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Guarire dal passato
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«Guarire significa essere liberi dal condizionamento, dalle reazioni pre-programmate verso il mondo, allora essere guariti inizia ad assomigliare all’avere la capacità di scegliere risposte nuove e creative ad ogni situazione, cosi come si presenta» (1).

«Il nostro cervello è in grado di funzionare ad un alto livello di complessità, di reagire contemporaneamente a numerosi stimoli dell’ambiente e di decidere all’istante cosa significano le cose e cosa dobbiamo fare con esse. Grazie alla ripetitività dell’esperienza,  formiamo associazioni, quindi impariamo dall’esperienza e ciò che apprendiamo colora la nostra risposta a nuove situazioni. Le connessioni tra cellule nervose vengono rafforzate ogni volta che c’è uno stimolo ripetuto. Come già Pavlov mostrò con il suo famoso esperimento con i cani, se viene suonato un campanello ogni volta che c’è del cibo, impariamo a produrre una salivazione ogni volta che lo sentiamo, anche se non c’è il cibo. Si crea cosi una correlazione tra campanello e cibo e si rafforza attraverso la ripetizione dell’atto/evento. Questa è un classico esempio di condizionamento» (2).

Come si sostiene da parte di molti studiosi «ogni sintomo è un messaggio».
Del resto, lo stesso criterio sembra essere molto vicino alle conclusioni a cui è arrivato il noto dottor Hamer, per il quale la malattia rappresenta una «fase di riparazione», un tentativo di rimediare ad un evento traumatico, «spiazzante» per l’individuo; «per la medicina ufficiale come pure per la medicina alternativa, tutte le cosiddette malattie sono considerate degli ‘errori’ della natura, come una deficienza del cosiddetto sistema immunitario, come qualcosa di maligno che tenta di distruggere l’organismo. Per questo la malattia deve essere combattuta e debellata con tutti i mezzi di strategia medico/militare a disposizione… la Nuova Medicina Germanica descrive esattamente le correlazioni medico/biologiche dell’organismo quale unità di psiche-cervello-organo. Tutti i processi di psiche e organo sono tra loro connessi e coordinati attraverso il cervello» (3).

Questo criterio operativo vale in realtà anche ad un livello diverso (se volete, più elevato), vale per la vita dello spirito.
Il cristiano sa per rivelazione che tutto il male nel mondo, malattie comprese, a cui egli è soggetto, dipendono dal peccato d’origine.
Gli altri peccati personali determinano una sorta di peggioramento e di recrudescenza della situazione di infermità della persona umana.
L’uomo, dopo il peccato, perde la vita eterna (Dio stesso e con ciò, tutto!), e la salute del corpo.
L’infermità nasce proprio da uno scompenso spirituale che riecheggia sulla corporeità (ammesso e non concesso che si possa fare una distinzione netta tra spirito e corpo; effettivamente il termine biblico nephesh assume un significato onnicomprensivo di «persona vivente» e non soltanto di «anima»), danneggiandola e corrompendola alla morte: quest’ultima è la manifestazione estrema e fisica della dirompenza micidiale del peccato sull’uomo: esso lo distrugge a tal punto da disintegrarne l’unità primordiale (nephesh, appunto): la morte, quale scissione dell’anima dal corpo è l’evento più innaturale che possa verificarsi.

L’uomo è destinato ad essa, solo perché raccoglie il salario del peccato.
La malattia (fisica o mentale che sia) certamente obbedisce a questa spietata logica di causalità che non dipende dalla volontà divina di compiacenza, ma certamente da una permissione divina.
La distinzione non è di poco conto: perché Dio si compiace soltanto del Bene (che sorge solo da Lui) e mai del male (che sostanzialmente non esiste come invece è per il Sommo Bene), che permette soltanto per ricavarne un bene maggiore.

Possiamo affermare che è senz’altro così; la malattia (di qualunque genere sia) scaturisce sempre da un disordine di tipo esistenziale (spirituale, fisico, alimentare, circostanziale, affettivo, ecc.), cercando inesorabile l’adempimento dell’ordine divino (iscritto nella natura); è una sorta di riparazione ad una mancanza (in definitiva) di amore (entra dunque in scena l’operatività di leggi universali, cui l’uomo cosciente o non e consapevole o non è suo malgrado obbligato a rispettare e sempre tese all’irraggiamento di una certa «quantità» di amore verso Dio e conseguentemente verso il prossimo; nel momento in cui questo amore non è perseguito secondo le regole divine, deve essere ottenuto per altre vie: questo scostamento tra quello che Dio vuole, iscritto nella natura, e quello che l’uomo compie, genera sempre una sofferenza, un atto di giustizia, volto a ristabilire il turbamento insorto.
Quando l’uomo si ostina nel male e nel disordine esistenziale, dovrà pagare «fino all’ultimo spicciolo» questa sua carenza in purgatorio, se comunque muore in grazia, o all’inferno, nella separazione eterna della Giustizia Divina).
Ma Dio, che è Provvidenza e misericordia, non permette l’inesorabile corso della natura se non nei modi e tempi migliori per l’individuo stesso; il fine è sempre quello del Bene eterno.

