le parole non sono la realtà ed inoltre non corrispondono ad essa. Vi è quindi un divario tra il detto e il fatto. Ora la definizione di verità è “conformità del pensiero alla realtà”, mentre l’errore è definito “non conformità del pensiero e delle parole che lo esprimono ai fatti”. Quindi la teoria dell’ermeneutica della continuità – oggettivamente – è un errore o una falsità.
3] Con il Vaticano II e la Nuova Messa abbiamo assistito ad un tentativo di protestantizzazione dell’ambiente ecclesiale. Infatti il Concilio a) con la “Collegialità” ha fatto proprio l’odio luterano e gallicano per il primato del Papa; b) con la cosiddetta “Libertà religiosa” ha fatto proprio l’odio liberale verso la cooperazione tra lo Stato e l’unica vera Religione fondata da Dio; c) con l’“Ecumenismo” l’odio per la purezza e l’intolleranza dottrinale della Chiesa romana “extra quam non est salus”; d) con la pseudo-“Riforma liturgica”, elaborata assieme ai calvinisti, ha prodotto un rito (il Novus Ordo Missae di Paolo VI, 1969) oggettivamente ibrido ovvero un incrocio tra due riti essenzialmente diversi: quello protestantico e quello cattolico.
4] La “teologia pastorale” consiste nell’ applicare i princìpi dogmatici ai casi concreti (card. A. Ottaviani). Il Concilio Vaticano II non ha voluto definire e condannare infallibilmente nessuna dottrina rivelata, né obbligare a credere alcunché. Ha soltanto cercato di applicare i princìpi immutabili della Chiesa alle vicissitudini della modernità. Tuttavia lo ha fatto avendo accettato esplicitamente il linguaggio (ed implicitamente il pensiero) soggettivista che è proprio della modernità. Quindi l’applicazione del dogma al caso concreto si è rivelata falsata dal linguaggio e dal pensiero della filosofia moderna, che va da Cartesio (†1650) a Hegel (†1831). I frutti della ‘pastorale prudenziale’ del Vaticano II sono stati inquinati da quello che il gesuita padre Guido Mattiussi chiamava “Il veleno kantiano” (Monza, 1907). Quindi essi risultano viziati dal soggettivismo, che relativizza ogni verità, principio e dogma. La prudenza, che deve presiedere all’ applicazione retta del principio dottrinale al caso concreto e pratico alla luce della sana dottrina e del buon senso pratico, è mancata totalmente nell’ insegnamento del Vaticano II, in voto “pastorale”, ma in realtà ‘a-pastorale’de facto sia per difetto di sana dottrina, sia per mancanza di buon senso, il quale vuole che nel decidere praticamente il da farsi, ci si abbeveri alla Saggezza filosofica e teologica perenne, al Magistero tradizionale, alla Tradizione apostolica e non alle fonti inquinate della filosofia moderna. Il fatto di non aver voluto metter in guardia i fedeli dai pericoli che allora minacciavano il mondo e la Chiesa (p. es. il Comunismo sovietico) può essere qualificato, come minimo, come una totale mancanza di buon senso, di prudenza, di sano insegnamento e di pratica pastorale.
5] Cfr. Giovanni XXIII, Allocuzione nella solenne inaugurazione del Concilio, 11 ottobre 1962; Paolo VI, Omelia durante la IX Sessione del Concilio, 7 dicembre 1965, ripetuta il 16 gennaio 1966.
6]Cfr. A. Lémann, L’Anticristo, Proceno di Viterbo, EFFEDIEFFE, II ed., 2013; H. Delassus, Il Problema dell’ora presente, Proceno, EFFEDIEFFE, 2 voll.; II ed., 2014-2015; M. Pinay, Complotto contro la Chiesa, Proceno, EFFEDIEFFE, II ed., 2015.
7 ]La tendenza a non distinguere il soggetto insegnante e l’oggetto o verità insegnata appartiene alla forma mentis del teologo Joseph Ratzinger sin dai suoi studi giovanili. Per esempio, nella sua Tesi di Laurea su San Bonaventura egli sosteneva che la Rivelazione non è una questione di verità oggettive Rivelate, ma è l’evento di Dio rivelatore, vale a dire che il soggetto (Dio rivelatore) ingloba e fa un tutt’uno con l’oggetto (la verità Rivelata). Fu proprio per questo motivo che il teologo tedesco Michael Schmaus bocciò la sua Tesi di Laurea come storicistica, modernistica, soggettivistica e tendente all’evoluzione eterogenea del dogma. Il 13 luglio del 1988, da cardinale, Joseph Ratzinger disse (ma non dimostrò) all’ Episcopato colombiano e cileno che il Concilio Vaticano II è in continuità col passato della Chiesa e quindi è obbligatorio. Nel suo ragionamento, però, vi è il passaggio indebito dalla immutabilità del soggetto Chiesa all’immutabilità dell’oggetto dottrina. Nella sua ottica, siccome il soggetto Chiesa ingloba l’oggetto dottrina e poiché la Chiesa cattolica è sempre la stessa, ne consegue ipso facto che l’oggetto o la dottrina insegnata è inglobata nel soggetto Chiesa ed è in continuità con la dottrina tradizionale. Ma ciò è smentito dalle “novità” oggettive contenute nei 16 Documenti del Vaticano II.
8] Cfr. Arnaldo Xavier Vidigal Da Silveira, Qual è l’autorità dottrinale dei documenti pontifici e conciliari?, “Cristianità”, n. 9, 1975; Id., È lecita la resistenza a decisioni dell’Autorità ecclesiastica?, “Cristianità”, n. 10, 1975; Id., Può esservi l’errore nei documenti del Magistero ecclesiastico?, “Cristianità”, n. 13, 1975.
