Gli ebrei fanno i pogrom: degli africani
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Ignorati dai media servili, pestaggi di immigrati clandestini (sudanesi ed eritrei per lo più) sono avvenuti a Tel Aviv dopo un comizio razzista tenuto da due importanti politici del Likud, Miri Regev (una donna) e Danny Danon.tttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt ttttttttttttttttt ttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt ttttttttttttttttt ttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt

Miri Regev
  Miri Regev
In un discorso incendiario davanti ad una folla di giudei rumoreggianti, la Regev ha chiamato gli immigrati (che spesso fuggono regimi oppressivi, non solo la miseria) «un cancro nel nostro corpo». Danon, da parte sua, ha proclamato: «Dobbiamo espellere gli infiltrati da Israele. Non dobbiamo aver paura della parola espulsione».

Danny Danon
  Danny Danon
Ma ad accendere la miccia degli animi è stato soprattutto un terzo membro della Knesset, Michael Ben Ari, della Unione Nazionale (neofascismo giudaico), che ha incitato la folla alla soluzione finale: «Il tempo delle parole è finito». (African asylum seekers injured in Tel Aviv race riots)

Subito dopo, la folla ebraica infuriata s’è data alla caccia dei passanti di colore, picchiando uomini e donne, assaltando i poveri negozietti degli stranieri, spaccando vetrine e saccheggiando. I feriti nel pogrom sono almeno nove, ma certamente molti di più perchè ben pochi colpiti si sono fatti medicare.

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Il razzismo è ampiamente diffuso e non è una novità, spiega il coraggioso giornalista anti-regime Ran Ha-Cohen. «Solo pochi anni fa, il colonnello Effi Eitan (ministro sotto Ariel Sharon, ndr) ha chiamato i cittadini arabi ‘un cancro per Israele’»; oggi Regev ha esteso la stessa immagine ai «richiedenti asilo».

Michael Ben Ari
  Michael Ben Ari
Anche il termine «infiltrati» (in ebraico mistanenim) è stato coniato inizialmente per i palestinesi che, espulsi dalle loro case e campi o cacciativi dal terrorismo israeliano nel 1948, cercavano di ritornarvi: «Benchè per lo più disarmati, circa 5 mila di loro furono uccisi selvaggiamente dai soldati israeliani negli anni ‘50», racconta Ha-Cohen; «e la cosa s’è ripetuta durante la guerra del 1967». Lo storico israeliano Shlomo Sand ha da poco rivelato come, da giovane soldato, assisté alla violenza contro un vecchio «infiltrato» palestinese che aveva avuto la sfortuna di farsi prendere di giorno (quelli beccati di notte erano ammazzati senza tante storie): «Il detenuto fu legato a una sedia e i miei amici lo pestarono in tutto il corpo, e di tanto in tanto gli spegnevano le sigarette sulle braccia... più tardi, partì un veicolo col cadavere del vecchio».

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La Regev è un membro della coalizione di governo, mentre Ben Rai è, formalmente, di un partito d’opposizione d’estrema destra: ma la loro comunanza nel comizio che ha provocato il pogrom anti-neri a Tel Aviv dimostra, secondo il giornalista, che su il razzismo sono in perfetto accordo e «la coalizione nazistoide che governa Israele è nei fatti più ampia dei 94 membri della Knesset (su 120) che sostiene il governo Netanyahu». E di fatto, questi può contare sull’estrema destra come opposizione finta per le sue politiche; per esempio, quando i regolamenti parlamentari obbligano a nominare ad una funzione un membro dell’opposizione, Netanyahu nomina qualcuno dell’estrema destra razzista, «marginalizzanndo così ancor più la piccola opposizione antirazzista». (Tel Aviv ‘Race Riots’ Reveal Much About Israel)

Netanyahu non ha mancato di dire la sua sulla questione degli immigrati, che per lo più vengono dall’Africa portati da mercanti di carne beduini attraverso il Negev, per trovar lavoro in Israele: sono oggi circa 60 mila (lo 0,8% rispetto alla popolazione ebraica) ma, ha detto Bibi, «possono diventare 600 mila e distruggere Israele come Stato ebraico e democratico». Da noi, nessun politico leghista osa dire che l’immigrazione maghrebina «mette in pericolo il carattere ariano del Paese»; in Israele, lo può dire il capo del governo: chissà se la cosa può interessare Gad Lerner, sempre pronto a lanciare l’allarme sui «segni di razzismo» dei leghisti o del Nord Italia. Forse un giorno ci regalerà una delle sue (noiose) serate dedicate al razzismo di Stato in Israele?

Aryeh Eldad
  Aryeh Eldad
Se la cosa gli interessa, gli rendiamo noto che Aryeh Eldad, un parlamentare della sua amata patria, ha proclamato che le truppe devono sparare su qualunque clandestino penetri la frontiera, armato o no (sui palestinesi si spara regolarmente, presumendo che siano armati). E Eli Yishai, del partito «religioso» Shas, ha dichiarato: «Gli infiltratori coi palestinesi metteranno fine al sogno sionista». E dunque bisogna espellerli in massa. (Israel to jail illegal migrants for up to 3 years)

Molti degli arrivati cercano di ottenere l’asilo politico o lo status di rifugiati, cui avrebbero diritto secondo le norme internazionali. Netanyahu ha risposto: «Il problema sarà risolto», ed ha varato una legge, che commina tre anni di prigione per il reato di immigrazione clandestina (stai ascoltando, Gad? Altro che Bossi-Fini...). «La legge ha effetto immediato», ha detto la portavoce del ministero degli Interni, Sabine Haddad. I primi catturati sono portati in un campo nel centro del Negev, dove già sono ospiti centinaia di palestinesi: un campo nel senso proprio, senza ripari contro il sole e il gelo della notte, insomma un vero lager.