Una malattia (sempre meritata in certo modo) si manifesterà o si realizzerà quindi soltanto in accordo con la benevolenza divina, mai come spietato esito di un meccanicistico karma.
E non soltanto questo.
Dio stesso si carica, in Gesù, di quella malattia e di quel dolore; è Lui, il parafulmine, capace di stornare su di Sé le conseguenze estreme del peccato del mondo.
Questo implica l’impossibilità che esista un dolore non conosciuto da parte di Cristo e comporta altresì l’onnicomprensività del Sacrificio del Golgota.
In questa prospettiva, le sofferenze dell’uomo divengono associazione alla Passione gloriosa di Gesù; divengono sintonia con il dolore di Cristo.
Riparazione personale ad un debito d’amore con Gesù stesso, suo vicario offerto al Padre, oppure purificazione del peccato di altri, nelle proprie membra, come accade alle anime sante e vittime per la Chiesa; anime totalmente libere dal peccato, purificate, che si offrono con Cristo, in riparazione delle mancanze d’amore del mondo intero.

In questa prospettiva meravigliosa - nell’ottica della quale il cristiano non è mai solo nel proprio letto di dolore né mai senza senso in ogni istante di sofferenza, ma è sempre unito al suo Capo che lo santifica misteriosamente, ma efficacemente - possiamo chiedere la «guarigione dal passato».
Il passato è quel grande abisso di eventi e di scelte che determina il nostro presente (non senza l’Amore e la permissione del Padre).
Il passato è la causa di molti nostri malesseri spirituali e pertanto anche mentali, psichici e fisici.

Traumi infantili o adolescenziali che possano spesso bloccare il limpido percorso di una vita.
La preghiera per la guarigione del passato deve essere indirizzata proprio al perdono del peccato che ha generato in me quell’abito al male (vizio) di cui pago ancora il tributo o le conseguenze; quell’evento traumatizzante, che è stato capace di sorprendermi, perché il mio cuore non ha confidato pienamente nella misericordia del Padre e non ha saputo vivere la virtù della fiducia filiale; quella trascuratezza di un’infermità spirituale e di un’imperfezione, che si è mutata in un vero e proprio disturbo esistenziale; quell’indolenza nella preghiera e nell’ascesi che mi ha indebolito la carne ed oscurato la mente; di tutto si può chiedere e di tutto si può ottenere perdono; basta essere insistenti e fiduciosi; determinati eppure consapevoli della propria debolezza ed insipienza.

Guarire dal passato è l’esperienza autentica del convertito; è la caduta delle squame dagli occhi, come accadde a San Paolo, dopo l’evento di Damasco; è apertura di prospettive nuove e liberatorie, non più condizionate, veramente adatte a chi vive la vita del «figlio»; è scioglimento della durezza del cuore, cura alla sclerocardia, che impedisce di essere veramente uomini ed umani e che irrigidisce lo spirito in una incapacità di vivere davvero dello Spirito Divino.
Guarire dal passato è essere disposti a cambiare vita, non sin da ora, ma si «da allora», è un «ex tunc» spirituale, retroattivo, che consente a Dio di compiere il miracolo dei miracoli: trasfigurare la vita, purificarla, trasformarla ad immagine del Suo Figlio e grazie a Lui.

Sono certo che molte delle nevrosi mentali a cui siamo continuamente esposti, molti dei nostri stress quotidiani, molte anche delle nostre malattie fisiche, potrebbero svanire disciolte nell’oceano infinito della Divina misericordia, riecheggiando come lode ed onore della potenza e grandezza di Dio, nel giorno del giudizio; motivo non di condanna, ma di eterno ringraziamento da parte di chi ne ha subito il portentoso effluvio d’amore.

Stefano Maria Chiari



1) Da www.thelivingspirits.net/index.php
2) Ibi.
3) Da http://www.nuovamedicina.com/downloads/presentazione%202.pdf


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