9] Il fatto (quia) certo è quello sopra esposto (discontinuità di dottrina ante e post Vaticano II), mentre i princìpi da tenere fermi sono: a) la indefettibilità e la perennità dell’Unica Chiesa fondata su Pietro e i Papi e b) che l’infallibilità viene impegnata solo quando il Magistero vuol definire una verità come rivelata ed obbligare a crederla per andare il paradiso o sotto pena di dannazione. Il come e il perché (propter quid) sia stato possibile l’attuale disastro o ‘catastrofe’ spirituale nella Chiesa è un mistero che soltanto Dio conosce. Noi dobbiamo continuare a credere e a sperare che da ogni male permesso Dio trae un bene maggiore. Anche il Poeta ci invita a non voler conoscere le imperscrutabili vie di Dio e le loro cause (propter quid). Quindi dobbiamo contentarci di sapere il fatto (quia) senza presumere di conoscereil perché di ogni cosa:“Matto è chi spera che nostra ragione/possa trascorre la infinita via/che tiene una Sustanza in tre Persone./ State contenti, umana gente, al quia /ché, se potuto aveste veder tutto,/mestier non era partuir Maria” (Dante, Purgatorio, III, 36-37). Se potessimo conoscer ogni cosa (quia et propter quid) avremmo ancora la scienza infusa persa da Adamo e non sarebbe necessaria la Redenzione. Cfr. anche S. Tommaso d’Aquino, S. c. Gent., I, 3.
10] Cfr. “Divinitas”, n. 2/2011, p. 188 ss.
11]Cfr. “Divinitas”, n. 2/2011, p. 188 ss.
12]La differenza tra i periodi di ‘sede vacante’, o interregno tra un Papa e l’altro, e il “sedevacantismo”, che afferma la mancanza (totale o solo attuale) di un Papa e di un Corpo di Vescovi aventi giurisdizione e ritiene i Cardinali capaci solo di partecipare alle elezioni, ma impossibilitati a governare poiché privi di autorità, è abissale. Infatti a) nel primo caso i Cardinali mantengono in vita la Chiesa poiché fungono pro tempore, in attesa del nuovo Papa, da autorità o principio di vita della medesima (sono ‘vicari’ vivi del ‘Vicario’ morto); b) nel secondo caso, invece, si afferma che l’autorità è scomparsa (e con essa il principio di unità e di esistenza) nel Papa, nei Vescovi e nei Cardinali, onde la Società spirituale Chiesa gerarchica romana sarebbe senza principio formale di vita (= autorità) e quindi dovrebbe essere morta. Ma ciò è contro la Fede. Francesco I governa de facto, ha il titolo di Papa de jure, anche se l’esercizio di tale titolo è deficiente: governa malamente, ma è Papa; quod non repugnat. Lo stato ordinario di ‘sede vacante’ si ha quando un Papa muore, ma il Collegio cardinalizio con il Cardinal decano, conformemente al Diritto ecclesiastico, fungono da Papa e ne svolgono le mansioni pro tempore. Una Chiesa senza Papa, Cardinali e Vescovi (“sedevacantismo”) sarebbe morta totaliter. Il caso di interregno tra un Papa morto ed uno ‘eligendo’ (“sedevacante”) è diverso dal sedevacantismo, dacché i Cardinali (collegialmente ‘sotto’ il Cardinal decano) governano con autorità la Chiesa, la quale ha un Papa morto ed uno ancora non eletto, ed assicurano l’unità, la permanenza in vita di essa e la sua visibilità e non si limitano ad essere “solo elettori”. «L’elezione [del Papa] è perfetta ed irrevocabile dal momento che il designato, interrogato dal Sacro Collegio, dichiara di accettare (n° 87-88 della Costituzione di s. Pio X del 25 dicembre 1904, Vacante Sede Apostolica). Se l’eletto non è prete o vescovo viene immediatamente ordinato o consacrato dallo stesso cardinale decano (n° 90)». (F. Roberti-P. Palazzini, Dizionario di Teologia Morale, Roma, Studium, 1968, 4a ed., 1° vol. p. 360).
13] Papa Vittore I, santo (189-199) in un primo momento volle imporre la sua autorità sulla questione della data della Pasqua. Infatti Roma e la Chiesa latina la festeggiavano la domenica che seguiva il 14° giorno del mese di Nissàn. Invece la chiesa dell’Asia minore la celebrava il 14 di Nissàn, anche se non era domenica. Vittore le chiese di uniformarsi a Roma, ma la Comunità asiatica si irrigidì e il Papa decise di scomunicare tutta la suddetta Comunità e il suo Vescovo Policrate. Tuttavia molti Vescovi latini manifestarono al Papa le loro perplessità sul suo provvedimento, che avrebbe provocato uno scisma; decisivo fu l’intervento di Sant’Ireneo, Vescovo di Lione (130-202), che convinse il Papa a scendere a più miti consigli, onde Vittore non dette corso al suo proposito di scomunica. Come si vede, in una questione molto importante (la Chiesa d’Oriente e quella di Occidente celebrano tuttora la Pasqua in due date diverse) un Papa (per di più santo) lasciò ai cattolici orientali la possibilità di celebrare la Pasqua anche non di domenica (giorno in cui è risorto Gesù), senza condannarli e scomunicarli. Purtroppo qualcuno, che si prende per il “Padreterno”, scomunica e condanna “a destra e a manca” chi non ha le sue stesse opinioni. Etienne Gilson diceva che “Un’opinione teologica e una scuola teologica non possono pretendere di imporsi come verità di Fede, ‘scomunicando’ le altre opinioni e le altre scuole teologiche”.