Il capo della Polizia israeliana, con un filo di imbarazzo, ha chiesto come mai il governo non li lasci lavorare, questi immigrati; dopotutto, Israele «importa» migliaia di asiatici, cinesi e thailandesi, per i lavori più umili, come l’agricoltura e l’edilizia, per sostituire i palestinesi, che ha deciso di lasciar languire dietro il Muro e i reticolati nel più ermetico apartheid. Questi africani vengono invece arrestati alla frontiera con l’Egitto, sbattuti in galera per tre o quattro mesi, e nessun sostentamento è loro permesso mentre la loro domanda di asilo viene «trattata». E come venga trattata, lo ha rivelato un «2011 Country Reports on Human Rights Practices» del Dipartimento di Stato americano: «Di 4.603 richieste d’asilo, una sola è stata approvata». (U.S. report criticizes Israel's treatment of African migrants)

Beh, allora, perchè non occupare i sopravvenuti africani? Risposta ufficiale del governo: «Se li lasciamo lavorare, ne verranno altri» (Gad Lerner, hai preso nota?). Dice ha-Cohen: «È la ‘soluzione’ tradizionalmente adottata verso i palestinesi dei Territori Occupati e di Gaza: trattali male, espropriali, privali di terra, di lavoro, di diritti umani, e se ne andranno, evaporeranno».

Ma c’è anche una ragione occulta, dice il giornalista, ed è (se ne poteva dubitare?) di soldi. Gli immigrati «regolari» importati da Israele rendono ai loro «caporali» israeliani: questi importatori di manodopera sono pagati migliaia di dollari da ogni immigrato legale per il diritto di lavorare in Israele, con ritenute sui salari. Gli immigrati che arrivano dall’Africa invece, sono «senza obbligazioni» del genere, dunque non rendono.



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Il business e la lobby degli importatori dev’essere abbastanza grossa e potente: Eli Yishai, il sopracitato membro del partito Shas, quando era ministro agli Interni, ha allargato molto i permessi di lavoro per stranieri. E il suo collega dello Shas Shlomo Benizri, anche lui ex ministro, è attualmente in prigione per aver percepito mazzette da un «importatore di manodopera» amico suo, da favorire. (Shlomo Benizri - Wikipedia)

I politici dunque preferiscono aizzare il parossistico razzismo giudaico contro i «negri» e «sudanesi»; e la situazione comincia a somigliare ai prodromi dell’avvento del nazismo in Germania. Durante la manifestazione a Tel Aviv finita in pogrom, ignoti provocatori tra la folla hanno additato il giornalista Ilan Lior di Haaretz, che copriva il raduno, come «un sinistrorso che getta sassi ai nostri soldati ai check-point»; il poveretto è stato salvato dal linciaggio da un’auto della polizia. Conclude Ran Ha-Cohen: «Il collega è stato aggredito nemmeno per aver espresso simpatia per i negri immigrati, ma perchè è stato identificato come un oppositore politico. Nella ‘sola democrazia del Medio Oriente’, non c’è male».

Un altro giornalista di Haaretz, Uri Blau, sta per andare sotto processo, denunciato dal governo, per aver rivelato «segreti militari»: di fatto, i metodi e i piani operativi usati dai militari per ammazzare militanti palestinesi, di cui esistono liste di nomi da giustiziare. È un’azione che i pochi giornalisti dell’opposizione al regime vedono come una intimidazione a tutta la categoria. (Israel media worried over looming indictment)

Magari Gad potrebbe invitare Uri Blau alla sua (noiosa) trasmissione, ottenendo qualche spiegazione illuminante sulla reale natura della «unica democrazia del Medio Oriente».

Il regime Netanyahu ha, certo, un vasto appoggio popolare per le sue politiche razziali e un parlamento tutto dalla sua parte: come Hitler. Solo che Hitler non aveva 200 testate nucleari. Oggi, Israele ha montato i suoi missili nucleari sui sottomarini avanzatissimi che la Germania le ha fabbricato e praticamente regalato. (Israel Deploys Nuclear Weapons on German-Built Submarines)



Un regime razzista, volto al mantenimento della «natura ariana dello Stato», con ben coltivati sintomi di paranoia anti-iraniana, cosa vuol fare con quelle bombe montate su sommergibili?

Gilad Atzmon ci ha spiegato che gli israeliani sono i soli a soffrire di «stress pre-traumatico»: si fanno stressare da un evento catastrofico del futuro, del tutto immaginario, e per calmare le loro paure, attaccano preventivamente con forze smisurate.

Quando i preccupati di essere aggrediti faranno levare il fungo atomico su Teheran, la Germania della signora Merkel scoprirà di essersi resa complice, ancora una volta, di un genocidio razzista: esattamente quello che le ha profetizzato il suo poeta vivente Guenter Grass: «La potenza nucleare di Israele minaccia la così fragile pace mondiale». E forse non è una coincidenza dopotutto, visto quel che Berlino fa oggi all’Europa del Sud per ideologico rigore.



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